00 26/03/2008 13:12
www.lozuavopontificio.net/articolo/pio-xii-il-terzo-reich-e-gl...

Ritornano periodicamente le pretestuose accuse contro Pio XII per il suo «silenzio» sulla persecuzione nazista degli ebrei. L'Autore, professore emerito all'Università Gregoriana, che fu uno dei curatori degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, ricostruisce la verità dei fatti, anche attraverso documenti di archivio, che dimostrano sia la fermezza del Papa nei confronti del nazismo, sia l'opportunità del suo riserbo, sia soprattutto l'efficacia degli aiuti prestati alle comunità ebraiche d'Europa. Oggi comunque esistono forze che, ripetendo gli attacchi contro Pio XII, lavorano per minare il Papato e la Chiesa cattolica.

Giornalisti e romanzieri sono sempre alla ricerca di novità per i loro lettori e a tal fine non risparmiano nulla: ricerca di testimoni e di documenti, interviste, spedizioni pericolose. Un solo argomento fa eccezione. Da 40 anni si ripete in tutti i toni lo stesso ritornello: durante l'ultima guerra, quando il regime nazionalsocialista sterminava gli ebrei, il Papa Pio XII sapeva e ha taciuto, mentre con una parola avrebbe potuto salvarli. Oggi la rapsodia si sposta sugli schermi, in un film che riprende il vecchio schema scenico del 1963: il Papa, il quale sarebbe stato informato dell'esistenza dei campi di morte, non muove un dito per salvare le vittime. Più e più volte si è risposto a tale caricatura, che era già stata sfatata dalle testimonianze di gratitudine che si erano moltiplicate quando il Papa era ancora in vita e al momento della sua morte. Tuttavia alla menzogna che trova forza nel suo ripetersi, è bene opporre ancora una volta la realtà.

In questa quarantennale campagna contro la memoria di Pio XII ricorrono due affermazioni principali: 1) benché informato del genocidio, egli è rimasto passivo; 2) la sua simpatia per la Germania di Hitler, nella quale egli avrebbe visto il baluardo dell'Occidente contro la barbarie sovietica, lo avrebbe indotto a evitare tutto ciò che poteva indebolire il Reich.



Pio XII e Hitler

Partiamo dal secondo punto. Una prova della simpatia di Pio XII per la Germania sarebbe il Concordato della Santa Sede con il Reich, firmato il 20 luglio 1933 dal Segretario di Stato, card. E. Pacelli, e dal vicecancelliere del Reich, Fr. von Papen. La proposta del Concordato era stata portata a Roma da von Papen, con l'offerta alla Chiesa di garanzie favorevoli per il culto, per le scuole e per l'insegnamento cattolico. I cattolici tedeschi non avrebbero facilmente capito una decisione della Santa Sede contraria a un atto che sembrava recare una seria protezione legale alla Chiesa in Germanía. Del resto, la decisione spettava a Pio XI, che non era abituato a demandare ad altri le proprie responsabilità. Il Vaticano non si faceva illusioni, ma il Concordato costituiva almeno una base definita per protestare contro gli attacchi ai diritti della Chiesa. In realtà le proteste non si fecero attendere, ed era compito del Segretario di Stato formularle. Il 26 luglio 1933 il card. Pacelli consegnava una Nota all'ambasciatore del Reich:«È intollerabile che nel testo del Concordato si prometta alla Chiesa amicizia e protezione, e che lo Stato, con i suoi alti funzionari e con il direttore dell'Educazione [A. Rosenberg], combatta e insulti la Chiesa. È intollerabile che lo Stato ricordi alla Chiesa gli obblighi del Concordato e che nello stesso tempo si prendano misure (sterilizzazione, divieti di partecipazione ai movimenti cattolici) che violano i diritti della Chiesa»1. E questo sarebbe ciò che un recente articolo di Le Monde chiama «manifestare il proprio amore per il Reich con slanci che rapivano l'ambasciatore tedesco».

Nonostante il Concordato e le note di protesta del card. Pacelli, i rapporti tra la Chiesa e il Terzo Reich andavano peggiorando sempre più. Il regime si scatenava contro i sacerdoti (processi per corruzione e traffico di valuta) e contro la scuola. Il 12 gennaio 1937 i cardinali tedeschi, gli arcivescovi di Breslavia, Monaco e Colonia, e i vescovi di Berlino e di Münster furono convocati a Roma per discutere con Pio XI e con il card. Pacelli sulla situazione della Chiesa in Germanía; e si convenne sull'opportunità di un'enciclica che condannasse il neopaganesimo del regime. Il card. Pacelli pregò il card. M. von Faulhaber di stendere un primo abbozzo. La mattina del 21 gennaio questi consegnava al Segretario di Stato undici pagine di suo pugno, che esponevano la dottrina cristiana di fronte al neopaganesimo nazista. Il card. Pacelli vi prepose un'introduzione storica sul Concordato e sul modo con cui esso veniva applicato dallo Stato nazionalsocialista2. Fu l'enciclica Mit brennender Sorge3.

Il Papa aveva fatto di tutto per mantenere fede agli impegni assunti. Glí fu risposto con lo «svisare arbitrariamente i patti, eluderli, svuotarli e finalmente violarli più o meno apertamente»4. Il corpo della lettera denunciava gli errori dottrinali del nazionalsocialismo: «Chi fa della razza, o dello Stato, o del Regime, o del detentore del pubblico potere la norma suprema perverte e falsifica l'ordine da Dio creato»5.

Per mantenere la purezza della dottrina di Gesù Cristo, Dio e uomo, l'enciclica affermala continuità dei due Testamenti contro la tentazione di eliminare quello Antico: «Chi vuole banditi dalla Chiesa e dalla scuola la storia biblica e i saggi insegnamenti dell'Antico Testamento, bestemmia la parola di Dio, bestemmia il piano di salvezza dell'Onnipotente ed erige a giudice dei piani divini un angusto e ristretto pensar umano. Egli rinnega la fede in Gesù Cristo, apparso nella realtà della sua carne, il quale prese natura umana da un popolo, che doveva poi configgerlo in croce. Non comprende nulla del dramma mondiale del Figlio di Dio, il quale oppose al misfatto dei suoi crocifissori, qual sommo sacerdote, l'azione divina della morte redentrice e fece così trovare all'Antico Testamento il suo compimento, la sua fine e la sua sublimazione nel Nuovo Testamento». E proseguiva riaffermando il carattere definitivo della rivelazione di Cristo, la quale «non ammette appendici di origine umana e, ancor meno, succedanei o sostituzioni di "rivelazioni" arbitrarie, che alcuni banditori moderni vorrebbero far derivare dal così detto mito del sangue e della razza»6. L'esaltazione senza misura del Führer era colpita in maniera sferzante: «Chi osasse di porre accanto a Cristo o, ancor peggio, sopra di Lui e contro di Lui, un semplice mortale, fosse anche il più grande di tutti i tempi, sappia che è un profeta di chimere, a cui si applica spaventosamente la parola della Scrittura: "Colui, che abita nel cielo, ride di lui"».

È noto che questo documento, introdotto e diffuso segretamente in Germania, fu letto la domenica delle Palme in tutte le chiese della Germania a dispetto della Gestapo. Il 12 aprile l'ambasciatore presentò in Vaticano una nota di protesta. L'enciclica violava il Concordato, spezzava il fronte comune contro il bolscevismo e annullava i buoni effetti dell'enciclica Divini Redemptoris, pubblicata otto giorni prima. L'enciclica dimostrava che la Santa Sede non aveva mai cercato di comprendere il modo di pensare del nazionalsocialismo e mancava di ogni sorta di buona volontà a tale riguardo7. L'ambasciatore riconosceva un medesimo autore nelle note diplomatiche a firma di Pacelli e nell'enciclica a firma di Pio XI.



Pio XII e la seconda guerra mondiale

Il card. Pacelli, divenuto Pio XII, non dimenticò le difficoltà che la Chiesa doveva affrontare in Germania. Egli mise in atto tutte le risorse della sua diplomazia per salvare la pace: il progetto di una Conferenza a cinque (5 maggio 1939), le esortazioni alla moderazione rivolte ai tedeschi e ai polacchi, i consigli per un riavvicinamento tra Francia e Italia. Ma, quando la sera del 21 agosto 1939 l'agenzia di stampa tedesca Deutsches Nachrichtenbüro rese noto il patto di non aggressione tedesco-sovietico, fu chiaro in Vaticano che era la guerra e che l'ora della diplomazia era finita. Pio XII lanciò alla radio un ultimo appello alla ragione. Otto giorni dopo (1° settembre 1939), infatti, la Wehrmacht varcava la frontiera polacca, e in un mese la Polonia veniva occupata a ovest dall'esercito tedesco e a est dall'armata rossa. Su un punto almeno Pio XII aveva visto realizzate le sue speranze: l'Italia, alleata della Germania, aveva dichiarato la non belligeranza.

Nei mesi seguenti il Papa moltiplicò gli sforzi per trattenere Mussolini dall'entrare in guerra a fianco della Germania. Atteggiamento indubbiamente logico da parte del Papa, ma che non può essere visto come una prova di parzialità nei confronti della Germania in guerra. Egli non faceva più affidamento sulla diplomazia per ristabilire la pace tra i belligeranti. Solamente la caduta della dittatura nazista in Germania avrebbe aperto prospettive di pace. Pio XIΙ si decise a un passo difficilmente credibile, se non fosse attestato dagli archivi del Foreign Office: non Gemette di recare il proprio appoggio ai militari tedeschi che progettavano di eliminare Hitler.

L'11 gennaio 1940 Pio XIΙ convocò l'inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Gran Bretagna presso la Santa Sede, sir G. F Osborne d'Arcy, e gli spiegò di aver ricevuto l'emissario di alcuni capi militari tedeschi. Essi, se avessero ottenuto dalla Gran Bretagna l'assicurazione di una pace che non fosse una nuova Compiègne né una pace alla Wilson, sarebbero stati disposti a sostituire l'attuale Governo con un regime con il quale fosse possibile trattare, sulla base di una restaurazione della Polonia e della Cecoslovacchia, ma mantenendo l'unione dell'Austria al Reich. Pio XII si diceva certo della buona fede dell'inviato, senza poter garantire quella dei mandatari, e meno ancora la loro capacità di attuare il cambiamento di regime.

Il mese seguente Osborne trasmetteva a lord E. W Halifax, ministro degli Esteri della Gran Bretagna, una nuova comunicazione del Papa. Il 7 febbraio 1940, nel ρiù assoluto segreto, l'inglese fu nuovamente introdotto nell'appartamento pontificio. Pio XII spiegò al diplomatico di aver ricevuto un intermediario degno di fiducia dei militari tedeschi, tra i quali un importante generale, sicché la cosa doveva essere presa molto sul serio. Una parte importante dell'esercito voleva sbarazzarsi di Hitler. Il nuovo potere sarebbe stato moderato e conservatore, anche se all'inizio sarebbe stato una dittatura militare. Ciò che gli autori di tale piano speravano dal Papa era che assicurasse presso il Governo britannico che il Reich unito all'Austria poteva ritenersi come base di negoziato. Il Papa manifestava la propria riluttanza a fare tale comunicazione. Tuttavia la sua coscienza non gli consentiva di lasciar cadere anche una sola possibilità su un milione di salvare vite umane. Se Osborne aveva una comunicazione da fargli, sarebbe dovuto passare attraverso il Maestro di Camera, perché non voleva che il Cardinale Segretario di Stato ne fosse messo al corrente8. Nonostante i considerevoli rischi assunti dal Papa, il Governo inglese prestò scarsa considerazione alle proposte del militari tedeschi e lasciò cadere l'opportunità di pace e di salvezza per milioni di persone, tra cui le future vittime della Shoà!Sipossono considerare questi passi come una prova della sollecitudine di Papa Pacelli per la Chiesa in Germania, non certo per il regime nazista.

Nonostante questo insuccesso, gli interlocutori segreti del Papa mantenevano il contatto con la Santa Sede, tanto che il 6 maggio 1940 Pio XIΙ riceveva l'ambasciatore di Francia, Fr. Charles-Roux, il quale, al termine dell'udienza, telegrafò al proprio Governo: «Di nuovo il Papa e mons. Montini hanno fatto sapere a me e al mio consigliere che, secondo informazioni pervenute loro dall'estero, i tedeschi scateneranno un'offensiva sul fronte occidentale entro brevissimo tempo (una settimana). Vi mando con la posta di domani alcune indicazioni complementari sulla comunicazione verbale fattami. Beninteso, mi limito ad avvertire senza potermi pronunciare sul valore delle informazioni»9. Nella corrispondenza della stessa data l'ambasciatore precisava che l'offensiva sarebbe stata lanciata contemporaneamente contro Francia, Belgio e Olanda, e aggiungeva che i tedeschi contavano molto sul loro bombardieri10. Il ministro britannico Osborne inviò una comunicazíone parallela al Foreign Office, con una annotazione che manifestava lo scarso credito da lui attribuito all'avvertimento11. Anche questo è un episodio attestato dagli archivi francesi e inglesi, sul quale, salvo rarissime eccezioni, i nostri quotidiani, radio e televisioni osservano un profondo silenzio.

Inoltre la mattina del 22 giugno 1941 la Wehrmacht lanciava i suoi carri armati e aerei contro la Russia sovietica. L'Italia era ora alleata della Germania. Il 5 settembre l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, B. Attolico, domandò a mons. D. Tardini, Segretario per gli Affari Straordinari, se la Santa Sede non potesse rivolgere una parola d'incoraggiamento agli italiani e ai tedeschi impegnati in questa lotta dell'Occidente contro la barbarie sovietica. Tardini fece intendere all'alleato di Hitler che la croce uncinata non era proprio quella delle crocíate12. Questa guerra del Reich contro la Russia sovietica creò presto alla Santa Sede un problema più delicato. Roosevelt forniva già alla Gran Bretagna in guerra l'aiuto del credito e del materiale americano. Poiché la Russia si trovava a sua volta in guerra contro la Germania, il Presidente degli Stati Uniti voleva aiutare anche Stalin contro Hitler. Se l'appoggio alla Gran Bretagna lasciava esitanti molti americani, un aiuto alla Russia sovietica li rendeva ancora più perplessi. I cattolici in particolare vi opponevano l'enciclica di Pio XI che condannava il comunismo ateo, e soprattutto la frase: «Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con lui da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana» (Actes, v 5, 215). Per fare accettare ai cattolici l'aiuto a Stalin e assicurarsi la maggioranza al Congresso, Roosevelt decise di ricorrere a Roma. L'anno precedente aveva affidato a M. C. Taylor l'incarico di rappresentarlo presso Pio XII. Lo rinviò quindi per una breve missione presso il Papa.

Il 10 settembre 1941 Taylor fu ricevuto dal card. L. Maglione, Segretario di Stato. Spiegò che negli Stati Uniti alcuni cattolici interpretavano l'enciclica Divini Redemptoris rifiutando di distinguere tra il comunismo e il popolo russo, perciò, ai loro occhi, aiutare la Russia significava sostenere il comunismo. Il card. Maglione rispose di stupirsi che una cosa tanto chiara potesse essere oggetto di dubbi: «La Santa Sede ha condannato e condanna il comunismo. Non ha mai pronunciato una parola né può averla pronunciata, contro il popolo russo. Ha pure condannato le dottrine naziste. Chi può dire che il Santo Padre sia avverso e non sia invece molto amico del popolo germanico?». Siccome Taylor insisteva perché il Papa stesso spiegasse l'enciclica del suo Predecessore, il Cardinale ripeté che non ne vedeva la necessità. Ma la Gerarchia [americana] poteva farlo con autorità, senza timore di andare contro gli insegnamenti della Santa Sede» (ivi, 193).

Tardini riconosceva, sì, che in teoria l'enciclica di Pio XI non si applicava alla situazione presente, ma, in pratica osservava: «Se i russi vincono la guerra, la vittoria è di Stalin. Nessuno potrà più detronizzarlo. E Stalin è il comunismo: il comunismo vittorioso è il comunismo padrone assoluto del continente europeo» (ivi, 218). In conclusione, Tardini riteneva inopportuna qualsiasi dichiarazione per dirimere una questione così scottante. È difficile pensare che Tardini non abbia reso partecipe il Papa delle proprie riflessioni. Tuttavia il 20 settembre, e sotto la forma di una lettera firmata da Tardini, la Segreteria di Stato inviava a mons. Cicognani un'istruzione con l'interpretazione dell'enciclica Divini Redemptoris, come Maglione l'aveva esposta a Taylor (cfr ivi, 240). Cicognani mise al corrente l'arcivescovo di Cincinnati, J. T McNicholas, delle intenzioni del Papa, e il prelato, in una lettera pastorale ai fedeli della sua diocesi, si pronunciò nel senso indicato dalla Santa Sede: il discusso passo dell'enciclica Divini Redemptoris non è da applicarsi al momento presente di conflitto armato (cfr íví, 285 s).

In ogni caso, sei settimane più tardi (7 dicembre 1941), l'attacco del Giappone contro gli Stati Uniti modificava i dati del problema: USA e URSS diventavano per forza di cose alleati. Ciò non toglie che questa decisione di Pio XII, chiaramente rivelata dagli Archivi della Santa Sede, riduca a nulla le affermazioni tante volte ripetute che Pio XII sarebbe rimasto in silenzio di fronte alle atrocità dei nazisti perché, ossessionato dal pericolo bolscevico, avrebbe visto nel Terzo Reich il baluardo dell'Occidente cristiano.

Fonte: La Civiltà Cattolica, 2002 III, 117-131, quaderno 3650