Il globalismo avvelena
Maurizio Blondet
29/05/2005
Nel 2006, un centinaio di persone sono morte a Panama per aver ingerito uno sciroppo Made in China.
S'è scoperto che conteneva glicole di dietilene, un solvente industriale usato anche come antigelo.
La ditta produttrice, dello Jiangsu, usava al posto della glicerina (almeno, inoffensiva) il glicole per «abbassare i costi di produzione». (1)
Poiché i morti erano panamensi, non hanno allarmato nessuno.
L'allarme è scoppiato qualche mese fa quando migliaia di cani e gatti negli Stati Uniti sono morti avvelenati da cibo per animali in scatola, contenente glutine di provenienza cinese mescolato («per abbassare i costi» con melammina, una sostanza plastica che, essendo una pseudo-proteina, faceva apparire alto il tasso proteico nelle analisi chimiche.
Allora, ha fatto notizia anche una scoperta della Repubblica Dominicana: in 6000 tubi di dentifricio Made in China, e venduto a costi imbattibili sotto il nome di «Mr.Cool» ed «Excel», si sono trovate alte dosi del glicole di dietilene, lo stesso che aveva ammazzato cento panamensi.
Solo dopo la strage delle care bestiole, il Food and Drug Administration ha cominciato ad ispezionare con cura gli imbattibili prodotti alimentari cinesi.
E ne ha sequestrato 275 tipi: mele e patate liofilizzate contenenti un cancerogeno, pesci surgelati intinti in sostanze antibiotiche vietate, sardine e frutti di mare infettati da una folla di «batteri della putrefazione», funghi mescolati a pesticidi, e naturalmente dentifrici a basso prezzo.
Significativa la reazione delle autorità di Pechino: negare tutto e accusare gli stranieri di sabotaggio.
Uno dei capi delle ditte da cui uscivano i dentifrici al veleno, tale Chen Yazou, ha sostenuto che il glicole etilenico era ben presente nei suoi dentifrici ma non pericoloso, «a patto che si sputi il dentifricio dopo l'uso».
Ha aggiunto che il dietilene non è vietato in Cina.
Ora il governo cinese promette inchieste, per ragioni di mercato: se l'esportazione di cibi non è la prima voce del business cinese, si tratta pur sempre di un giro d'affari da quasi 23 miliardi di euro.
Ma è facile dare colpa alla Cina.
Il vero colpevole è il WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, il poliziotto dell'ideologia liberista globale.
Il WTO obbliga (multando chi resiste) a comprare i cibi e le carni là dove costano meno, per rispetto della concorrenza.
Ed è questa ideologia e questo potere che obbliga i Paesi europei a smantellare il loro settore agricolo e d'allevamento, troppo costoso: questo è protezionismo, perbacco, mentre il mercato-mondo trabocca di cibi a prezzi competitivi.
Il cibo proveniente dalla Cina è competitivo, come si vede, per gli stessi motivi per cui è competitiva la manodopera cinese: niente garanzie, che sono costi.
Niente garanzie ai lavoratori, e niente garanzie di sicurezza alimentare.
Mescolare il glicole dietilenico agli alimenti in Cina è legale, come vendere funghi con pesticidi letali, frodare con misture di glutine e melammina, glicerina al posto di zuccheri, pesci marci.
Per le multinazionali del cibo, è una pacchia.
Naturalmente, i Paesi importatori non possono mandare i loro tecnici ad ispezionare le fabbriche alimentari cinesi, come fanno in patria.
Alla frontiera, i controlli sono casuali ed episodici.
I consumatori dipendono di fatto dai controlli di qualità delle cosiddette autorità cinesi, e dalle leggi sanitarie cinesi, e dalla buona volontà punitiva dei poliziotti cinesi.
Come siano queste «garanzie», lo si poteva immaginare anche prima delle stragi di panamensi e di gatti: autorità e poliziotti cinesi sono infinitamente corrotti, primitivi, insensibili alla modernità e alla sua complessità.
La società cinese è «competitiva» proprio perché è primitiva, senza scrupoli e corrotta.
Non è solo questione dei cinesi.
Nel 2005 la Food and Drug Administration scoprì che il burro d'arachide prodotto dalla multinazionale ConAgra - e componente di infinite preparazioni alimentari industriali in USA - era infetto di salmonella.
La ConAgra ha rifiutato alle autorità sanitarie americane l'accesso alla fabbrica incriminata senza una autorizzazione scritta.
L'autorizzazione scritta non è venuta.
Perché il potere USA non vuol disturbare il mercato alimentare con troppe regolamentazioni e controlli.
Il principio è che l'industria si autoregola da sé, perché corre altrimenti il rischio di perdere quote di mercato.
Ancora una volta, è il dogma liberista che avvelena.
L'autore riconosciuto è Milton Friedman, l'economista di Chicago e guru dell'ultra-liberismo, meno Stato e più mercato: in una intervista del 1999 invocò l'abolizione del Food and Drug Administration.
Il controllo statale è inutile anzi dannoso (e costoso), «perché è nell'interesse dell'industria non fare cose cattive».
Friedman propose anche l'abolizione dei controlli pubblici per la sicurezza aerea: il «mercato» si autoregola, i privati sanno meglio dello Stato come disciplinarsi. (2)
La mano invisibile li guida, infallibile.
Nei negoziati commerciali sorvegliati dal WTO, come noto, gli Stati Uniti non fanno che accusare gli europei per i nostri eccessi di regolamentazione che bloccano le esportazioni americane di carne e alimenti agricoli.
Angela Merkel sta attivamente cercando di abbattere questi ostacoli una volta per tutte: la sua «partnership transatlantica» mira alla formazione di un mercato unico euro-americano, con l'obbligata adozione da parte europea delle regolamentazioni «più favorevoli al business», che sono quelle (quasi inesistenti) americane.
Insomma, anche voi consumatori dovete avere la vostra porzione di pesticidi, melammina, glicole e salmonella: prima il mercato e l'ideologia, della vita.
Maurizio Blondet
Note
1) Bruno Philip, «Les scandales sur les produits Made in China suscitent de l'inquietide», Le Monde, 28 maggio 2007.
2) Paul Krugman, «Fear of eating», New York Times, 21 maggio 2007.
www.effedieffe.com