00 25/05/2013 05:17
Ilva, sequestrati beni per 8,1 miliardi alla famiglia Riva tra Taranto e Milano. Reati ambientali plurimi l'accusa

TARANTO - Due giorni fa il sequestro del patrimonio personale dei Riva per 1,2 miliardi di euro perché frutto, secondo la procura e il gip di Milano, di frode fiscale, truffa allo Stato e riciclaggio. Oggi una mannaia da 8,1 miliardi di euro sui beni e le disponibilità economiche e finanziarie della Riva Fire (Finanziaria industriale Riva Emilio) spa, che controlla l'Ilva di Taranto.

Una cifra equivalente alle somme che nel corso degli anni l'Ilva avrebbe risparmiato non adeguando gli impianti del Siderurgico, e in particolare quelli dell'area a caldo, alle normative ambientali, pregiudicando l'incolumità e la salute della popolazione. Il sequestro, tuttora in atto da parte dei militari della Guardia di Finanza a Taranto e a Milano e funzionale alla confisca, riguarda «prioritariamente» - scrive il gip Patrizia Todisco nel decreto accogliendo la richiesta del pool di magistrati coordinati dal procuratore di Taranto, Franco Sebastio - i beni nella disponibilitàdi Riva Fire spa, ovvero «dell'ente o degli enti eventualmente nati dalla sua trasformazione o fusione o scissione parziale».

Solo «in via residuale e in caso di incapienza» dei beni sigillati a Riva Fire, saranno sequestrati «i beni immobili nella disponibilità dell'Ilva spa», ma non quelli «strettamente indispensabili all'esercizio dell'attività produttiva». Dunque, da un lato - come ha sottolineato il procuratore Sebastio parlando con i giornalisti - sono state salvaguardate le norme contenute nella legge 231/2012, che consente per 36 mesi all'Ilva di produrre e vendere i prodotti pur con gli impianti sotto sequestro senza facoltà d'uso dal 26 luglio scorso. Dall'altro lato viene applicato quanto previsto dalla legge 231/2001 sulla responsabilità di personalità giuridiche, in questo caso la Riva Fire.

Custode e amministratore dei beni sequestrati sarà il commercialista Mario Tagarelli, uno dei quattro custodi giudiziari degli impianti dell'Ilva sotto sequestro da 10 mesi. L'Ilva ha annunciato per domani un consiglio di amministrazione per «decidere sulle iniziative conseguenti». Sono 16 (14 persone fisiche e due giuridiche, l'Ilva e la Riva Fire) gli indagati nell'inchiesta.

A cinque di loro - Emilio Riva, i figli Nicola e Fabio, l'ex direttore di stabilimento Luigi Capogrosso e l'ex dirigente Ilva Girolamo Archinà - è contestata l'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati ambientali plurimi. Ma ci sono anche dirigenti ed ex dirigenti del Siderurgico e c'è il presidente del cda Ilva, Bruno Ferrante, al quale vengono contestati nuovi reati, in particolare per l'inquinamento del Mar Piccolo causato dagli scarichi dello stabilimento e il riutilizzo in produzione di fanghi di dragaggio contaminati.

Nel decreto il gip bacchetta anche il governo. La legge 231/2012, scrive il giudice, ha consentito all'Ilva di rientrare in possesso degli impianti sequestrati e dunque continuare a produrre, senza però esigere garanzie finanziarie a sostegno degli investimenti e senza che sia stato presentato dall'azienda un piano di ripristino ambientale. Duri i giudizi sull'operato, o meglio su ciò che l'azienda non avrebbe fatto.

La mancata attuazione di un modello organizzativo e gestionale adeguato alla complessità dell'azienda, scrive il gip riportando un passaggio della richiesta dei pm, «ha rappresentato concausa non trascurabile in relazione agli infortuni» verificatisi negli ultimi mesi in fabbrica, tre dei quali mortali. E ancora: Ilva e Riva Fire hanno ottenuto un «ingentissimo risparmio economico attraverso la intenzionale, pervicace omissione, nell'esercizio dell'attività produttiva industriale, degli onerosi interventi - misure di sicurezza, prevenzione e protezione dell'ambiente e della pubblica incolumità - che le norme dell'ordinamento, i vari Atti d'intesa stipulati con gli enti pubblici e i provvedimenti delle autorità competenti imponevano di eseguire».

Situazione diventata così delicata, a parere del sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, da indurlo a scrivere al ministro dell'Ambiente, Andrea Orlando, oltre che al prefetto e al Garante dell'Aia, chiedendo un provvedimento di amministrazione straordinaria dell'Ilva per non ritardare il risanamento ambientale ritenuto «improcrastinabile». Plaudono al maxi-sequestro gli ambientalisti, che vedono in quei beni sigillati un forziere economico per bonificare la città. Ma la strada è lunghissima e tutta in salita.

Venerdì 24 Maggio 2013
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[Modificato da wheaton80 25/05/2013 05:17]