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LiviaGloria
00venerdì 27 febbraio 2009 22:09
vecchio ma sempre attuale...
ADDIO MERCATO LIBERO: GLI USA TENGONO SU LE AZIONI
Maurizio Blondet
07/05/2005
Tutte le materie prime stanno rincarando sui mercati mondiali, petrolio, rame e tutti gli altri metalli. Tutti tranne uno: l'oro. Il più importante come "riserva di valore" e come indice di allarme: se aumenta la domanda di oro, bene-rifugio, è segno che gli investitori e gli speculatori si stanno mettendo al riparo da crack e inflazione. Come mai invece l'oro non rincara? Si è posto la domanda un analista finanziario americano, Mark M. Rostenko, che risponde: il governo Usa sta manipolando i mercati. La "libertà dei mercati" azionari è finita, dice Rostenko, nel 1987. Quell'anno la Borsa di New York crollò tragicamente in un "lunedì nero". Per scongiurare futuri crolli e panico, un decreto (Executive order 12631) firmato dal presidente Reagan il 18 marzo 1988, creò un organismo, chiamato "Working Group on Financial Markets", con lo scopo dichiarato di "mantenere la fiducia degli investitori". Formato dal ministro del Tesoro e dai presidenti della Federal Reserve (la Banca Centrale), della SEC (la Consob americana) e della Borsa Merci di Chicago, quest'organo in realtà deve fare una cosa precisa: impedire ai "mercati" di cadere troppo. E come? Investendo "in controtendenza" sui futures, con l'illimitata cassa del Tesoro Usa. Gli esperti di Wall Street chiamano questo organo dittatoriale "Plunge Protection Team", "gruppo di protezione contro i crolli". Il governo Usa ne nega perfino l'esistenza. Di fatto, da allora non si è assistito, nella Borsa americana, che ad un continuo rialzo. Mai gli speculatori hanno dovuto subire "correzioni al ribasso" superiori al 10%. Appena le azioni cominciano a calare, subito risalgono. Il miracolo del mercato che non cala comincia davvero da quattro mesi prima dell'11 settembre. Uno stupefacente, inspiegabile e misterioso rialzo dei "mercati". C'è ora il sospetto che il Plunge Protection Team avesse inflazionato il mercato azionario in previsione di ciò che "i terroristi arabi" stavano per fare. Dopo l'11 settembre, ci sono state almeno tre occasioni in cui, secondo tutti i dati econometrici, il corso delle azioni avrebbe dovuto calare e inaugurare un lungo periodo di "magra", di ribassi. In tutti e tre i casi, all'apertura della Borsa, i titoli hanno preso a cadere a spirale, come succede quando gli operatori si lanciano a vendere; e tutte e tre le volte hanno ripreso valore nel primo pomeriggio, tirando per i capelli il "mercato" dall'orlo dell'abisso; con grande stupore di tutti, compresi gli analisti "storici", quelli che conoscono la storia dei passati crack. Uno dei momenti più tremendi si verificò quando fu rivelato il buco della Enron, una colossale bancarotta fraudolenta: la Borsa crollò all'inizio, per poi subito risalire in un ingiustificato rialzo trionfale il 24 luglio 2002. Da allora, per gli Usa, sono stati gli anni della cosiddetta "ripresa senza lavoro", una "ripresa" che non creava tanti posti di lavoro, ma – al di là della propaganda - una recessione; anni di crescente indebitamento pubblico e privato; anni di crescente sfiducia verso il dollaro e in generale la politica Usa. E tuttavia, ogni volta che il mercato azionario cominciava a dar segno di aver capito la crisi e cominciava a vendere, ecco qualcuno che, con mezzi enormi, comprava. Per non lasciar cadere il mercato sotto quel 10%, che storicamente si sa innescare l'ondata di vendite in panico, la quale provoca il crack tipo 1929. Ma dov'erano quegli investitori ricchi, tosti e dai nervi d'acciaio tali da mettersi contro la tendenza naturale del mercato? Non ne esistono: gli investitori (speculatori) che amano dichiararsi "amanti del rischio" sono notori conigli. In realtà, nota Rostenko, ogni rovescio del mercato delle azioni ha corrisposto ad un misterioso rialzo nel mercato dei derivati. Segno che qualcuno stava scommettendo che i mercati sarebbero risaliti, proprio mentre scendevano. O meglio: scommetteva – puntava forte – per farli risalire. Il bello dei derivati è il loro effetto-leva: punti 100 dollari ed è come se ne avessi puntato 10 mila, e questo influenza il mercato azionario. Facilmente: a patto di avere abbastanza soldi da gettare nella fornace, e non avere alcun timore di perdite che (se va male) si calcolano a miliardi di dollari. Condizioni che ha un solo "investitore": il Tesoro, che ha più soldi di chiunque e non teme di perderli, perché non sono suoi. Sono del contribuente. E' successo il 20 aprile scorso: la Borsa apre e l'indice Dow subito scende, fino ad un pelo dal livello psicologico di 10.000, sotto cui si scatena il panico. Nelle stesse ore, il mercato dei futures sale rapidamente; nel pomeriggio l'indice Dow era risalito di 100 punti, fatto senza precedenti nella storia – almeno senza grandi notizie che potessero giustificare tanta euforia. Contemporaneamente, accade il contrario nella Borsa-Merci. Attualmente tutte le materie prime sono in rialzo enorme, acciaio, platino, petrolio, rame e alluminio: causa la domanda insaziabile della Cina, ma anche segno che l'inflazione globale – alimentata dalla frenetica stampa di dollari della Fed – è ormai un fatto allarmante. Solo l'oro, quello che darebbe il segnale d'allarme, è in calo. Ogni giorno tutti comprano platino, rame e petrolio, ma qualcuno continua a vendere oro. Perché? Gli americani non se lo chiedono. Non vogliono chiederselo: le loro future pensioni sono là in Borsa, in fondi d'investimento; sono grati, ciecamente, a chiunque "tenga su il mercato", con qualunque mezzo. Ma gli specialisti europei sanno, e lo dicono chiaro. Il Guardian ha parlato, il 16 settembre 2001, di "quel comitato segreto, chiamato Plunge Protection Team, che coordina con la Federal Reserve l'acquisto massiccio di titoli da fondi ed altre istituzioni". E il Financial Times metteva in guardia: "mercati dei titoli tenuti su dallo Stato, come ha imparato a sue spese il Giappone, alla lunga non funzionano. Proteggere i mercati mondiali dai cali è un esercizio pericoloso". I pericoli sono grossi e molteplici. In un mercato che non cade mai sotto un certo livello, che resta oscillante fra stretti margini, anche gli investimenti e le opportunità si restringono. Nessuno dei veri operatori ci fa più soldi veri; è l'effetto collaterale del vantaggio di non subire vere perdite. Soprattutto, quando un mercato è così manipolato, cessa di adempiere al suo ruolo primario: quello di "far capire" i prezzi. Non si capisce più quale sia il valore "giusto", stante la legge della domanda e della offerta, di un'azione o di una materia prima. E più a lungo un mercato è tenuto alto artificialmente, di tanto più viene procrastinato un rialzo sano, sostenuto e reale. Perché alla fine, "nessuno è più grosso del mercato", e quello finisce per trovare il suo livello appropriato alla realtà economica. Così almeno dice la teoria liberista alla Adam Smith. Ed è qui il peggiore problema. L'Urss cadde perché i suoi capi, a forza di pubblicare statistiche false, su successi economici inesistenti, finirono per crederci. O almeno per non capire più che cosa stava andando male. L'impero capitalista e liberista sta cominciando a falsare le sue statistiche, falsando i "mercati", l'oracolo da cui si aspetta la verità, per far credere che è in ripresa mentre è in recessione, che gli americani avranno le loro pensioni che hanno invece già perduto. Ecco perché, alla fine, gli Usa finiranno come l'Urss. Travolgendo tutti noi globalizzati nella loro vergognosa caduta. di Maurizio Blondet
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27 febbraio 2009 10.14
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