Se uccidere i cristiani non fa scandalo

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LiviaGloria
00martedì 4 novembre 2008 12:49
Se uccidere i cristiani non fa scandalo
di Pierluigi Battista

Massacri dall'India al Sudan ma l'Onu non si scompone.

[Dal «Corriere della Sera», 01 settembre 2008]

Ma quante pretese, e che tormento con questa storia dei cristiani perseguitati nel mondo, delle suore arse vive dai fondamentalisti indù, con la Chiesa che implora addirittura un intervento dell'Onu perché metta un freno a quegli sporadici episodi di discriminazione religiosa che esageratamente i cattolici definiscono «cristianofobia».
Ma davvero, con tutti i guai che infestano il Pianeta, dovremmo preoccuparci dei villaggi cristiani in India rasi al suolo, degli orfanotrofi incendiati, dei bambini inseguiti fin dentro la giungla da branchi di fanatici armati di coltelli? Dovremmo dare credito ai rapporti sulla Chiesa oppressa nel mondo dettagliatamente illustrati sul Giornale da Gian Micalessin e Rolla Scolari? Come se davvero potessero smuovere la coscienza mondiale i vescovi cinesi spariti per non aver accettato la sottomissione del silenzio patteggiata con il regime, i 300 mila cristiani inghiottiti nel nulla nella Corea del Nord, i sacerdoti sterminati e le suore eliminate, le decine e decine di missionari (cattolici e protestanti) massacrati negli agguati che insanguinano il Sud delle Filippine, gli attentati in Indonesia contro le comunità cristiane colpevoli soltanto di aver esibito un crocefisso. In Arabia Saudita i cristiani non possono costruire chiese, se vengono trovati in possesso di una croce rischiano la morte, sono sottoposti all'attenzione asfissiante di un corpo speciale di aguzzini, la polizia religiosa, e accusati (e sommariamente condannati) per un niente se solo si azzardano a fare «proselitismo».
Dovranno forse turbare la quiete religiosa del mondo con simili inezie? E chi chiede un rudimentale principio di reciprocità nell'espressione della libertà di culto (libere chiese e libere moschee in liberi Stati) non si fa forse paladino di una deleteria campagna di avvelenamento dello scontro tra religioni? Nel Sud del Sudan i cristiani uccisi dalle bande schiaviste che hanno agito nel nome dell'islam più radicale ammontano a due milioni (sì, due milioni): non fa più notizia. Nemmeno nel Darfur, dove la carneficina continua, milioni di persone perdono la vita per via della loro religione e della loro razza, ma l'Onu saggiamente e prudentemente si ostina a non chiamare genocidio il genocidio. In Nigeria i fondamentalisti, con apposite spedizioni punitive su cui sarebbe il caso che la comunità internazionale continuasse a non intervenire per non guastare con ingiustificato sdegno la pacifica coesistenza tra popoli e religioni, hanno annientato 20 mila cristiani e distrutto non meno di 500 chiese. Ma sarebbe assurdo, e pericoloso per la serenità del mondo, avvalorare la stolta tesi della «cristianofobia».
In Somalia, una suora di oltre 60 anni troppo temeraria e fanaticamente convinta che fosse il caso di aprire a Mogadiscio un centro di raccolta per bambini dispersi e senza famiglia, Suor Leonella, è stata uccisa davanti al cancello dell' ospedale. I cristiani sono sottoposti a persecuzione, ridotti al silenzio, messi nell'impossibilità di conservare sia pur nascosti e non esibiti i simboli della loro fede, in Egitto, Pakistan, Afghanistan, Iran, Yemen ma non si dovrebbe generalizzare per non dare spazio ai nemici della pace religiosa. E per non intasare gli uffici dell'Onu, già oberato di lavoro per dover affrontare anche queste quisquilie. O no?

© Corriere della Sera


www.kattoliko.it
LiviaGloria
00domenica 8 febbraio 2009 22:13
www.iltimone.org/newsArt.php?idArt=86


AI TG PIACCIONO PIU' GLI ORSI DEI CRISTIANI
Scritto da: Riccardo Cascioli il 10-9-2008

A quanti, seguendo i TG serali, si sono preoccupati nei giorni scorsi per la sorte di nove orsi polari farà sicuramente bene sapere che si trattava della ormai solita bufala ecologista. L’ha smascherata il sito SVIPOP con una ricostruzione puntuale dei fatti: si è partiti da un casuale – e unico - avvistamento a metà agosto da parte di un aereo governativo americano che era in zona per tutt’altro, per costruirci poi un romanzo che è andato arricchendosi via via di dettagli e ipotesi fantasiose senza alcun riscontro reale. Per quanto ne sappiamo, dunque, quegli orsi probabilmente stavano tranquillamente nuotando per fatti loro come è normale che facciano.

La cosa che però qui ci interessa maggiormente è il fatto che le redazioni RAI e Mediaset avevano tutta la possibilità di verificare la fondatezza o meno della notizia, ma hanno preferito spararla così, evidentemente hanno ritenuto che queste notizie aumentano gli ascolti. Senonché proprio negli stessi giorni – come abbiamo ricordato in una precedente notizia – nello stato indiano dell’Orissa si è registrata un’ondata di violenze contro i cristiani che ha provocato dai 50 ai 100 morti (a seconda delle fonti) e decine di migliaia di sfollati. E di questo TG1 e TG5 hanno preferito non dare conto. Peraltro la situazione nell’Orissa e in altri stati indiani è da anni critica per i cristiani, non si tratta perciò di un episodio isolato, e meriterebbe perciò qualche approfondimento.

Dunque di fronte a due notizie – una drammaticamente vera, che coinvolge decine di migliaia di esseri umani, e una già “fortemente sospetta” e poi rivelatasi clamorosamente falsa, con nove orsi protagonisti – i due più importanti TG della sera hanno scelto di dare ampio risalto soltanto alla seconda (il fenomeno è vero anche per i maggiori quotidiani, ma la tv ha chiaramente un impatto ben diverso). La cosa dimostra che nelle notizie c’è una vera e propria gerarchia, condivisa sia dalle direzioni dei principali TG sia dal pubblico che li segue: la sorte degli animali è più importante della sorte degli esseri umani (anche la notizia degli orsi fosse stata vera, nove plantigradi contano più di decine di migliaia di uomini indiani); tra gli esseri umani poi, i cristiani sono in fondo alla graduatoria: pochi giorni prima la denuncia delle violenze sulla popolazione tibetana ha avuto ben altro risalto, mentre dei cristiani cinesi che soffrono uguale persecuzione nessuno ne parla e a loro nessuno dedica medaglie olimpiche.

Ma soprattutto dobbiamo notare che ormai anche nei TG dilaga la fiction, che ha preso il posto della realtà. Così una mega-bufala come quella degli orsi toglie lo spazio ad eventi reali come la persecuzione in India, non ultimo perché fa più spettacolo. Dobbiamo perciò abituarci a guardare ai canali informativi principali come a un’ulteriore forma di spettacolo, che non solo non ci informa veramente ma ci “distrae” dalla realtà.

Anche questo è un effetto della secolarizzazione, della perdita dell’identità cattolica. Il cristianesimo è l’unica religione che guarda alla realtà in modo positivo, perché la realtà è segno di Cristo. La realtà va dunque affrontata e vissuta per quello che è. Ma quando si perde questo significato la realtà diventa inconoscibile, fa paura. Allora ci si crea una realtà a propria immagine o ad uso e consumo del potere dominante. E’ bene prenderne chiaramente coscienza per non lasciarci ridurre in schiavitù, e tornare protagonisti nel mondo.
LiviaGloria
00mercoledì 11 febbraio 2009 13:36
chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/213262



Natale in India. "Non c'era posto per loro nell'alloggio"

Ancora in fuga nelle foreste migliaia di vittime dei massacri anticristiani. Le autorità vaticane si mobilitano per contrastare il fanatismo induista. Ma sul terrorismo musulmano sono elusive. L'islamologo Troll denuncia i rischi di questa inerzia

di Sandro Magister



ROMA, 13 gennaio 2009 – Nelle aree dell'Orissa teatro di attacchi anticristiani le feste di questo Natale sono passate senza incidenti di rilievo. All'opposto di quanto era avvenuto nel Natale del 2007, quando più di cento chiese e un migliaio di case furono devastate e bruciate.

Ma circa 20 mila cristiani del distretto di Kandhamal, epicentro degli attacchi, continuano a tenersi lontani dai loro villaggi, da cui sono fuggiti tra agosto e settembre. Hanno avuto le case distrutte e soprattutto non si sentono sufficientemente protetti. Vivono sotto le tende ai margini della foresta, in una decina di campi profughi. Ad uno ad uno la polizia sta chiudendo i campi, forzando gli sfollati a rientrare in cambio di 10 mila rupie (circa 150 euro), 50 chili di riso e un rotolo di plastica da usare come riparo.

Il 4 gennaio la corte suprema dell'India – dopo aver dato udienza al'avvocato dell'arcivescovo di Bhubaneswar, Raphael Cheenath – ha criticato il governo dell'Orissa per la tardiva e debole reazione al pogrom anticristiano della scorsa estate, e gli ha ingiunto di "dimettersi se incapace di proteggere le minoranze". Al governo dell'Orissa ci sono il Bharatiya Janata Party e il Biju Janata Dal, cioè due partiti di riferimento dei gruppi induisti autori delle aggressioni.

Nelle stesse ore in cui la corte suprema ha emesso il suo pronunciamento, nel quartier generale della polizia a Cuttack suor Mena Barwa, la giovane religiosa che era stata stuprata il 25 agosto nel villaggio di Nonagon da un gruppo di fanatici, ha riconosciuto due dei suoi violentatori, tra i dieci ora in arresto.

Ma John Dayal, presidente dell’All India Christian Council e del United Christian Forum for Human Rights, avverte che, a quattro mesi dal pogrom, i rischi di una ripresa delle violenze restano alti. Specie dopo che a fine gennaio i 6 mila agenti federali inviati dalle autorità centrali di Delhi lasceranno l'Orissa.

Benedetto XVI, nel discorso sullo stato del mondo rivolto l'8 gennaio al corpo diplomatico, ha dedicato all'India solo due fuggevoli accenni, il primo alludendo alla strage terroristica di fine novembre a Mumbai, il secondo ai pogrom anticristiani dell'Orissa. Ma entrambi questi fatti seriamente preoccupano le autorità vaticane.

Per quanto riguarda l'estremismo induista, così si è espresso il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, in un'intervista a "L'Osservatore Romano" del 4 gennaio:

"Per capire la dinamica dei fatti si deve risalire al 1989, quando il Partito Nazionalista Indù è salito al potere nello stato dell'Orissa. Più che un conflitto di natura religiosa, si tratta di un problema di stampo sociale e politico. Ai cattolici viene rimproverato di occuparsi delle caste inferiori che costituiscono la mano d'opera per le caste superiori. Viene contestato al cristianesimo il fatto che esso è anche un fattore di emancipazione sociale. Ovviamente, noi cattolici proseguiremo il dialogo. Un dialogo, conviene sottolinearlo, che viene portato avanti soprattutto dalla Chiesa locale, sotto l'attenta guida dei vescovi, con l'aiuto del nunzio apostolico. Io stesso ho intenzione di recarmi in India nei prossimi mesi per un incontro con i vescovi e i leader religiosi indù per fare il punto della situazione. Comunque sia, continueremo a chiedere il rispetto della libertà religiosa che suppone il rispetto della libertà di coscienza, ossia la possibilità di scegliere la propria religione o di cambiarla, di praticarla in privato e in pubblico. Un altro dialogo, invece, deve essere portato avanti parallelamente con le autorità politiche, il cui compito è quello di assicurare le condizioni di una reale ed effettiva libertà religiosa, senza discriminazione o segregazione, nella libera adesione a una comunità religiosa organizzata. Tutto ciò non è nient'altro che quanto richiesto dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali, a cui del resto, l'India aderisce. E, infine, compete a ogni governo assicurare la sicurezza fisica dei suoi cittadini, soprattutto quando una parte di loro è vittima di violenze fisiche, come nel caso di cui parliamo. Penso, da un punto di vista pratico, che tutti abbiano interesse a un effettivo rispetto della libertà religiosa: credenti che si sentono rispettati e difesi nella professione della propria fede saranno ancora più disposti a collaborare al benessere materiale, sociale e spirituale della società di cui sono membri a tutti gli effetti. Vorrei ricordare che le violenze ingiustificabili di cui parliamo non riguardano la maggioranza degli indù e dei loro capi, tradizionalmente pacifici. Ecco perché, nel mio messaggio in occasione della recente celebrazione del Diwali, ho voluto riaffermare la necessità che cristiani e indù lavorino insieme alla luce del comune principio della non-violenza".

* * *

Per quanto riguarda invece il terrorismo musulmano in India, le autorità vaticane sono più elusive. Tra i cristiani e i musulmani dell'India non vi sono state negli anni passati particolari frizioni. Anzi, in più occasioni queste due minoranze si sono ritrovate alleate, sia nel combattere le discriminazioni di casta, sia nel difendersi dalle aggressioni degli induisti fanatici.

Ma l'attacco terroristico di Mumbai ha mutato pericolosamente il quadro. L'ha proiettato su scala internazionale. I suoi organizzatori avevano nel Pakistan la loro centrale e il nemico da colpire era in definitiva l'Occidente giudaico-cristiano.

E ciò in India ha ridato vita all'islam più puritano e combattivo, quello delle madrase Deoband, quello dei discepoli di Mawdudi: un islam in permanente conflitto col “mondo del negativo”, con quella "jahiliyya" che nel Corano rimanda al mondo dei faraoni e al politeismo, ma che oggi è identificata nell’Occidente.

Dalla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona in poi, questo distruttivo rapporto tra l'islam e la violenza è un nodo critico del dialogo che faticosamente si sta conducendo tra la Chiesa cattolica ed esponenti musulmani.

L'India sarebbe un terreno ideale per sviluppare questo dialogo. Qui l'islam è pluriforme ed eredita una storia anch'essa variegata. I mogol musulmani del XVI secolo instaurarono con l'induismo un rapporto pacifico. E in tempi recentissimi cristiani e musulmani hanno agito assieme per rivendicare i loro diritti di cittadinanza, insidiati dal fanatismo induista.

Ma in realtà che cosa accade? Il gesuita tedesco Christian W. Troll, professore alla Pontificia Università Gregoriana e alla Sankt Georgen Graduate School di Francoforte, uno degli islamologi più ascoltati da Joseph Ratzinger, dopo aver partecipato a Roma al primo colloquio del Forum cattolico-islamico nato dalla lettera aperta "A Common Word" indirizzata al papa nel 2007 da 138 esponenti musulmani, si è recato in India per ragioni di studio e lì ha scoperto che nulla è stato fatto per migliorare i rapporti tra le due comunità, proprio ora che se ne ha più bisogno che mai.

Troll ha incontrato in India numerosi esponenti cristiani e musulmani, vescovi, sacerdoti, professori e rettori di seminario, insegnanti e dirigenti di scuole coraniche. Ebbene, nessuno di questi aveva la più pallida conoscenza dei passi di dialogo fin lì compiuti a Roma e altrove. Sia nella Chiesa cattolica, sia nella comunità musulmana dell'India nessuno aveva fatto qualcosa per diffondere la conoscenza della lettera dei 138, degli interventi di Benedetto XVI sul tema e degli incontri interreligiosi fin lì compiuti.

"Tutto ciò è tragico", ha commentato Troll. "In India cristiani e musulmani sono minoranze e questo costituisce un imperativo in più perché vivano in armonia. È quindi di fondamentale importanza che le iniziative di dialogo ad alto livello, a cui hanno partecipato un numero significativo di leader cristiani e musulmani, siano comunicate in ambiti sempre più vasti delle comunità di entrambe le religioni. Bellissime dichiarazioni comuni a livello internazionale aumentano le aspettative. Ma se non vengono attuate, se non ci si sforza nemmeno di far questo, i risultati saranno la frustrazione e il ridicolo".

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LiviaGloria
00giovedì 12 febbraio 2009 17:38
zenit.org/article-17174?l=italian


Un Sinodo per fermare l'esodo dei cristiani del Medio Oriente

A parlarne è monsignor Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk (Iraq)


ROMA, giovedì, 12 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Dare “una linea comune” ai cristiani mediorientali è l'obiettivo per il quale monsignor Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk (Iraq), ha proposto di celebrare un Sinodo per la Chiesa in Medio Oriente.

In un'intervista rilasciata alla rivista Oasis, il presule ha spiegato che la richiesta di un Sinodo deriva dalla constatazione che i cristiani mediorientali sono “schiacciati da tante sofferenze e incalzati da molte sfide”, alle quali bisogna dare una risposta.

“Siamo comunità esigue e per affrontare tutti questi problemi abbiamo bisogno di essere aiutati”, ha riconosciuto, elencando una serie di difficoltà, la più grande delle quali “è certamente l'esodo dei cristiani dalle nostre regioni”.

“E' concreto il rischio che in un prossimo futuro non ci siano più cristiani in Medio Oriente – ha avvertito –. Noi siamo profondamente preoccupati che il destino dei cristiani in questi Paesi possa divenire lo stesso dei cristiani in Turchia o in Iran, dove ormai sono pochissimi”.

Un altro problema sottolineato dal presule è quello della pastorale. “Spesso oggi sperimentiamo la mancanza di un programma pastorale adeguato alla situazione in cui viviamo e ci chiediamo come prepararne uno adatto ai nostri fedeli”, ha osservato.

“Per esempio, pensando ai laici, torna di frequente una domanda: come possono vivere e testimoniare la loro fede nel contesto socio-culturale nel quale sono immersi? Come dobbiamo concepire la stessa presenza dei cristiani in campo sociale e culturale in Medio Oriente?”.

Allo stesso modo, bisogna rispondere alle difficoltà rappresentate dalla riforma liturgica, dalla formazione dei seminaristi, dei monaci e dei religiosi e “dall'incontro con i musulmani” per “aiutarli a conoscere e capire un po' di più il nostro cristianesimo”.

“Non mancano, dunque, questioni vive e interessanti da affrontare. La Santa Sede promuove un Sinodo per l'Africa, uno per l'Asia, perché non anche per i cristiani del Medio Oriente?”, ha chiesto.

“Anche il Santo Padre mi ha detto che è una buona idea”, ha rivelato.

Per monsignor Sako, un Sinodo di questo tipo dovrebbe coinvolgere Iraq, Libano, Siria, Giordania, Egitto e Palestina. Per quanto riguarda i diversi riti, “sarebbero coinvolti i caldei, i siriaci, gli armeni, i copti, i maroniti e i melchiti”, tutti i riti praticati nell'area mediorientale.

Per impostare il lavoro di questa assise, è necessario “costituire un comitato misto che comprenda esponenti delle varie Chiese e dei vari Paesi, nonché i rappresentanti della Santa Sede, esperti nell'organizzazione di simili eventi”. Il processo, secondo il presule, richiederà “almeno un anno”.

Gli obiettivi del Sinodo

I frutti di un Sinodo di questo tipo, ha continuato, sarebbero preziosi soprattutto per dare unità e direttive uniformi ai cristiani della regione.

“Ciò di cui abbiamo bisogno è una linea comune – ha confessato –. La vita della Chiesa ha un movente ben chiaro che è l'evangelizzazione. Solo che in questo momento è come se noi qui non avessimo un'idea comune e condivisa su come incarnare tale movente, su come concretamente tradurlo nella vita di tutti i giorni”.

E' anche per questo, sottolinea, che molti cristiani emigrano. “La verità è che non abbiamo una strategia per aiutare i cristiani a non partire e nel caso a tornare. Infatti non ritornano. Coloro che ancora sono rimasti, presto se ne andranno. Perché non c'è nessuno che si prenda cura di loro, che cerchi una soluzione”.

“Occorre studiare e capire le cause reali di questa fuga e solo in un secondo tempo pensare a delle soluzioni. Attualmente tutto è lasciato all'improvvisazione. Non si può continuare in questo modo”.

Allo stesso modo, il Sinodo potrebbe aiutare a trovare una nuova via per relazionarsi con i musulmani, promuovendo “un linguaggio nuovo, diverso da quello apologetico o polemico”.

“La Chiesa deve prendere delle iniziative, altrimenti nessuno altro farà il primo passo – ha riconosciuto –. La Chiesa deve essere protagonista nella direzione dell'apertura all'incontro”.

Segnali positivi

Dopo le elezioni provinciali svoltesi il 31 gennaio in 10 delle 14 province irachene, che hanno visto sconfitti i partiti religiosi estremisti, secondo monsignor Sako per i cristiani e per tutto l'Iraq “c'è una speranza, ma la speranza deve essere spezzata nella vita quotidiana, non può restare un'utopia, un sogno”.

“Occorre aiutare la comunità cristiana a rimanere, a sperare e a testimoniare. I musulmani non sono tutti fondamentalisti o terroristi, ci sono tanti bravi musulmani e la coesistenza con loro è possibile. Solo bisogna trovare il modo giusto per porsi nei loro confronti”.

Per il presule, bisogna trovare “soprattutto il linguaggio”. “Dobbiamo chiederci continuamente: che parole dobbiamo usare con i fedeli dell'Islam?”.

Un incentivo a restare nella propria terra, ha aggiunto, è “il sangue di cinquecento martiri cristiani uccisi in questi anni”, di cui monsignor Sako ha confessato di conservare la memoria “nome per nome”.

Il loro sacrificio, ha concluso, “costituisce un appello e anche una speranza: la loro fedeltà, la loro preghiera, il loro sangue ci invitano a non abbandonare questo Paese, a restare per testimoniare qui e ora il Vangelo”.

© Innovative Media, Inc.

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LiviaGloria
00giovedì 19 febbraio 2009 17:59
zenit.org/article-17258?l=italian

Il regista Scorsese prepara un film sui martiri del Giappone

Basato sull'opera "Silenzio" dello scrittore Shusaku Endo

TOKYO, giovedì, 19 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Il regista italoamericano Martin Scorsese sta preparando un film sui cristiani del Giappone martirizzati nel XVII secolo, secondo quanto ha reso noto il quotidiano giapponese "Asahi Shimbun" e come aveva preannunciato lo scorso anno il quotidiano cattolico "Avvenire".

Per "Asahi Shimbun", Scorsese starebbe progettando di girare il film prossimamente in Nuova Zelanda, per poter diffondere la pellicola nel 2010. Tra i protagonisti, si fanno i nomi degli attori Daniel Day-Lewis, Gael García Bernal e Benicio Del Toro.

Scorsese, cattolico, è autore di film come "L'età dell'innocenza", "Gli infiltrati" - che gli è valso l'Oscar nel 2007 -, "Gangs of New York", "Casino" e il controverso "L'ultima tentazione di Cristo".

Il copione, secondo le informazioni, è basato sull'opera "Chinmoku" ("Silenzio"), dello scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo, in cui questi descrive la persecuzione alla quale sono stati sottoposti i primi cristiani giapponesi nell'epoca Edo, soprattutto nella zona di Nagasaki.

L'annuncio arriva poco dopo la canonizzazione, il 24 novembre 2008, di 188 martiri cristiani di quell'epoca, che secondo i Vescovi giapponesi ha rappresentato un autentico evento nella storia del Paese, in cui il cristianesimo è stato una religione proibita per secoli.

Oggi i cristiani rappresentano l'1% della popolazione. Di questi, 450.000 sono cattolici.

Shusaku Endo

Il romanzo di Shusaku Endo è stato scritto nel 1966 ed è uno dei più importanti della sua carriera di scrittore insieme a "Il Samurai". Racconta la storia di un missionario portoghese in Giappone all'inizio del XVII secolo, in piena persecuzione anticristiana.

Il titolo, "Silenzio", rimanda al silenzio di Dio davanti alla croce di Cristo, narrando la forzata apostasia del missionario tra terribili torture.

Endo è nato a Tokyo nel 1923 ed è stato battezzato, insieme alla madre, a 12 anni. I suoi romanzi riflettono la sua particolare ricerca del cristianesimo riconciliato con la cultura orientale, così come la sua particolare visione della fragilità umana, del peccato e della grazia.

Lo scrittore, morto nel 1997, ha scritto anche opere come "Vita di Cristo", "Vulcano", "Il mare e il veleno" e "Fiume profondo", in cui ha cercato di adattare il cristianesimo alla mentalità asiatica.
(Marcello86)
00sabato 21 febbraio 2009 14:13
perche non fa notizia........
lo fanno da più i 2000 anni di ammazzare cristiani è roba vecchia.... [SM=x268924] [SM=g1456035] [SM=x268924]
LiviaGloria
00venerdì 29 maggio 2009 10:01
www.fattisentire.org/modules.php?name=News&file=article&...


PER I CRISTIANI E' RISCHIO ESTINZIONE


L’altro ieri l’appello di Ratzinger: «Non lasciate questa terra».
Ma un secolo fa erano un quinto della popolazione, oggi sono ridotti a un misero 5%

Fausto Biloslavo, Il Giornale, 14 maggio 2009

Dall’Irak metà della popolazione cristiana è fuggita di fronte alla violenze. In Libano non dominano più il Paese e in molti si sono trasferiti per sempre all’estero, a cominciare dalla Francia. Nella stessa secolare e vicina Turchia, che vuole entrare in Europa, sono sempre più dei paria. Pure a Gerusalemme, dove nel 1948 i cristiani erano un quinto degli abitanti, ora sono ridotti a uno striminzito 2 per cento. Il Papa in visita nella Terra Santa lo ha detto a chiare lettere parlando di «tragica realtà». Ai piedi del monte degli Ulivi ha denunciato «la partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti».



In Medio Oriente un secolo fa il 20% della popolazione era cristiana. Oggi i fedeli di Cristo si sono assottigliati al 5 per cento, secondo il New York Times di ieri. «Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale (...)» ha ribadito Benedetto XVI. «Desidero ripetere quanto ho detto in altre occasioni: - ha sottolineato il papa due giorni fa - nella Terra Santa c’è posto per tutti». Purtroppo la terra di Abramo e di Cristo si sta svuotando dei discepoli del Messia come nemmeno ai tempi precedenti alle crociate.

«Temo un’estinzione dei cristiani in Irak e nel Medio Oriente» ha tuonato Jean Benjamin Suleiman, l’arcivescovo cattolico di Bagdad. Circa la metà del milione e 400mila cristiani che vivevano in Irak se ne sono andati dall’invasione alleata del 2003. All’inizio li avevano presi di mira accusandoli di collaborare con gli americani. Poi i cristiani sono finiti stritolati nella guerra confessionale fra sciiti e sunniti. Chiese bombardate, rapimenti e religiosi barbaramente uccisi hanno segnato l’esodo dei cristiani. Nella zona nord, attorno a Mosul, i tagliagole di Al Qaida si sono accaniti contro i preti. A marzo dello scorso anno è stato rapito e ucciso l’ultimo arcivescovo.

Tra i palestinesi i cristiani avevano in passato posizioni di rilievo all’interno delle organizzazioni guerrigliere e nelle istituzioni di autogoverno. Da Gaza un esponente radicale di Hamas, l’ala fondamentalista islamica, ha osteggiato la visita del Papa in Terrasanta. La fuga dei cristiani riguarda pure la Cisgiordania, dove governa il presidente Abu Mazen, che ieri ha accolto Benedetto XVI a braccia aperte. Guerra e crisi economica favoriscono l’esodo. A Betlemme, dove sorge la Chiesa della Natività, i cristiani sono un terzo degli abitanti: per secoli erano stati l’80 per cento.

In Libano, dove sono un quarto della popolazione, hanno perso per sempre la loro antica posizione dominante. Il “nuovo” che avanza è rappresentato da Hezbollah, il partito armato della comunità sciita legato all’Iran. In Egitto il 10% di cristiani copti sono sempre più messi ai margini. Invece un tempo i cristiani erano ricchi e rispettati. Anche nella moderata Turchia, che vuole entrare in Europa, ci sono problemi. Un secolo fa erano milioni, ma oggi i cristiani raggiungono a malapena le 150mila anime. In Parlamento o fra le gerarchie militari non c’è un solo cristiano. La violenza nei confronti della comunità e dei preti, da parte di fanatici musulmani, è in aumento. Lo stesso presidente turco, Abdullah Gül, ha trascinato in tribunale un parlamentare che lo “accusava” di avere origini cristiane. Come se la fede in Cristo fosse un’offesa. Si sta peggio in Arabia Saudita, dove non si possono costruire chiese per legge. Negli altri Paesi del Golfo Persico i cristiani sono i lavoratori stranieri (soprattutto filippini) che non potranno mai ottenere la cittadinanza, perché vengono considerati dei paria.

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