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La nota 15 all'art. 7, anch'essa aggiunta nel '70, rimanda a
Sacrosanctum Concilium, n. 7; Mysterium fidei, n. 41 e Eucharisticum
mysterium, n. 9. Sono i documenti che enunciano la dottrina della
presenza differenziata di Cristo, che culmina nella presenza eucaristica,
reale non per esclusione ma «per antonomasia».

Giungiamo così al problema costituito dalla particolare insistenza
del testo sui modi di presenza altri che la presenza eucaristica. Viene
soprattutto sottolineata la presenza di Cristo nella sua parola.
Oltre all'art. 7, già esaminato, in cui si fa cenno alla presenza
nell'assemblea, nel ministro e nella parola, abbiamo:
«Nella Messa si imbandisce la mensa tanto della parola di Dio
quanto del Corpo di Cristo perché da essa i fedeli vengono istruiti e
nutriti» (n. 8).
«Quando si legge la sacra Scrittura nella Chiesa, è Dio stesso che
parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annuncia il
Vangelo» (n. 9).
«Lo stesso Cristo per mezzo della sua parola è presente in mezzo
ai fedeli» (n. 33).
«Alla lettura evangelica si deve attribuire la massima venerazione
... sia da parte del ministro ... sia da parte dei fedeli che per mezzo delle
acclamazioni riconoscono e professano essere Cristo presente, che parla
loro» (n. 35).
Notiamo innanzitutto che il parallelismo mensa della
parola/mensa del Corpo di Cristo ha solide radici nella Tradizione.
Senza citare le fonti patristiche (e scritturistiche!)10, basti
richiamare il più caratteristico degli autori post-tridentini, san Roberto
Bellarmino. «Il sacramento dell'altare – dice il santo dottore – che è uno
dei principali sussidi dell'anima, è detto pane in Gv 6, 51-58 e in 1 Cor
11, 26-28; e la parola di Dio, della cui predicazione pure ci nutriamo,
può essere detta anche essa pane, come dice l'Apostolo in 1 Tim 4, 6:
"nutrito dalle parole della fede"; e Ebr 6,5: "e gustarono la buona parola
di Dio"»11.
La nota 15 al n. 8 (poi diventata 17) rimanda al fondamentale
passo conciliare su questa dottrina:
«La Chiesa ha sempre venerato le divine scritture come ha fatto
per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella
sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di
Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei verbum, n. 21).

Il come del testo conciliare non significa uguale venerazione.
Significa che a Scrittura e a Eucaristia è dovuta ugualmente
venerazione, però in modo e aspetto diverso, come si arguisce da SC 7,
MF 41 e EM 912.
Il n. 7 della SC (importante, come vedremo, per la dottrina della
presenza «differenziata» di Cristo) è richiamato in nota due volte: nella
nota 16 (n. 9) e 30 (n. 33) della versione del '69 e nella nota 15 (n. 7) e
32 (n. 33) della versione del '70.
L'insistenza dunque è soltanto una sottolineatura, nel contesto
della dottrina sulla presenza reale «differenziata». Questa dottrina è –
come è evidente – di particolare importanza per capire le affermazioni
dell'IGMR. Si tratta di una concezione non nuova nella sostanza, anche
se nuova nella sua formulazione sistematica.
Enunciata innanzitutto
nella SC al n. 7 è stata ripresa e spiegata, nel contesto di una profonda
e impeccabile esposizione del Mistero Eucaristico, dalla Mysterium fidei
(Ibid., n. 38), per essere poi riassunta e codificata al fine di informare la
prassi liturgica, nell'istruzione Eucharisticum mysterium (Ibid., n. 41).
L'IGMR non può essere dissociata da questa dottrina e da questi
documenti.
Dopo aver affermato che Cristo è presente nella sua Chiesa che
prega, che esercita le opere di misericordia, che anela al porto della vita
eterna, che predica, che regge e governa il popolo di Dio, che celebra il
sacrificio della Messa e amministra i sacramenti – specificando che ciò
avviene con modalità diverse e «intensità» diverse – Paolo VI, nella MF,
sottolinea che «ben altro è il modo, veramente sublime, con cui Cristo è
presente alla sua Chiesa nel sacramento della Eucaristia... Tale
presenza si dice reale non per esclusione, quasi che le altre non siano
reali, ma per antonomasia, perché anche corporale e sostanziale, e in
forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente».

Certamente questa dottrina (come quella della hierarchia
veritatum dell'UR) risponde ad una istanza ecumenica. Vi si vede la
volontà di «decongestionare» l'arroccamento cattolico post-tridentino sul
bastione della presenza reale eucaristica, che ha portato a lasciare
(comprensibilmente) nell'ombra le altre, pur realissime, presenze di
Cristo.
Questa volontà ecumenica passa massicciamente
(prudentemente?) nella riforma liturgica.
Si riflette in particolare
nell'IGMR quando si parla di presenza senza specificazione, sottolinea
con insistenza la presenza nella Parola, lascia alle note il compito di
rimandare alla dottrina integrale e tace – nella sua prima versione – il
termine imbarazzante transustanziazione. Se questa massiccia tensione
ecumenica dà la netta impressione di uno squilibrio, tuttavia non esce –
essendo soprattutto intervenute importanti correzioni – dal contesto di
una strategia che sottolinea ciò che unisce senza rinnegare la dottrina
integrale.

1 GIOVANNI PAOLO II, Alle religiose di Milano e della Lombardia, 20 maggio 1983:
La Traccia 5 (1983) p. 495.
2 «Factum transubstantiationis, scilicet desitio totius substantiae panis et vini et
conversio eius in Corpus et Sanguinem Christi, est de fide divina et catholica
definitum. Vocem ipsam transubstantiationis aptissimam esse ac retinendam, est
doctrine catholica» (J.A. DE ALDAMA, De sacramento unitatis christianae seu de
sanctissima Eucharistia: Sacrae Theologiae Summa, vol. IV [BAC, Madrid 19624] p.
276).
3 Non è l'unico testo. L'importanza di questo punto di dottrina per l'integrità del
dogma della presenza reale, nonché del termine dogmatico atto a preservarlo con
sicurezza, sarà nuovamente ribadita dall'Humani generis di Pio XII, dalla Mysterium
fidei di Paolo VI e, recentemente da Giovanni Paolo II. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Omelia
del 23 febbraio 1980: La parola di Giovanni Paolo II 2-3 (1980) p. 23; IDEM, Omelia a
Rio de Janeiro, 1 luglio 1980: Ibid. 7 (1980) pp. 31-32; IDEM, Allocuzione ai
pellegrinaggi delle diocesi di Milano e Alessandria, 14 novembre 1981: La Traccia 10
(1981) p. 680.
4 Su questo punto, fondamentale per l'ecumenismo, si veda l'ottima
puntualizzazione di CARLOS CARDONA, La «Jerarquia de las verdades» y el orden de lo
real, in: Scripta theologica 4 (1972), pp. 123-144.
5 Cfr. Card. JOSEPH RATZINGER, Trasmissione della fede e fonti della fede, in:
Cristianità 96 (1983), pp. 5-11.
6 Cfr. Op. cit., pp. 16-20, 38-40, 118-119.
7 «Una divergenza che rimane consiste certamente nel problema della
conservazione e adorazione dell'ostia consacrata, non distribuita, dopo la celebrazione
eucaristica... Essa è strettamente connessa con i diversi modi di intendere il modus
praesentiae...» (Gemeinsame römisch-katolische evangelisch-lutherische Kommission,
Das Herrenmahl, cit., pp. 89-90). Max Thurian, che può rappresentare la posizione
protestantica «ecumenicamente» più vicina, si attesta
– nel suo importante libro del
1963 – su posizioni agnostiche: «Sebbene il fine dell'eucaristia sia la comunione..., noi
non oseremmo definire la natura della relazione di Cristo con le specie eucaristiche
che rimangono dopo la comunione. Non ci sentiamo autorizzati a pronunciarci né per
la permanenza della presenza reale, né per la sua cessazione. Qui è necessario
rispettare il mistero.
In questo atteggiamento di rispetto, è bene che le specie
eucaristiche che rimangono siano consumate dopo la celebrazione» (L'Eucaristia
memoriale del Signore, cit., pp. 299-300). La sua posizione sembra però mutata in un
testo più recente: «La presenza del corpo risorto di Cristo rimane legata ai segni
eucaristici, perché la chiesa non dispone di quella presenza che è frutto della Parola di
Dio e dell'azione dello Spirito Santo. Con quale diritto potrebbe essa fissare il momento
in cui le specie del pane e del vino non sarebbero più segni del corpo e del sangue di
Cristo? Ciò sarebbe contrario alla fede nella grazia efficace di Dio. "I doni e la chiamata
di Dio sono irrevocabili" (Rm 11, 29). La certezza che la presenza di Cristo continua
dopo la celebrazione e la comunione, sotto le specie del pane e del vino che restano, è un
importante segno della fede eucaristica» (Il mistero dell'eucaristia, Roma 1982, p. 99).
8 «Anche il mistero mirabile della presenza reale del Signore sotto le specie
eucaristiche è affermato dal Concilio Vaticano II (SC 7, 47; PO 5, 18) e dagli altri
documenti del magistero della Chiesa (Pio XII, Humani generis; Paolo VI, Mysterium
fidei; Solenne professione di fede; Eucharisticum mysterium), nel medesimo senso e con
la medesima dottrina con cui il concilio di Trento l'aveva proposto alla nostra fede
(Trid., sess. XIII: DS 1635-1661).
Nella celebrazione della messa, questo mistero è
posto in luce non soltanto dalle parole stesse della consacrazione, che rendono il Cristo
presente per mezzo della transustanziazione, ma anche dal senso e dall'espressione
esterna di sommo rispetto e di adorazione di cui è fatto oggetto nel corso della liturgia
eucaristica. Per lo stesso motivo, al giovedì santo e nella solennità del corpo e del
sangue del Signore, il popolo cristiano è chiamato a onorare in modo particolare, con
l'adorazione, questo ammirabile sacramento» (EV 3, 2021).
9 Cfr. Mysterium fidei: EV 2, 422.
10 Cfr. C.M. MARTINI, La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa, in: La Costituzione
dogmatica sulla divina Rivelazione (LDC, Torino-Leumann 1967), pp. 423-425 (con
bibl.). Classico è il cap. XI del libro IV dell'Imitazione di Cristo: «Due cose sento che mi
sono sommamente necessarie in questa vita... Esse si potrebbero anche chiamare due
mense situate di qua e di là nel tesoro di Santa Chiesa. L'una è la mensa del Sacro
Altare che ha il Pane santo, cioè il Corpo prezioso di Cristo. L'altra è la mensa delle
legge divina ...».
11 Opera oratoria postuma, vol. VI (Roma 1945) p. 255. Sottolineo come queste
espressioni si ritrovano nel vivo della predicazione del santo. Predicazione biblica
quant'altre mai. Una scorsa lo testimonia anche al più disattento dei lettori. Prova che
le accuse di allontanamento dalla Scrittura lanciate affrettatamente alla (cosiddetta)
Controriforma (ma si pensi anche al Catechismo del Concilio di Trento!) poggiano su
una superficiale conoscenza degli autori. Per Bellarmino la Parola di Dio predicata e
ascoltata ha un valore sacramentale: «signum et effectus gratiae praesentis, et simul...

causa eiusdem» (Ibid., vol. I, p. 339). Ha un valore più grande della stessa parola
soltanto letta. «Anche le persone colte, pur potendo capire da sole la Scrittura,
debbono andare alle prediche perché la parola pronunciata ha una energia che non
possiede la parola scritta» (Ibid., p. 215). La predicazione poi deve sempre essere
spiegazione della Parola di Dio e non deve perdersi in considerazioni teologiche,
filosofiche o storiche...
12 Si veda a questo proposito la risposta della Pontificia Commissione per
l'interpretazione dei decreti del Concilio Vaticano II del 5 febbraio 1968 (AAS 60, 1968,
p. 362).
[Modificato da Heleneadmin 10/02/2011 15:06]