memoria
seguito memoria in :
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Insistendo sull’argomento “equilibrio”, del quale ultimamente si ribadiva la sua importanza, in considerazione del fatto che senza di esso può diventare improduttivo o deleterio anche un principio positivo, desidero porre qui all’attenzione due termini di uso moderno, che calzano direi perfettamente come metro di verifica circa l’assuefazione, con la conseguenza all’abitudine ed alla livellazione, alla massima per la quale sarebbe fondamentale la prova dell’esperienza e del tutto superfluo l’insegnamento.
I termini sono: reset o restart.
Dunque: questa maniera di pensare e di comportarsi secondo la estremizzazione della prova e della cancellazione del racconto, ha soppiantato quella tradizionalista, anch’essa estremizzata, che pretendeva di escludere esperienze in base a prove già effettuate e proponeva, o imponeva, per questo, condotte prestabilite.
Quindi nel progressismo si è raggiunta prima l’inclinazione e poi la regola per la quale il giovane ha via via preteso ed ottenuto di non tener conto dell’anziano.
Di conseguenza, il giovane ultimo ha dell’anziano una figura distaccata ed indipendente dall’umano, quasi che esso non sia una parte del percorso di ogni uomo. Quasi che ci si sia persuasi del cambiamento di cose sulle quali l’uomo non può, ma soprattutto non deve, nulla.
Terminava così l’insegnamento dell’umano che tramandava ad ogni umano.
Cosa che si considera terminata per la sua mancanza nella civiltà che stiamo discutendo (la quale conta per la sua influenza in termini di dimensioni) ma che continua ad esistere in angoli reconditi di civiltà ormai distrutte, le quali, al contrario, fecero di tale insegnamento il loro compito. Fecero del tramandare il loro scopo tanto che giunse a costituirne l’essenza stessa.
Il tramandare, che era inteso come ciò che resta e si implementa nello scorrere delle vite, quindi usato come una sicura passerella dalla quale proiettarsi in ulteriori scandagli, veniva così travisato e combattuto per giungere infine al suo annullamento.
In ogni caso, tale radicalismo andava a privare di saldi moli, andava a demolire trampolini verificati… insieme ad ogni struttura malandata che incontrava.
Bene. Senza dilungarmi troppo in una premessa che mi sembra già abbastanza chiara per chi voglia intendere (e non dico condividere), passo direttamente alla presentazione dell’immaginazione che mi ha condotto alla presente riflessione.
D’un tratto mi son ricordato quando in gioventù, smanettando sui giochi elettronici da bar, ci si prendeva cura delle “vite” che si avevano a disposizione per giocare una partita.
Ogni volta che la macchina sopraffaceva una “vita”, si reiniziava daccapo e perciò si doveva far tesoro e si cercava di sfruttare nella prossima “vita”, ciò che si era sperimentato nella “vita” precedente.
Così facendo, si ottenevano sempre più lunghi percorsi, si raggiungevano nuovi traguardi dai quali ripartire con la prossima “vita”.
Ogni “vita” diveniva utile per spingersi più profondamente, con la prossima, nella conoscenza di quel determinato gioco.
Nondimeno tutto questo, che era valido nella stessa partita tra le diverse “vite”, valeva naturalmente come conoscenza proficua ed opportuna per governare e manovrare al meglio la navigazione nelle prossime partite.
In pratica, quell’immaginazione proponeva il moderno giocatore elettronico come il vecchio burattinaio, cioè come quel qualcosa di superiore alla meccanicità del gioco. Egli era ed è lo spirito di intenti che muove i corpi agli obbiettivi.
Una allegoria che sembrava materializzare la visione della ineluttabilità dello spirito e della conoscenza nella vita fisica.
Forse può apparire folle paragonare le“vite” delle partite elettroniche con le vite reali, ma questo accostamento mi portava ad accettare un ragionamento scaturito da una fantasia, come una assennata possibilità, mi induceva a prendere seriamente in considerazione delle irrazionalità, mi trascinava a ponderar su verosimiglianze prodotte da un insano modo di riflettere.
In poche parole mi appariva sciocco estremizzare il rifiuto netto e totale della tradizione, in base a situazioni che possono esser state negative, perché nella pratica questo esclude in maniera definitiva ogni esperienza ottenuta da una civiltà e conduce ogni generazione, o ancor peggio ogni singola vita, al reset o restart incosciente, causando così ogni volta un automatico arresto dell’esplorazione.
(che l’arresto e la ripartenza dell’esplorazione avvenisse come un ottuso rewind e che essa fosse stata sostituita da paliativi e surrogati, in considerazione del fatto che è un bisogno effettivo del vero essere umano, è discorso di cui potremmo occuparci in una riflessione dedicata).
In questo continuo reinizio, dunque, l’umano viene trattenuto in superficie dalle conquiste esteriori e costretto a mancare sempre più di conquiste interiori, ossia tale giuoco consegue che egli perda sempre più i caratteri umani e diversificatori nel regno di cui fa parte.
Semplificando, con riguardo alla civiltà occidentale ultima, si può tristemente osservare come l’uomo più moderno consideri virtù lasciare inesplorati, e quindi trascurarne le conquiste, ambiti e sfere che di questo gioco fanno parte.
p.s. l’edificazione di qualcosa di super umano, il quale non è possibile vedere o toccare, fu lo scopo di diverse grandi civiltà, che mediante una saggezza, frutto di pensiero, meditazione, contemplazione e sconosciuta allo zelo, poteva infine accettare e toccare i suoi frutti fino a rendere credibile la sua realtà per quanto produceva di duraturo.
Si prefiggevano una sopravvivenza metafisica, una sopravvivenza al tempo, una forma, l’unica di infinito, per l’umano essere.
Stef 16 mar 2007– relpubblic@yahoo.it