00 17/11/2006 21:55
equilibrio
"L’equilibrio si basa sui parametri stabiliti ed accettati circa la considerazione della normalità e della realtà".
Ovviamente, è facile discutere di tutto e di nulla, se si prende alla lettera questa specie di teorema, ma è possibile sviscerare almeno un minimo per ammorbidire la sua radicalità e ricavarne una ottima chiave per un equilibrio, prima individuale e quindi sociale.
Mi chiedevo frequentemente quale fosse la percentuale di persone che non ce l’hanno fatta a sopportare la condizione in cui li poneva la loro intima maniera di guardare le cose, malgrado la maniera stabilita collettivamente per guardarle, già esistesse…
Persone bizzarre, ostinate a farsi una propria idea.
Dunque, già emergeva qualcosa di anormale e di irreale, dal momento stesso che si rilevava la tentazione di avere un’idea (e la situazione si aggravava se essa era propria ed individuale).
In altri termini, alcuni individui tentavano ancora di esistere.
Quante persone, quindi, caddero e si persero in infiniti modi diversi a causa di una anormalità che finiva per relegarli a vivere in una irrealtà?
Ma non era neanche trascurabile quale cospicua parte di persone vivesse lo stesso tormento, sopportando solo grazie all’aiuto dei più disparati espedienti.
Mi chiedevo, inoltre, a quale tipo appartenessi, ma non faceva differenza per ora.
Quel che mi importava era di non perdere di vista un fatto: se l’equilibrio consegue all’abilità di non precipitare né da una parte né da quella opposta, allora, discernere quale parte fosse opposta al “rovinarsi” consisteva precisamente nell’acquisire una fondamentale padronanza nell’atto dell’equilibrio stesso! E qual’era questa parte opposta, insomma? Quali erano quelle persone che si perdevano e si rovinavano in maniera opposta alle prime?
Mi sembrava lampante ormai: la parte opposta si fondava su una mentalità per la quale il non “perdersi” o il non “rovinarsi”, si dimostrava nello spingersi, senza freni né dignità, fin dentro ciò che era inteso come normalità e realtà, dalla collettività. (o meglio: si rivelava come un abbandono, per terminare in una resa, a ciò che è stabilito e che quindi inibisce decisioni proprie).
Persone altrettanto bizzarre, decise anche a disprezzare una propria idea.
Ecco cosa mi interessava: tener presente cosa significasse individuare i caratteri delle personalità considerate “perse”, purtroppo, a causa di uno sbilanciamento da una parte ed allo stesso tempo, individuare i caratteri che contraddistinguessero, nelle moltitudini, tutte quelle genti che si erano sbilanciate dall’altra parte.
Persone “perse” al caldo dell’approvazione del collettivo… ma che nella irrealtà sancita come realtà, riescono a condurre un’andatura fiera… stando bene attente a non sentirsi mai sole, quando quel freddo interiore le spoglia da tutte quelle impalcature e non ricordano nemmeno di avere avuto mai un “io”… un idea propria.

Stef 06/09/2006

[Modificato da relpubblic 17/11/2006 21.57]

“Il modello” fa di ognuno il tiranno di se stesso...