libertà

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00sabato 21 ottobre 2006 19:28
Mi trovavo fermo ad un semaforo ed avevo già compiuto circa un’ora di viaggio.
Una mattina come tante, mi recavo in ufficio.
Avevo svicolato un paio di direttrici principali, di entrata in città, perché il flusso sembrava un po’ più impazzito del solito. Il sole di fine maggio era bellissimo; l’aria era ancora fresca e, malgrado tutto, limpidissima.
Distrattamente i miei occhi si volgono alla mia destra, e tra un furgone ed un’auto, vedono il parco dove a volte porto i bimbi nell’ora dedicata allo scorrazzamento: un paio di passeri svolazzavano quasi raso terra, cinguettavano, mangiavano? Giocavano?
I raggi solari filtravano tra gli alberi, le altalene e gli scivoli per posarsi sul prato e su qualche cartaccia.
Vuoto.
Sicuro! Quell’ora non era consona, o classificata, al godimento ed alla diversione. Quello non era il momento per essere al parco. Per nessuno.
Quella era l’ora di stare tutti nelle automobili, inondando le strade circostanti a quello ed altri prati, dei veri fiumi di ferraglia che trasportano i loro conduttori verso i luoghi della differenziata produttività: uffici, cantieri, scuole ed esercizi commerciali.
Quel parco era proprio vuoto…
Rimandare il momento è uguale a storpiare.
La mia mente si volgeva così verso la mia coscienza ed avvertiva delle perplessità, delle confusioni, la mia mente non era affatto contenta di quel parco vuoto e di quel sole sprecato…
Ma certamente non poteva neanche additare il progresso e lo sviluppo della società.
La mia coscienza annebbiata non accettava, però, “il modello” e nell’intricato elenco delle libertà diramate in maniera capillare tra il collettivo, essa scorgeva anche uno sterminato deserto: una sorta di sterilità.
Un deserto nascosto da quell’elenco di consentite libertà, un deserto che una volta era verde e rigoglioso, e frutti benigni e maligni prendevano vita da questa fertilità.
Tempi bui trascorsero per l’uomo che sempre cercò la strada migliore nell’esistenza, ed anche i presenti rivelano, con i loro equivoci metodi, il triste celare del buio.
Menzogne mai tanto genialmente architettate.
“Il modello” è il tiranno più difficile da spodestare ed al quale ribellarsi, mai esistito.
“Il modello” viene assunto e copiato dalle moltitudini perché arduo è combatterlo.
“Il modello” fa di ognuno il tiranno di se stesso.

Stef 26/05/2006 – relpubblic@yahoo.it – stefano


spaces.msn.com/members/stefast/
LiviaGloria
00sabato 21 ottobre 2006 21:00
...molto bello! [SM=g27823]
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00lunedì 23 ottobre 2006 23:29
La forza
Anche ammettendo la teoria più squisitamente scientifica, raziocinante e materialista sulla vita umana, a me restano vari dubbi.
Tra tutti, oggi mi è capitato di soffermarmi su di uno.
Il quale mi preme perché è speciale, cioè è propriamente relativo alla specie.
Dunque, considerando che è l’uomo a dare la ‘forma’ alle cose della vita nel corso del tempo, in quanto essendo un animale sociale ha la necessità di regolamentare la “natura” (nel senso sociale che si citava), dovrebbe essere abbastanza semplice individuare qual’è la sua forza più specifica.
Dovrebbe essere semplice ma soprattutto imperativo, perché insistendo sulla pura materialità di quest’essere, si rischia di gettar via ogni conquista umana, insieme a tutte le sue sconfitte.
(E a mio modesto parere questo è un percorso che si è già imboccato da tempo.)
Ricapitolando, sembra che la forza venga sempre più riconosciuta a livello fisico.
Il piacere attuale e occidentale richiede facilità e rapidità ed è perseguibile in base ad una forza che è proprietà a tutte le cose della natura, incluso il mondo animale.
La soddisfazione del piacere risulta essere sempre più riconosciuta in qualcosa di fisico.
La distinzione tra tute le specie animali, e comunque naturali, quindi, non è data dalla forza fisica, benché nelle stesse specie si possono riscontrare gradi diversi della forza fisica, i quali determinano la regolamentazione dei rapporti fra gli esemplari appartenenti ed i rapporti col resto delle cose.
Pertanto, la distinzione, che ha sempre contraddistinto l’essere umano nella immensità della natura, è la forza di volontà.
Una forza che seleziona questo essere rendendolo straordinario per via di una forza che non è contenuta esclusivamente nella sua natura biologica.
Concludendo, anche tentando di accettare le teorie citate in apertura, mi resta impossibile ignorare il carattere d’eccezione che è proprio all’uomo: la volontà.
Egli porta con se una disputa difficile tra la forza materiale e la forza di volontà che, semplificando, è la lotta tra la forza fisica e la forza metafisica.

Stef 22-23/10/2006 – relpubblic@yahoo.it

[Modificato da relpubblic 23/10/2006 23.30]

LiviaGloria
00martedì 24 ottobre 2006 13:31
"Pertanto, la distinzione, che ha sempre contraddistinto l’essere umano nella immensità della natura, è la forza di volontà. "

L unica vera "libertá" e scelta....la volontá....ma il problema,forse,é per l uomo riuscire a distinguere tra volontá vera,desiderio,condizionamento....

..credo anche che esistono altre caratteristiche proprie solo dell uomo... [SM=g27823]
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00martedì 24 ottobre 2006 19:49
la forza
sono d'accordo. ne esistono altre di proprietà ma mi veniva da soffermarmi su quella differenza. a presto, stef.
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00giovedì 26 ottobre 2006 20:59
uomo-macchina
Lotta_libertà_coscienza_economia

Con il suo comodo congegno nell’orecchio
e pezzo integrante con le sue ruote.
Usa equipaggiamenti simil-militare sì da disporre di cose e cosette,
strane specie di utensili per una sopravvivenza in città caotiche e pullulanti.
Utensili veri nella irrealtà e falsi nella realtà.
Indossa abiti spesso informi, da combattimento
e calzari studiati hi tech, per una scioltezza indispensabile.
Egli deve affrontare ogni giorno la sua battaglia,
il traffico intrecciato, di colpo nervoso e scattante.
Gli autobus e le metropolitane deve conquistare…
I suoi spostamenti sono imprescindibili,
e muoversi diventa compito.
Muoversi diventa fine ed interesse di un uomo obbligato,
ridotto a combattere per sostenere il suo tiranno.
Portato a battersi al fianco dei suoi lacci e delle sue catene.
Incosciente, combatte la più moderna lotta contro la libertà.
Scriteriato, quest’uomo, interpreta l’ oppresso e l’oppressore.
… questo automa…

Stef 26/10/2006
LiviaGloria
00giovedì 26 ottobre 2006 22:18
un giorno una vicina di casa parlando di suo marito ...mi diceva che lui in macchina andava piano e diceva "...non c é tempo per non avere tempo..."....la grande saggezza popolare del tempo... [SM=g27823]
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00lunedì 30 ottobre 2006 21:11
Statistiche & credenze
Statistiche & credenze

Allora potreste fare la statistica dell’incidenza del grasso sulla durata della vita eppoi compilare un elenco specificato e scientifico, che conti e calcoli i messaggi stimolanti i consumi di cibo superfluo e i messaggi inneggianti alla magrezza.
Potreste anche fare una comunicazione ufficiale, sempre scientificamente provata, dei dati di status “felice” nell’essere umano dovuti all’asciuttezza fisica.
Realizzare rappresentazioni grafiche in grado di rendere una idea abbastanza definita delle variegate forme e sviluppi dello stress nell’epoca che lo ha concepito.
Impaginare correttamente e con facile visibilità, la determinazione del “tempo”, in proporzione alle 24 ore, che un individuo libero, oggi dedica a fare ciò che desidera. Quindi rapportarlo, numericamente, al suo contrario: al tempo che egli impiega a fare ciò che “deve”.
Indicare con gli ausili scientifici, le necessità dell’uomo (tutte uguali nelle qualità e nella scala, ed applicabili con lo stesso metodo ad ognuno) al fine di un raffronto con quelle che sono le necessità della struttura economica.
Esibire un indice analitico che riscontri ogni futile concetto di credenza al fine di un paragone, che non lasci opportunità a dubbi, con ciò in cui si possa e/o si debba credere.

07/05/2006
LiviaGloria
00martedì 31 ottobre 2006 00:08
...in Francia si dice che esistono tre tipi di bugie:la piccola,la media e ...la statistica [SM=g27823] [SM=g27828]

Purtroppo le statistiche hanno grande influenza...primo perché le fanno gli "esperti"...secondo perché nessuno puo controllarle,terzo perché rispecchiano il matematico-concreto..
Infatti mi sono sempre chiesta come mai le statistiche variano da un governo all altro....misteri matematico-politici? [SM=g27828]

Poi ricordo una frase "quando il 51%sará come noi,i matti sarete voi"...interessante...ormai la normalitá é fatta di percentuale.
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00sabato 4 novembre 2006 14:37
Perché gli ingenui profumano di onestà
di Francesco Alberoni


Più volte mi sono sentito ripetere che non è possibile mantenersi retti, agire in modo moralmente corretto, in un sistema sociale in cui la gente non agisce in base ai principi che proclama e la scorrettezza è così radicata nelle abitudini, nel modo di ragionare e di sentire, da apparire un fatto naturale. E ti elenca fatti difficilmente oppugnabili. È naturale che i politici ti usino come uno strumento e poi ti buttino via quando non gli servi più. È naturale che chi arriva ad avere un posto nel governo distribuisca fra i suoi accoliti tutte le cariche. È naturale che non gli importi poi se questi sono o non sono efficienti. È naturale che, in certe regioni, ti debba rivolgere al politico per avere un posto di lavoro e lui, in qualche mondo, lo debba creare.
È naturale che ci siano legami fra politica ed affari perché chi fa una legge, una modifica al piano regolatore, la nomina di un manager, fa guadagnare milioni di euro, e non deve beneficiarne proprio per nulla? È naturale aiutare i propri amici, i propri parenti e, per ricevere aiuto, devi aiutare gli altri. Perciò nei concorsi universitari io metto in cattedra tuo figlio e tu il mio, io faccio guadagnare la tua amante e tu promuovi mia moglie. È naturale che anche i sindacalisti facciano i loro interessi come gli altri. È naturale che gli artigiani, i prestatori di servizi non ti facciano fattura. In Italia sono cose così naturali che anche il pio cattolico non le considera peccati. In realtà non sono naturali per niente! Costituiscono un malcostume diffuso che non giustifica di fare altrettanto.
È ora di smetterla con queste scuse. Il Paese funziona perché continuano ad esserci persone capaci, oneste, con degli ideali e che lavorano duramente. Certo, quando c'è tanta scorrettezza, chi vuol affermarsi coi suoi soli meriti deve essere estremamente bravo e preparato. Perché alla fine tutti, perfino i politici più spregiudicati hanno bisogno di persone leali e costruttive. E non farà nemmeno fatica a dire di no alle proposte disoneste perché non gliele faranno. I disonesti fiutano gli onesti a distanza e lo terranno lontano dai loro intrighi. Naturalmente lo considereranno un ingenuo, uno stupido. Ma, credetemi, abbiamo bisogno di ingenui di questo genere. Ingenui testardi, tenaci, che non si fanno intimidire, che riescono a fare funzionare bene le cose di cui si occupano e rendono il Paese un po' più efficiente e pulito.

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L’esame di tutte queste storture, considerate cose normali in “Italia”, è piacevole ma evasiva, perché non rileva la condizione che attualmente la persona è forzata a vivere.
Credo che una soverchiante maggioranza approvi le cose dette nell’articolo, confermando la diffusione del comportamento anomalo ed anche la preponderanza nel non riconoscercisi.
Io, mi voglio schierare qui, con la minoranza, perdente in un sistema democratico, per dimostrare che buona parte dei costumi scorretti elencati nel pezzo in questione non sono certo giustificabili, in accordo con il politicamente corretto contestuale, ma sono semplicemente maniere di sopravvivenza in una giungla che ha mutato la natura delle sue minacce.
Rilevare che tali usi siano scorretti, è un tentativo riduttivo di educare un popolo che in molti casi comprende persone in possesso di un grande senso civico e finanche maestri di “rispetto”, ma che hanno scelto di sopravvivere senza chiedere giustificazioni per le trasgressioni che commettono e che in altrettanti casi sono consapevoli dei giudizi in cui incorrono.
Ancora in posizione di minoranza posso, meramente ed inutilmente, denunciare la pericolosità contenuta nel sofisticato essere eroico descritto nel finale del servizio: egli, inattaccabile, tenace, probo, efficiente e pulito opera nel massimo della rettitudine per il primario interesse dell’obiettivo nel proprio lavoro e soprattutto manifestando la pura essenza che appartiene all’uomo che in tal maniera agisce; egli disciplina la propria dignità al punto di trasformarne le regole in un software che lo rende, oramai, un uomo-automatizzato.
Questo sofisticato eroe, assume i comportamenti suddetti alla stregua di una missione, tesa ad una realizzazione superiore, equiparabile al funzionamento del sacro meccanismo economico.
Questo eroe moderno, spoglio di tutto quello che di metafisico lo rendeva tale, sofisticato in uomo-automatizzato, è pericoloso perché, leggendo la propria missione in questa forma, relega l’essere umano a propellente del sacro meccanismo citato, infestando tutto con un condizionamento bacchettone non più proveniente da ragioni religiose bensì da ragioni economiche e illuminando diversamente tutte quelle emancipazioni dello scorso secolo, che avrebbero dovuto liberare l’essere umano.
Nel bacchettare il prossimo, non si rende conto, inattaccabile ed integerrimo, che seguendo i comandi di quel software, in vero perde ogni dignità, denigrando e trascurando quanto produca o possa produrre l’anima, il cuore, lo spirito e la mente dell’individuo davvero libero da questo sacro imperatore contemporaneo: l’economia.
Stef 09/01/2006
LiviaGloria
00mercoledì 8 novembre 2006 16:57
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...tu cosa faresti,se potessi...per cambiare le cose....so che dire "cambiare le cose"...é giá limitato...ma tu cosa faresti? [SM=g27823]
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00sabato 11 novembre 2006 19:04
La gentilezza
A questa età, quasi ogni giorno mi perdo in pensieri e riflessioni che in realtà avevo già sondato ma è come se li penetrassi e ne fuoriuscissi dal lato opposto, guardandoli in modo diretto anche dalle opposte posizioni di osservazione.
Per esempio, desideravo toccare due argomenti precisi che ieri ho trafitto: la magia della innocenza fanciullesca e la disillusione nell’età maggiore.
Ma le rilevazioni, in questo frangente, sono in alcuni particolari dettagli… non posso fare di più e con tutta l’innocenza che mi rimane e quanta sincerità mi è possibile, credo di essere ad una concettuale conclusione importante della mia vita.
Penso di aver realizzato l’importanza di vivere illusioni, favole, affetti, gioie nella tenera età.
Questo, non scamperà dalla disillusione, dall’amaro delle sofferenze dell’esistenza, questo servirà solo a sopportare gli urti e gli sbandamenti e sarà propriamente ciò che tramanderà quella stessa educazione positiva, l’unica cosa capace di opporsi al processo dissolutivo dell’uomo contemporaneo.
Tramandare tale educazione tradizionalmente e naturalmente farà dell’uomo una persona e della persona una persona gentile.
I gentili sono persone forti.

Le persone gentili sono preda delle aggressioni della vita come tutte le altre e a volte, quando si incontrano tali persone, non si da peso proprio a quella caratteristica ormai d’eccezione: il tratto gentile.
Queste persone separano le sofferenze inflittegli dall’esistenza dal comportamento assunto col prossimo, restano, malgrado tutto, convinte che quel tratto sia positivo. (con naturale sicurezza del proprio comportamento)
Queste, quindi, sono quelle che hanno vissuto la magia nella tenera età e hanno goduto del suo scudo nell’avanzare degli anni.
Risultato della loro gentilezza sarà la produzione di un altro fanciullo meraviglioso.
Di contro avviene tutto quanto è semplice da correlare ed effettuare esempi o paralleli è superfluo.
Addirittura credo di aver descritto quanto avviene in una minoranza di casi nel nostro tipo di società.

(E superfluo sarebbe controbattere a chi sortisse esempi di popolazioni povere… perché quella magia avviene molto più frequentemente in tali popoli.
Avviene con una inversione proporzionale al possesso di denaro. Anche nei popoli ricchi)

Tutto quanto sopra detto credo sia automaticamente attaccabile per mezzo dell’argomento principe in ogni dove: il denaro.
Sento chiaramente voci che mi indicano la faciloneria di esprimersi in questi riguardi potendo disporre delle capacità economiche.
Ma quella conclusione concettuale a cui oggi ho guardato da altre postazioni di osservazione, consiste proprio nella seguente esplorazione: nulla c’entra la possibilità economica con l’affetto che una persona “riesce” a donare ad un bimbo. (DA NON SCRIVERE, SOLO MEMORIA: LA CAPACITA EROICA DI AFFERMARE QUESTO E CREDERCI DA NON DISCUTERLO NEANCHE…)
Una conclusione molto semplice alla quale si troverebbero d’accordo tantissime persone ma altrettanto certamente tantissime persone contro… (lascio analizzare a chi legge il perché di questo pensiero sdoppiato nella collettività).
E voglio rivolgermi a quelle voci riportando classiche considerazioni dei nostri tempi (accompagnate da toni mitici), di viaggiatori catalogati e di esploratori inventariati:
“.. eppure hai visto che sorrisi? Le loro maniere gentili? Appaiono incuranti della povertà! Ma come fanno?” … e aggiungerei: per quale motivo?
Voglio appuntare queste considerazioni che si dicono col cuore al rientro dai viaggi esotici, perché quando il cuore si fredda e si riaddormenta nelle aridità del nostro mondo benestante, ne resta solo il luogo comune… ne restano le lettere ed il senso vola via.
Posso assicurare che nel mio Paese e nella mia ancor breve vita, ho conosciuto famiglie con abbastanza denaro ma che vivevano scelleratamente.
Senza più la minima parvenza di una direzione, ho visto genitori, che in barba alla disponibilità economica risolutrice, donavano ai propri figli sporcizia, malinconia, tanti giocattoli e molta avarizia nel sorriso e nel gioco, trasformando tutto in malvagità, violenza, annullamento e finendo per correlare semplicità e umiltà con becerume ed insolenza.
Ho anche conosciuto famiglie con soldi abbastanza ma che hanno enfatizzato valori come la dignità, la pulizia, la correttezza ed il rispetto fino a distorcerli in maniacalità, rendendo tutto altezzoso, spocchioso e finto.
Quel che capita nel mondo, e che dovrebbe essere combattuto, è semplicemente il graduale soffocamento dell’espressione naturale dei sentimenti, addirittura nell’immediato intorno della persona.
Quei tipi di sorriso, sopravvissuti nei popoli poveri, non hanno nulla a che fare con il portafoglio e per questo non potranno mai finire in qualche confezione nei super-market.
Quei tipi di sorriso nascono negli umani che hanno goduto di quella magia e sono diventati persone.
Persone gentili.


stef 22/01/2006
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00venerdì 17 novembre 2006 21:55
equilibrio
"L’equilibrio si basa sui parametri stabiliti ed accettati circa la considerazione della normalità e della realtà".
Ovviamente, è facile discutere di tutto e di nulla, se si prende alla lettera questa specie di teorema, ma è possibile sviscerare almeno un minimo per ammorbidire la sua radicalità e ricavarne una ottima chiave per un equilibrio, prima individuale e quindi sociale.
Mi chiedevo frequentemente quale fosse la percentuale di persone che non ce l’hanno fatta a sopportare la condizione in cui li poneva la loro intima maniera di guardare le cose, malgrado la maniera stabilita collettivamente per guardarle, già esistesse…
Persone bizzarre, ostinate a farsi una propria idea.
Dunque, già emergeva qualcosa di anormale e di irreale, dal momento stesso che si rilevava la tentazione di avere un’idea (e la situazione si aggravava se essa era propria ed individuale).
In altri termini, alcuni individui tentavano ancora di esistere.
Quante persone, quindi, caddero e si persero in infiniti modi diversi a causa di una anormalità che finiva per relegarli a vivere in una irrealtà?
Ma non era neanche trascurabile quale cospicua parte di persone vivesse lo stesso tormento, sopportando solo grazie all’aiuto dei più disparati espedienti.
Mi chiedevo, inoltre, a quale tipo appartenessi, ma non faceva differenza per ora.
Quel che mi importava era di non perdere di vista un fatto: se l’equilibrio consegue all’abilità di non precipitare né da una parte né da quella opposta, allora, discernere quale parte fosse opposta al “rovinarsi” consisteva precisamente nell’acquisire una fondamentale padronanza nell’atto dell’equilibrio stesso! E qual’era questa parte opposta, insomma? Quali erano quelle persone che si perdevano e si rovinavano in maniera opposta alle prime?
Mi sembrava lampante ormai: la parte opposta si fondava su una mentalità per la quale il non “perdersi” o il non “rovinarsi”, si dimostrava nello spingersi, senza freni né dignità, fin dentro ciò che era inteso come normalità e realtà, dalla collettività. (o meglio: si rivelava come un abbandono, per terminare in una resa, a ciò che è stabilito e che quindi inibisce decisioni proprie).
Persone altrettanto bizzarre, decise anche a disprezzare una propria idea.
Ecco cosa mi interessava: tener presente cosa significasse individuare i caratteri delle personalità considerate “perse”, purtroppo, a causa di uno sbilanciamento da una parte ed allo stesso tempo, individuare i caratteri che contraddistinguessero, nelle moltitudini, tutte quelle genti che si erano sbilanciate dall’altra parte.
Persone “perse” al caldo dell’approvazione del collettivo… ma che nella irrealtà sancita come realtà, riescono a condurre un’andatura fiera… stando bene attente a non sentirsi mai sole, quando quel freddo interiore le spoglia da tutte quelle impalcature e non ricordano nemmeno di avere avuto mai un “io”… un idea propria.

Stef 06/09/2006

[Modificato da relpubblic 17/11/2006 21.57]

relpubblic
00mercoledì 29 novembre 2006 20:38
cambia
cambia

Non vedi com’erano?
Son cambiati, son altri.
Anche tu eri,
ricorda i tuoi. Te vent’anni or sono.
Defluiamo tutti come il fiume.
Vanità di piani, progetti e calcoli...
Scomparsi gli esseri; solo vanità.
Non vedi, non siam più gli stessi,
cambiamo e defluiamo.
Cambia il fiume mentre mantiene il suo percorso,
cambian gli uomini ma non il lor percorso.
All’acqua non spetta il ricordar,
umana è la memoria
umano è il sentimento…
Non vedi quella pianta?
Mai è la stessa, cambia e cambia e cambia…
Rami secchi e freschi germogli.
Ogni foglia cade,
cambia la pianta mentre resta la stessa…
Immortale e libero sol lo spirito.
L’essere è astratto,
l’essenza non si tocca.
Coglierne il senso, umano è l’impresa!
Tradizioni schernite e canzonate,
ri-cordar dileggiato e beffeggiato:
corpi, oggetti… cose…

Stef 26/11/06 – relpubblic@yahoo.it
LiviaGloria
00mercoledì 29 novembre 2006 21:47
E sempre un piacere leggerti...
relpubblic
00mercoledì 10 gennaio 2007 20:17
dati
Nozionismo (dati, informazioni e senso)

Leggere.
Ciò che vorrei semplificare qui è il fatto che la nozione, nella lettura, non è il requisito prioritario al fine di recepire il concetto e la sostanza, quantunque essa sia importante e di inconfutabile ausilio alla comprensione.
Certo, non si sta qui a negare questa importanza né la sua imprescindibilità, ragionevolmente incontestabile, a testi e scritture…
Spesso però, ci si imbatte in incredibili storture, determinate dai nostri tempi ultimi, come per esempio lo scivolare veloci su principi basilari, unici veicoli del senso profondo delle cose, ed il concentrare ogni energia sulle complementarità che, per quanto indispensabili, risiedono nell’esteriore.
Storture che avrebbero bisogno solo di tempo allo scopo di riconsiderare essenze, respingendo alla radice quei condizionamenti del collettivo che impongono l’esibizione delle nozioni a mo’ di patente.
Storture che in definitiva rendono al periferico il valore di centrale e viceversa.
Quindi, ammettendo presuntuosamente che questo succinto prologo possa aver trasmesso condivisibili basi di partenza per una disamina sobria e concisa, si potrebbe dire che la nozione assume la sua importanza solo a condizione che la lettura abbia prima sortito il suo effetto principale.
Cioè a dire che: come è fondamentale che lo scritto sia in grado di trasmettere il senso, prima che le nozioni, così è fondamentale che leggendo ci si concentri innanzitutto sul senso prima che sulle nozioni.
È in tale predisposizione del lettore (semplice nella sua intesa ma più complicata nella sua applicazione) che dimora il reale influsso di uno scritto, il quale solo in questa maniera esercita un cambiamento conoscitivo interiore, il quale esula dalla pura capacità mnemonica, ripeto: pregevole e significativa, però sovente fuorviante a causa di una ostinazione ad apparire.
Fissare quest’ultimo concetto, invece di scivolarci su rapidamente, potrebbe risvegliare quei sensi capaci di accogliere e di cogliere nel profondo idee e pensieri, recidendo la via all’ossessione di apparire, mediante una metafisica convinzione ad accettare che la conoscenza non dipenda esclusivamente da un immagazzinamento di dati.

08/01/2007
relpubblic
00martedì 16 gennaio 2007 23:37
notizia
Non si può certo dire che non spicchi un fatto nell’ascoltare i notiziari in questo preciso momento.
Il fatto, in se, non costituisce un’eccezionalità ed invero, per giungere al succo di quanto intendo, vorrei raccogliere l’attenzione su ciò che sta nella proporzione.
Mi spiego esponendo subito l’argomento, che vuol essere semplicemente un esempio parallelabile in tutti i domini del sistema con il quale funziona oggi l’informazione.
Quindi, prendendo spunto dall’argomento meteorologico bisognerà non focalizzare il ragionamento su tutto ciò che da esso scaturisce ed iniziare ad immedesimarci nell’ascolto di quei notiziari (ormai ripetuti in innumerevoli edizioni stampate e trasmesse in svariatissime maniere ogni giorno), in cui si consiglia di bere molto, di mangiare tanta frutta e di non uscire nelle ore calde occupando una parte esagerata dei telegiornali e sottolineando la preoccupazione di un caldo esagerato… in piena estate; poi dobbiamo ancora immedesimarci dinanzi ai gazzettini che ci informano, con allarme, sui freddi, sulla neve e sulle temperature glaciali che interessano a gennaio, Paesi proverbialmente freddi…
E tutto ciò avviene fuori dell’ambito dei bollettini dedicati alle previsioni meteo.
È proprio a questo punto che subentra l’importanza di ragionare sulla proporzione che sottolineavo sopra, perché se si focalizza l’attenzione sui toni e sulla forma con i quali i telegiornali di questi giorni, comunicano notizie relative all’insolito clima del corrente inverno, che pare abbia già conquistato alcuni primati nelle statistiche, per via delle sue straordinarie condizioni atmosferiche, non può non spiccare la mancanza di una adeguata proporzione del vigore e dell’ impeto con i quali si “fa” “notizia” mediante ambigui freddi invernali ed equivoci caldi estivi.
Perciò, mantenendoci strettamente sulla sproporzione in assunto, o meglio cercando di quantificare una incoerenza quasi tangibile per la sua evidenza, si potrebbe concludere con una opinione più volte espressa in brevi scritti come questo: ad una società estremamente massificata, piace crogiolarsi in ansie ed apprensioni solo apparenti ma che in fondo (oserei dire nell’inconscio) non sono che rassicuranti ovvietà e di questo concetto, che appare come una specie di rivelazione agli occhi di questo minuto individuo, ne è tanto a parte l’ordine che governa il pianeta, da aver reso la “notizia” il decisivo strumento per il controllo mentale.

stef
16/01/2007 relpubblic@yahoo.it
relpubblic
00venerdì 19 gennaio 2007 21:19
“non fare mai qualcosa di cui un giorno ti potresti pentire”
(equilibrio)
Credo di non risultare presuntuoso se mi dico sicuro che questa rinomata frase sia in grado di toccare dei nervi scoperti in una gran parte di chi legge.
Penso sinceramente che essa susciti, in molti, il ricordo di almeno una esperienza, che può tornare in mente con sospiri di rimpianto o irritazioni varie.
Pur tuttavia, benché da una parte non si può negare la saggezza che vi è contenuta, dalla quale trarre preziose lezioni, dall’altra bisogna far attenzione nel recepirla e considerare elementi altrettanto importanti.
L’eccessivo sbilanciamento verso una impostazione mentale matematica, impedisce sempre più la trattazione della materia umanistica, fondantesi sulla linguistica, causando una evidente e progressiva decadenza dell’essere umano più “progredito”.
Perciò, si diceva, riconoscendo l’importanza di quanto è contenuto nell’insegnamento, bisogna valutare quali possibilità, quali attitudini e quali facoltà si hanno a disposizione per recepire il senso di tale frase, così da evitare che un simile insegnamento diventi invece sterilità ed ottusità nei confronti della vita.
Infatti, se ipotizziamo una acquisizione rigida ed incondizionata del suo senso più schietto (quindi la rinuncia all’esplorazione per via di tutte le sue incognite), si consegue una graduale ed inarrestabile rimozione di ogni istinto e di ogni desiderio di apertura.
Comunque, atteso che un sano metodo raziocinante è evidentemente una buona abitudine, si dovrebbe esser giunti qui ad individuare la maniera in cui un costruttivo atteggiamento può anche portare ad aridità d’animo e d’intelletto.
In altre parole, un sennato atteggiamento, seriamente minacciato da una ossessiva applicazione di parametri matematici e da una maniacale dipendenza del rapporto causa-effetto, si può trasformare in una condotta paradossalmente superficiale, avventata e sbrigativa che trascina inesorabilmente l’essere alla graduale cancellazione degli istinti e dei desideri di apertura e ad un abuso di grettezza.
Al solito: l’equilibrio.
Allora, constatato che quest’equilibrio, non si può risolvere con una formula, decriptare con un cifrario od individuare calcolandone posizioni nello spazio…: come non sentire la proficuità a favore dell’essere, nel mantenere elevato ed alimentare (con i mezzi che si reputano soggettivamente più opportuni) uno stato di coscienza e di consapevolezza piuttosto che insistere in percorsi che già manifestano da tempo tutta la loro pericolosità, attraverso una evidente inadeguatezza dinanzi alle profondità umane?

Stef 16/01/2007 – relpubblic@yahoo.it
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00domenica 21 gennaio 2007 18:51
kratos
www.nwo.it/paura_flusso.html

potrebbe anche corrispondere al vero l'affermazione finale dell'articolo: “la convinzione profonda della relatività dell’esistenza umana e dei suoi ordinamenti, della loro natura aperta e contraddittoria, cui soltanto la forma della democrazia riesce in una certa misura a corrispondere”.
anche accettando tale ipotesi, però, si può soltanto ragionare in via teorica, perchè oggi, in realtà, vige il sistema di governo più stupido mai esistito: la economico-crazia.

stef
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00sabato 17 febbraio 2007 00:19
verità_ricchezza_riflex

Così, come sempre, solamente per fissare quel qualcosa che interiormente mi appare tanto chiaro ma che nella spiegazione e nella applicazione risulta, nella maggior parte dei casi, difficile, tenterò di scrivere un pensiero.
Un amico con cui condivido la passione per ciò che viene considerato esoterico, spirituale e quant’altro, mi ribadiva come tutto questo può esser sintetizzato come “la famosa ricerca della verità” ed immediatamente mi è balzata in mente l’idea di rappresentare la verità come un blocco di cemento, una scultura di legno, un ordigno meccanico… qualcosa che si potesse vedere ma soprattutto si potesse toccare, spostare, portarsi appresso, nascondere … possedere.
Si sa che la diatriba su cosa sia la verità o su chi la sappia o la possegga è antica come questo uomo, però, iniziare ad argomentare su tal ricerca da un punto di vista materiale mi appare senz’altro utile a sensibilizzare tutti quegli esseri che non possono considerarsi ancora nati.
Dunque, la domanda è spontanea: quanti, nel mondo materialista, hanno realmente voglia di ricercare la verità se si considera quante possibilità si hanno di giungere ad una risposta vera, concreta ed incontestabile?
In definitiva, parlare di ricerca della verità, nei termini qui trattati, genera ilarità e scherno per la stragrande maggioranza delle persone, (tenendo ben presente anche le loro diversità religiose politiche etc…) perché ovviamente non si avrà una inconfutabile risposta.
La mancanza di una risposta, quindi, costituisce (per l’uomo-macchina) una ovvietà e nello stesso tempo una assurdità. Una indiscutibilità troppo discutibile.
“Naturalmente”, è impossibile cercare e trovare interesse in ricerche che esprimono ricchezze di cui non è facile tracciare i contorni…
Per apprezzare certe ricchezze, vale lo stesso discorso: chi non nasce, non riconoscerà mai la ricchezza ad un livello aleatorio, spirituale, interiore, psichico, intimamente percettivo.
Così, non riuscire nella ricerca non è fondamentale, ciò che lo è sta nel tentarla, altrimenti non si nascerà mai epperò si morirà… inseguendo, ed a volte godendo, di tutt’altre ricchezze.

Stef – 14/02/2007 – relpubblic@yahoo.it
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00lunedì 5 marzo 2007 18:27
Raziocinio aut/alias limite
È una subordinazione e sarebbe sufficiente sbloccare le aperture che conducono o condurrebbero alla visione di spazi illimitati.
Ad un ragionamento sovrumano è utile la sospensione di ogni attività materialistica o comunque tendente ad essa (alla ripetitività uniforme), senza confondere queste attività con azioni basilari invece favorevoli, per lo più dimenticate e non praticate oggi, accompagnata da una disposizione all’accoglienza di fattori comportamentali umani, che, nella semplicità dei risultati procurati con un esame realizzato in tal maniera, forniscono quella possibilità allo sblocco.
Potremmo soffermarci con un primo esempio, come per fare un resoconto, e considerare numericamente la quantità di persone che oggidì ha sicuramente assunto un gran volume di lettura.
Applicando una formula matematica, cioè usando il metodo più in voga tra l’uomo succube del binario, si potrebbe affermare serenamente, oltre che “scientificamente”, come sapienza e saggezza siano oggi sfavorevolmente sproporzionate considerando numericamente le persone che nelle epoche trascorse hanno avuto possibilità tangibili o facoltà attitudinali ad assumere lettura.
Potremmo portare un secondo esempio in questi termini: esiste un’infinità di ricette culinarie. Ci son libri, scuole, programmi televisivi, documentari e tutto un mondo che gira intorno a tal settore. Secondo quanto prefisso all’inizio, non giungeremo ad uno studio approfondito del tema, ci limiteremo anche qui ad analizzare, con formula concettualmente matematica, come i frutti che scuaturiscono dall’umano, benché sottoposto a medesime regolamentazioni, non restituiscano mai risultati inopinabili.
Dunque consideriamo che in una ricetta si hanno ben definiti ingredienti e dosaggi, quindi tempi di cottura e così via nei minimi particolari. È scontato che il risultato della stessa varierebbe infinitamente se fosse eseguita da una massaia esperta in cucina, da un cuoco tecnicamente preparato o da una persona completamente estranea ai fornelli.
In realtà le differenze di un dato piatto varieranno, anche se impercettibilmente, sempre, per quanto ci sforzassimo in una ricerca meticolosa di chef ed esperti da sottoporre all’esame.
Terzo ed ultimo esempio è il viaggiare.
Rilevando immediatamente la ricchezza che deriva dal viaggiare, qui si intende avanzare riserve da opporre, come per il caso della lettura o dello svolgimento di una ricetta, alla concezione di raggiungere risultati non calcolabili mediante una sommatoria di fattori non calcolabili.
Nel contemporaneo, le distanze spaziali si son ridotte grazie alla efficienza ed alla varietà dei mezzi di trasporto ed inoltre, grazie alle telecomunicazioni, esse si son ridotte anche ad un livello virtuale, ciò che è accresciuta però è la repulsione, il rigetto e la ripugnanza a ciò che il viaggio donava e per cui arricchiva: l’esplorazione (non solo su un piano puramente geografico) .
Oggi, di fatto, è aumentata la quantità di persone che può annoverare al suo attivo un gran numero di viaggi rispetto alla stessa quantità che si poteva contare nelle suddette epoche, in cui quelle possibilità materiali o le facoltà attitudinali, filtravano in maniera evidente e consistente la quantità. Di fatto è così ma l’agenzia di viaggio, l’all inclusive, il villaggio appartato, l’aereo etc... hanno assunto una importanza tanto eccessiva da esser gli strumenti preservativi all’esplorazione.
Tre esempi che dovrebbero esser in grado di liberare il campo verso visioni di spazi utili, verso l’acquisizione di verità essenziali. In grado di offrire possibilità immense per il superamento della materialità, intesa come limitazione.
Essi costituiscono tre casi di comportamenti correntemente diffusi nel mondo dei valori umanitari, della glorificazione della democrazia e della esaltazione dei diritti di voto, di pensiero, di stampa etc… nonché della rimozione dell’incalcolabile e dell’indefinibile dell’esistenza.
Riproponendo i tre casi in termini matematici di vero/falso, si potrebbe dire che stando alla qualità delle “produzioni”(ovvero stando ai risultati) nella vita non è sufficiente immagazzinare maggior numero di titoli o maggior volume di qualifiche o ancora possedere il più lungo elenco di istruzioni all’uso, al fine di realizzare e colmare l’essere.
In conclusione, domande che possiamo liberamente porci vengono via via rimosse per via di esigenze pratiche, causando quel blocco alle vie conduttrici a conoscenze sperimentali ed innalzanti.
Fondando, viceversa, la concezione ingannevole di una vita calcolabile e controllabile.

Stef – gennaio 2007 – relpubblic@yahoo.it
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00martedì 20 marzo 2007 06:50
trucchi_riflex
È un trucco, non può esser reputata una cosa normale o sensata.
Ad un certo punto è normale chiedersi come può accadere che esattamente sul mezzo di formazione più usato dal sistema, vi siano i più disparati programmi (dedicati ai vari target) che denunciano apertamente, sfacciatamente ed arrogantemente lo sfascio della stessa società in una grande parte dei settori di cui è composta (per non dire totale).
La televisione, mezzo d’informazione, è ora impiegata come potente mezzo formativo ed è difficile non osservare come siano inversamente proporzionali il perbenismo trasmesso da quei programmi ed il crescente squasso di tutte le entità formative tradizionali (famiglia, scuola, religione, quartieri abitativi…). In poche parole, se si individua nella televisione il mezzo che il sistema usa per educare, si assiste alla denuncia del sistema da parte del sistema… (!)
Spiegandomi meglio, direi che deve pur giungere un momento in cui uno si chieda il perché di tanta ripetitività, camuffata in diverse forme, di tanta insistenza rabbiosa nel volere assediare ed incastrare le potenzialità psichiche delle masse.
Ed è proprio considerando tali denuncie come assedi che si giunge ad intravedere il trucco.
Infatti per poter reputare la televisione un potente mezzo che fa formazione non è sufficiente scegliere tra una infinità di campi in cui essa condiziona palesemente il comportamento umano, per esempio con esplicite pubblicità o con manifesti inviti a compiere o comprare cose, è indispensabile decifrare dove agisce, quando nelle distinzioni che contraddistinguono politicamente i canali, quando nelle distinzioni che esistono nell’immaginario collettivo tra personalità popolari, quando nelle distinzioni tra cosiddetti movimenti ed organizzazioni, detta formazione porta univocamente ed uniformemente all’establishment più potente (e “volendo” evidente), tra quelli fin’ora esistiti, tra l’umano essere.
Establishment che trova presupposto in un assedio portato tra le genti, quindi, in maniera che in esse si instauri un sistema inquisitorio ed ostile, tanto da agire come un programma di controllo reciproco.
Un programma ben progettato, (auto running) che deve la sua funzionalità propriamente all’auto – denigrazione, nel senso che, se si guarda senza riserve al quadro della attuale situazione sociale risalta la semplicità con cui il sistema irretisce, sputtanando malfunzionamenti, inefficienze, immoralità, sprechi, corruzione, ingiustizie, soprusi etc…, i suoi stessi interpreti, che in questo modo subiscono man mano una specie di anestesia totale, costringendoli in gran parte ad una sudditanza tale che i loro comportamenti siano in verità estremamente meccanici.
Da questa grande parte che marcia in massa, si distaccano per propria ferma volontà o per incontrollate nevrosi, in maniera episodica, sporadica e soprattutto disordinata, un gran numero di singoli elementi che non suscitano un mutamento significativo nella marcia del sistema. (o a volte si e così si fanno i personaggi).
Al contrario, nella gran parte che si diceva, quei comportamenti meccanici provocati appunto dalla mediatica educazione all’odio, conducono le maggioranze ad impersonare incoscientemente gli emblemi di quegli esseri che essi stessi additano.
Le conducono a trasformarsi nei programmi e nei giocatori che attuano costantemente immoralità e che bizzarramente intendono perseguire la moralità in un assetto il quale, fisiologicamente, non è in grado di concepirla.
Un assetto che è stato edificato con il precipuo compito di sconfessare la morale, di dichiararla inadeguata al progresso ed appartenente a condizioni conservatrici e tradizionaliste e dunque per distruggerla.


Stef – 14/02/2007 – relpubblic@yahoo.it
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00martedì 17 aprile 2007 21:21
Alterazioni 5 (Confusioni)
Così, guardando quel costume di vita, mi si schiariva come qualcuno, che aveva inneggiato ad una idea di tolleranza, avrebbe potuto cambiare idea.
L’avrebbe potuta cambiare semplicemente perché aveva distorto il significato originario della parola.
In pratica non cambiava un bel niente, o meglio, l’eventuale cambiamento sarebbe stato una rivisitazione di un precedente cambio delle cose e quindi una opportuna inversione di marcia verso ciò che erano le fondamenta.
Se non altro, si sarebbero riottenute le posizioni dalle quali ritentare delle scelte di evoluzione e di sviluppo.
Quindi, quel qualcuno, sarebbe cambiato nel suo modo di pensare, sol perché, non appena avesse tentato di far notare come apparisse almeno inadeguato ad una misura minima di decenza, applicabile ad un essere che si voglia definire umano, ogni ordine “modernizzato” gli si sarebbe rivoltato contro definendolo fascista, retrogrado e reazionario, prepotente ed arrogante…. Intollerante.
Dunque poteva cambiare idea ma non avrebbe avuto alcuna possibilità di esprimerla e, figuriamoci, di dimostrare le sue ragioni.
Così, guardando quel costume di vita, mi si schiariva come sempre qualcuno in più, inneggiasse ad una tolleranza che, a causa di una resa ad impossibili giustificazioni, via via si confondeva con la sopportazione.
L’alterazione, alla maniera di guardare le cose nei fatti, privava l’uomo del coraggio di definirle per ciò che erano.
Ecco come si sterilizzavano pian pianino le carni dallo spirito.
Ecco come la fonte di infinita emancipazione dall’insulso spirito, nei fatti, estirpava ciò che aveva prodotto la pluralità delle culture: lo stesso spirito nelle sue più disparate espressioni.
Ecco come si nascondeva la bruttura della monocultura crescente dietro il fascino di una moribonda multietnia.
Ecco come si trascurava l’eccezionale paradosso dell’amore per il villaggio globale e l’odio per il villaggio globalizzato.
Ecco come si ammutoliva automaticamente la rivendicazione.
Ecco come far dire ad ogni elemento del grande popolo solo concetti sdoganati.
Ecco come elargire libertà di protesta senza pericolo di destabilizzazione alcuno.
Ecco come ingannare le masse mediante la concessione di proteste preconfezionate, figlie di una libertà di pensiero manipolata.
Ogni ragione ed ogni rivendicazione perdevano definitivamente ogni carattere di genuinità, esse venivano inserite ed aggiornate costantemente in elenchi che avrebbero contenuto esclusivamente quelle autorizzate… quelle preconfezionate.
Tutte le omissioni non erano dimenticanze, erano le preclusioni.

La strada alla dimostrazione di una ragione si faceva sempre più sconnessa e difficile…

Tutto ciò lo constatavo ogni giorno ma stamani lo avevo notato in maniera evidente, perché, proprio in una terra e tra un popolo proverbialmente sensibile all’idea che un tal principio, la tolleranza, fosse sufficiente al funzionamento di un sistema democratico, si distinguevano molte alterazioni significative.

Stef 09 apr –2007– relpubblic@yahoo.it
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00mercoledì 9 maggio 2007 22:26
memoria
seguito memoria in : freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=24938&idd=2384

Insistendo sull’argomento “equilibrio”, del quale ultimamente si ribadiva la sua importanza, in considerazione del fatto che senza di esso può diventare improduttivo o deleterio anche un principio positivo, desidero porre qui all’attenzione due termini di uso moderno, che calzano direi perfettamente come metro di verifica circa l’assuefazione, con la conseguenza all’abitudine ed alla livellazione, alla massima per la quale sarebbe fondamentale la prova dell’esperienza e del tutto superfluo l’insegnamento.
I termini sono: reset o restart.
Dunque: questa maniera di pensare e di comportarsi secondo la estremizzazione della prova e della cancellazione del racconto, ha soppiantato quella tradizionalista, anch’essa estremizzata, che pretendeva di escludere esperienze in base a prove già effettuate e proponeva, o imponeva, per questo, condotte prestabilite.
Quindi nel progressismo si è raggiunta prima l’inclinazione e poi la regola per la quale il giovane ha via via preteso ed ottenuto di non tener conto dell’anziano.
Di conseguenza, il giovane ultimo ha dell’anziano una figura distaccata ed indipendente dall’umano, quasi che esso non sia una parte del percorso di ogni uomo. Quasi che ci si sia persuasi del cambiamento di cose sulle quali l’uomo non può, ma soprattutto non deve, nulla.
Terminava così l’insegnamento dell’umano che tramandava ad ogni umano.
Cosa che si considera terminata per la sua mancanza nella civiltà che stiamo discutendo (la quale conta per la sua influenza in termini di dimensioni) ma che continua ad esistere in angoli reconditi di civiltà ormai distrutte, le quali, al contrario, fecero di tale insegnamento il loro compito. Fecero del tramandare il loro scopo tanto che giunse a costituirne l’essenza stessa.
Il tramandare, che era inteso come ciò che resta e si implementa nello scorrere delle vite, quindi usato come una sicura passerella dalla quale proiettarsi in ulteriori scandagli, veniva così travisato e combattuto per giungere infine al suo annullamento.
In ogni caso, tale radicalismo andava a privare di saldi moli, andava a demolire trampolini verificati… insieme ad ogni struttura malandata che incontrava.
Bene. Senza dilungarmi troppo in una premessa che mi sembra già abbastanza chiara per chi voglia intendere (e non dico condividere), passo direttamente alla presentazione dell’immaginazione che mi ha condotto alla presente riflessione.
D’un tratto mi son ricordato quando in gioventù, smanettando sui giochi elettronici da bar, ci si prendeva cura delle “vite” che si avevano a disposizione per giocare una partita.
Ogni volta che la macchina sopraffaceva una “vita”, si reiniziava daccapo e perciò si doveva far tesoro e si cercava di sfruttare nella prossima “vita”, ciò che si era sperimentato nella “vita” precedente.
Così facendo, si ottenevano sempre più lunghi percorsi, si raggiungevano nuovi traguardi dai quali ripartire con la prossima “vita”.
Ogni “vita” diveniva utile per spingersi più profondamente, con la prossima, nella conoscenza di quel determinato gioco.
Nondimeno tutto questo, che era valido nella stessa partita tra le diverse “vite”, valeva naturalmente come conoscenza proficua ed opportuna per governare e manovrare al meglio la navigazione nelle prossime partite.
In pratica, quell’immaginazione proponeva il moderno giocatore elettronico come il vecchio burattinaio, cioè come quel qualcosa di superiore alla meccanicità del gioco. Egli era ed è lo spirito di intenti che muove i corpi agli obbiettivi.
Una allegoria che sembrava materializzare la visione della ineluttabilità dello spirito e della conoscenza nella vita fisica.
Forse può apparire folle paragonare le“vite” delle partite elettroniche con le vite reali, ma questo accostamento mi portava ad accettare un ragionamento scaturito da una fantasia, come una assennata possibilità, mi induceva a prendere seriamente in considerazione delle irrazionalità, mi trascinava a ponderar su verosimiglianze prodotte da un insano modo di riflettere.
In poche parole mi appariva sciocco estremizzare il rifiuto netto e totale della tradizione, in base a situazioni che possono esser state negative, perché nella pratica questo esclude in maniera definitiva ogni esperienza ottenuta da una civiltà e conduce ogni generazione, o ancor peggio ogni singola vita, al reset o restart incosciente, causando così ogni volta un automatico arresto dell’esplorazione.
(che l’arresto e la ripartenza dell’esplorazione avvenisse come un ottuso rewind e che essa fosse stata sostituita da paliativi e surrogati, in considerazione del fatto che è un bisogno effettivo del vero essere umano, è discorso di cui potremmo occuparci in una riflessione dedicata).
In questo continuo reinizio, dunque, l’umano viene trattenuto in superficie dalle conquiste esteriori e costretto a mancare sempre più di conquiste interiori, ossia tale giuoco consegue che egli perda sempre più i caratteri umani e diversificatori nel regno di cui fa parte.
Semplificando, con riguardo alla civiltà occidentale ultima, si può tristemente osservare come l’uomo più moderno consideri virtù lasciare inesplorati, e quindi trascurarne le conquiste, ambiti e sfere che di questo gioco fanno parte.

p.s. l’edificazione di qualcosa di super umano, il quale non è possibile vedere o toccare, fu lo scopo di diverse grandi civiltà, che mediante una saggezza, frutto di pensiero, meditazione, contemplazione e sconosciuta allo zelo, poteva infine accettare e toccare i suoi frutti fino a rendere credibile la sua realtà per quanto produceva di duraturo.
Si prefiggevano una sopravvivenza metafisica, una sopravvivenza al tempo, una forma, l’unica di infinito, per l’umano essere.

Stef 16 mar 2007– relpubblic@yahoo.it
LiviaGloria
00domenica 13 maggio 2007 22:28
Condivido pienamente cio che scrivi...non si potrebbe "descrivere" meglio. [SM=g27823]

Gli anziani....io ho sempre avuto un profondo rispetto per gli anziani...un sentimento innato..ed allora non ne comprendevo il perché,oggi,forse,so di piu il perché di cio.

Tempo fá,quando potevo,mi fermavo a parlare con loro...e loro hanno un qualcosa...chiamala saggezza,chiamala "la vita vissuta" veramente.
relpubblic
00domenica 26 agosto 2007 22:12
Scelta_riflex
Prima o poi bisogna arrivare a convogliare lo sparpagliamento interiore in canali ben definiti…
mia assoluta convinzione è diventata quella di rendere valido l’impegno di lavorare mentalmente ogni giorno su indizi o segnali che dietro la loro semplicità o innocuità interessano invece profondamente l’evoluzione dell’essere umano.
Render valido tale impegno, significa trasformare quei momenti sporadici, in cui si può notare questo o quel comportamento in altri o in noi stessi, oppure l’interessamento occasionale di maniere e costumi di vita quando persone ci interessano particolarmente, in una analisi continua. In compito di vita.

Ricordando ancora una volta “l’equilibrio” voglio indicare aspetti sfavorevoli causati dall’esasperazione di comportamenti normalmente considerati perbene.
Niente di iperbolico, niente di eccessivo, bisogna restare nella semplicità. Di qui bisogna far attenzione però a non degradare questa a qualcosa di indecoroso o di triviale.
Nella semplicità può muoversi bene l’essere che ha maturato i frutti necessari per riuscire naturalmente a non ricorrere a codici e ad imposizioni esterne, fino a discernervi numerose falsità.

Bene, volevo indicare quindi che esasperando nella loro mole e nel loro numero tutti quegli orpelli che contornando, anche e soprattutto, le azioni più banali ed inutili di cui sono piene le nostre vite moderne, creano intorno a noi gabbie in grado di limitarci e rovinarci.
A causa di queste tessiture sempre più fitte, si celano i momenti che la vita mette a nostra disposizione per godere.
Momenti uguali a nettare dolcissimo eppure difficili da identificare. La miriade di orpelli giusti e senza i quali non possiamo fare a meno per le nostre abitudini, è esattamente la gabbia inespugnabile che ordiamo intorno a noi stessi.
L’evasione può invece far assaporare la bellezza del viaggio.

Vi è una certezza nella vita che non ha possibilità di scelta, vivere momenti tristi non è possibile evitarlo.
Quando quei momenti giungono presso di noi, nella misura in cui ci toccano, travolgono qualsiasi orpello e qualsiasi artificio, fino a lasciarci privi di sensi ma non svenuti.
Tutte le imposizioni, anche le più corrette divengono senza senso.
Sono i momenti lieti che invece ci lasciano liberi di accettarli o meno; riconoscerli dipende dalle nostre capacità di liberarci.
Queste capacità costituiscono in ognuno un grado diverso di felicità e di saggezza mentre, come dicevo qualche tempo fa, il modello fa di ognuno il tiranno di se stesso.


Stef 24/08/2007 – relpubblic@yahoo.it
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00domenica 9 settembre 2007 10:43
integraz.
scelta

"...numerose falsità".

è molto probabile invece che l’essere che non ha maturato tali frutti, non solo nutre un semplice attaccamento ai codici ma è morboso nel cercarli.
Questo avviene proprio perché non può orizzontarsi autonomamente e finisce per abbisognare di manuali senza processarli più.
Se ci si fermasse un momento a pensare a quanto ora detto, dovrebbe essere anche ovvio quanto la conseguenza si crei naturalmente.
In poche parole a causa di affidarsi sempre più a codici, proporzionalmente si diminuisce le proprie potenzialità ad una indipendenza.
Nei due casi, quello del tipo maturo e quello del tipo immaturo, nelle diverse varietà in cui essi stessi possono presentarsi, cercando in ogni maniera di non condizionare noi stessi con ogni idea personale sulla libertà, possiamo scorgere il fatto che il tipo cosciente ed il tipo incosciente non sono convenzionalmente rapportati come si dovrebbe.
Nelle normalità delle vicende quotidiane, quando si è dinanzi ad episodi che richiedono la valutazione del comportamento di individui rispettosi tout court delle codificazioni, si è impossibilitati a definirli incoscienti anche nel momento in cui essi le applicano in situazioni completamente senza senso ed irreali.
Mentre è frequente trovarsi difronte l’esatto opposto in cui per la impossibile applicazione nella realtà di codici e manuali, casi di buon senso non possono essere definiti coscienti.

Stef 26/08/2007 – relpubblic@yahoo.it
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00giovedì 20 settembre 2007 20:46
...
[C]Il passato fu futuro

Asciugando i suoi giovani capelli, la vidi volare senza di me
e vidi il volo delle sue discendenze, senza di lei.

Così vidi tutti quanti volarono nelle cose piccole
e tutti quanti non videro le piccole cose di chi li precedette.

Vidi quanti si persero nei loro futuri,
ignorando il futuro che li avrebbe guardati come passato.

Ignari dei volti delle emancipazioni future,
osservai gli altri volare ed ignorare emancipazioni sorpassate.

Volai contro me stesso, guardando risultanti
del tutto autonome e sorprendenti.

Voli e voli s’intrecciarono,
semplici e complessi s’intrecceranno ancora.
Quanto ancora? Fin dove?

… e tu, ogni volta, ultimo e grande eppur primordiale e piccolo… chi sei?

Stef – 20/08/2007 – relpubblic@yahoo.it
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00giovedì 27 settembre 2007 20:54
assenza_presenza_riflex
Non è una critica negativa e comunque non dovrebbe suscitare nessuna forma d’intolleranza lo scritto che segue.
Provare impulso al rifiuto o qualche moto di disagio, credo che rappresenti un attaccamento sproporzionato e non un più un adeguamento consapevole alla pressione inesorabile della realtà edificata.
Quella forza risultante dalle infinite forze che il cosmo produce in continuazione ma che potrebbe non calzare neanche ad uno solo di quegli esseri umani che la vivono e, per la loro parte, ne sono forze contributrici.

A volte mi vedo una persona comune di vent’anni fa. Un adulto preso dalle cose della vita. Considero la normalità di uscire di casa per recarsi al lavoro. Considero la normalità di dover uscire improvvisamente. Considero la normalità di partire per un viaggio e così via per tutte le altre possibili normalità che riguardano il lasciare un luogo per raggiungerne un altro.
L’evenienza dell’assenza.
È necessario attenersi all’era della telecomunicazione per trovare un senso a quanto dirò perché non consiste nello scorgere il famoso cambiamento epocale conseguente all’invenzione di qualcosa. Quel che invece vorrebbe indicare è un cambiamento importante ma che consegue ad una evoluzione significativa di qualcosa che già fu escogitato.
Un cambiamento epocale nel contesto di una stessa epoca di cui precisamente non si ha idea del destino a cui condurrà.
Infatti, tale cambiamento sta avvenendo nelle coscienze più profonde delle persone, senza la scoperta di qualcosa di tangibilmente nuovo ma grazie ad una fondamentale evoluzione della telecomunicazione, la quale già visse la celebrazione dell’invenzione e tuttavia determinando novità radicali nell’essere umano.
Creando così prototipi del tutto nuovi e incoscienti di una loro ulteriore sofisticazione. Immemori. Il cambiamento nasce quindi all’interno di questa invenzione ma assume una rilevanza pari a quella che ha rappresentato ogni nuova scoperta nella storia.

Vent’anni fa avrei potuto uscire improvvisamente di casa per il bisogno di una passeggiata e valutare l’opportunità di lasciare un biglietto che avvertisse del motivo della mia assenza.
Avrei potuto esser raggiunto al lavoro per telefono, secondo una serie di priorità che permettessero la chiamata ed avrei chiamato o meno, dopo o durante un viaggio, solo quando la situazione me lo avrebbe permesso.
Nessuno però, avrebbe potuto in alcun modo raggiungermi direttamente durante la passeggiata, sull’autobus o in auto, nel tragitto verso il lavoro, o sul treno ed in aereo mentre viaggiavo.
Quanto appena detto non è poco, pur tuttavia, le nuove condizionanti sono talmente dentro le nostre menti che l’impressione che ne deriva sia di totale normalità ed in ogni caso rivestano prevalentemente positività.
Infatti, dal momento che la telecomunicazione a livello capillare, nella popolazione, ha risolto effettivamente tanti casi di diverse difficoltà, essa è praticamente inattaccabile e mediante questo fortissimo alibi ha invaso la vita delle genti procurandosi effettivamente il possesso di intimità individuali.
È chiaro che questa potenzialità è oltretutto stata sfruttata dai mercanti ma non è utile qui sconfinare verso questo tema.
Quindi, quel che inizialmente era influenza da parte di tali mezzi tecnologici, si è trasformata in vincolo e questo è vero malgrado quasi ognuno si ribelli o cerchi di giustificare questo moderno costume umano.
Frequentemente, anzi, ordinariamente, accorgendosi di aver dimenticato il cellulare, si prova un fastidio, una seccatura però è difficile identificare in questa sensazione, una particolare ansia.
Quella di una nostra improvvisa “assenza”.

Gradualmente, la allettante possibilità di una costante e comoda presenza virtuale, come di una assenza virtuale, genera la difficoltà ad un’assenza reale.
Così, verosimilmente invece, la presenza reale, quella fisica, a cui non si può fuggire, si arrende ormai senza condizioni a questa novità.
Queste protesi tecnologiche, pertanto, vanno a stravolgere il significato dell’assenza e della presenza.

Chi può negare, senza dubbi, l’assenza di quegli interlocutori nel momento in cui lo squillo del telefono cellulare invade e tronca una discussione?
Non è forse comune trovarsi dinanzi a più persone le quali, pur fisicamente presenti, sono simultaneamente prese ognuna dal suo display ed assorte in raffiche di digitazioni?
Si può forse negare facilmente l’osservazione abituale di persone che ingannano la loro obbligata presenza fisica su autovetture o motoveicoli, presenziando altrove mediante il loro ordigno telecomunicante?
Persone che disertano il luogo fisico in cui si trovano, per presenziare luoghi in cui non dimorano.

E nel caso si possa condividere la tale stato effettivo delle cose, chi può decisamente negare che questo moderno mezzo sia l’ultimo poderoso ritrovato, utile ad appagare il bisogno della mente di essere impegnata?

Stef 25 settembre 2007 – relpubblic@yahoo.it
BAGAVAN
00venerdì 28 settembre 2007 00:08
Re: assenza_presenza_riflex
è una bella analisi psicologica e anche sociologica, comlimenti per il post, il disagio esiste quando non si riesce ad imboccare la via mediana, perchè si è sempre su estremi opposti, questo è frustrante per chiunque voglia imparare a mediare tra attività uliti e dilettevoli e la libertà in essi è sempre condizionata dai mass media, pessimi mediatori culturali oggi, se vogliamo sentirle tutte le campane!

mediare in se stessi tra realtà che ci costringono ad uscire sempre da noi per prender parte militando politicamente o religiosamente, e qui comunque volendo sempre camminare per la via di mezzo pur di non lasciarci condizionare dagli opposti estremi, in cui è facile sbandare idealmente o ideologicmente.

mi spiego: vi sono persone che vogliono comunque dialogare per sentirsi liberi dagli schemi rigidi in cui la società vive, come in una rigione, quindi, un po' di disagio nel cercare di stare tra fuochi diversi ed essere super partes neutrali e mediatori o moderatori esiste, ma è superabile se si insiste nel voler trovare un clima in cui altri vogliono essere liberi dai condizionamenti,

insieme si può capire meglio come può funzionare questa via di mezzo e generare un clima di pace e di riconciliazione tra eleenti di disagio diversi tra loro ma con radici pressoché simili, poichè si vive ancora in un mondo vecchio che deve morire e risorgere sulle prorie ceneri.

le cause di disagio sembrano diverse per ogni persona ma la mente degli uomini e la sua idealità sono più o meno simili, come per esempio l'idea di giustizia che è relativa è comunque un esigenza di tutti, così è per la pace e per l'eguaglianza dei diritti.

non sottovalutiamo che l'ideale dell'umanismo contemporaneo non è l'antipolitica o l'anti religione ma una profonda pace che si vuole costruire sforzandosi di tener conto delle diversità, la serenità di tutti è il clima per imboccare la via di mezzo che sta tra tutti gli opposti estremi di tutto e di tutti.

il vero disagio è sentire che il nostro rapporto di simbiosi con l'umanità si è rotto e ci sentimao sdoppiati ed extracorporei con tutti, mentre la nostra ricerca di approfondimento verte verso una riconciliazione con tutti, purtroppo io stesso come altri siamo responsabili di ciò che accade, ne sentiamo la responsabilità e il peso ma non demordiamo, ci miglioriamo e ci rinnoviamo anche con, e non solo, le autocritiche che non siano tuttavia una lista di peccat da confessare superficialmente al prete, ci vuole o meglio si deve aprofondire il nostro legame di simbiosi con l'umanità!

buona notte!

relpubblic, 27/09/2007 20.54:

Non è una critica negativa e comunque non dovrebbe suscitare nessuna forma d’intolleranza lo scritto che segue.
Provare impulso al rifiuto o qualche moto di disagio, credo che rappresenti un attaccamento sproporzionato e non un più un adeguamento consapevole alla pressione inesorabile della realtà edificata.
Quella forza risultante dalle infinite forze che il cosmo produce in continuazione ma che potrebbe non calzare neanche ad uno solo di quegli esseri umani che la vivono e, per la loro parte, ne sono forze contributrici.

A volte mi vedo una persona comune di vent’anni fa. Un adulto preso dalle cose della vita. Considero la normalità di uscire di casa per recarsi al lavoro. Considero la normalità di dover uscire improvvisamente. Considero la normalità di partire per un viaggio e così via per tutte le altre possibili normalità che riguardano il lasciare un luogo per raggiungerne un altro.
L’evenienza dell’assenza.
È necessario attenersi all’era della telecomunicazione per trovare un senso a quanto dirò perché non consiste nello scorgere il famoso cambiamento epocale conseguente all’invenzione di qualcosa. Quel che invece vorrebbe indicare è un cambiamento importante ma che consegue ad una evoluzione significativa di qualcosa che già fu escogitato.
Un cambiamento epocale nel contesto di una stessa epoca di cui precisamente non si ha idea del destino a cui condurrà.
Infatti, tale cambiamento sta avvenendo nelle coscienze più profonde delle persone, senza la scoperta di qualcosa di tangibilmente nuovo ma grazie ad una fondamentale evoluzione della telecomunicazione, la quale già visse la celebrazione dell’invenzione e tuttavia determinando novità radicali nell’essere umano.
Creando così prototipi del tutto nuovi e incoscienti di una loro ulteriore sofisticazione. Immemori. Il cambiamento nasce quindi all’interno di questa invenzione ma assume una rilevanza pari a quella che ha rappresentato ogni nuova scoperta nella storia.

Vent’anni fa avrei potuto uscire improvvisamente di casa per il bisogno di una passeggiata e valutare l’opportunità di lasciare un biglietto che avvertisse del motivo della mia assenza.
Avrei potuto esser raggiunto al lavoro per telefono, secondo una serie di priorità che permettessero la chiamata ed avrei chiamato o meno, dopo o durante un viaggio, solo quando la situazione me lo avrebbe permesso.
Nessuno però, avrebbe potuto in alcun modo raggiungermi direttamente durante la passeggiata, sull’autobus o in auto, nel tragitto verso il lavoro, o sul treno ed in aereo mentre viaggiavo.
Quanto appena detto non è poco, pur tuttavia, le nuove condizionanti sono talmente dentro le nostre menti che l’impressione che ne deriva sia di totale normalità ed in ogni caso rivestano prevalentemente positività.
Infatti, dal momento che la telecomunicazione a livello capillare, nella popolazione, ha risolto effettivamente tanti casi di diverse difficoltà, essa è praticamente inattaccabile e mediante questo fortissimo alibi ha invaso la vita delle genti procurandosi effettivamente il possesso di intimità individuali.
È chiaro che questa potenzialità è oltretutto stata sfruttata dai mercanti ma non è utile qui sconfinare verso questo tema.
Quindi, quel che inizialmente era influenza da parte di tali mezzi tecnologici, si è trasformata in vincolo e questo è vero malgrado quasi ognuno si ribelli o cerchi di giustificare questo moderno costume umano.
Frequentemente, anzi, ordinariamente, accorgendosi di aver dimenticato il cellulare, si prova un fastidio, una seccatura però è difficile identificare in questa sensazione, una particolare ansia.
Quella di una nostra improvvisa “assenza”.

Gradualmente, la allettante possibilità di una costante e comoda presenza virtuale, come di una assenza virtuale, genera la difficoltà ad un’assenza reale.
Così, verosimilmente invece, la presenza reale, quella fisica, a cui non si può fuggire, si arrende ormai senza condizioni a questa novità.
Queste protesi tecnologiche, pertanto, vanno a stravolgere il significato dell’assenza e della presenza.

Chi può negare, senza dubbi, l’assenza di quegli interlocutori nel momento in cui lo squillo del telefono cellulare invade e tronca una discussione?
Non è forse comune trovarsi dinanzi a più persone le quali, pur fisicamente presenti, sono simultaneamente prese ognuna dal suo display ed assorte in raffiche di digitazioni?
Si può forse negare facilmente l’osservazione abituale di persone che ingannano la loro obbligata presenza fisica su autovetture o motoveicoli, presenziando altrove mediante il loro ordigno telecomunicante?
Persone che disertano il luogo fisico in cui si trovano, per presenziare luoghi in cui non dimorano.

E nel caso si possa condividere la tale stato effettivo delle cose, chi può decisamente negare che questo moderno mezzo sia l’ultimo poderoso ritrovato, utile ad appagare il bisogno della mente di essere impegnata?

Stef 25 settembre 2007 – relpubblic@yahoo.it




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