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Il Likud sionista verso la sconfitta totale

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    wheaton80
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    00 14/12/2018 00:40
    Rete sionista gestiva turismo sessuale per pedofili in Colombia. Molteplici arresti, sequestrati beni e valori per decine di milioni di dollari

    Certe "elette" attività suscitano la riprovazione e l'intervento persino dei peggiori e più corrotti narco-regimi filo-yankee dell'America Latina. Le forze dell'ordine in Colombia hanno smantellato una rete di 12 cittadini dell'entità illegale sionista che gestivano una rete di traffico sessuale minorile insieme a due colombiani. L'Ufficio del Procuratore Generale della Colombia ha dichiarato che otto dei sospettati sono stati arrestati, compresi sei sionisti. Il presunto anello per il traffico sessuale forniva ai viaggiatori di Tel Aviv "pacchetti turistici" che includevano prostitute minorenni, che ricevevano tra 200.000 pesos ($ 63) e 400.000 pesos ($ 126) in cambio di servizi sessuali. Tra le accuse contro i membri del gruppo di trafficanti ci sono omicidio, cospirazione, traffico di esseri umani, traffico di minori, produzione di droga, fornitura di servizi di prostituzione e riciclaggio di denaro. Il leader del 'clan' era Mor Zohar, riferiscono i media in Colombia, mentre uno degli arrestati è un poliziotto colombiano. L'Ufficio del Procuratore Generale ha dichiarato che durante l'inchiesta sono stati sequestrati 150 miliardi di pesos ($ 47,3 milioni) tra valori e immobili, compresi alberghi, ostelli e altre attività legate al turismo. L'indagine è iniziata dopo l'omicidio del sionista Shai Azran a Medellin nel giugno 2016. La polizia in Colombia sospetta che l'assassino sia Assi Ben-Mosh, un altro sionista di 44 anni che ha operato in Colombia dal 2009. Ben-Mosh è stato arrestato nel 2003 nei Paesi Bassi con l'accusa di guidare una rete internazionale di traffico di droga. Le autorità colombiane monitorarono le attività di Ben-Mosh nella Nazione sudamericana e scoprirono che possedeva un hotel a Santa Marta, l'Hotel Benjamin, e che offriva "pacchetti turistici" e feste organizzate in cui la droga e il sesso sarebbero stati venduti in collaborazione con Zohar. La rete è sospettata di operare in un certo numero di città in Colombia, tra cui la capitale Bogotà, Medellin, Cartagena e Santa Marta.

    Suleiman Kahani
    11 dicembre 2018
    palaestinafelix.blogspot.com/2018/12/retesionistagestivaturismosessuale.htmlfbclid=IwARzjIQ7ZZ4dRHwWpeyBW-xKMVm9vqbbM7Kbxo6vxMoqyaC4mX8...
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    wheaton80
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    00 06/06/2019 16:45
    Crisi politica in Israele: Netanyahu caccia due ministri in vista del voto anticipato


    Naftali Bennett e Ayelet Shaked

    Il Premier israeliano Benjamin Netanyahu ha cacciato dall’esecutivo (che traghetterà il Paese alle nuove elezioni anticipate di settembre) due ministri di primo piano. Il provvedimento conferma la situazione di crisi e le profonde spaccature politiche, anche all’interno della stessa coalizione di maggioranza, in una Nazione chiamata due volte al voto in meno di un anno. Una fonte ufficiale vicina al gabinetto di governo del Primo Ministro Netanyahu conferma, dietro anonimato, che i destinatari del provvedimento sono il Ministro dell’Istruzione Naftali Bennett e il titolare della Giustizia Ayelet Shaked. Al momento non vi sono maggiori informazioni sulle ragioni che hanno determinato la frattura. Bennet e Shaked sono entrambi politici di destra, rivali dell’attuale Premier, e si sono allontanati dal partito di governo Likud a inizio anno. Il loro nuovo schieramento, posizionato anch’esso a destra, non è riuscito a conquistare voti sufficienti per superare la soglia di sbarramento e fare il suo ingresso in Parlamento (la Knesset). Al momento non è confermata una loro nuova partecipazione alle elezioni del 17 settembre. I due (ormai ex) ministri hanno diffuso una nota in cui confermano la sostituzione e ringraziano i cittadini israeliani, senza fornire maggiori dettagli. Nelle scorse settimane il Premier incaricato Netanyahu non è riuscito a formare un governo entro la scadenza prevista, il 30 maggio. Per non rischiare di essere estromesso dalla leadership a favore di rivali sempre più agguerriti, egli ha deciso di rischiare il tutto per tutto e indire nuove elezioni. La mossa ha, di fatto, tolto al Presidente Reuven Rivlin la possibilità di affidare ad altri il mandato esplorativo per la nascita di un esecutivo. In passato Netanyahu e Bennet si sono più volte scontrati per vicende legate alla vita politica e sociale del Paese; tuttavia, ad oggi non sono chiare le ragioni alla base del licenziamento. Entrambi in passato hanno fatto parte del comitato di sicurezza di Netanyahu. Il Jerusalem Post ha rilanciato fonti vicine al Primo Ministro, secondo cui il loro ruolo non aveva più ragione di essere, in seguito alla sonora bocciatura da parte degli elettori. Il loro licenziamento consente infine a Netanyahu di utilizzare i posti vacanti in un’ottica di contrattazione pre-elettorale.

    03/06/2019
    asianews.it/notizie-it/Crisi-politica-in-Israele:-Netanyahu-caccia-due-ministri-in-vistadelvoto-anticipato-47...
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    wheaton80
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    00 21/11/2019 23:49
    Israele: Benjamin Netanyahu è stato incriminato in tre casi

    Il Procuratore Generale di Israele Avichai Mandelblit ha incriminato Benjamin Netanyahu in tutti e tre i casi aperti da tempo sul Premier, accusato di corruzione, frode e abuso d'ufficio. Quella di Mandeblit è una decisione storica: è la prima volta che un Primo Ministro israeliano in carica viene incriminato per corruzione. Nelle 63 pagine del documento Netanyahu viene accusato di avere accettato centinaia di migliaia di euro in regali di lusso da amici miliardari e di aver concesso favori ad alcuni dei principali media israeliani affinché parlassero positivamente di lui. Netanyahu è accusato di frode e abuso di ufficio nel Caso 1000 (regali da facoltosi uomini di affari) e 2000 (rapporti con l'editore di Yediot Ahronot Arnon Mozes), ma è per il Caso 4000, in cui c'è anche l'accusa di corruzione, che il Premier rischia di più. Stando agli inquirenti Netanyahu avrebbe concesso una serie di favori normativi del valore di circa 1,8 miliardi di shekel (circa 450 milioni di euro) a Bezeq, la principale azienda israeliana nel settore delle telecomunicazioni. In cambio il Premier e sua moglie avrebbero ricevuto un trattamento di riguardo nelle notizie pubblicate da Walla, uno dei siti di informazione della compagnia, controllata ai quei tempi da Shaul Elovitch. Un 'do ut des' per cui sono indagati anche Elovitch e sua moglie. “È una giornata dura e triste per il popolo israeliano e per me personalmente”, ha detto Mandelblit spiegando l'incriminazione. “Ho deciso con cuore pesante, ma in piena coscienza. Questo era il mio dovere di fronte ai cittadini di Israele”. Mandelblit ha poi sottolineato di aver agito solo in base a considerazioni legali ed evidenze:“Nessuna altra considerazione mi ha influenzato”.

    Netanyahu:"Tentativo di golpe"
    La replica del Premier non si è fatta attendere. "C'è un tentativo di ribaltamento di potere nei confronti del Primo Ministro", ha detto Netanyahu. “Io ho molto rispetto per la magistratura ma bisogna essere ciechi”, ha spiegato, “per non vedere che lì succede qualcosa di non buono”. Netanyahu ha poi detto che la decisione di Mandelblit è resa nota in un "momento politico delicato di Israele". Il Premier si riferisce al fallimento dei negoziati per la formazione di un nuovo esecutivo condotti dal leader del partito Blu Bianco, Benny Gantz, al quale il Presidente Reuven Rivlin aveva affidato l'incarico, dopo la debacle dello stesso Netanyahu. Il rischio ora è che si torni nuovamente al voto, per la terza volta in 12 mesi. E in questo caso, per la prima volta in due decadi, Bibi potrebbe non essere più uno dei protagonisti della scena politica.

    21/11/2019
    it.euronews.com/2019/11/21/israele-benjamin-netanyahu-e-stato-incriminato-in-...
    [Modificato da wheaton80 22/11/2019 00:02]
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    wheaton80
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    00 24/12/2019 19:38
    Uno Stato criminale sotto indagine

    Le notizie che si leggono sui media israeliani di questo fine settimana mostrano che lo Stato Ebraico teme la decisione della Corte Penale Internazionale (ICC) di aprire un’inchiesta volta ad accertare se Israele abbia commesso crimini di guerra nei territori palestinesi. Un’indagine del genere potrebbe portare gli attuali ed ex funzionari governativi e il personale militare ad un’incriminazione da parte del tribunale internazionale. L’ICC indagherà sulla politica israeliana di insediamento dei propri cittadini in Cisgiordania, sulle azioni compiute a Gaza durante la guerra del 2014 e sulla risposta alle proteste palestinesi al confine con Gaza a partire dal marzo dello scorso anno. L’ICC esaminerà anche gli attacchi indiscriminati di Hamas e di altri gruppi palestinesi all’interno delle città israeliane.

    Israele ha in previsione di rifiutarsi di collaborare con l’ICC, anche se una mossa del genere potrebbe mettere a rischio di arresti internazionali una lunga lista di funzionari israeliani, compreso probabilmente il Primo Ministro, i Ministri della Difesa, i capi dell’IDF, i capi del servizio di sicurezza Shin Bet, vari ufficiali militari ed anche soldati semplici, se, in assenza di una risposta da parte dello Stato israeliano, l’ICC procedesse con l’incriminazione dei singoli individui per i reati loro contestati. La reazione israeliana alla decisione del Procuratore Capo dell’ICC, Fatou Bensouda, di aprire le indagini è assai istruttiva. Invece di rispondere con argomentazioni etiche e dimostrare la volontà di difendere le proprie azioni, Israele si nasconde dietro giustificazioni teologico-talmudiche, allo scopo di confutare la legittimità dell’ICC e rifiutare la sua giurisdizione su Israele e sui criminali di guerra israeliani. La difesa del Procuratore Generale israeliano Avichai Mandelblit si basa sulla presunta “assenza di giurisdizione”.

    Sabato scorso, Mandelblit ha affermato che Israele “è uno Stato di diritto democratico, obbligato ed impegnato a rispettare il diritto internazionale e i valori umanitari. Questo impegno è rimasto saldo per decenni, in tutti i tempi difficili e rischiosi che Israele ha dovuto affrontare. È radicato nel carattere e nei valori dello Stato di Israele ed è garantito da un sistema giudiziario forte ed indipendente… In una situazione del genere non c’è spazio per un intervento giudiziario internazionale”. È davvero una descrizione accurata di Israele? Se Israele è lo “Stato democratico della legge” che aderisce ad un sistema di valori universale, come afferma Mandelblit, perché Israele ha così paura che l’ICC possa indagare sul suo comportamento? La realtà di Israele contraddice la posizione di Mandelblit. Abbiamo a che fare con uno Stato criminale, responsabile di una pulizia etnica a livello istituzionale, che usa tattiche barbariche, segregando milioni di persone nel più grande carcere a cielo aperto mai conosciuto dall’uomo.

    Giusto per dimostrare quanto non sia etico lo Stato Ebraico, il Ministro dei Trasporti israeliano, Bezalel Smotrich, ha invitato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu a dare all’Autorità Palestinese un ultimatum di 48 ore per ritirare la petizione all’ICC o vedere “abbattuta” l’autorità politica di Ramallah. Anche il Presidente del Partito Blu e Bianco, Benny Gantz, ha attaccato la decisione dell’ICC. Citando i suoi decenni di servizio militare, compreso il fatto di essere stato il 20° Capo di Stato Maggiore dell’IDF, Gantz ha dichiarato senza mezzi termini che “l’IDF è uno degli eserciti più morali del mondo”. Gantz ha dimenticato di menzionare di essere lui stesso un sospetto criminale di guerra e che potrebbe essere messo sotto accusa dall’ICC. Nel 2016 avevamo saputo che il tribunale distrettuale dell’Aja aveva tenuto un’udienza preliminare per decidere se aprire o meno un procedimento per crimini di guerra contro Gantz, in relazione alle sue decisioni come comandante durante la guerra di Gaza del 2014. L’ex Ministro della “Giustizia,” Ayelet Shaked, ha definito la mossa “una decisione politica, ipocrita e prevedibile”. Shaked ha affermato che l’ICC “non ha l’autorità” di aprire un’indagine. Ha esortato il governo a “combattere la corte con tutti gli strumenti a sua disposizione”.

    Il Primo Ministro Netanyahu ha definito l’annuncio dell’ICC “un giorno oscuro per la verità e la giustizia”. Verrebbe da chiedersi come potrebbe essere per Netanyahu un momento brillante per la verità e la giustizia. Come ora vediamo e avremmo potuto prevedere, la risposta ufficiale israeliana in opposizione all’indagine dell’ICC è legalistica, piuttosto che etica. I funzionari israeliani hanno reso pubblica l’opinione legale di Mandelblit, sostenendo che il tribunale [dell’Aja] non è competente a condurre un’indagine. Invece di tentare di confutare la sostanza della denuncia, Israele e i suoi funzionari negano compatti la giurisdizione della corte. La logica dell’arroganza israeliana è abbastanza ovvia. Gli uomini di potere israeliani sono abbastanza intelligenti da rendersi conto del risultato potenziale di una tale indagine. Annullerebbe tutto quello che resta della volontà dei militari israeliani di impegnarsi in azione. I combattenti israeliani, soldati di fanteria, piloti, operatori di droni, comandanti, saprebbero che le loro azioni hanno conseguenze legali e, in pratica, potrebbero essere riluttanti ad eseguire certi ordini militari.

    L’ICC potrebbe aver chiuso la porta alle opzioni militari e alla strategia di Israele. Per un Paese che sopravvive con la spada e investe nella “Guerra tra le Guerre”, l’indagine dell’ICC è una minaccia letale. Non mi faccio troppe illusioni sul fatto che l’ICC riesca a svolgere il proprio operato. Prevedo intensi sforzi della Lobby per interferire con il lavoro della corte. Tuttavia, ormai sappiamo che un tentativo del potere ebraico di mettere a tacere l’opposizione al potere ebraico, può essere realizzato solo attraverso una manifestazione di tale potere. In Gran Bretagna, ad esempio, la lobby israeliana e i suoi tirapiedi all’interno della politica e dei media si sono smascherati da soli con la loro implacabile guerra contro Corbyn e il suo partito. Quando Corbyn e il suo partito sono stati letteralmente spazzati via, gli inglesi si sono resi conto di chi comanda veramente nel loro Paese. La Lobby è la benvenuta quando tira fuori i suoi denti aguzzi e interferisce con il lavoro dell’ICC. Potrebbe distruggere l’ICC, ma Israele non verrà scagionato dai crimini commessi contro i Palestinesi, poiché questi crimini sono stati commessi alla luce del sole, davanti agli occhi di tutti.

    Gilad Atzmon
    22.12.2019
    comedonchisciotte.org/uno-stato-criminale-sotto-indagine/
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    wheaton80
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    00 04/02/2020 19:47
    Il “deal del secolo”

    Il documento diffuso nei giorni scorsi dalla Casa Bianca, Peace to Prosperity, va inteso per quel che è: una proposta di lavoro su nuove basi, non un piano definitivo di pace. Secondo Thierry Meyssan, invece di protestare, bisognerebbe esaminare il progetto. Si tratta di un’occasione per sbloccare una situazione che s’incancrenisce da un quarto di secolo

    Quando alla conferenza dell’Aia del 1899 furono poste le basi del diritto internazionale, il problema era prevenire le guerre tra Stati attraverso l’arbitraggio. Quando l’impero britannico decolonizzò la Palestina ed esplose così il conflitto arabo-israeliano, il diritto internazionale non servì affatto, dal momento che non esistevano né uno Stato palestinese né uno Stato ebraico. Si raffazzonarono alla bell’e meglio regole incoerenti, che erroneamente continuiamo a considerare immutabili. I principi che gli Stati fondatori dell’ONU, fra cui la Siria, elaborarono con il piano di divisione della Palestina furono respinti da entrambe le parti. Quando l’Yishuv proclamò unilateralmente lo Stato d’Israele e mise immediatamente in atto una vasta pulizia etnica, la Nakba, l’ONU riconobbe il nuovo Stato, ma inviò il conte Folke Bernadotte per verificare la situazione sul campo. Il mediatore dell’ONU, constatati i crimini israeliani, raccomandò di limitare a due terzi il territorio assegnato allo Yishuv, ma venne assassinato dalla Lehi di Yitzhak Shamir prima di poter presentare il proprio rapporto a New York. Dopo oltre 700 risoluzioni dell’Assemblea Generale, nonché 100 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, il conflitto s’è aggravato senza che all’orizzonte s’intravvedano soluzioni. Il Presidente Trump si è prefisso la quadratura del cerchio prima del termine del mandato. Sin dalla sua elezione è stato a torto considerato filo-israeliano; è invece solo un uomo d’affari del Nuovo Mondo. Trump è partito dalle seguenti constatazioni:

    – Israele ha fatto una pulizia etnica sui territori che si è auto-attribuito nel 1948. Ha altresì vinto la guerra che ha scatenato nel 1967
    – I palestinesi hanno fatto guerra nel 1970 alla Giordania, nel 1973 a Israele, nel 1975 al Libano, nel 1990 al Kuwait e nel 2012 alla Siria: le hanno perse tutte

    Nessuna delle due parti intende però assumersi le conseguenze delle proprie azioni. La discussione è distorta da quando Yasser Arafat, non volendo essere messo ai margini dalla Conferenza di Madrid, abbandonò il progetto di Stato bi-nazionale, fondato sulla parità fra arabi ed ebrei, e violò il piano di spartizione del 1948 firmando gli Accordi di Oslo. Il principio che sottostà alla “soluzione dei due Stati”, immaginata da Yitzhak Rabin, ex alleato del regime sudafricano dell’apartheid, altro non è che la creazione di bantustan palestinesi, ossia l’estensione di quanto il Presidente Jimmy Carter ha definito «apartheid israeliano». Trump ha studiato un piano di pace che da due anni ha cominciato a far applicare senza clamore. Il 6 dicembre 2017 ha riconosciuto Gerusalemme capitale d’Israele, senza tuttavia precisarne i confini, sperando invano che l’Autorità palestinese traslocasse da Ramallah a Gerusalemme Est. Ha revocato il finanziamento USA all’UNRWA per obbligare la comunità internazionale a smettere di sponsorizzare lo status quo. Così facendo ha provocato l’ira dell’Autorità palestinese e la rottura delle relazioni diplomatiche tra Ramallah e Washington. In quanto discendente dal popolo che sottrasse agli indiani le loro terre, ha riconosciuto la conquista del Golan siriano, sperando di aprire un negoziato con Damasco, raccogliendo però solo la condanna di 193 Stati. Ha segretamente negoziato un accordo tra Israele e Hamas, che ha portato al pagamento dei funzionari di Gaza da parte del Qatar.

    Il documento pubblicato dalla Casa Bianca è presentato dagli stessi autori come inapplicabile perché non sostenuto dalle due parti (pag.10). Vi si espone un processo della durata di quattro anni, ossia lungo quanto il prossimo mandato presidenziale USA. È perciò un documento per uso elettorale negli Stati Uniti, non un piano definitivo di pace. Invece che lamentarci e denunciare il fatto compiuto, dovremmo sforzarci di capire dove vuole arrivare la Casa Bianca, tanto più che rifiutiamo la sovranità israeliana sul Golan. Da uomo d’affari, Donald Trump ha messo sul tavolo un piano inaccettabile in modo da ottenere molto meno, ma di arrivare alla pace. È discepolo di Andrew Jackson, il Presidente che sostituì alla guerra la negoziazione con gli indiani. Sicuramente l’accordo che Jackson firmò con i Cherokee fu sabotato dal suo stesso esercito e diede origine all’atroce deportazione del Sentiero delle Lacrime. Oggi però i Cherokee sono l’unico popolo amerindo sopravvissuto come tale all’immigrazione europea. Il documento pubblicato era anche una trappola in cui Benjamin Netanyahu è cascato in pieno. Senza aspettare, il Primo Ministro israeliano si è rumorosamente felicitato per il piano, in modo da eclissare il rivale, Generale Benny Gantz. Gli è andata male. Tutti gli Stati della Lega Araba hanno fatto fronte comune, compreso il Qatar, che aveva tuttavia partecipato in segreto alla stesura del piano. Anni di sforzi d’Israele per rompere il fronte arabo, appoggiandosi su Arabia Saudita, Qatar, Giordania e Oman, sono andati in fumo.

    Thierry Meyssan
    4 febbraio 2020

    Traduzione: Rachele Marmetti
    www.voltairenet.org/article209104.html
    [Modificato da wheaton80 04/02/2020 19:48]
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    wheaton80
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    00 17/03/2020 04:03
    Il vento in Israele sta cambiando. Netanyahu: tra processi e spallate politiche

    Il vento sta girando in Israele, ed è un vento che piace per nulla al Premier uscente Bibi Netanyahu. Che in poche ore è passato dalla più fragorosa euforia post elettorale al timore (praticamente terrore) di essere incredibilmente finito in un vicolo cieco, proprio lui che delle battaglie, con vittoria finale, ha fatto una leggenda. Lunedì scorso, al termine delle ennesime elezioni parlamentari in Israele (le terze in meno di un anno), il Premier più longevo (è in carica dal 2009, più un mandato di 3 anni dal 1996 al 1999) si era lasciato andare all’entusiasmo:«E’ la più grande vittoria della mia vita», l’aveva definita quando lo spoglio dei voti, ancora parziale, gli assegnava seggi a un soffio dalla maggioranza assoluta in Parlamento (61 seggi su 120). Maggioranza che avrebbe significato due cose, entrambe per lui di fondamentale importanza: possibilità di formare ancora una volta un governo e libertà di approvare una legge ad hoc che impedisse di processare un Premier in carica, rinviando tutto alla fine della legislatura. Perché il baratro, per Netanyahu, si sta avvicinando: il prossimo 17 marzo comincerà il processo a suo carico, con l’accusa di corruzione (sono 3 i procedimenti aperti). E’ la prima volta nella storia d’Israele che un capo di governo entrerà in tribunale come imputato.

    E oramai non riuscirà a evitarlo. Perché il conteggio degli ultimi voti, rallentato per via del coronavirus (oltre 5mila i voti espressi dagli elettori che lunedì 2 marzo si trovavano, per varie ragioni, in quarantena), ha riservato una brutta sorpresa a King Bibi. Vittoria confermata, ma alla fine il blocco del Likud, più i partiti conservatori e ultrareligiosi, ha ottenuto 58 seggi, 3 in meno del necessario per guidare la Knesset. I centristi Blu-Bianco di Benny Gantz, con il blocco di sinistra, ne hanno 55, compresi i 15 della Lista Unita degli arabo-israeliani. La destra laica di Israel Beytenu 7. Insomma, il solito stallo. Ma Gantz ha spinto improvvisamente sull’acceleratore, proponendo una legge che impedisca a un politico sotto processo di ricevere l’incarico a formare un nuovo governo. E Avigdor Lieberman, leader di Israel Beytenu ed ex allegato di Netanyahu, ha detto un doppio sì: alla proposta di legge e all’incarico da conferire non a Netanyahu ma a Benny Gantz. I numeri ci sono: 55 seggi del blocco di centrosinistra più i 7 di Lieberman fa 62. Una maggioranza che difficilmente si tradurrà in un potenziale governo (Lieberman ha dichiarato che mai farà parte di un esecutivo del quale facciano parte i partiti arabi, ma neanche di uno a guida Netanyahu), ma sufficiente a tagliare la strada al Premier uscente. E se Bibi fosse costretto a farsi da parte (anche se resta il leader più popolare e apprezzato dagli elettori), non è da escludere che Gantz possa proporre la formazione di un governo di unità nazionale. Fuori Bibi, tutti gli altri dentro.

    Società laica e stop al piano “di pace” americano
    Lieberman aveva posto cinque condizioni per sostenere la candidatura a Premier di Benny Gantz, tutte indirizzate alla laicizzazione della società. Tutte accettate da Gantz. Una sfida aperta a Netanyahu che è invece il più autorevole e fidato rappresentante dei partiti ultrareligiosi. Il piano potrebbe andar bene anche alla Joint List dei partiti arabi, nonostante la dichiarata incompatibilità di Lieberman e, in maniera più sfumata, di Blu-Bianco: perché così facendo spazzerebbero via il loro principale nemico ed eviterebbero l’applicazione del piano di pace americano, presentato da Trump come “l’Accordo del secolo” (che prevede tra l’altro l’annessione di ampie zone della Cisgiordania da parte dello Stato ebraico), uno degli argomenti chiave che ha comunque permesso a Netanyahu, nonostante tutto, di vincere ancora una volta le elezioni. Ma Gantz deve anche affrontare un accenno di “ribellione” interna, deputati che proprio nulla vogliono condividere con i partiti arabi, nemmeno come appoggio esterno.

    E il pallino è nelle mani del Presidente israeliano Reuven Rivlin: entro il prossimo 17 marzo (coincidenza di date) dovrà affidare, dopo un brevissimo giro di consultazioni, a un membro della Knesset l’incarico di formare un nuovo governo. Trovare la quadra, come sempre, sarà un’impresa. Scrive Shlomo Ben-Ami, ex Ministro degli Esteri israeliano nel governo laburista di Ehud Barak e attuale vicepresidente del Centro Internazionale per la Pace di Toledo:«E’ questo il vero, storico messaggio di queste elezioni. Se una battaglia per l’anima di Israele si sta svolgendo oggi, è tra la coalizione di estrema destra di Netanyahu e la Arab Joint List, non la sinistra ebraica o i centristi di Blu-Bianco. I sionisti liberali saranno in grado di arginare la crescente ondata di nazionalismo sfrenato solo attraverso un'alleanza condivisa con gli arabi israeliani».

    Tra proposte di Premier a rotazione e minacce di morte
    Un futuro fosco per l’ex Premier: e ora Netanyahu è una furia. Appena fiutato il cambio di vento ha cominciato a ringhiare:«E’ un attacco alla democrazia», ha gridato nel commentare il probabile accordo tra Lieberman e Gantz, «un tentativo illegittimo di falsare le elezioni». Il suo team di avvocati ha immediatamente presentato una richiesta di rinvio di 45 giorni dell’udienza del 17 marzo, per non aver ricevuto nei termini e nei modi previsti il materiale su cui si basa l’accusa: un cavillo procedurale usato solo per prendere tempo. Appena saputo dell’appoggio di Israel Beytenu, il Likud ha inoltre richiesto un’indagine sullo stesso Lieberman, per un vecchio caso di corruzione. Ma, sottotraccia, ha fatto pervenire a Blu-Bianco una proposta per formare una maggioranza con Premier a rotazione (in Israele non è una novità): Netanyahu Primo Ministro per il primo anno, seguito da due anni di Gantz e poi chiunque sarebbe stato il leader Likud al servizio dell'ultimo anno.

    Proposta, per ora, rifiutata. Ma c’è di più. Il Parlamento israeliano ha appena rafforzato la scorta a protezione di Benny Gantz, oggetto nelle ultime ore di “credibili” minacce di morte. Gantz, come riporta The Guardian, ha rivelato che un uomo ha cercato di aggredirlo sabato 7 marzo, durante un incontro pubblico, e che i sostenitori di Netanyahu continuano a minacciarlo online. Uno di loro, in un post, si augurava che Gantz fosse “eliminato come l'ex Primo Ministro Yitzhak Rabin”, assassinato da un ultranazionalista ebreo il 4 novembre 1995. In un altro post è stata pubblicata un’immagine ritoccata del leader di Blu-Bianco con indosso un copricapo arabo: fotomontaggi simili erano stati realizzati con il volto di Rabin, pochi giorni prima del suo omicidio. «Israele rischia di restare prigioniera di un passato fatto di divisione e di odio», ha recentemente dichiarato Noa Rothman, la nipote del Premier laburista Yitzhak Rabin. «Quel passato che non passa ha il volto di Benjamin Netanyahu».

    Andrea Gaiardoni
    ilbolive.unipd.it/it/news/vento-israele-sta-cambiano-netanyahu-...
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    00 22/01/2021 19:03
    Con la morte di Sheldon Adelson, Netanyahu perde il suo principale sostenitore



    Martedì il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha pianto la scomparsa del magnate americano dei casinò Sheldon Adelson, uno dei più fedeli sostenitori americani di Netanyahu, lodando i suoi sforzi per rafforzare i legami tra Stati Uniti e Israele che hanno contribuito a guidare la politica pro-Israele sotto l'Amministrazione Trump. Con la morte di Adelson, Netanyahu perde un fondamentale sostenitore statunitense, che negli ultimi quattro anni ha avuto l'attenzione del Presidente americano e ha lavorato instancabilmente per promuovere le priorità di Israele alla Casa Bianca e al Congresso. Ha anche salutato un importante attore dietro le quinte della politica israeliana che ha finanziato un influente quotidiano gratuito che fungeva da portavoce non ufficiale di Netanyahu. "Le grandi azioni di Sheldon per rafforzare la posizione di Israele negli Stati Uniti e per rafforzare i legami tra Israele e la diaspora saranno ricordate per generazioni", ha detto Netanyahu in una dichiarazione, aggiungendo di aver ricevuto la notizia della morte di Adelson con "profondo dolore e con il cuore spezzato". "Ricorderemo per sempre Sheldon e il suo grande contributo a Israele e al popolo ebraico". In una successiva dichiarazione più personale in inglese, Netanyahu ha detto che Adelson era "un meraviglioso amico per noi personalmente", dicendo che "il calore del suo cuore, la chiarezza del suo pensiero e la risolutezza delle sue azioni erano davvero eccezionali". I legislatori israeliani di tutto lo spettro politico così come altri personaggi pubblici si sono affrettati a lodare Adelson e il suo sostegno a Israele e alle cause ebraiche. Gideon Saar, che sta sfidando Netanyahu nelle prossime elezioni, ha detto che Adelson "ha dedicato il suo tempo e le sue energie a parlare a favore di Israele, presentando la causa di Israele ai decisori statunitensi e rafforzando i legami tra Israele e gli Stati Uniti". Isaac Herzog, un ex leader dell'opposizione e ora a capo dell'Agenzia Ebraica, un'organizzazione che lavora per rafforzare i legami tra Israele e la diaspora, ha definito Adelson "uno dei leader del popolo ebraico della nostra generazione, uno dei pilastri dell'educazione ebraica nel mondo".

    Adelson, figlio di immigrati ebrei, è stato un convinto sostenitore di Netanyahu e una forza trainante nel promuovere il forte programma pro-Israele del Presidente Donald Trump, inclusa la controversa mossa del trasferimento dell'ambasciata americana da Tel Aviv alla contestata Gerusalemme. Adelson era seduto in prima fila quando l'Amministrazione Trump ha inaugurato l'ambasciata di Gerusalemme nel maggio 2018 e ha partecipato alla presentazione del piano di Trump per il Medio Oriente alla Casa Bianca lo scorso gennaio, che ha favorito in modo schiacciante Israele rispetto ai palestinesi. Più di recente, secondo quanto riferito, ha acquistato l'anno scorso la residenza ufficiale dell'ambasciatore degli Stati Uniti vicino a Tel Aviv per circa 67 milioni di dollari in una mossa che è stata vista come un aiuto per impedire all'ambasciata di trasferirsi di nuovo a Tel Aviv dopo che Trump avesse lasciato l'incarico. Solo poche settimane fa, Adelson ha fornito un aereo privato a Jonathan Pollard, un ex analista dell'Intelligence statunitense che ha trascorso 30 anni in prigione per spionaggio per conto di Israele, per trasferirsi in Israele dopo la fine della sua libertà vigilata. Las Vegas Sands ha detto che il funerale di Adelson si terrà in Israele. Il suo attaccamento a Israele è durato tutta la vita ed era così profondo che una volta ha detto che avrebbe voluto che il suo servizio militare fosse stato in uniforme israeliana piuttosto che americana. Gli amici delle Forze di Difesa Israeliane, un gruppo che sostiene i soldati israeliani, hanno detto che Adelson è stato uno dei maggiori sostenitori dell'organizzazione e che aveva "adottato" tre brigate militari israeliane come parte di uno dei suoi programmi. Adelson era anche attivo nella politica israeliana, avendo lanciato un giornale gratuito chiamato Israel Hayom, che fungeva da portavoce non ufficiale di Netanyahu. Il giornale ha svolto un ruolo centrale nella politica israeliana, promuovendo esclusive e fughe di notizie dal suo ufficio e persino aiutando a innescare le elezioni nazionali nel 2015, quando un rivale di Netanyahu aveva cercato di approvare una legge che limitasse la sua influenza. È anche collegato a uno degli scandali di corruzione per cui Netanyahu è sotto processo.

    Netanyahu è accusato di aver promesso all'editore di un giornale rivale che avrebbe limitato l'influenza di Israel Hayom in cambio di una copertura più positiva nel quotidiano dell'editore, Yediot Ahronot. Adelson e sua moglie sono elencati come testimoni dell'accusa contro Netanyahu, che nega qualsiasi reato. "Il popolo israeliano non stava ottenendo una visione equa ed equilibrata delle notizie e delle opinioni ed è per questo che abbiamo fondato Israel Hayom", ha detto ai giornalisti durante una visita in Israele nel 2013. "Andate a leggere Yediot con tutti i suoi attacchi contro Bibi. Lo attaccano e basta. È questa una visione giusta ed equilibrata?". Bibi è il soprannome di Netanyahu. Dopo l'annuncio della morte di Adelson, il sito WEB di Israel Hayom era pieno di foto di Adelson, con il sito che pubblicava quattro articoli su di lui, incluso un necrologio scritto da sua moglie. Adelson ha sostenuto alcune cause legate al movimento degli insediamenti israeliani, tra cui l'Università di Ariel, l'unica università israeliana nel territorio occupato, così come la Città di David, un controverso parco archeologico situato in un quartiere arabo a Gerusalemme est. Adelson è stato anche un importante donatore per numerose e celebri cause, e la sua fondazione è stata una prolifica donatrice per gruppi ebrei e israeliani, incluso il Memoriale Nazionale dell'Olocausto di Israele, Yad Vashem. La dichiarazione dei redditi della sua fondazione di famiglia per il 2018 mostrava donazioni di 34 milioni di dollari alla Birthright Israel Foundation di New York, un programma che porta giovani ebrei da tutto il mondo in viaggi gratuiti in Israele. Elenca anche una donazione di 10,7 milioni di dollari alla Maccabbee Task Force Foundation. Il gruppo afferma sul suo sito WEB che si dedica alla lotta all'antisemitismo in generale e al movimento guidato dai palestinesi nei campus universitari che promuove boicottaggi e sanzioni contro Israele in particolare. Il ritorno di Adelson prevede anche contributi più modesti, come 10.000 dollari, alla comunità ebraica caraibica. Negli Stati Uniti, Adelson ha contribuito a sottoscrivere viaggi del Congresso in Israele, ha contribuito a costruire una nuova sede per il gruppo di lobbying American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) e in seguito è stato uno dei principali sostenitori del Consiglio Israelo-Americano, le cui conferenze hanno attratto repubblicani e democratici.

    Tia Goldenberg
    12 gennaio 2021
    Traduzione: Wheaton80

    apnews.com/article/sheldon-adelson-israel-benjamin-netanyahu-9e6fb531f3ac4f52a16e0d12...
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    wheaton80
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    00 15/06/2021 01:16
    Israele: approvato il governo Bennett-Lapid, la fine dell’era Netanyahu

    Il Parlamento israeliano ha approvato, con 60 voti a favore e 59 voti contro, un nuovo governo guidato da Naftali Bennett, in coalizione con il centrista Yair Lapid, mettendo fine a 12 anni di Benjamin Netanyahu come Primo Ministro. A seguito dell’approvazione da parte della Knesset, il Parlamento israeliano, il nuovo governo potrà prestare giuramento e insediarsi. L’ultranazionalista Bennett servirà come Primo Ministro per due anni, prima che Lapid subentri. Guideranno un esecutivo di partiti che rappresentano tutto lo spettro politico. L’estrema destra è rappresentata dalla coalizione “Yamina”, con Bennett come leader, dal partito “Nuova Speranza”, guidato dall’ex Likud Gideon Saar, e da “Israel Beytenu”, con a capo Avigdor Lieberman. Al centro, invece, c’è il partito “Blue and White”, guidato dall’ex vicepremier, Benny Gantz, e in cui è confluito il partito centrista e laico, Yesh Atid, di Lapid. Invece, a sinistra, troviamo “Ha’Avoda”, il partito laburista, “Meretz”, un partito politico di ispirazione laica e socialdemocratica, e la “United Arab List”, conosciuta in ebraico come “Raam”, un partito arabo che rappresenta parte dei palestinesi israeliani. Quest’ultimo è fuoriuscito il 28 febbraio 2021 dalla “Joint List”, un’alleanza politica degli altri quattro principali partiti politici palestinesi in Israele. La United Arab List, da sola, ha totalizzato il 3.79% delle preferenze e ha ottenuto 4 seggi. La Joint List ha preso il 4.81% dei voti e ha ottenuto 5 seggi. Il Primo Ministro designato Bennett ha tenuto un discorso di fronte alla Knesset prima del voto di fiducia e ha ringraziato il Premier uscente, Netanyahu, per i suoi “molti anni di servizio, ricchi di successi, per il bene dello Stato di Israele”. Tuttavia, ha gioito per questo “momento speciale” di cambiamento per il Paese. Lapid, rivolgendosi al capo di Stato israeliano, ha assicurato che il nuovo governo si impegnerà per unire le componenti della società israeliana, mettendosi a servizio di tutto il Paese, anche di chi non sostiene il nuovo esecutivo, i quali verranno comunque rispettati. Il 2 giugno, il leader centrista, Yair Lapid, alla guida del partito Yesh Atid, aveva annunciato ufficialmente di aver raggiunto un’intesa con le altre forze politiche israeliane per la formazione di un nuovo governo di unità nazionale. Lapid aveva informato il Presidente israeliano, Reuven Rivlin, di essere riuscito a trovare una maggioranza per un nuovo esecutivo. Già il 30 maggio, Bennett, a nome della coalizione Yamina, si era detto disposto a formare un governo di unità nazionale con Yesh Atid, dando nuovo impulso alle negoziazioni in corso. In totale, la nuova coalizione pensava di contare sul sostegno di 61 parlamentari; alla fine sono stati 60, con una risicata maggioranza nel Knesset e ricoprendo un ampio spettro politico.

    Maria Grazia Rutigliano
    13 giugno 2021
    sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/06/13/israele-approvato-governo-bennett-lapid-la-fine-dellera-ne...
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    wheaton80
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    00 23/11/2021 01:46
    Il Mossad israeliano scosso per le dimissioni di alti funzionari

    I servizi segreti esteri israeliani stanno assistendo a uno shock “di una pericolosa dimensione strategica”, dopo che tre generali, membri dei Capi di Stato Maggiore e Capi di tre divisioni centrali, hanno presentato le proprie dimissioni per protestare contro i cambiamenti fondamentali apportati dal nuovo capo dell'agenzia, David Barnea. Ex funzionari del Mossad hanno avvertito delle conseguenze di questi cambiamenti e del loro impatto sulle operazioni pianificate a breve termine. Secondo fonti ben informate, le divisioni che hanno visto dimettersi i loro capi includono la Tecnologia, la Guerra al Terrore e la Tsumet, che è responsabile dell'operatività degli agenti. Anche il Capo della Divisione Guerra Strategica dovrebbe dimettersi. Molti credono che gli ultimi sviluppi lascerebbero effetti devastanti e minerebbero le operazioni strategiche. Secondo un'ex fonte di alto rango dell'apparato, almeno due dei generali dimissionari erano considerati tra i principali candidati alla guida del Mossad in futuro, cioè dopo la fine del mandato di Barnea. L'ex capo del Mossad, Yossi Cohen, aveva stabilito forti relazioni amichevoli all'interno dell'apparato, ed è stato in grado di concentrare la maggior parte degli sforzi sulle operazioni estere, in particolare quelle effettuate sul suolo iraniano per combattere il progetto nucleare. Barnea, che era stato nominato alla carica dall'ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu e si era insediato all'inizio di giugno, ha deciso di apportare cambiamenti fondamentali all'interno del Mossad, cancellando diversi dipartimenti, che considerava vecchi e non utili, e unendone altri. Di conseguenza, un gran numero di alti ufficiali perderà il lavoro e dovrà lasciare il servizio, mentre altri generali perderanno i loro poteri, scatenando una grande rabbia nei loro ranghi.

    Traduzione: Wheaton80
    13 novembre 2021
    english.aawsat.com/home/article/3302061/israeli-mossad-shaken-resignation-senior-o...
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    wheaton80
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    00 28/07/2023 14:13
    Le aziende tech stanno scappando da Israele

    In Israele, Wix e Wiz sono l'emblema delle aziende di successo. Fondata nel 2010, Wiz è una piattaforma per costruire siti WEB, oltre che una delle società tecnologiche più note del Paese e tra quelle con valutazione più alta del settore. Wiz invece è una società di cybersicurezza molto quotata: lanciata un decennio dopo Wix, ha raggiunto una valutazione di 10 miliardi di dollari nel giro di due anni, quasi la metà del tempo impiegato da aziende come Uber e Snapchat. Oggi però le due società stanno imboccando strade diverse: Wix sta aumentando il suo impegno in Israele, mentre Wiz sta tagliando i ponti con il Paese. Negli ultimi sette mesi, Israele è attraversato da una crisi politica. A gennaio, Benjamin Netanyahu, arrivato al suo sesto mandato come Primo Ministro e sostenuto da una coalizione che comprende partiti di estrema destra, ha presentato un disegno di legge che punta a indebolire i poteri della Corte Suprema Israeliana. I sostenitori dell'iniziativa sostengono che è necessaria per evitare le ingerenze politiche del massimo tribunale israeliano. I critici sostengono che la riforma indebolirebbe la democrazia israeliana garantendo al governo un potere incontrollato. Nonostante le grandi proteste, questa settimana i legislatori israeliani hanno approvato la prima parte della riforma giudiziaria. Il conflitto è percepito in modo particolarmente accentuato nella "Startup Nation", il nome con cui è stato ribattezzato l'influente settore tecnologico israeliano. In Israele molti lavoratori tech hanno partecipato alle proteste contro la riforma giudiziaria e i dirigenti delle aziende hanno espresso apertamente i loro timori per i possibili effetti sulla stabilità economica e sociale del Paese. Prima del voto sul disegno di legge, circa 200 aziende tecnologiche si erano impegnate ad aderire alle proteste. All'indomani del voto, un gruppo chiamato Movimento di protesta Hi-Tech Protest ha comprato degli spazi pubblicitari su almeno quattro diversi giornali, oscurandone le prime pagine, per sottolineare il "giorno nero per la democrazia". "L'industria israeliana dell'alta tecnologia è molto coinvolta, molto impegnata in ciò che sta accadendo", afferma Merav Bahat, Amministratore Delegato della società di sicurezza informatica Dazz, che racconta di sostenere i dipendenti che si sono assentati dal lavoro per scioperare o partecipare alle proteste.

    Tra opposizione e fuga
    I dati pubblicati nello scorso fine settimana da Start-Up Nation Central, un'organizzazione no-profit che promuove la tecnologia israeliana all'estero, mostrano che quasi il 70 per cento delle startup israeliane si sta adoperando per allontanarsi dal proprio Paese, ritirando denaro o spostando la propria sede legale. Wix dice che resterà in Isreale:"Rimarremo qui e combatteremo per ciò che è giusto", ha dichiarato a maggio Nir Zohar, cofondatore e direttore operativo dell'azienda, in un'intervista a Wired UK. Questo mese Wix ha confermato la sua posizione. Ma Zohar dice che la riforma giudiziaria ha introdotto incertezza non solo per gli investitori, ma anche per le persone che vogliono vivere in Israele all'insegna dei valori liberali. Zohar definisce la situazione "spaventosa" ed evidenzia "l'enorme impatto sul tipo di talenti che popolano l'industria tecnologica". Questa settimana, i dipendenti di Wix hanno aderito a uno sciopero generale per protestare contro l'esito del voto. Le società che scelgono di rimanere però sono sempre più rare. Secondo un rapporto di maggio dell'Israel Innovation Authority, più del 50 per cento delle nuove aziende fondate nel marzo 2023 (lo stesso mese in cui la legge è stata approvata dal parlamento israeliano) sono state costituite come società straniere, anziché israeliane.

    innovationisrael.org.il/en/sites/default/files/ENG%20-%20%20Innovation%20Authority%20Position%20Paper_F...

    Meno startup israeliane significa un gettito fiscale più basso per il governo, ha aggiunto l'Israel Innovation Authority. In Israele il settore tecnologico è responsabile di oltre la metà delle esportazioni e il Paese incassa 50 miliardi di shekel (circa 12 miliardi di euro) all'anno dal comparto. Wiz è tra i soggetti che stanno prendendo le distanze dal proprio Paese. Da tempo le aziende israeliane operano con un piede in Israele e l'altro in mercati più grandi, come gli Stati Uniti, dove possono accedere a maggiori finanziamenti e un bacino di clienti più ampio. Ma secondo quanto riportato da Reuters, a febbraio Wiz ha ritirato decine di milioni di dollari da Israele. Quando nello stesso mese l'azienda ha raccolto 300 milioni di dollari, il suo Amministratore Delegato ha dichiarato che nemmeno una parte del denaro sarebbe stato investito in Israele:"Data l'incertezza sull'indipendenza delle istituzioni in Israele e in seguito a una valutazione del rischio, terremo i fondi nelle banche statunitensi", ha dichiarato il cofondatore dell'azienda, Assaf Rappaport, al Times of Israel.

    I timori delle imprese
    Alcuni imprenditori hanno criticato apertamente la legge e il Governo Netanyahu. Quando nel 2016 Eynat Guez ha fondato l'azienda di gestione di buste paga Papaya Global, era orgogliosa di essere la cofondatrice di un'azienda israeliana. Oggi prenderebbe la stessa decisione? "No al 10 per cento", dice. "Se avessi la possibilità di cambiare questa decisione, lo farei". In una lettera aperta inviata agli investitori lunedì 24, Guez ha scritto che il suo Paese è stato "sabotato da un gruppo di fanatici" e che Netanyahu è disposto a "sacrificare la democrazia israeliana" per garantire la propria sopravvivenza politica. "In seguito a questa revisione politica, gli imprenditori israeliani creeranno delle società all'estero", si legge nella lettera. "E' semplicemente troppo rischioso esporre gli investitori a un sistema giudiziario ambiguo, privo di una vera supervisione, in cui non hanno alcuna protezione e nessun modo di ricorrere a vie legali".

    www.calcalistech.com/ctechnews/article/hywhelh52

    A gennaio la società ha annunciato che avrebbe trasferito tutto il suo denaro fuori da Israele e Guez ha dichiarato a Wired UK che Papaya non gestisce più alcun fondo di investimento nel Paese. Per Guez, il problema è che fare impresa in Israele lascia la proprietà intellettuale dell'azienda alla mercé di un governo che ora non può più essere controllato dai tribunali. Guez sostiene che gli investitori sono già spaventati:"Eravamo un luogo in cui gli investitori e le multinazionali di venture capital arrivavano a cadenza settimanale", racconta. La situazione è cambiata drasticamente da gennaio, quando il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha presentato le sue riforme:"Bastano meno di 10 dita per contare gli investitori che sono arrivati in Israele quest'anno", commenta Guez. Il 25 luglio, Morgan Stanley ha declassato il rating di Israele, mentre la società di valutazione del rischio Moody's ha evidenziato un "rischio significativo" legato alle tensioni politiche nel Paese. La notte precedente, migliaia di persone hanno partecipato alle manifestazioni, dove la polizia ha sparato acqua sulla folla. I riservisti dell'esercito hanno minacciato di non prestare servizio. Ci si aspetta che la legge del governo venga contestata anche dalla stessa Corte Suprema, i cui poteri sono destinati a essere limitati. Nel frattempo, i manifestanti si sono impegnati a continuare a lottare. Tra loro ci sono molti lavoratori del settore tecnologico. "Nessuno di noi credeva che questo momento sarebbe davvero arrivato", dice Guez. 2Dobbiamo adattarci all'economia che cambia e alla situazione che cambia”. Per alcuni questo significa aiutare a fare pressione sul governo, per altri elaborare piani di emergenza. Per il settore tech israeliano si tratta di una battaglia per la propria sopravvivenza, in cui sono in gioco la democrazia, ma anche il talento del settore e il sostegno degli investitori. "Dobbiamo continuare a essere una democrazia liberale per continuare a essere uno dei luoghi più attraenti per i giovani talenti che hanno altre possibilità", dichiara Nadav Zafrir, cofondatore e AD della società di venture capital per la cybersecurity Team8. "Dobbiamo far parte della società delle nazioni che sono democrazie liberali, perché questi Paesi sono i nostri investitori, soprattutto Europa e Stati Uniti".

    Morgan Meaker
    28 luglio 2023
    www.wired.it/article/israele-aziende-tecnologiche-fuga-p...
    [Modificato da wheaton80 28/07/2023 14:14]
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    wheaton80
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    00 14/02/2024 17:50
    A Gerusalemme la “Conferenza per la Vittoria di Israele” minaccia Londra e Washington


    Uzi Sharbaf

    La Conferenza per la Vittoria di Israele
    Due settimane fa, al Centro Internazionale dei Congressi di Gerusalemme, si è svolto un evento, quasi festoso, cui hanno partecipato star della canzone, denominato «Conferenza per la Vittoria di Israele - Le colonie portano la sicurezza: il ritorno alla Striscia di Gaza e alla Samaria settentrionale». Vi hanno partecipato 12 ministri, tra cui il Primo ministro Benjamin Netanyahu. Tuttavia nessun esponente politico, nemmeno il Ministro per la Sicurezza, Itamar Ben Gvir, hanno ricevuto le frenetiche ovazioni riservate al rabbino Uzi Sharbaf, cruciale protagonista nell’attuale dibattito in Israele, ancorché sconosciuto all’estero. La sua presenza ha ravvivato nei partecipanti la speranza del riscatto da quello che chiamano il «peccato» del ritiro nel 2005 dagli insediamenti ebraici di Gaza. Nelle ore successive, Yaakov Margi (Shas), Ministro della Protezione Sociale e degli Affari Sociali, ha dichiarato che i suoi colleghi avrebbero dovuto «riflettere» prima di partecipare a simile pagliacciata. Il capo dell’opposizione, Yaïr Lapid, ha deplorato che Benjamin Netanyahu, che «in altri tempi era al centro del panorama politico nazionale, ora si lasci portare a spasso dagli estremisti» e abbia «toccato il fondo».

    Il Generale Benny Gantz ha dichiarato che la Conferenza è stata «un insulto alla società israeliana in tempo di guerra, che nuoce alla legittimità che il mondo ci riconosce e agli sforzi per creare una situazione favorevole al rientro degli ostaggi». Riferendosi alla partecipazione del Primo Ministro ha aggiunto:«Chi balla e divide non decide, chi è silenzioso e si lascia trascinare non è un capo politico». Il giorno successivo, il Presidente Joe Biden, quasi spaventato da un demone rispuntato dal passato, ha firmato un decreto che vieta ad alcuni coloni estremisti l’ingresso negli Stati Uniti, ma soprattutto vieta le raccolte di fondi e i trasferimenti di denaro a favore degli accoliti del rabbino Uzi Sharbaf. Queste sanzioni si applicano non solo negli Stati Uniti, ma valgono anche per tutte le banche straniere che hanno interessi negli Stati Uniti, quindi sono di fatto estese a tutto l’Occidente politico [1]. Inoltre, l’Amministrazione Biden, che finora sosteneva, seppur con discrezione, il massacro a Gaza fornendo granate e altre munizioni, ha cominciato improvvisamente a cercare una via d’uscita dalla crisi. Il segretario di Stato, Antony Blinken, è partito per una nuova missione nelle capitali della regione, questa volta però con delle proposte. Perché l’esibizione del rabbino Uzi Sharbaf sul palco della Conferenza ha provocato siffatte reazioni? Per capirlo si deve tornare al 1922. All’interno del movimento sionista revisionista c’è infatti una fazione ancora più fanatica, che non teme di attaccare gli anglosassoni.

    La “Banda Stern”
    I “sionisti revisionisti” sono i discepoli di Vladimir Ze’ev Jabotinskij, fascista ucraino che nel 1922 si alleò con i “nazionalisti integralisti” ucraini di Simon Petliura e di Dmitro Dontsov per combattere i sovietici. Nel corso di quest’alleanza, i “nazionalisti integralisti” massacrarono non soltanto anarchici e comunisti ucraini, ma anche decine di migliaia di ebrei ucraini. Rifiutando di fornire giustificazioni, Jabotinsky si dimise dall’incarico di Amministratore dell’Organizzazione sionista mondiale e creò l’Alleanza dei Sionisti Revisionisti. Con l’aiuto di Benito Mussolini fondò in Italia un’organizzazione fascista paramilitare, il Betar. I “sionisti revisionisti” si dissociarono dalla milizia comunitaria ebraica in Palestina, la Hahanah, e [nel 1931] fondarono una propria milizia, l’Irgun [Organizzazione Militare Nazionale] [2]. Al termine della seconda guerra mondiale i “sionisti revisionisti” continuarono a inseguire il loro sogno fascista, ormai senza l’aiuto degli omologhi italiani. In una lettera al New York Times, Albert Einstein, Hannah Arendt e altre personalità ebraiche paragonarono l’Irgun alle formazioni fasciste e naziste [3].

    [Nel 1939] l’Irgun si scisse e diede vita al LEHI [acronimo di Lohamei Herut Israel, Combattenti per la Libertà di Israele], denominato dalla polizia britannica Gruppo Stern o Banda Stern [4]. Questo gruppo era direttamente legato al governo fascista polacco (Avraham Stern contribuì alla prima versione del «piano Madagascar»). Stern e i dirigenti del suo gruppo furono arrestati all’inizio della seconda guerra mondiale, ma rilasciati quando il governo polacco in esilio si ricostituì a Londra. Il LEHI riprese contatto con i fascisti italiani, poi offrì aiuto ai nazisti per espellere gli ebrei europei verso la Palestina. Dopo qualche esitazione i nazisti rifiutarono. Nei primi due anni di guerra il LEHi intensificò gli attentati contro i britannici e gli ebrei di sinistra. A febbraio 1942 Avraham Stern fu arrestato e ucciso da un ufficiale del CID [Criminal Investigation Department] britannico.

    Il LEHI fu riorganizzato da Yitzhak Shamir, che si liberò dai suoi rivali facendoli uccidere. Nel 1944 il LEHI ricominciò a compiere attentati contro i britannici. Per poco non riuscì a eliminare l’Alto Commissario della Palestina, Harold MacMichael; riuscì invece ad assassinare il Ministro delle Colonie, Lord Moyne. David Ben Gurion, che restò fedele ai britannici, lanciò una campagna della Haganah per stoppare le azioni dell’Irgun e del LEHI. Molti membri di queste organizzazioni furono arrestati. Tuttavia, nel 1945, Ben Gurion organizzò in segreto una riconciliazione con i sionisti revisionisti del “Movimento della Rivolta Ebraica”. L’alleanza però non tenne. Il LEHI organizzò l’attentato contro il governo britannico della Palestina mandataria e il suo comando militare, entrambi ospitati nel King David Hotel. Ci furono 91 morti e 46 feriti. Dopo l’arresto di Yitzhak Shamir, il LEHI non cessò le azioni terroristiche. Anzi, per ottenere il ritiro dei britannici dalla Palestina le estese a Londra. Poi cominciò a colpire gli arabi e perpetrò il massacro di Deir Yassin.

    Con la proclamazione unilaterale dello Stato di Israele, l’Irgun e il LEHI furono integrati nelle Forze di Difesa Israeliane. Per definire i confini tra i due Stati, quello ebraico e quello arabo, le Nazioni Unite inviarono il conte svedese Folke Bernadotte, che venne ucciso in un attentato organizzato da Yitzhak Shamir [5] ed eseguito da Yehoshua Cohen. Nell’attentato morì anche il Colonnello francese dei Caschi Blu, André Sérot, che fu sostituito da Pierre Gaïsset (nonno dell’autore di questo articolo). I “sionisti revisionisti” cambiarono etichetta e fondarono un nuovo partito, lo Herut, del quale Menachem Begin assunse la presidenza. Nel 1952 Yehoshua Cohen fondò il kibbutz di Sde Boker, dove l’anno dopo il Primo Ministro Ben-Gurion vi trasferì la residenza e Yehoshua Cohen diventò la sua guardia del corpo.

    Il Jewish Underground
    In seguito non si trovano più tracce del Gruppo Stern. Tuttavia, dopo la Guerra dei Sei Giorni, il Blocco dei Fedeli (Gush Emunim) propagò l’idea che Jahvè avesse assegnato l’intera Palestina agli ebrei, che perciò avevano non solo il diritto, ma anche il dovere di occupare per consentire il compimento delle Scritture. Questo movimento si sviluppò attorno al rabbino Zvi Yehouda Kook; insegnava che i primi israeliani laici avevano certamente avviato l’opera, ma che solo i religiosi sapevano come portarla a termine. Fu in questo contesto che Yehuda Etzion, figlio di un membro della “Banda”, rifondò il Gruppo Stern. Ne usò il simbolo: un pugno e due dita alzate, ma gli diede un nuovo nome, Jewish Underground (letteralmente: Sotterraneo Ebraico).

    Dopo gli Accordi di Camp David, firmati nel 1978 dall’ex fratello mussulmano Anwar al-Sadat e dal sionista Menachem Begin, l’organizzazione si costituì formalmente. Si oppose alla restituzione da parte di Israele del Sinai all’Egitto. Costituì due cellule: la prima diretta dallo stesso Yehuda Etzion, per distruggere la Cupola della Roccia, al centro della moschea di Al-Aqsa, e ricostruirvi il Tempio di Gerusalemme; la seconda per seminare il terrore tra gli arabi anticolonialisti. Il rabbino Uzi Sharbaf fu Capo del Jewish Underground. Nel 1984 fu condannato all’ergastolo dalla giustizia israeliana perché implicato in una serie di sanguinosi attentati contro i palestinesi. Nel 1991 fu liberato, con molta discrezione, da due sionisti revisionisti, il Presidente Chaim Herzog e il Primo Ministro Yitzhak Shamir. La presenza di Uzi Sharbaf e l’accoglienza tonitruante riservatagli dalle migliaia di militanti fa temere il ritorno del terrorismo sionista contro gli anglosassoni. La reazione di Washington dimostra che gli Stati Uniti tollerano il terrorismo sionista quando ne sono vittime i palestinesi, ma lo condannano quando sono gli Stati Uniti a esserne minacciati.

    Note

    [1] www.whitehouse.gov/briefing-room/presidential-actions/2024/02/01/executive-order-on-imposing-certain-sanctions-on-persons-undermining-peace-security-and-stability-in-the-we...
    [2] Irgun: Revisionist Zionism, 1931-1948, Gerry van Tonder, Pen & Sword Military (2019)
    [3] ia800704.us.archive.org/5/items/AlbertEinsteinLetterToTheNewYorkTimes.December41948/Einstein_Letter_NYT_4_Dec_1948_...
    [4] The Stern Gang. Ideology, Politics and Terror, 1940-1949, Joseph Heller, Routledge (1995)
    [5] Bernadotte in Palestine, 1948: A Study in Contemporary Humanitarian Knight, Amitzur Ilan, Macmillan (1989)

    Thierry Meyssan

    Traduzione: Rachele Marmetti
    13 febbraio 2024
    www.voltairenet.org/article220431.html
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    00 19/03/2024 01:56
    Gli ultimi rantoli del fascismo ebraico

    L'amministrazione Biden assiste paralizzata alla reazione di Israele all’attacco della Resistenza palestinese – comprensiva di Hamas, denominata Diluvio di Al Aqsa (7 ottobre). L’operazione Spade di Ferro inizia con il bombardamento a tappeto della città di Gaza, d’intensità mai vista nel mondo e nella storia, nemmeno durante le due guerre mondiali. Il 27 ottobre, ai bombardamenti, si aggiungono l’intervento di terra, i saccheggi e le torture di migliaia di civili di Gaza. In cinque mesi i civili uccisi o scomparsi sono 37.534, di cui 13.430 bambini e 8.900 donne, 364 tra medici e personale sanitario, e 132 giornalisti [1].

    Inizialmente Washington reagisce sostenendo senza esitazioni «il diritto di Israele a difendersi», minacciando di opporre il veto a ogni richiesta di cessate-il-fuoco e fornendo le bombe necessarie alla distruzione generalizzata dell’enclave palestinese. Gli Stati Uniti non possono infatti permettersi un’altra sconfitta, dopo quelle di Siria e Ucraina. Ma sui cellulari gli statunitensi assistono in diretta agli orrori compiuti da Israele. Molti alti funzionari del dipartimento di Stato dichiarano, a voce e per iscritto, la loro vergogna per il sostegno a questo macello. Circolano petizioni. Alcuni dirigenti, ebrei e mussulmani, si dimettono.

    In piena campagna elettorale per la presidenza, la squadra di Joe Biden non può permettersi di continuare a macchiarsi le mani di sangue. Comincia a premere sul gabinetto di guerra israeliano perché avvii negoziati per la liberazione degli ostaggi e per un cessate-il-fuoco. La coalizione di Netanyahu rifiuta, profitta del trauma subìto dagli israeliani per ribadire che ci potrà essere pace solo dopo l’eliminazione di Hamas. Washington alla fine si rende conto che quanto accaduto il 7 ottobre è stato mero pretesto per permettere ai discepoli di Jabotinsky di realizzare ciò cui da sempre ambiscono: espellere gli arabi dalla Palestina. Gli Stati Uniti si fanno perciò più pressanti, sottolineando che i palestinesi hanno diritto di vivere; che, secondo il diritto internazionale, la colonizzazione dei territori palestinesi è illegale e che la questione israelo-palestinese può essere risolta con la «soluzione a due Stati» (non già con l’istituzione di uno Stato binazionale, come prevede la risoluzione 181 del 1947).

    I “sionisti revisionisti” (ossia i discepoli di Jabotinsky [2]) rispondono organizzando il 28 gennaio la Conferenza per la vittoria di Israele [3]. Il protagonista della manifestazione è il rabbino Uzi Sharbaf, condannato in Israele all’ergastolo per crimini razzisti contro arabi, ma graziato dai suoi amici. Sharbaf non esita a proclamarsi erede del Lehi e del gruppo Stern che, a fianco del duce Benito Mussolini, combatterono contro gli Alleati.

    A Washington e Londra capiscono perfettamente il messaggio: il gruppuscolo intende imporre la propria volontà agli anglosassoni ed è pronto ad attaccarli se tentassero di impedire la pulizia etnica. La Casa Bianca reagisce immediatamente decretando il divieto di raccogliere fondi a loro favore e di trasferirglieli [4]. Il divieto viene esteso a tutte le banche occidentali, a norma del Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA). L’8 febbraio il presidente Joe Biden firma anche un Memorandum sulle condizioni per il trasferimento di armi statunitensi [5]: entro il 25 marzo Israele deve impegnarsi per iscritto a non violare né il Diritto umanitario internazionale (non il Diritto internazionale tout court) né i Diritti umani (nel senso della Costituzione statunitense, non nel senso che gli attribuiscono i francesi). I parlamentari dei Paesi Bassi e del Regno Unito iniziano a loro volta a discutere la possibilità di smettere di fornire armi a Israele. In Israele l’opposizione democratica ebraica organizza manifestazioni antisioniste, che però non hanno grande seguito. Gli oratori che intervengono sottolineano il tradimento del primo ministro, che strumentalizza il trauma del 7 ottobre non per salvare gli ostaggi, ma per realizzare il proprio sogno coloniale.

    I “sionisti revisionisti” allora lanciano un’offensiva mediatica contro l’Agenzia delle Nazioni unite per i profughi palestinesi nel Medio Oriente (UNRWA), che dal 1949 provvede alla scolarizzazione, al cibo, alle cure mediche e ai servizi sociali di 5,8 milioni di apolidi palestinesi in Palestina, ma anche in Giordania, Libano e Siria. L’UNRWA ha un bilancio annuale superiore a un miliardo di dollari e oltre 30 mila dipendenti. Già nel 2018 il presidente Donald Trump mise in discussione l’assistentato ai palestinesi e sospese il finanziamento statunitense all’Agenzia. L’obiettivo era costringere le fazioni palestinesi a riprendere i negoziati. A cinque anni di distanza, l’obiettivo dei “sionisti revisionisti” è molto diverso: attaccando l’UNRWA vogliono costringere anche Giordania, Libano e Sira a espellere i rifugiati palestinesi. Per raggiungere l’obiettivo accusano lo 0,04% del personale dell’Agenzia di aver partecipato all’operazione Diluvio di Al Aqsa e bloccano i suoi conti bancari in Israele. Il direttore dell’UNRWA, lo svizzero Philippe Lazzarini, sospende immediatamente i 12 accusati e ordina un’inchiesta interna. Naturalmente non riceverà mai le prove che gli israeliani affermano di avere. Comunque, uno dopo l’altro, i finanziatori dell’UNRWA, Stati Uniti e Unione europea in testa, sospendono le sovvenzioni. Dopo qualche giorno a Gaza, e dopo qualche settimana in Giordania, Libano e Siria il sistema di aiuti umanitari delle Nazioni unite crolla.

    Quando David Cameron, ex primo ministro britannico nonché attuale ministro degli Esteri, si reca in Israele per trovare un modo per salvare il salvabile per i palestinesi, Amichai Chikli, ministro della Diaspora, lo paragona a Neville Chamberlain che firmò gli accordi di Monaco con Adolf Hitler. «Salutiamo David Cameron, che vuole portare “nel nostro tempo la pace” e assegnare ai nazisti che hanno commesso le atrocità del 7 ottobre un premio per aver ucciso neonati nelle culle, commesso violenze sessuali di massa, nonché sequestrato donne con i loro bambini» dichiara Chikli. E durante la Conferenza per la vittoria di Israele i “sionisti revisionisti” minacciano gli anglosassoni.

    La coalizione suprematista ebraica di Benjamin Netanyahu comincia a evocare una nuova fase dell’operazione Spade di Ferro, questa volta contro Rafah. I civili che già sono fuggiti da Gaza dovrebbero fuggire di nuovo. Ma poiché Tsahal ha costruito una strada che divide in due la Striscia di Gaza, non potranno tornare da dove sono venuti. Preparandosi al peggio, l’Egitto inizia ad allestire una vasta zona del Sinai per accogliere provvisoriamente i palestinesi di Gaza, la cui espulsione sembra inevitabile [6].

    Consapevoli di mantenersi al potere a Tel-Aviv solo grazie al trauma del 7 ottobre, i “sionisti revisionisti” fanno votare una legge che equipara ogni riflessione sull’operazione Diluvio di Al Aqsa alla contestazione della soluzione finale nazista; che vieta qualsiasi inchiesta sugli avvenimenti del 7 ottobre e prevede per gli inosservanti una pena di cinque anni di reclusione. I revisionisti possono così continuare indisturbati ad attribuire l’attacco del 7 ottobre unicamente ad Hamas, nonostante vi abbiamo partecipato anche la Jihad islamica e l’FLPL; a interpretarlo come manifestazione antisemita; a paragonarlo a un gigantesco pogrom e a negarne l’obiettivo di liberazione nazionale.

    Sapendo che molti Stati s’interrogano sull’opportunità di revocare il finanziamento all’UNRWA, i sionisti revisionisti perseverano negli attacchi all’Agenzia; ora sostengono che il quartier generale di Hamas si trovava in un tunnel sotto la sede dell’Agenzia. Perplesso, Lazzarini ricorda che Israele perquisisce regolarmente le sedi dell’UNRWA. Ma Gilad Erdan, rappresentante permanente di Israele alle Nazioni unite, gli risponde con un tweet che tutti possono leggere:«Non si tratta di non sapere, ma di non voler sapere. Abbiamo mostrato i tunnel dei terroristi sotto le scuole dell’UNRWA e fornito prove che Hamas sfrutta l’UNRWA. L’abbiamo supplicata di ordinare una perquisizione completa di tutti i locali dell’UNRWA a Gaza. Non solo Lei si è rifiutato di farlo, ma ha scelto di nascondere la testa sotto la sabbia. Si assuma le sue responsabilità e dia le dimissioni oggi stesso. Ogni giorno troviamo altre prove che Hamas=Onu e viceversa. Non si può credere a tutto ciò che dice l’Onu o a tutto ciò che si dice di Gaza».

    I suprematisti ebrei costituiscono un’organizzazione, Tzav 9 (in analogia con l’ordine di mobilitazione generale «Tzav 8»), per impedire all’UNRWA di continuare a fornire aiuti agli abitanti di Gaza. Appostano i loro militanti ai due varchi di accesso alla Striscia per impedire il passaggio dei camion. Quando un autista di camion dell’UNRWA viene ucciso a Gaza, l’agenzia è costretta a sospendere i convogli. Poi il transito di convogli viene ripristinato, ma solo sotto scorta militare israeliana. Da questo momento iniziano i primi assalti della folla affamata. Samantha Power, direttrice dell’USAID, annuncia una visita a Gaza per verificare cosa stia accadendo. Washington ipotizza che gli attacchi non siano spontanei, ma incoraggiati sottobanco dai “sionisti revisionisti”. E così arriviamo al massacro della Rotonda di Nabulsi (zona sud della città di Gaza): secondo le FDI, 112 persone sono morte calpestate durante una distribuzione di cibo. Secondo il personale sanitario e l’United Church of Christ, il 95% delle vittime è stato ucciso da pallottole. Washington pubblica un comunicato in appoggio alla posizione di Tel-Aviv, ma, secondo Haaretz: «Non è certo che la comunità internazionale accetti queste spiegazioni» [7].

    Washington risponde autorizzando la Giordania e la Francia a paracadutare razioni alimentari sulle spiagge di Gaza, poi partecipando a queste operazioni aeree. Comincia inoltre a inviare la propria logistica per costruire un molo flottante al fine di sbarcarvi gli aiuti umanitari (i fondali della Striscia di Gaza non sono sufficientemente profondi per navi di grosso tonnellaggio): questi moli sono un’idea enunciata sin dal 2017 da Israel Katz, attuale ministro degli Esteri. Già ora è stata ratificata l’attuazione di un corridoio navale umanitario da Cipro: sarà utilizzato dagli Emirati arabi uniti e dall’Unione europea.

    Mentre Israele accusa, sempre senza prove, altri 450 dipendenti dell’UNRWA di essere membri di Hamas, l’Agenzia incontra un centinaio di civili di Gaza, sequestrati dalle FDI per “essere interrogati” e redige un rapporto sulle torture sistematiche subite. Tutto il mondo ha visto le immagini di questi palestinesi obbligati a spogliarsi per essere interrogati. Ignorando gli anglosassoni, i “sionisti revisionisti” riprendono il progetto di colonizzazione: entrano nella Striscia di Gaza dal varco di Eretz/Beit Hanun per costruire i primi edifici di una nuova colonia, New Nisanit; hanno il tempo di costruirne due in legno prima di essere respinti dalle FDI. 36 capo-redattori dei più importanti media anglosassoni firmano una lettera del Comitato per la protezione dei giornalisti per denunciare la morte di giornalisti a Gaza e ricordare al governo israeliano che è responsabile della loro sicurezza [8].

    Il governo israeliano si finge sorpreso da queste morti, ma la maggior parte dei funzionari del sistema informativo delle FDI si dimettono in blocco. Il 12 ottobre si era già dimessa la ministra dell’Informazione, Galit Distel-Etebaryan, per protestare contro la censura militare. L’attuale crisi è molto più grave: i responsabili della disinformazione si sono rifiutati di continuare a mentire, tanto il fossato tra le loro versioni e la verità si è allargato. Unica concessione di Benjamin Netanyahu: la rimozione del divieto di celebrare il ramadan alla moschea di Al Aqsa. Dopo che deputati arabi della Knesset si sono rivolti a re Abdallah II di Giordania, unico responsabile della sicurezza del luogo santo mussulmano di Gerusalemme, Netanyahu ha infine concesso l’autorizzazione delle celebrazioni mussulmane per la prima settimana, rinnovabile ogni sette giorni.

    Washington ha allora deciso di cambiare radicalmente politica. Consapevole di non potersi permettere una sconfitta di Israele, l’aveva sostenuto, nonostante i suoi crimini. Ora invece non può permettere ai fascisti ebrei di vincere. Attenzione, Washington non ha cambiato idea di fronte alle sofferenze degli abitanti di Gaza, né per un improvviso rigurgito di antifascismo, ma a causa delle minacce dei “sionisti revisionisti”. Le sue prese di posizione sono dettate esclusivamente dalla volontà di conservare il dominio sul mondo. Come detto, non poteva consentire una nuova sconfitta degli alleati israeliani, dopo quelle subite in Siria e Ucraina; e ancor meno può ora permettersi di perdere nei confronti dei “sionisti revisionisti”.

    L’amministrazione Biden ha perciò invitato il generale Benny Gantz, ex Primo Ministro che si alternava con Yair Lapid, e dal 12 ottobre Ministro Senza Portafoglio, a recarsi per un consulto a Washington, nonostante la contrarietà del Primo Ministro Netanyahu: in un certo senso si è trattato della reazione all’invito ottenuto da quest’ultimo nel 2015 a pronunciare un discorso al Congresso, nonostante il parere contrario del presidente Barack Obama. Gli Stati Uniti ci tengono a dimostrare che loro, e solo loro, dirigono. Gli Stati Uniti si sentono costretti ad agire. Infatti la Russia ha invitato a Mosca la sessantina di organizzazioni politiche palestinesi, le ha esortate a unirsi e ha convinto Hamas ad accettare la Carta dell’OLP, ossia a riconoscere lo Stato di Israele. Il Generale Benny Gantz non ha accettato l’invito statunitense sperando di trovare un alleato esterno per rovesciare il Primo Ministro. È andato a Washington per assicurarsi di poter ancora salvare Israele e di avere gli alleati al proprio fianco. Con loro grande sorpresa, non è apparso loro come un’alternativa strategica a Benjamin Netanyahu, ma semplicemente come un generale preoccupato di non massacrare in massa persone innocenti.

    Il 5 marzo Gantz è stato ricevuto dalla vicepresidente Kamala Harris, che ha denunciato senza mezzi termini il massacro perpetrato dalla coalizione di Netanyahu. La stampa statunitense ha sottolineato che inizialmente il discorso era stato steso in termini ancora più duri. Ma l’intento di Harris era recitare il ruolo del “poliziotto cattivo”, contrapposto ai “poliziotti buoni”, ossia al dipartimento di Stato e al Pentagono, più comprensivi. Gantz ha inoltre incontrato il segretario di Stato, Antony Blinken, che in nome dell’America lo ha così consacrato futuro primo ministro israeliano; Gantz ha inoltre appreso in diretta che la sottosegretaria Victoria Nuland era stata messa a riposo, con effetto immediato.

    Nuland è conosciuta in Europa per aver sovrinteso, nel 2014, al rovesciamento del presidente ucraino eletto, Viktor Ianukovych. E fu ancora lei a convincere la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il presidente francese, François Hollande, a firmare gli Accordi di Minsk per ottenere il ritiro della Russia. Oggi sappiano che lo scopo degli Occidentali non era affatto di mettere fine al massacro degli abitanti del Donbass, ma solo guadagnare tempo per armare l’Ucraina.

    Ma soprattutto Nuland è moglie dello storico Robert Kagan, che presiedette il Project for a New American Century. A tale titolo la coppia annunciò gli attentati dell’11 Settembre, il «Nuovo Pearl Harbor» che avrebbe risvegliato l’«Impero americano» [9]. Sono entrambi discepoli del filosofo Leo Strauss, a sua volta discepolo di Vladimir Jabotinsky nonché personalità di riferimento del movimento neoconservatore [10]. Il numero due del Project for a New American Century era Elliott Abrams, che lo scorso anno ha finanziato la campagna elettorale e poi il colpo di Stato di Benjamin Netanyahu [11]. Nel 2006 Nuland, all’epoca ambasciatrice degli Stati Uniti alla Nato, fermò la guerra israelo-libanese, salvando Israele dalla sconfitta da parte dello Hezbollah. Nuland conosce perciò molto bene Netanyahu. Il suo licenziamento è espressione della volontà dell’amministrazione Biden di fare pulizia in casa propria e al tempo stesso in Israele.

    Sulla via del ritorno, il 6 marzo Gantz ha fatto tappa a Londra, dove è stato ricevuto dal consigliere per la sicurezza, Tim Barrow, dal primo ministro, Rishi Sunak, e infine dal ministro degli Esteri, David Cameron. Ha naturalmente ribadito che Israele ha diritto di difendersi, ma purché lo faccia nel rispetto del Diritto internazionale. Questa sosta è stata per Gantz un obbligo perché Hamas è il ramo palestinese della Confraternita dei Fratelli mussulmani, società segreta portata in grembo dall’MI6 britannico e seguita per decenni dal principe di Galles, oggi re Carlo III.

    Il 7 marzo, durante il discorso sullo stato dell’Unione, il presidente Biden ha dichiarato: «Ai dirigenti di Israele dico: l’aiuto umanitario non può essere questione secondaria o moneta di scambio. Proteggere e salvare vite innocenti deve essere una priorità. Riguardo al futuro, l’unica vera soluzione è quella a due Stati. Lo dico in quanto alleato di lunga data di Israele e in quanto unico presidente americano ad aver visitato Israele in tempo di guerra. Non c’è altra via per garantire la sicurezza e la democrazia di Israele. Non c’è altra via per garantire ai palestinesi di vivere in pace e con dignità. Non c’è altra via per garantire la pace tra Israele e i Paesi arabi vicini, compresa l’Arabia Saudita» [12].

    Durante il massacro di Gaza molti dirigenti del Medio Oriente allargato, prima favorevoli alla Confraternita dei Fratelli Musulmani, hanno iniziato a interrogarsi su Hamas. Se si poteva capire che i Fratelli, ipocritamente in nome dell’islam, combattessero i sovietici, poi i laici Muhammar Gheddafi e Bashar al-Assad, come spiegarsi che abbiano condotto un’operazione di cui sapevano che ne avrebbe pagato il prezzo solo una popolazione mussulmana? Il primo a reagire è stato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha revocato la cittadinanza turca alla Guida suprema della Confraternita, l’egiziano Mahmud Huseyin, cui egli stesso l’aveva concessa due anni prima. Questo non significa che Erdogan abbia abbandonato l’ideologia dell’islam politico, ma che tenta di dissociarla dal colonialismo anglosassone, a immagine di ciò che propone il Fratello Mahmoud Fathi.

    Per 75 anni gli Occidentali hanno imposto la loro volontà alle ex colonie del Medio Oriente Allargato, sia attraverso l’intermediazione degli jihadisti, sia direttamente con i loro eserciti. Sostenendo per quattro mesi i massacri perpetrati dai fascisti ebrei del gruppo Jabotinsky-Netanyahu, gli Occidentali hanno perso il loro ascendente. Indipendentemente da cosa diventerà Israele, sia esso guidato da Benny Gantz e Yair Lapid o da Benjamin Netanyahu e Itamar Ben-Gvir, la forza di Israele, fondata sull’incompatibilità degli ebrei con il fascismo, è crollata. Sarà allora possibile riesumare tutti i crimini commessi da questo gruppuscolo per conto della Cia durante la guerra fredda: in Medio Oriente, in Africa e in America Latina.

    Thierry Meyssan
    12 marzo 2024

    Note

    [1] www.voltairenet.org/article220552.html
    [2] www.voltairenet.org/article220317.html
    [3] www.voltairenet.org/article220431.html
    [4] www.whitehouse.gov/briefing-room/presidential-actions/2024/02/01/executive-order-on-imposing-certain-sanctions-on-persons-undermining-peace-security-and-stability-in-the-we...
    [5] www.whitehouse.gov/briefing-room/presidential-actions/2024/02/08/national-security-memorandum-on-safeguards-and-accountability-with-respect-to-transferred-defense-articles-and-defense-s...
    [6] sinaifhr.org/show/333
    [7] www.haaretz.com/israel-news/2024-03-10/ty-article/.premium/in-absence-of-hostage-deal-u-s-reining-in-israels-actions-in-gaza/0000018e-24e6-dc52-abff-65e6...
    [8] www.voltairenet.org/IMG/pdf/iopt-news-organizations-le...
    [9] L’Incredibile menzogna, di Thierry Meyssan, Fandango edizioni, 2002; Il Pentagate, di Thierry Meyssan, Fandango edizioni, 200
    [10] www.voltairenet.org/article215887.html
    [11] www.voltairenet.org/article218959.html
    [12] www.voltairenet.org/article220546.html

    Traduzione: Rachele Marmetti
    www.voltairenet.org/article220559.html
    [Modificato da wheaton80 19/03/2024 02:04]
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    00 09/04/2024 20:19
    Israele ha superato ogni limite. Le accuse delle firme di punta di Haaretz

    “Creare la fame di massa è moralmente proibito e mina il diritto morale dello Stato di Israele a esistere. Ogni guerra giusta ha i suoi limiti e l’affermazione che l’obiettivo giustifica i mezzi è sia dannosa che errata”. Così Yuli Tamir su Haaretz, che spiega come la filosofia abbia cercato da sempre di stabilire “ciò che è consentito da una prospettiva morale e utilitaristica” e che tale limite è stato ampiamente superato a Gaza.

    www.haaretz.com/opinion/2024-04-07/ty-article-opinion/.premium/we-israelis-are-all-complicit-in-the-starvation-of-civilians-in-gaza/0000018e-b476-d906-a5cf-b6f6...

    Dopo aver condannato senza riserve l’attacco del 7 ottobre, che secondo la cronista ha anch’esso superato tale limite nonostante ritenga “giusta” la guerra di indipendenza dei palestinesi, spiega che ormai la “bandiera nera” dell’ignominia sventola su entrambi i contendenti. A tale proposito, ricorda l’allarme lanciato a gennaio da Arif Husain, Capo Economista del Programma Alimentare Mondiale, quando ha annunciato che l’80% delle persone che vivono nella Striscia di Gaza soffrono di una fame catastrofica:“Non ho mai visto nulla di simile, sia in termini di portata, di dimensioni, ma anche per il ritmo con cui si è svolto”. E, sul punto, annota dolente:“Come possiamo lamentarci che gli ostaggi soffrono la fame quando lasciamo che centinaia di migliaia di persone soffrano di malnutrizione?”. "L’attuale leadership israeliana", aggiunge la Tamir, "ci rende tutti complici. Siamo complici del fatto che le persone muoiono di fame e hanno sete, che si uccidono a vicenda per una fetta di pane, che mangiano cibo per uccelli e bevono acqua stantia.

    Siamo complici del fatto che gli operatori umanitari vengano uccisi durante l’azione più umana e morale possibile: la distribuzione di pasti caldi”. “Quando beviamo il caffè la mattina e scegliamo che tipo di latte vogliamo (e se berlo in un bicchiere o in una tazza di carta), siamo complici della fame. Quando pensiamo alla mensa pasquale e all’esodo dall’Egitto, siamo complici della fame. Quando ci arrovelliamo se servire pesce alla marocchina o pesce gefilte, anche lì siamo complici della fame. Anche quando dormiamo la notte, siamo complici”. Quindi, evocando le lamentele israeliane per la condanna del mondo, annota:“Le azioni compiute oggi sono evidentemente atti immorali che minano l’identità morale dell’intero Stato di Israele e dei suoi cittadini”. “Molti israeliani hanno affermato dopo il 7 ottobre che tutti gli abitanti di Gaza erano colpevoli perché avevano eletto Hamas ed erano complici del suo governo. E anche che nessuno è innocente a Gaza perché tutti gli abitanti di Gaza lo sapevano e stavano zitti. Allora, come gli abitanti di Gaza, anche noi siamo tutti complici”. “Niente di tutto ciò significa che loro o noi meritiamo di morire di fame, di essere uccisi da un razzo, da un coltello o da una bomba. Significa che ci assumiamo la responsabilità e che dobbiamo pronunciarci contro un governo che ci rende complici contro la nostra volontà”. Dello stesso tenore, ma a più ampio respiro, un altro articolo di Haaretz, a firma stavolta di Gideon Levy, titolato “In sei mesi, a Gaza, la peggiore guerra mai condotta da Israele ha ottenuto solo morte e distruzione”. Una guerra, annota il cronista, in cui è evidente che i “benefici sono trascurabili, anzi inesistenti”.

    www.haaretz.com/opinion/2024-04-07/ty-article/.premium/in-six-months-in-gaza-israels-worst-ever-war-achieved-nothing-but-death-and-destruction/0000018e-b476-d50a-a1bf-fc7e...

    Certo, Israele doveva reagire all’attacco del 7 ottobre, afferma, ma “se questi sono i risultati, sarebbe stato meglio dare prova di moderazione, punire chi doveva essere punito per gli orrori del 7 ottobre e voltare pagina. Tutti ne avrebbero beneficiato, tranne l’ego virile e militaresco di Israele, che impone sempre risposte e punizioni sproporzionate”. “[…] Nemmeno il più avanzato radar di penetrazione del suolo potrebbe scavare tra le rovine di Gaza e tra le sue tombe per trovare un solo beneficio derivato a Israele da questa guerra. Le montagne di danni senza precedenti, al contrario, sono visibili a occhio nudo”. Non solo, il danno che Israele ha inferto alla sua immagine internazionale, scrive Levy, è “irreversibile”: ci vorranno anni per risalire la china ed è normale che il mondo condanni Tel Aviv. E conclude:“Siamo sempre stati indifferenti alla sofferenza dei palestinesi, ma ora abbiamo raggiunto nuovi mostruosi record di indifferenza”. “Gli arti vengono regolarmente amputati [ai palestinesi] nel carcere di Sde Teiman senza che vi sia alcuna reazione. Ci sono 17.000 bambini a Gaza orfani o separati dai genitori, e niente. I medici israeliani non protestano per Sde Teiman, né lo fanno i suoi assistenti sociali per i bambini che muoiono di fame e per quanti sono morti o sono stati uccisi. Siamo diventati dei mostri. Non solo nel nostro agire, ma soprattutto nella nostra apatia”. “Il 7 ottobre, domenica di sei mesi fa, ha distrutto la coscienza degli israeliani”, che da allora hanno prestato attenzione solo al loro dolore.

    “Ma, quando il centro medico più grande e avanzato di Gaza [al Shifa ndr.] è stato dato alle fiamme, con esso è bruciata anche l’anima di Israele […]. Alla fine di questa guerra, Gaza sarà distrutta e assassinata, e vedremo, guardandoci allo specchio, un volto diverso. Il mondo ci tratterà di conseguenza, proprio come ci aspetteremmo che tratti qualsiasi Stato malvagio che agisca in questo modo”. Certo, qualcosa sta cambiando, annota Levy riferendo che sempre più voci si stanno levando in Israele per chiedere la fine della guerra, ma si tratta di appelli “troppo tardivi e troppo titubanti. La sete di sangue e il sadismo sono venuti allo scoperto negli ultimi sei mesi e sono considerati politicamente corretti in Israele”. “I prossimi sei mesi di guerra potrebbero essere anche peggiori dei primi. Un’invasione di Rafah potrebbe far sembrare gli omicidi di massa che abbiamo perpetrato finora solo il trailer di un film”. I nuovi orrori di Rafah, tra l’altro, porterebbero il livello dello scontro con Hezbollah al parossismo e potrebbero scatenare una guerra con l’Iran e altri Paesi della regione, contro i quali Tel Aviv rimarrà sola. “È meglio non entrare in questi scenari horror affatto realistici […]. È meglio fermarsi qui. Smettiamola con gli scenari apocalittici e fermiamo la guerra. I primi sei mesi ci sono bastati: sono più che sufficienti, siamo finiti in una strada senza uscita”.

    Davide Malacaria
    09 aprile 2024
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    00 12/04/2024 19:13
    Il ritiro dell’esercito da Gaza semina il panico tra gli alti funzionari israeliani

    I ministri di estrema destra ribadiscono la loro frustrazione per la possibile fine dell’assalto, minacciando di lasciare il governo per l’idea di un governo palestinese di una Gaza postbellica. Le tensioni continuano a crescere all’interno del Governo Israeliano, con i partiti di estrema destra che esprimono frustrazione per il contenimento della guerra nella Striscia di Gaza. Il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir, del partito Otzma Yehudit, ha dichiarato l’8 aprile tramite il suo account X che se il Primo Ministro Benjamin Netanyahu "decide di porre fine alla guerra senza un grande attacco a Rafah per sconfiggere Hamas, non avrà il mandato per continuare a servire come Primo Ministro". Lunedì Bezalel Smotrich del Partito Religioso Sionista ha invitato il Primo Ministro a convocare immediatamente una riunione del Gabinetto di Sicurezza per discutere l’attuale stato della guerra a Gaza. "L’unico organismo autorizzato a prendere decisioni cruciali in tempo di guerra è l’intero Gabinetto [di Sicurezza], ma sfortunatamente non è così che vanno le cose", ha detto Smotrich in una nota. "Vediamo decisioni prese in un piccolo Gabinetto [di guerra] senza la nostra approvazione, senza tenere informato l’intero Gabinetto, sotto pressioni internazionali che danneggiano la dinamica della guerra e i nostri interessi di sicurezza", ha aggiunto. Le dichiarazioni di Ben Gvir e Smotrich arrivano il giorno dopo il ritiro del grosso delle truppe israeliane da Gaza, che i media ebraici hanno descritto come la fine ufficiale dell’operazione di terra israeliana nella Striscia, fino a nuovo avviso. Domenica sera, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Israeliano Herzi Halevi ha parlato del ritiro dicendo:"Abbiamo ancora molte truppe a Gaza e la guerra sarà lunga".

    Solo una brigata è ancora a Gaza in seguito a queste operazioni di ritiro, descritte dal giornalista Sherit Avitan Cohen come un “prerequisito” per le operazioni da effettuate a Rafah. Centinaia di soldati rimangono a Gaza per proteggere il corridoio Netzarim, che divide in due l’enclave e viene utilizzato dalle forze israeliane per impedire il ritorno delle popolazioni sfollate nel nord della Striscia di Gaza. Il signor Cohen ha aggiunto, tuttavia, che le operazioni a Rafah sono state rinviate più volte, senza sapere il motivo. Inizialmente Israele aveva pianificato un attacco su vasta scala alla città tristemente sovraffollata, che ospita più di un milione di palestinesi assediati, la maggior parte dei quali sono stati sfollati da altre parti della Striscia di Gaza. Washington ha fatto pressioni su Israele affinché limitasse i raid e le operazioni nella città più meridionale come parte della "lotta contro il terrorismo". Gideon Saar, Ministro della Knesset e membro del partito di destra Nuova Speranza , ha detto domenica che "il ritiro graduale delle truppe e l’intensità della pressione militare negli ultimi mesi ci stanno allontanando dai nostri obiettivi di guerra", aggiungendo che ciò è "direttamente collegato al rifiuto di elaborare un nuovo scenario per gli ostaggi". Questa non è la prima volta che i ministri di estrema destra esprimono frustrazione per quello che viene visto come un rallentamento dell’offensiva a Gaza. Lo stesso Ben Gvir lo ha espresso in più occasioni, minacciando più di una volta di ritirarsi dal governo. Smotrich ha lanciato minacce simili anche riguardo all’idea di un governo palestinese di una Gaza postbellica.

    Fonte: The Cradle
    Traduzione: Luciano Lago

    12 aprile 2024
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    wheaton80
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    00 15/04/2024 18:48
    I missili di aprile e la primavera iraniana

    Non c’è miglior sordo di chi non vuol sentire o miglior cieco di chi non vuole vedere: così l’alleanza occidentale si contenta di dire che il 99 per cento dei droni iraniani è stato abbattuto, di tacere sul fatto che i missili balistici di Teheran hanno colpito due basi aeree israeliane, quelle di Nevatim e Ramon, la base di spionaggio di Jabal al-Sheikh, sulle alture del Golan, e il quartier generale dell’intelligence dell’aeronautica israeliana a Tel Aviv, provocando molti danni. Nonostante Israele abbia impiegato un vasto sistema di difesa antimissile integrato comprendente il cosiddetto sistema “Iron Dome”, batterie di missili Patriot di fabbricazione statunitense, gli intercettori missilistici Arrow e Fionda di Davide, navi lanciamissili insieme ad aerei statunitensi, britannici, francesi, giordani e ovviamente israeliani, oltre una dozzina di missili iraniani hanno colpito aeroporti e installazioni di difesa aerea fortemente protetti. E tuttavia si continua a perseguire la negazione della realtà, forse nella speranza che essa scompaia con il rito apotropaico della menzogna. Ho l’impressione che non sia soltanto questione di comunicazione, ma che pochissimi si rendono conto di essere di fronte a una svolta epocale. Sono ormai trent’anni che USA e Israele collaborano per creare una giustificazione ad un attacco militare all’Iran in maniera da abbattere il suo governo e ritornare a quella situazione di dipendenza semicoloniale che si era creata con lo Scià. E non è un caso se proprio in questi giorni sui social siano comparse nostalgiche foto di quell’epoca. A dirla tutta, proprio questo è stato l’obiettivo politico di fondo di Netanyahu praticamente da sempre: trascinare gli Stati Uniti in una guerra contro l’Iran e anche il bombardamento dell’ambasciata di Teheran a Damasco aveva questo scopo, ovvero quello di coinvolgere sempre più gli USA. Invece sono arrivati i “missili di aprile” di Teheran che cambiano tutto il panorama medio orientale.

    Se la guerra non è altro che l’estensione della politica con altri mezzi, l’“Operazione True Promise” (come l’Iran ha chiamato il suo attacco di ritorsione contro Israele) passerà alla storia come una delle vittorie militari più importanti, perché Teheran ha stabilito una posizione credibile di deterrenza senza sconvolgere i principali scopi e obiettivi politici che si prefigge, compresa la sua partecipazione ai BRICS. Pochi si rendono conto che proprio la massiccia partecipazione americana e occidentale all’abbattimento di droni e al tentativo di fermare i missili multi testata è uno dei fattori per cui l’operazione iraniana è stata vincente: ha dimostrato che Israele è comunque vulnerabile anche con lo scudo USA, tanto più che sono stati usati principalmente droni assai lenti ed economici, destinati a creare più che altro uno spettacolo impressionante, a saturare le difese e contemporaneamente a salvare la faccia di Washington e degli occidentali con il numero di abbattimenti. Diciamo che è stata la parte simbolica dell’operazione. I missili che contavano sono invece passati quasi tutti ed è penosa l’operazione di spacciare per razzi abbattuti i resti del primo o terzo stadio dei vettori, come si vede dalla collezione di immagini di cialtroneria mediatica qui sotto.



    L’Iran, questo è il punto, ha usato solo una parte minima dei suoi arsenali: dunque ha dimostrato di avere una forte deterrenza, perché con un attacco massiccio avrebbe ragione delle difese israeliane che, già oggi dopo gli attacchi, sono in grave carenza. In caso di vera guerra può trasformare Israele in un parcheggio e nessuna difesa aerea israeliana o di qualsiasi altro tipo della NATO potrà fare nulla al riguardo. Insomma Netanyahu ha voluto bastonare Teheran, ma è stato bastionato perché alla fine ha messo in luce i forti limiti di Israele, e anche quelli occidentali, che rivelano alla fine tutta l’impreparazione di chi ha dormito per decenni sugli allori e adesso fatica ad aprire gli occhi. I cosiddetti esperti occidentali sono così obnubilati da non capire nemmeno la portata della vittoria iraniana, che è l’ABC della geopolitica. Ma appunto ormai l’analfabetismo dilaga.

    15 aprile 2024
    ilsimplicissimus2.com/2024/04/15/i-missili-di-aprile-e-la-primavera-i...
    [Modificato da wheaton80 15/04/2024 18:48]
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