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E conseguentemente il riconoscimento delle Chiese ortodosse come vere Chiese che, quantunque abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso.
Poiché lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica (ibidem).

14 / E ancora che quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti, e soprattutto, in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli. Una certa comunicazione nelle cose sacre, presentandosi opportune circostanze e con l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, non solo è possibile, ma anche consigliabile (ibidem, n. 15).
E infine è posto a fondamento di tutto – e io dico anche come criterio interpretativo generale e del Vaticano Il e di ogni altro documento dottrinale – il seguente principio ermeneutico: inoltre nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della Chiesa, nell’investigare con i fratelli separati i divini misteri, devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà. Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o «gerarchia» nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana (ibidem, n. 11).
Questa «gerarchia» delle verità impedisce ciò che spesso può accadere, ossia un appiattimento di tutte le verità sullo stesso livello, mentre è di somma importanza sempre distinguere tra di esse in ragione della loro maggiore o minore prossimità col fondamento della fede.
Quale fondamento? Quale nucleo? Lo si può individuare inequivocabilmente dalla Scrittura, e più precisamente dalla primitiva predicazione apostolica: cioè l’amore del Padre che si è ultimamente e definitivamente rivelato in Cristo, Verbo di Dio fatto carne da Maria Vergine, per noi e per la nostra riconciliazione, morto in croce, risorto, glorificato, che ritornerà glorioso a giudicare i vivi e i morti, e che intanto raduna e santifica, nel dono dello Spirito Santo, la sua Chiesa, sino alla pienezza escatologica del Regno, nel quale anche il nostro corpo mortale risorgerà, e Dio sarà tutto in tutti.
b) La dichiarazione Nostra Aetate, nella sua brevità e nella constatazione pratica del processo di unificazione in corso nella totalità del genere umano, pur restando nei limiti rigorosi di enunciati molto generali, afferma il rispetto della Chiesa cattolica verso tutte le religioni, e verso quanto in ciascuna di esse può riflettere «un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini» (NA, n. 2).
Perciò esorta tutti i cattolici a che con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali che si trovano in essi (ibidem).
E in particolare, nei confronti dei musulmani, mette in evidenza come punti comuni il riconoscimento di Gesù come profeta (non come Dio), la venerazione verso la Vergine Madre, l’attesa del giorno del giudizio, la stima del culto e della preghiera a Dio.
E per gli ebrei mette in rilievo il patrimonio commune – cioè le Scritture veterotestamentarie, che la Chiesa ha ricevuto per mezzo del popoìo d’Israele, le persone di Abramo, di Mosé, dei profeti, e soprattutto di Maria e degli Apostoli – raccomanda la conoscenza e il dialogo reciproco, esecra e deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo: per confermare che la Chiesa crede che Cristo, la nostra pace, ha riconciliato gli ebrei e i popoli pagani per mezzo della sua croce, e dei due ha fatto uno solo in se stesso (Ef 2,14-16) (ibidem, n. 4).
Certamente sul piano dottrinale e pratico restano aperti o ancor più proprio adesso, in virtù della nostra dichiarazione, si aprono molti e complessi problemi: ma non c’è dubbio che, dopo molti secoli di contrasti e di pura opposizione, il Vaticano II ha aperto una grande porta di disponibilità verso le altre religioni, e che interpreta, nel suo annuncio, la stessa croce di Cristo come segno dell’amore universale di Dio e come la fonte di ogni grazia (ibidem, n. 4). (Oliveto, 28.10.1994 Nel 36° anniversario dell’elezione di Papa Giovanni XXIII)