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Sondaggi. La maggioranza degli italiani contro questa Europa

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    wheaton80
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    00 23/12/2012 13:34

    (ASI) I sondaggi sono utili perché su determinati quesiti di attualità fanno conoscere in tempo reale cosa pensa la maggioranza della gente. Per questo i sondaggi, anche se fatti a campione, sono importanti, vanno interpretati e presi in seria considerazione. Per cui, sarà interessante conoscere l'esito di quello proposto oggi dal giornale in rete "Affari Italiani". La domanda era: L'Italia dovrebbe uscire dall'Euro e dall'Europa? Le risposte alle ore 11,30 hanno dato il seguente riscontro: l'81% SI, il 19% NO. Da ciò si deduce che gli italiani si sentono sempre più lontani e contro l' Europa delle banche e dai bank(sters) di Bruxelles. Inoltre, essendo l'opinione emergente degli italiani contraria al pensiero dei leader dei partiti politici, "questi signori" non sono più legittimati né a rappresentare, né a prendere decisioni importanti per il popolo. Infatti, la distanza fra il Paese reale dal Paese Legale è sempre più netta.

    www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=11599:sondaggi-la-maggioranza-degli-italiani-contro-questa-europa&catid=4:politica-nazionale&I...
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    wheaton80
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    00 29/11/2013 00:20
    Euroscettici. Uragano in arrivo

    Anche se i media di regime rimuovono ogni possibile riscontro di quanto è sotto gli occhi di tutti, è ormai manifesto, ovunque nell’Europa dei Ventotto – la cosiddetta Unione Europea – l’irreversibile scollamento tra cittadini e (supposte) elites alla guida dei vari poteri nazionali e internazionali. In blocco governanti, uomini di partito, banchieri, sindacalisti e grandi imprenditori – definiti la “classe dirigente” – sono ormai considerati dalla gran parte dei popoli “il problema” da risolvere.
    Ovunque in Europa – nell’eurozona e oltre – il rigetto, il rifiuto, di tali elites istituzionali è maggioritario o tende ad esserlo. Le prossime elezioni dell’europarlamento saranno lo specchio di tale tendenza, dichiarata dai media embedded, con un retrogusto, per loro, diffamatorio, “nazionalista” ed “euroscettica”. Questi disinformatori di massa – gli stessi, si badi bene, che un giorno sì e l’altro pure blaterano contro il governo di Kiev offrendo protezione e propaganda alla minoranza ukraina favorevole a liberare la Tymoshenko e ad aderire all’Ue – avranno di che commentare, alla vigilia e il giorno dopo del voto di primavera per Strasburgo, sulla “pericolosa” avanzata di partiti contrari a questa eurocrazia, dagli M5 stelle e antagonisti italiani, al Front National francese, agli indipendentisti inglesi e scozzesi, ai nazionalisti belgi, olandesi, polacchi, ungheresi, romeni, bulgari giù giù fino ad Alba Dorata greca. La crescita dei partiti anti-Ue è peraltro parallela alla montante protesta dei disoccupati, dei lavoratori europei, contro le misure di austerità imposte ai popoli del continente dall’infida troika Fmi-Bce-Commissione di Bruxelles. Protesta che – particolarmente nei Paesi della cosiddetta “periferia” dell’Ue, Italia compresa, vedi “forconi”, manifestazioni sindacali di base, scioperi come quello contro la privatizzazione dell’autotrasporto pubblico a Genova – scampana a morto in particolare per i partiti e i sindacati di regime, assediati ovunque da rivali antagonisti di base. Finora i partiti e i sindacati “istituzionali” avevano contenuto la crescita delle forze loro avversarie, di popolo, con opportune “legislazioni” di sistemi elettorali e di rappresentanza che escludevano di fatto l’emergere degli oppositori (nel voto con il doppio turno alla francese, i quorum tedeschi, il “listino” italiano, etc. e nella rappresentanza sindacale con le convenzioni ad exludendum di soggetti emergenti per mantenere – soprattutto in Italia e Francia – la loro supremazia). Nel caso delle elezioni europee queste “dighe” per mantenere intatto il loro potere, non potranno però reggere (il voto è ancora proporzionale e non artificiosamente maggioritario). E sebbene l’europarlamento abbia scarsi poteri, una vittoria complessiva degli euroscettici nel 2014 non potrà che riverberarsi sui favori elettorali nazionali. E sul fronte sociale dove le centrali sindacali più potenti hanno un dichiarato tallone d’Achille: per lo più rappresentano categorie di lavoratori, ma in un’Europa che veleggia verso una complessiva disoccupazione, per lo più giovanile e di mezza età tale rappresentanza ha un potere contrattuale debole, come le piazze insegnano. Per non parlare degli innumerevoli movimenti di difesa sociale (in Italia, per esempio, Federcontribuenti, Antiequitalia, Antiusura, Antisignoraggio, di difesa dei consumatori, degli allevatori, degli agricoltori, dei trasportatori, dei commercianti, etc.) totalmente indipendenti e dal potere politico e dal potere sindacale. Ecco dunque spiegato come mai, tra le supposte “elites” assediate si stia facendo strada una strategia di virtuale accettazione delle tesi antagoniste. Sempre di più, infatti, i partiti e i sindacati “istituzionali” fanno finta di inserire nei loro programmi tesi “sociali” (anti-tasse, anti-usura, e così via) per “recuperare” favori popolari, ma è una strategia votata all’insuccesso, nonostante il fiorire di contorno, nei mezzi di comunicazione di massa collegati con l’establishment, di denuncie populistiche… usa-e-getta. Per una semplicissima considerazione: l’adozione demagogica di tesi contrarie all’austerità e al “sistema” di progressiva spoliazione delle sovranità nazionali e della solidarietà sociale, se perseguita realmente, toglierebbe la terra sotto le loro stesse poltrone; le promesse e i proclami di giustizia sociale utilizzati al solo fine di raccattare voti non attecchiscono più – è dimostrato – nella gran parte dei cittadini, delusi e indignati contro chi governa la politica e l’economia. E’ una corsa-boomerang, quella di tali “elites”. Ormai chiuse in un fortino di privilegi per loro stesse. Una “ridotta” che i media di regime ancora chiamano “Unione europea”.

    Lorenzo Moore
    27 Novembre 2013
    www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=22717
    [Modificato da wheaton80 29/11/2013 00:22]
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    wheaton80
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    00 17/03/2014 01:39
    Risultati travolgenti del sondaggio IPSOS condotto in tutta Europa: il 68% di tutti I cittadini europei boccia la UE

    Gli ultimi dati disponibili del sondaggio Ipsos Eurooean Pulse sono inequivocabili: l'Unione Europea è un disastro, un pericolo per i cittadini del Vecchio Continente. Il 68% di tutti gli europei che a maggio andanno a votare per il rinnovo del parlamento, affermano che la UE sta andando nella direzione sbagliata. Il dato italiano è impressionante: il 77% è auroscettico e pessimista sulla UE, da cui fuggire, perchè va nella direzione sbagliata. La stessa colossale percentuale anti UE è stata rilevata da IPSOS anche in Francia. In Spagna il sondaggio è solo di uno 0,1% inferiore. Il 76% degli spagnoli non ne può più di Buxelles e del capestro che ha stretto loro al collo. Il dato che ha lasciato molto stupiti gli analisti è tuttavia un altro: quello riscontrato dal sondaggio in Germana. il 61% dei tedeschi è diventato euroscettico, ed è davvero rilevante, se si considerano i vantaggi economici ottenuti dalla Germania con l'euro. Eppure, è così. Mediamente il 65% dei cittadini di ogni nazione d'Europa pensa - ha rilevato il sondaggio - che le politiche economiche imposte dalla Commissione europea al proprio Stato, lo abbia danneggiato e con questo siano stati danneggiati anche gli abitanti. La tabella delle risposte - nazione per nazione - alla domanda sulle politiche di austerità in atto, in qualche modo rappresenta anche le intenzioni di voto delle prossime europee, e per la UE si prospettano tempi difficilissimi. Le politiche UE messe in atto dalla Commissione europea in tutta Europa sono bocciate dal 77% degli olandesi, dal 75% dei francesi, 75% degli spagnoli, 70% degli italiani, 50% dei tedeschi, percfino il 55% dei polacchi. Detto per inciso, il sondaggio IPSOS è riconosciuto per l'autorevolezza e la serietà della raccolta dati. E tra questi, brilla nella vastità dell'indagine divulgata oggi, un dato: il 56% dei cittadini delle nazioni d'Europa, da nord a sud da est a ovest, pensa che la UE abbia aumentato le disugaglianze tra Paesi ricchi e Paesi poveri d'Europa, anzichè averle diminuite. E questo probabilmente è il bilacio più desolate che sia stato tracciato.

    Max Parisi
    16 marzo 2014
    www.ilnord.it/c2676_RISULTATI_TRAVOLGENTI_DEL_SONDAGGIO_IPSOS_CONDOTTO_IN_TUTTA_EUROPA_IL_68_DI_TUTTI_I_CITTADINI_EUROPEI_BOCC...
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    wheaton80
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    00 21/04/2014 01:10
    Marine Le Pen in testa in Francia, euroscettici in testa in tutta Europa: le oligarchie ora hanno paura

    La crescita dei partiti nazionalisti e antieuropeisti continua senza sosta con buona pace di coloro che continuano a lanciare l'allarme per il fatto che sempre piu' gente appoggia movimenti "xenofobi e popultisi" in tutta Europa. Secondo un nuovo sondaggio realizzato in Francia da Infop, per Paris Match, il Front National di Marine Le Pen avrebbe già superato l’Ump di un punto percentuale. I due partiti infatti si attestano rispettivamente al 24 e al 23%. Fermi invece al 21% i socialisti. In un altro sondaggio, datato 9 aprile, il partito di Marine Le Pen era ancora in seconda battuta con l’Ump al 25%. Tali cifre, se venissero confermate dalle urne, porterebbero il Front National a guadagnare una ventina di deputati. In corsa in Olanda, invece, il partito della Libertà di Geert Wilders, anch’esso in volata dopo le recenti dichiarazioni del suo leader di volere “meno marocchini” nel Paese. In Austria, bene le Fpo, con il 20% dei consensi, mentre sono in crescita anche i partiti nazionalisti in Bulgaria e Svezia, intorno al 5% dei voti. In Inghilterra, l'UKIP di Nigel Farage potrebbe fare il pieno, diventando il primo partito del Regno Unito davanti sia ai Coservatori del primo ministro Cameron - che hanno vinto le scorse elezioni politiche - sia ai laburisti e figuriamoci ai liberali. Secondo gli analisti dell’European Policy Institute Network ad accrescere l’eurocetticismo sarebbe proprio la crisi economica unitamente alla disoccupazione e ai piani di austerità. Recenti proiezioni che girano negli ultimi giorni segnalano che i partiti euroscettici raccoglierebbero complessivamente oltre un terzo dei seggi del Parlamento Europeo, ma i risultati finali delle elezioni potrebbero spingerli a raggiungere quasi la metà. In ogni caso, già con un terzo, l'opposizione alle sciagurate politiche della UE sarebbe così forte da bloccarle. Ovviamente i parassiti di Bruxelles continuano a ignorare il fatto che un numero sempre più crescente di persone ne abbia abbastanza di far parte di questa istituzione malefica che non solo sta impoverendo tantissimi lavoratori con le misure di austerità da essa imposte, ma sta costringendo i singoli Stati ad essere invasi da ondate sempre più crescenti di immigrati, 20.000 nelle ultime settimane solo dall'Italia. Questo atteggiamento di disprezzo verso i popoli europei, e anche nei confronti dei popoli a cui appartengono gli extracomunitari che arrivano a migliaia con i barconi dal Nord Africa, non porterà loro alcun vantaggio. L' onda lunga dell'euroscetticismo è ormai impossibile da fermare e tra meno di un mese e mezzo niente sarà più come prima.

    Giuseppe De Santis
    14 aprile 2014
    www.ilnord.it/c2851_SONDAGGI___MARINE_LE_PEN_IN_TESTA_IN_FRANCIA_EUROSCETTICI_IN_TESTA_IN_TUTTA_EUROPA_LE_OLIGARCHIE_ORA_HAN...
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    wheaton80
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    00 07/05/2014 00:50
    Ultimo sondaggio: Front National e UKIP vinceranno nettamente le europee

    L’ultimo sondaggio IFOP prevede che in Francia il Front National di Marine Le Pen vincerà le elezioni europee col 23,5% (fonte Metapolls e Rischio Calcolato), mentre l‘ultimo sondaggio YOUGOV prevede che nel Regno Unito l’UKIP di Farage vincerà le elezioni europee col 29,0% (fonte Metapolls e Rischio Calcolato). Si profila, in estrema sintesi, una schiacciante vittoria alle elezioni europee, delle formazioni della Destra Euroscettica ed anti-Euro, in Francia, Regno Unito ed altri Paesi UE.



    6 maggio 2014
    www.ilnord.it/index.php?id_flash=2267#.U2iqQef_VHs.facebook
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    00 27/05/2014 00:25
    Il trionfo degli euroscettici



    Il Front National di Marine Le Pen in Francia è primo partito con il 25%. L’UKIP di Nigel Farage è primo partito nel Regno unito e Syriza di Alexis Tsipras è primo partito in Grecia. Questi i risultati dei maggiori partiti euroscettici alle elezioni europee. Come previsto il PPE e il PSE saranno costretti a formare una larga intesa, come già avvenuto in Italia e in Germania dopo le elezioni politiche. Un voto europeo che ha consegnato la grande vittoria dei partiti euroscettici che hanno triplicato i loro seggi nel parlamento europeo. Le misure di austerità e rigore portate avanti dall’Europa nei tempi recenti hanno determinato questo risultato odierno, oltre alla grande percentuale di disoccupati e alla crisi economica più grave dal dopoguerra. La linea economica tenuta dall’Europa è stata “rigettata” da tanti cittadini europei che hanno dimostrato il loro dissenso in modo eclatante. E ora, come già detto, si passerà alla formazione di una coalizione di “larghe intese” nel Parlamento europeo che non rispecchierà il voto di tanti europei e la quale sarà dimostrazione ulteriore di una situazione di postdemocrazia e di democrazia sospesa che possiamo osservare in tanti paesi occidentali. In questo voto europeo c’è stata anche un grande astensione, anch'essa dimostrazione di deficit di democrazia. Inoltre bisogna anche ricordare che molti partiti euroscettici hanno usato per convincere i loro elettori, oltre al tema dell’euro e della linea economica tenuta dall’Europa, il tema dell’integrazione di tanti immigrati provenienti dai paesei dell’Est europeo e il tema del processo di globalizzazione che ha determinato la rovina di tante aziende locali. Un risultato elettorale che mostra in modo chiaro e nitido il sentiment di larghe fasce della popolazione europea impoverite per la crisi e per le manovre economiche condannate dai più famosi premi nobel per l’economia tipo Krugman e Stiglitz.

    www.agoravox.it/Il-trionfo-degli-euroscettici.html
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    00 18/06/2014 20:18
    Grillo e Farage alleati, ecco il gruppo al Parlamento UE

    E’ stato costituito, dopo giorni di trattative, il gruppo euroscettico al Parlamento europeo che comprende l’Ukip di Nigel Farage e il Movimento 5 Stelle. Il nuovo gruppo comprende 48 eurodeputati da Gran Bretagna, Italia (17 sono i deputati del M5S), Lituania, Francia, Svezia, Repubblica Ceca e Lettonia. Lo ha annunciato lo stesso Farage:“Saremo la voce della gente. Saremo in prima linea per il ritorno alla libertà, alla democrazia nazionale e alla prosperità in Europa”. E ancora:“Combatteremo la giusta battaglia per riprendere il controllo dei destini dei nostri Paesi abbiamo lottato contro una forte opposizione politica per formare questo gruppo e sono certo che lavoreremo molto bene. Ora che si è formato, mi aspetto che altre delegazioni si uniscano a noi”. Beppe Grillo definisce questa formazione “una grande vittoria per la democrazia diretta”. “Per la prima volta in Europa i cittadini hanno scelto i propri portavoce e gli hanno detto dove stare nel Parlamento europeo”, ha spiegato Grillo in una nota dell’Efd. “Ora inizieremo a lavorare nei comitati e faremo sentire la voce della gente alle istituzioni europee, senza intermediari. E’ bellissimo”, ha aggiunto Grillo.

    18/06/2014
    www.adnkronos.com/fatti/politica/2014/06/18/grillofaragealleatieccogruppoparlamento_xOlY436swgMjcvBim5E...
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    wheaton80
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    00 29/10/2014 01:31
    La percentuale di italiani che disprezza l’euro per la prima volta supera quella di chi lo considera positivo

    BRUXELLES - Dopo diversi anni di crisi, gli italiani hanno talmente perso la fiducia nell'euro che quest'anno la percentuale di coloro che la considerano una 'cosa negativa' (47%) supera quella di coloro che la vedono una 'cosa positiva' (43%). Lo rivela una indagine di Eurobarometro, secondo cui "l'Italia è il Paese dove il sentimento negativo verso l'euro si è deteriorato maggiormente", ed è al secondo posto, dopo Cipro, nella classifica dei più delusi. Ma dato il numero di abitanti di Cipro rispetto l'Italia, si può tranquillamente affermare che il Bel Paese è al primo posto. Secondo l'ultima indagine di Eurobarometro (Istituto d'indagini demoscopiche della Ue), la percentuale di coloro che ritiene la moneta unica una 'buona cosa' per l'Italia è scesa al 43%, dal 52% dello scorso anno. Una sfiducia che porta l'Italia al secondo posto, dopo Cipro, nella classifica dei Paesi più 'euro' scettici. Numeri che ribaltano la situazione rispetto al 2013, quando gli italiani fiduciosi erano ancora la maggior parte. Eurostat fa notare che l'Italia è il Paese dove la fiducia si è maggiormente erosa, visto che in un solo anno ha perso ben 9 punti percentuali. La sfiducia degli italiani è generale, perché aumenta anche il numero di coloro convinti che l'euro non sia una cosa buona nemmeno per l'intera Unione europea: nel 2013 il 67% riteneva che lo fosse, quest'anno è il 63%. Il poco amore degli italiani per la moneta unica si vede anche nel fatto che sono i primi della zona euro a voler abolire le monete da 1 e 2 centesimi: il 76%, la percentuale più alta di Eurolandia, vorrebbe vederli sparire. E l'Italia è anche "il solo Paese", rileva Eurobarometro, dove la maggioranza (45% contro il 37%) ritiene che l'euro non ha reso il viaggiare più semplice ed economico.

    28 ottobre 2014
    www.ilnord.it/c3698_LA_PERCENTUALE_DI_ITALIANI_CHE_DISPREZZA_LEURO_PER_LA_PRIMA_VOLTA_SUPERA_QUELLA_DI_CHI_LO_CONSIDERA_...
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    wheaton80
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    00 23/02/2015 19:04
    Dietrofront degli italiani, ora sono i più euroscettici

    Tira una brutta aria in Europa. Verso l'Unione e, più ancora, verso l'euro. Anzitutto in Grecia, dove il governo di Tsipras ha siglato con l'Eurogruppo un'intesa tutt'altro che cordiale. Basata sulla reciproca diffidenza. Ciascuno convinto di aver imposto all'altro le proprie ragioni. Un sentimento, tuttavia, molto diffuso anche altrove. Per averne una misura attendibile, è sufficiente scorrere i dati del sondaggio condotto nelle ultime settimane in 6 Paesi europei da Demos e Pragma (per la Fondazione Unipolis). È parte del-l'VIII Rapporto sulla Sicurezza in Europa (a cui ha partecipato l'Osservatorio di Pavia), che verrà presentato a Roma domani pomeriggio (a Montecitorio). Colpisce, anzitutto, il grado di fiducia verso l'Unione Europea. È, infatti, maggioritario soltanto in Germania. Non per caso, peraltro, vista l'influenza tedesca sulle politiche comunitarie. Ma appare limitato altrove. In Francia, in Spagna e in Polonia: coinvolge circa quattro cittadini su dieci. Mentre risulta largamente minoritario in Gran Bretagna e ancor più in Italia. In assoluto, il Paese più euroscettico, fra quelli indagati dall'Osservatorio (solo il 27% ha fiducia nella Ue). Si tratta di un orientamento già osservato, in altre, precedenti, ricerche presentate su Repubblica. Da ultimo: nell'indagine sul "Rapporto fra gli italiani e lo Stato", pubblicata alla fine del 2014.

    Le tabelle (http://www.demos.it/a01096.php):







    Una ulteriore conferma che l'Europa unita non piace a gran parte degli europei. E se la maggioranza di essi continua ad accettarla è per prudenza. Anzi, per paura. Di quel che potrebbe accadere se non ci fosse. Di quel che potrebbe capitare a chi uscisse dall'Unione. Questo sentimento è tanto più evidente se si considerano le opinioni verso la moneta unica. L'euro. Causa - comunque, indice - principale e più evidente del disagio e del dis-amore degli europei verso l'Europa. L'euro: solo una minoranza ristretta dei cittadini dei Paesi dove è stato introdotto lo ritiene una scelta vantaggiosa. Circa il 10% in Italia. Poco più in Germania. Il 20% in Spagna e in Francia. Mentre per la maggioranza della popolazione (45-50%) è un "male necessario". Teme che abbandonarlo sarebbe peggio. Tuttavia, circa un terzo dei cittadini in Italia, se potesse, lascerebbe l'euro. E in Germania, la "guardiana" (e la padrona) dell'euro, quasi il 37% ha nostalgia del marco. L'euro, peraltro, non suscita alcun desiderio nei Paesi dove non c'è. In Polonia e in GB poco più del 10% della popolazione (intervistata) sarebbe favorevole a introdurlo. Mentre 7-8 persone su 10 non ci pensano proprio. Così, gli europei si scoprono sempre più "euroscettici" e "scettici verso l'euro". Per la reciproca influenza fra "euro-scetticismo" e "scetticismo verso l'euro". Perché l'euro è una moneta senza Stato. Mentre l'Unione Europea sembra affidare, sempre più, alla moneta la propria sovranità. E la propria identità. In politica estera, nelle politiche sociali e demografiche, invece, la UE risulta assente. Basti pensare a quel che avviene sulle nostre coste, di fronte agli sbarchi dei disperati, in fuga dal terrore, che si susseguono, incessanti. Oppure di fronte alla minaccia dell'IS, divenuta devastante in Libia. Praticamente, a due passi da noi. Emergenze scaricate, come sempre, sugli Stati nazionali. Che agiscono seguendo le loro logiche (interne) e i loro interessi (esterni).

    Così, un pò dovunque cresce l'Anti-europeismo, insieme ai soggetti politici che ne hanno fatto una bandiera. In Italia, la contrarietà verso l'euro è molto ampia - superiore al 40% - non solo fra gli elettori vicini alla Lega, ma anche tra i simpatizzanti di Forza Italia e del M5s. Mentre in Francia l'ostilità verso la moneta unica coinvolge circa un terzo degli elettori dell'UMP (centro-destra) e, soprattutto, quasi metà di quelli del Front National. È, però, in GB che l'euro-scetticismo appare più ampio, come si è detto. In tutte le direzioni politiche. Fra i Laburisti e (ancor più) i Conservatori. Ma, ovviamente, soprattutto fra gli Indipendentisti. Visto che oltre 9 elettori su 10 dell'UKIP avversano la moneta unica. E l'85% la UE. D'altronde, questo partito ha fatto dell'antieuropeismo la propria "ragione sociale". E ne ha tratto grande vantaggio alle elezioni locali, ma soprattutto alle successive Europee del 2014, quando si è imposto come primo partito, in GB, con circa il 27% dei voti. D'altronde, in Francia, il FN, guidato da Marine Le Pen, amplificando il messaggio antieuropeo, si è affermato, proprio alle Europee, con il 25%. E oggi è accreditato del 30% dai principali istituti demoscopici, che lo indicano come probabile vincitore alle prossime départementales di fine marzo. L'antieuropeismo, associato alla paura dello straniero e alla chiusura verso gli immigrati, è, dunque, divenuto una "frattura" che attraversa i sentimenti e i sistemi politici in Europa. In Italia, è interpretata soprattutto, ma non solo, dalla Lega di Salvini. Che dal Nord sta scendendo, sempre più a Sud. Non per caso ha organizzato una manifestazione a Roma, proprio domenica prossima. Ma ne ha annunciata un'altra, in aprile, insieme ai Fratelli d'Italia, con la presenza di Marine Le Pen. Per rafforzare l'alleanza - e la frattura - antieuropea. La crisi greca, dunque, non può essere trattata come un male "regionale". Confinato ai margini dell'Europa. Perché riflette e riverbera un malessere diffuso. Che si respira dovunque. In Italia, evidentemente. Ma anche in Francia. In Spagna. Nella stessa Germania. Non credo proprio che l'Unione Europea possa proseguire a lungo il suo cammino "confidando" sulla "reciproca sfiducia" e sulla "paura degli altri". In nome di una moneta impopolare. Io, europeista convinto, penso che non sia possibile diventare "europei per forza". O "per paura".

    Ilvo Diamanti
    23 febbraio 2015
    www.repubblica.it/politica/2015/02/23/news/dietrofront_degli_italiani_ora_sono_i_pi_euroscettici-10...
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    wheaton80
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    00 12/03/2018 02:52
    Il grande sconfitto è il mito europeista

    A tutti quelli che fanno analisi molto complicate e politicistiche, che ritengono che un certo partito abbia perso barcate di voti per una parolina sbagliata in TV, per un obiettivo errato nel programma, per quel candidato indigesto ecc..., va ricordata una semplice verità: che il grosso dell’elettorato si orienta e ragiona in maniera molto più semplice. Se la «sinistra» è divenuta indigesta e invotabile agli occhi degli elettori questo si ripercuoterà a raggi concentrici, da Renzi a Grasso e ancora più a sinistra. Le distinzioni che gli appassionati di politica fanno, spaccando il capello in quattro, non hanno alcun valore e non sono intellegibili per l’elettore comune. Si tratta di capire perché vi sia stato un rigetto così ampio e probabilmente definitivo di ciò che è stato considerato «sinistra» negli ultimi decenni. Un fenomeno non sorprendente, e che viene da abbastanza lontano, da un’inversione di ruoli e di rappresentanza di ceti e di stili di vita, raffigurato plasticamente da tutte le analisi del voto degli ultimi anni, che hanno contrapposto benestanti soddisfatti dei centri cittadini a popolo delle periferie che esprimeva un bisogno al tempo stesso di ribellione e di protezione. Non è che mancassero offerte di sinistre possibili, anche molto variegate, se pure di scarsa qualità: a questo punto è mancata la domanda di sinistra, diciamo. Tutta la sinistra (moderata, radicale, antagonista) è stata percepita e giudicata dall’elettorato come parte integrante di un sistema da cambiare. Assistiamo anche in Italia all’inabissamento della sinistra liberal che era stata a lungo egemone con la sua visione del mondo.

    La stessa cosiddetta «sinistra radicale» era stata null’altro che l’ala estrema di questa ideologia diffusa, sensibilissima alle tematiche dei diritti civili e delle battaglie «umanitarie», di fatto inerte sul terreno dei diritti sociali. E anche complice della costruzione del mito europeista, che è sullo sfondo il grande sconfitto di questa consultazione. Parte integrante dell’establishment europeista il PD, molto spesso ascari della «più Europa» i suoi critici di sinistra. Non solo euro e regole ci troviamo di fronte, ma anche una ideologia complessiva potentissima e pervasiva, un fronte politico e culturale vastissimo, convinto che «più Europa» sia la soluzione ai problemi che l’Europa stessa ha posto con la sua folle attuazione. Si tratterebbe di affrontare un lavoro di lunga lena per demistificare – come si diceva un tempo – le risultanze di una egemonia costruita con molti decenni di impiego massiccio di risorse culturali, mediatiche, economiche, ma che riposa su basi storiche e teoriche fragilissime, testimoniate da quell’imbarazzante documento che è passato alla storia come «manifesto di Ventotene». Il problema dell’europeismo di sinistra è che ormai non è più soltanto ideologia sostitutiva di quelle novecentesche crollate nell’89 e non è più solo «religione civile» imposta ai sudditi dall’establishment. Ma ormai è religione vera e propria, con i suoi dogmi, i suoi atti di fede cieca e assoluta, il credo quia absurdum (credo perché è assurdo) e anche una dose massiccia di sacrifici umani.

    Cominciare almeno a porre il problema, discuterne apertamente e laicamente a sinistra, sarà sicuramente un fatto positivo (oltre che doveroso). Senza ripensare tutto sarà impossibile ripartire. Non mi faccio grandi illusioni: La Repubblica continuerà a delirare su populismo e «sovranismo», la sinistra continuerà a trattare da fascisti e razzisti le masse popolari che esprimono disagio per le loro condizioni di vita, continuerà a discettare di «ossessioni securitarie» e a immaginare che il “multiculturalismo” sia un pranzo di gala privo di lacerazioni e drammi. Si lascerà alla destra la difesa dell’interesse nazionale, e perfino l’esercizio della sovranità costituzionale, per la quale avevamo votato il 4 dicembre del 2016. «Non ci interessa la sovranità nazionale, siamo internazionalisti», dichiara la dirigente di una lista elettorale che ha preso l’1,1%. Ci si chiede da quando questa posizione, che ignora perfino il significato delle parole, e che sarebbe impossibile spiegare ai cubani, ai vietnamiti, ma anche ai curdi e a qualunque altro popolo, sia diventata luogo comune nella sinistra italiana. Anziché evocare il Popolo bisognerebbe cominciare almeno a parlarci. Quando ci si deciderà a farlo non sarà mai troppo tardi.

    Gianpasquale Santomassimo
    11 marzo 2018
    ilmanifesto.it/il-grande-sconfitto-e-il-mito-europeista/
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    wheaton80
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    00 18/02/2019 02:07
    L’Europa ormai è paralizzata. Governi in crisi e piazze in fiamme

    L’immagine che arriva in queste settimane dai diversi angoli d’Europa non è certamente delle più edificanti. Non c’è un Paese dell’Unione Europea che possa dirsi al sicuro da una crisi di governo o da proteste di massa. E da est a ovest, le piazze si infiammano e i governi appaiono sempre più fragili. Incapaci di portare avanti la propria agenda e soprattutto pericolosamente inclini a crisi sistemiche e da cui non appaiono mai capaci di uscirne rafforzati. Le immagini di quanto avvenuto in Albania sono state molto forti. La sede del governo, presa d’assalto nella giornata di sabato, è stato un segnale inequivocabile di quanto il malcontento in Europa stia diventando sempre più violento, feroce. Ma è soprattutto un senso di sfiducia che è sempre più incapace di rimanere incardinato nelle logiche della democrazia liberale. Le strade di Tirana invase da decine di migliaia di manifestanti sono molto simili a quelle che hanno caratterizzato Parigi, ad esempio. I quartieri del centro di Parigi, in questi mesi, sono apparsi non troppo diversi dalle vie della capitale albanese. E i metodi delle proteste sono talmente simili che sembra essersi creato un curioso (e pericoloso) trait d’union fra Paesi e aeree d’Europa che apparivano decisamente distanti sia nei metodi politici che nella cultura democratica. E invece, l’Europa sta cambiando e sta diventando sempre più evidente questa sorta di unità d’intenti delle popolazioni europee, che hanno intrapreso una strada di rottura e di protesta contro qualsiasi governo e qualsiasi establishment. E queste élite verso cui si rivolge la violenza dei dimostranti sembrano totalmente paralizzate, quasi tramortite da una violenza pura e che ha preso totalmente alla sprovvista le cancellerie d’Europa.

    A questa violenza, si contrappone una classe dirigente totalmente incapace di reagire e senza alcuna forza. E i governi iniziano a cadere, come tessere di un domino che sembra non avere fine. Lo ha fatto la Spagna, in cui Pedro Sanchez si è dovuto piegare non solo al voto del Parlamento, ma anche a una piazza che ha dimostrato di non volere più il leader socialista alla guida della Spagna. Mentre chi non cade, vacilla o rimane in una sorta di lenta agonia, quasi in attesa di un evento (probabilmente le europee) o della fine della legislatura. L’esempio del Regno Unito, in questo caso, è lampante. La Brexit ha lasciato Theresa May priva di qualsiasi tipo di credibilità internazionale per condurre in porto l’uscita di Londra dall’Unione Europea. Ma ha anche dimostrato come, a livello interno, le divisioni iniziano a essere enormi. L’Irlanda del Nord è il terreno di scontro di un Regno che appare sempre più disunito. E il rischio che anche in Gran Bretagna tornino ad animarsi violenze e pericoli per la tenuta del sistema politico britannico. La paralisi è totale. E colpisce anche l’Unione Europea. E questa situazione, come scritto sull’Huffington Post, “fa paura perché chi è pagato a Bruxelles come a Strasburgo per trovare risposte immediate e non tecniche a queste istanze già pensa solo alle prossime consultazioni, come se il 2019 fosse un anno qualsiasi e non l’anno della rabbia che tutto travolge, compresi i soliti gattopardi delle europoltrone”:

    www.huffingtonpost.it/2019/02/17/agonia-deuropa_a_23671359/?utm_hp_ref=it-...

    Ed è proprio questa incapacità di reagire da parte di Bruxelles e dei suoi leader più ottimisti (Emmanuel Macron e Angela Merkel in primis) a essere uno dei grandi problemi di questa Europa. I popoli si stanno ribellando ed esprimono in maniera sempre più violenta le proprie istanze. Ma di fronte a questo grido di disperazione feroce delle popolazioni del Vecchio Continente, la reazione o è tiepida o tramortita. Nessuno sa come rispondere. Si continua a presentare ricette fallimentari, si parla di numeri, di bilanci, di austerity. Ma di fronte a questa violenza e questa frustrazione espressa nelle diverse capitali dell’UE, nessuno sa come reagire. Se non attaccando quei partiti che rappresentano forse l’unica vera alternativa alla violenza: quei movimenti tacciati di populismo ma che di fatto rappresentano l’unico argine, almeno attualmente, all’esplodere delle violenze. L’Italia, in questo caso, insegna.

    Lorenzo Vita
    17 febbraio 2019
    www.occhidellaguerra.it/europagovernicrisi/fbclid=IwAR0BBfA3c2So1_Ukyl34RolbONZoSI6pxW2xS2pmYqWWOv84mzm...
    [Modificato da wheaton80 18/02/2019 02:08]
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    wheaton80
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    00 08/04/2020 14:50
    Financial Times: L'Europa sta perdendo l'Italia. L'UE non ci dà motivi per rimanere. Sarà Italexit

    www.youtube.com/watch?v=5xK0ISTcyfE&feature=share&fbclid=IwAR2bWgnkfsw730PJy7pDn7vIDc4xvnN-nnIWAIqLlB-TFyNy99F...
    [Modificato da wheaton80 08/04/2020 14:51]
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    wheaton80
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    00 02/02/2024 17:03
    La UE che dichiara guerra agli agricoltori firma la sua rovina

    La protesta agricola che da mesi serpeggia in Europa negli ultimi giorni si manifesta anche in Italia: pure da noi infatti i trattori sono scesi in strada per esprimere (in maniera fortunatamente composta e civile) un diffuso e profondo disagio. Le manifestazioni del malcontento delle campagne sono iniziate circa un anno fa in Belgio e Olanda. Nel Paese dei tulipani è nato addirittura un “partito degli agricoltori”, che ha registrato un clamoroso successo alle ultime elezioni provinciali, ottenendo il 19% dei voti, a dimostrazione di un consenso che va oltre il peso relativamente modesto della popolazione “contadina”. Il malessere di tutto il mondo agricolo europeo verso le politiche comunitarie si è poi diffuso con una sorta di “effetto domino”. Dalla Francia (dove il letame sparso dai "paysans" nei pressi dell'Eliseo è diventato simbolo della rabbia degli agricoltori per gli eccessi della burocrazia, la lentezza e le vessazioni di un'amministrazione accusata di non rispettare chi lavora nei campi), alla Germania (ove la "goccia che ha fatto traboccare il vaso" è stata l'abolizione delle agevolazioni sul gasolio agricolo annunciata dal governo "semaforo"), passando per Romania, Polonia, Ungheria e Grecia, tutto il vecchio continente è attraversato dall'agitazione degli agricoltori. Anche in Italia il fuoco della protesta da tempo covava sotto la cenere.

    Ed ora sembra accendersi, dando sfogo a motivazioni talora confuse, come sovente accade a chi pensa che "tutto va male": si reclama per le difficoltà del mercato, per i costi di produzione, per l’immobilismo di rappresentanze sindacali effettivamente in crisi d'identità, persino per i danni della fauna non autoctona introdotta da iniziative “ambientaliste” probabilmente avventate. Il “cittadino” potrebbe essere tentato di liquidare queste espressioni di protesta come un "bieco rigurgito reazionario" o come la difesa di “anacronistici privilegi corporativi" di un settore che nell’economia moderna appare, ad un esame superficiale, avere un peso molto modesto. Come nel detto per cui "quando il dito indica la Luna, lo sciocco guarda il dito", sarebbe un errore molto grave. L’agricoltura garantisce sicurezza alimentare e nei beni di consumo agli 8 miliardi di abitanti del pianeta e secondo le statistiche FAO la percentuale di sottonutriti è scesa dal 13,1% del 2002 ai valori inferiori all’8% registrati fra 2012 e 2019. Da non trascurare, tuttavia, è la lenta risalita nella percentuale di sottonutriti, con valori che dal 2020 si sono riportati al di sopra del 9%. Ricordiamo anche che grazie alla fotosintesi l’agricoltura globale assorbe ogni anno 42 gigatonnellate di anidride carbonica, mentre ne emette solo una decina. In sostanza è l’unico settore socioeconomico in rilevantissimo e strutturale attivo sul piano delle emissioni.

    Le statistiche ci dicono poi che a livello europeo il cibo prodotto dall’agricoltura non è mai stato tanto salubre: ad esempio in Italia, secondo i dati del Ministero della Salute (rapporto 2020), i campioni di alimenti con residui di prodotti fitosanitari non conformi alla nostra normativa (notoriamente molto restrittiva e prudenziale) sono solo l’1,5% tra gli ortofrutticoli e lo 0,7% tra i cereali, mentre nessun campione “fuorilegge” è stato riscontrato nei settori dell’olio e del vino. Non deve infine sfuggire il ruolo dell’agricoltura in termini paesaggistici: molti paesaggi che il cittadino si ostina a considerare naturali sono in realtà frutto dell’azione millenaria degli agricoltori, che oggi li mantengono grazie alla loro attività. A ciò si aggiunga che l’agricoltura controlla il territorio tutelandolo dal rischio idrogeologico, come dimostrano gli eventi alluvionali che hanno anche di recente colpito zone collinari che negli ultimi decenni sono state abbandonate dall’agricoltura e rioccupate da boschi spesso degradati. Un ulteriore elemento di giudizio per chi voglia andar oltre il luogo comune è dato dal fatto che l’agricoltura garantisce oggi reddito a circa 3 miliardi di esseri umani (di cui 1 miliardo dediti alla zootecnia), i quali operano in 590 milioni di aziende agricole (9,1 milioni nella sola Unione Europea). Questi dati evidenziano una complessità strutturale gigantesca e che dovrebbe indurre a rifuggire da interpretazioni basate su slogan o preconcetti ideologici: per comprendere le cause del disagio del settore agricolo europeo occorrerebbe spingersi a leggere i conti economici e colturali delle singole aziende.

    Flavio Barozzi & Luigi Mariani
    30 gennaio 2024
    lanuovabq.it/it/la-ue-che-dichiara-guerra-agli-agricoltori-firma-la-su...