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Nel 1973 avremo la prima ristampa del Messale Romano.
Il 23 dicembre 1972 esce un decreto della Congregazione per il
Culto Divino con variazioni da introdurre, in relazione ai documenti
usciti nel frattempo.
Il 27 marzo 1975 infine abbiamo la seconda edizione tipica del
Messale Romano con il decreto Cum Missale Romanum (EV 3, 2016), la
Costituzione MR, l'IGMR e l'OM. Da allora l'unica novità di rilievo è
rappresentata, per l'Italia (se si eccettua la riforma del rito Ambrosiano),
dalla nuova edizione italiana del Messale, che qui però non prendo in
considerazione.
La querelle attorno alla «nuova Messa» si è sviluppata soprattutto
in riferimento al suo carattere spiccatamente ecumenico. Ecumenismo
che, nella fattispecie, ha per principale, per non dire unico,
interlocutore il Protestantesimo.
La conclusione del noto e fondamentale Breve esame critico del
NOM – il testo che, accompagnato e avallato da una lettera dei cardd.
Bacci e Ottaviani, ha aperto la polemica – suona così: «Il NOM,
considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione,
che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme
come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia
cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del
Concilio Tridentino, il quale, fissando i "canoni" del rito, eresse una
barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse la integrità
del Mistero».
Posto che il Concilio di Trento è la risposta cattolica alle negazioni
protestantiche, si tratterebbe di una protestantizzazione della Messa.
Da allora la letteratura sul problema del nuovo rito si è fatta
abbondante, segno anch'esso dell'ampiezza del malcontento e del
disagio provocato dalla riforma. La bibliografia che conclude questo
studio – senza avanzare nessuna pretesa di completezza – può fornire
una certa esemplificazione del fatto. Tuttavia, se tale fatto ha una
evidente importanza sociologica, non riflette però un altrettanto
massiccio approfondimento dell'argomento. Le opere a carattere
veramente scientifico sono poche. Abbiamo già fatto cenno al famoso
Breve Esame Critico. Nella lettera di accompagnamento dei cardinali
Bacci e Ottaviani il testo è attribuito a «uno scelto gruppo di teologi,
liturgisti e pastori». I due porporati fanno proprie le argomentazioni del
Breve Esame («Come dimostra sufficientemente») e ne enucleano la
conclusione che abbiamo appena riportato. Il valore di questo testo non
risiede soltanto nell'autorità dei firmatari della lettera, ma anche nel suo
intrinseco tenore scientifico8. Purtroppo non diede vita, come sarebbe
stato opportuno, ad un elevato dibattito, soprattutto per mancanza di
contraddittori seri. Il problema fu per lo più sottovalutato, favorendo il
diffondersi di opinioni prive di fondamento e un progressivo
irrigidimento delle posizioni dette «tradizionaliste».
Accanto al Breve Esame devono però essere ricordati, per la loro
serietà, L. SALLERON, La nouvelle Messe (1971); M. DAVIES, Pope Paul's
new mass (1980) e A. VIDIGAL XAVIER DA SILVEIRA, La nouvelle Messe de
Paul VI: qu'en penser? (1975) (diffuso però soltanto a partire dal 1982)
che sarà oggetto particolare della nostra attenzione. Questi sono i
principali interventi veramente consistenti (senza però dimenticare i
contributi di: Calmel, Philippe de la Trinité, Guérard de Lauriers,
Gamber, May) di carattere critico nei confronti del NOM.
Di questi pochi quello di Xavier da Silveira è il solo ad arrivare,
anche se in modo più implicito che esplicito, a conclusioni di assoluta
drasticità.
In difesa del NOM c'è veramente poco: che tratti ex professo del
problema, prendendo in considerazione direttamente le critiche e
mantenendosi ad un livello scientifico, vale la pena di ricordare il solo
dom G. OURY, La Messe de St Pie V à Paul VI (1975).
Il nocciolo del problema è la «protestantizzazione della Messa».
Che qualcosa sia cambiato – e qualcosa di consistente – è evidente
anche all'osservatore più distratto. Che questo cambiamento abbia
avvicinato, almeno esteriormente, la pratica cattolica a quella
protestantica, è altrettanto evidente. Un certo «allontanamento» dal
Concilio di Trento (o, perlomeno, dal «tridentinismo») è dunque qualcosa
che rientra più nell'ordine dei fatti che in quello delle ipotesi. Quello che
importa stabilire è però se questo allontanamento include un distacco
sostanziale dalla dottrina e dalla pratica cattoliche, oppure se si tratta
soltanto di un avvicinamento dialogico alle posizioni protestantiche
mediante la scelta di espressioni in cui la differenza risulta con minore
perspicuità. Posizione questa certamente discutibile, su un piano
prudenziale però e non più strettamente dogmatico9.
Il quesito a cui si vuole rispondere è questo: il NOM rappresenta,
rispetto al rito tradizionale, un cambiamento sostanziale o accidentale?
Sono giustificate le critiche secondo cui non si tratterebbe più di un rito
cattolico?
Questa ottica non vuole minimamente sottovalutare l'importanza,
soprattutto pratica, delle differenze accidentali, degli spostamenti di
accento, delle sfumature. I riti liturgici sono fatti per essere
concretamente vissuti e non per essere letti e studiati a tavolino. Sono
soprattutto pratica e solo conseguentemente, riflessivamente e
radicalmente, dottrina. Tuttavia, pur mantenendo nella loro validità e
gravità queste considerazioni, non si può prescindere da una
constatazione dottrinale che distingua ciò che è strettamente necessario
perché il dogma sia salvo e una pratica possa essere detta cattolica, con
tutta la sua efficacia salvifica ex opere operato, e quanto sarebbe
auspicabile «ad bene vel melius esse» perché il complesso rituale
favorisca il più possibile le disposizioni soggettive che sono di enorme
importanza pratica («esistenziale») per una fruttuosa partecipazione al
mistero della Eucaristia. Le sobrie esigenze del dogma (che non sono
dettate dalla nostra sensibilità, ma dal Magistero della Chiesa) sono cioè
da distinguersi accuratamente dalle esigenze della devozione, per non
cadere in una prospettiva che presenta analogie con la giansenistica
confusione fra consigli e precetti.

«Il fine comanda i mezzi»: se il nostro scopo è quello di cercare i
punti discriminanti, il nostro metodo procederà con un andamento
opposto a quello «ecumenico». Procederemo cioè sottolineando le
differenze e lasciando in secondo piano gli elementi comuni10.
Per soppesare le critiche rivolte al NOM, in ordine alla sua
presunta «protestantizzazione», ci serviremo soprattutto dell'opera di
Xavier da Silveira. Si tratta infatti – assieme al Breve Esame Critico – del
testo più qualificato e, nello stesso tempo, più drastico11.
1 Una fede «non interamente pensata» è «una fede che non diventa cultura», cioè
una fede che non incide nella vita e nella storia (Giovanni Paolo II, Ai partecipanti al I
Congresso Nazionale del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale del 16 gennaio
1982).
Per una sintetica lettura della crisi postconciliare si veda: GIOVANNI CANTONI, Il
Concilio integrale, in: Cristianità 56 (1979) pp. 10-12. Alle parole del Papa per cui
occorre «entrare sulla retta via della realizzazione del Vaticano II» (radiomessaggio del
17 ottobre 1978), retta via che non era dunque quella finora percorsa, fa eco il drastico
giudizio del Card. Ratzinger: «la vera recezione del Concilio non è ancora affatto
incominciata (die richtige Rezeption des Konzils hat noch gar nicht begonnen)»
(Theologische Prinzipienlehre, E. Wewel Verlag, Monaco 1982, pp. 391.408-409).
2 Cit. in: G. MAY, Der Glaube..., p. 261.
3 «Bonum commune spirituale totius Ecclesiae continetur substantialiter in ipso
eucharistiae sacramento» (san Tommaso d'Aquino, Sum. Theol. III q. 65, a. 3, ad 1).
4 Sacra Congregazione per il Culto Divino, Lettera Circolare ai Presidenti delle
Conferenze Episcopali, 3 ottobre 1984: L'Osservatore Romano, 17 ottobre 1984, p. 2.
5 Come è a tutti noto il postconcilio ha conosciuto, e in gran parte continua a
conoscere, dei tali disordini nelle celebrazioni eucaristiche, da indurre il Santo Padre
ad usare espressioni di eccezionale gravità: «Vorrei chiedere perdono – in nome mio e
di tutti voi, venerati e cari fratelli nell'episcopato – per tutto ciò che per qualsiasi
motivo, e per qualsiasi umana debolezza, impazienza, negligenza, in seguito anche
all'applicazione talora parziale, unilaterale, erronea delle prescrizioni del concilio
Vaticano II, possa aver suscitato scandalo e disagio circa l'interpretazione della
dottrina e la venerazione dovuta a questo grande sacramento. E prego il Signore Gesù
perché nel futuro sia evitato, nel nostro modo di trattare questo sacro mistero, ciò che
può affievolire o disorientare in qualsiasi maniera il senso di riverenza e di amore dei
nostri fedeli» (Dominicae cenae, 24 febbraio 1980: EV 7, 224).
6 Un elenco delle anomalie ci è offerto da L. SALLERON, Solesmes e la Messa, pp.
11-14. Per la ricostruzione di una storia della riforma liturgica è di fondamentale
importanza l'opera postuma di Mons. A. BUGNINI, La riforma liturgica (1948–1975),
Roma 1983. Sono 930 pagine di testimonianze e documenti, assai preziose, anche se
hanno tutto il sapore di una appassionata autodifesa. Interessante dal punto di vista
storico è però inutilizzabile per l'aspetto teologico della questione: «Quanto al merito
delle obiezioni sollevate, non è il caso di controbatterne l'infondatezza» (p. 284, la
sottolineatura è nostra). Un intero capitolo (pp. 275-299) è dedicato alle opposizioni,
ma manca una analisi attenta delle loro cause. L'Autore, molto sbrigativamente e
riduttivamente, le riconduce a preoccupazioni meramente culturali-estetiche, politiche
(p. 275) o a «ignoranza teologica» (p. 284). La sua appassionata polemica riconosce
come interlocutori soltanto gli elementi più sentimentali ed emotivi della critica
(Casini, Bellucco), mentre autori come Xavier da Silveira, Davies, Salleron (viene citato
solo un articolo sulla questione giuridica), Gamber, Philippe de la Trinité sono del
tutto ignorati. Il libro di Xavier da Silveira è stato diffuso, è vero, solo a partire dal
1982, ma il suo testo era accessibile da tempo agli ambienti interessati. Esso è citato,
per es., da dom Oury nel 1975 in un libro che Mons. Bugnini conosceva certamente
bene (cfr. pp. 284-285). Stupisce poi un atteggiamento così sbrigativo, tranchant e
pieno di indebite generalizzazioni da parte di chi scrive proprio lamentando di essere
stato vittima di tanta incomprensione.
[Modificato da Heleneadmin 10/02/2011 10:40]