Ecco a voi una scena tratta dal film "Gostanza da Libbiano" (1950)
regia di Paolo Benvenuti
E venne la volta dell’unico film italiano in concorso, Gostanza da Libbiano, del regista Paolo Benvenuti. Un film estremamente difficile, a tratti ostico sul piano narrativo, che figurativamente espone un bianconero-Bresson-Dreyer, certo, di plastica rilevanza. Ma fuori dai pregi estetici, ci sembra davvero un po’ limitante che a rappresentare l’Italia, in un Festival così importante, ci sia un’opera così di nicchia, così settariamente out-sider, che non restituisce agli occhi del mondo presente a Locarno ciò che davvero si fa con il cinema in Italia. Per quanto "alta", nobile e di minuziosa ricostruzione che sia, l’opera di Benvenuti ha al suo interno un cinema di scarso peso attrattivo e comunque lontano dalle esigenze di un pubblico che vuole stare dentro il proprio tempo, e premia alla fine storie e personaggi nei quali, seppur minimamente, si possa in qualche modo identificare.
Ma veniamo al film. Anno 1594, San Miniato al Tedesco nel Granducato di Toscana. Monna Gostanza da Libbiano, una contadina di sessant’anni, esercita da sempre il mestiere di guaritrice. La sua pratica di misurare i panni ai malati per conoscere i mali mette in allarme le autorità ecclesiastiche locali. Arrestata per ordine del Vescovo di Lucca, a seguito di una breve istruttoria, viene accusata di stregoneria. Qui Benvenuti insiste con delle inquadrature fisse su Lucia Poli, a volte con troppa insistenza e lentezza, tanto che in una sequenza di questo unico e lungo interrogatorio "immobilizza" la protagonista per 6 minuti di primo piano, rotto soltanto da una voce fuori campo del vicario accusatore. Dopo gli interrogatori volti a farle confessare pratiche diaboliche, lentamente, piegata da ripetute torture, Gostanza cessa di proclamare la sua innocenza per entrare nel personaggio della strega. La donna inizierà così a costruire un suo mondo metafisico, scatenandosi nelle fantasie più fervide: malìe, delitti, vampirismi, metamorfosi, voli notturni e baccanali alla Città del Diavolo, confessioni che le consentono di sfruttare in modo originale l’inesauribile ricchezza dell’immaginario popolare e contadino.
Spaccato di un meccanismo inquisitoriale implacabile quanto imprevedibile, iconograficamente ispirato anche alla maniera di Agnolo Bronzino, il film "conclude il "trittico dell’identità", un progetto cinematografico teso ad accostare e confrontare la parola liberatrice dei Vangeli (espressa ne Il bacio di Giuda) con le deviazioni ideologiche della Chiesa cattolica contro i suoi grandi nemici storici, i giudei (Confortorio) e le donne (Gostanza da Libbiano)".
Girato diversamente rispetto a Confortorio (per il quale ogni scena e ogni inquadratura era stata precedentemente pensata a tavolino), in Gostanza da Libbiano Benvenuti abbandona la sceneggiatura durante le riprese affidandosi alla evoluzione sensibile, sul set, della storia.
Ma nel chiuso claustrofobico del palazzo degli inquisitori, anche la storia, scritta a partire dai verbali originali del processo, non si fa seguire, perde consistenza, si sgretola man mano, e rimane soltanto l’estro attorico di una Lucia Poli che scolpisce lo schermo. Crediamo che il cinema italiano abbia bisogno di altre storie, di un pizzico di umiltà in più e di qualche intellettualismo in meno.
Gianluca Mattei
www.centraldocinema.it/festival/locarno/gostanza_da_libb...
Mi sembra una scena molto forte e toccante..chissà perché i produttori non si decidono a farne un remake. Oppure un bel kolossal ispirato a Torquemada