Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!

 

online dal 19 ottobre 2003

 

Nuova Discussione
Rispondi
 
Stampa | Notifica email    
Autore

Dimissioni d' élite

Ultimo Aggiornamento: 20/03/2024 19:45
22/03/2020 22:34
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Post: 3.935
Registrato il: 21/11/2007
Città: ROMA
Età: 43
Sesso: Maschile
Utente Master
OFFLINE
2019-20: l’ecatombe dei CEO (e record di vendite di titoli degli insider). Si passa ad altri il timone prima della tempesta?

L’ultimo in ordine di tempo è stato Bob Iger, dimessosi con effetto immediato da Amministratore Delegato della Disney per assumere il ruolo di Presidente Esecutivo, una sorta di promoveatur ut amoveatur che il diretto interessato ha invece ridimensionato a “cambiamento per garantire una transizione tranquilla all’azienda”. Ma il 2019 conclusosi da poco è stato un anno record per quanto riguardo il numero di CEO che hanno abbandonato il loro posto anzitempo e, spesso, in modalità da fulmine a ciel sereno, come mostra il grafico a corredo dello studio redatto dalla Challenger, Gray and Christmas.



Fra gennaio e novembre dello scorso anno sono stati quasi 1.500 infatti gli amministratori delegati che hanno lasciato il loro ruolo, un aumento del 12% su base annua e la lettura più alta dall’inizio della tracciatura del trend cominciata nel 2002. Fra i casi più eclatanti quelli del CEO e del Presidente di Alphabet, Larry Page e Sergey Brin ma anche il CEO di eBay, Devin Wening, quello di GAP, Art Peck e quello della HBO, Richard Plepler. E poi Bernardo Hees di Kraft-Heinz, Mark Parker di Nike, Kevin Plank di Under Armour, Oscar Munoz di United Airlines, fino al rumoroso addio di Adam Neumann a WeWork, schiacciato da debiti che il mancato collocamento rischiava di rendere letali senza l’intervento diretto, poi avvenuto, di Softbank. Insomma, una sorta di epidemia di dimissioni (più qualche estromissione eccellente, come quella di Kevin Tsujihara da Warner Bros o Steve Easterbrook da McDonald’s), tanto per utilizzare una terminologia in voga in questo momento. Oltretutto nel pieno di un mercato rialzista da record e nella stagione economica più florida per gli USA dal 1969, come ripete Donald Trump nei suoi quotidiani tweets. Perché allora? Tutti desiderosi di portare la moglie, troppo a lungo trascurata, a fare il proverbiale giro del mondo o di andare in Florida a giocare a golf per dimenticare i freddi inverni di New York o del Mid-West?

In molti, alla luce dell’ultima settimana di tracolli borsistici, cominciano a offrire invece una lettura alternativa e un pò malevola di questo esodo di massa della Corporation America: conoscendo la realtà economica e finanziaria del Paese e del mondo dall’interno, hanno preferito anticipare la tempesta, andandosene con il sereno (e una buona uscita certamente corposa). Insomma, la logica in base alla quale, fatto salvo il primo, sfortunato e inconsapevole protagonista della vicenda, nessuno vuole più essere al timone del Titanic. E questa vulgata, di fatto, verrebbe implicitamente e ancor più dietrologicamente confermata dal contenuto di questo altro grafico, il quale dimostra come il 2019 sia stato un anno record anche per le vendite di titoli da parte degli insiders, i quali hanno scaricato sui massimi le azioni delle società per cui lavorano a un ritmo praticamente pari a quello che precedette l’esplosione della bolla tech.



Sicuramente, una coincidenza. Insomma, questi due trend confermano che siamo di fronte a un vero e proprio cigno nero sotto forma di virus, a un nuovo 2008? Sicuramente, se la settimana di trading appena conclusa venisse tradotta in spoiler dell’intera visione che ci attende, il genere della pellicola sarebbe certamente un horror. Ma qualcosa potrebbe muoversi, prima di quanto si pensi. Se infatti il mercato prezza già oggi un primo taglio emergenziale dei tassi da parte della Fed alla riunione del FOMC prevista per il 18 marzo, gli interventi di due ex governatori locali della Banca Centrale USA come Narayana Kocherlakota e Kevin Warsh in favore di un intervento ancora più immediato hanno cominciato a far circolare una voce a Wall Street, messa nero su bianco da Charlie McElligott di Nomura nel suo report: una riunione fra le principali banche centrali, organizzata e cooordinata proprio dalla Fed in conference call, da tenersi nel weekend, al fine di inviare un segnale di supporto coordinato (upside catalyst) prima della riapertura dei mercati asiatici. Insomma, volendo ancora scomodare i paragoni con il 2008, una sorta di rievocazione, ma a livello globale e centrale, della riunione del 13 e 14 settembre di 12 anni fa alla Fed di New York, quando i banchieri USA si chiusero in una stanza nel tentativo (vano o boicottato, ad oggi nessuno ancora conosce la versione reale) di salvare Lehman Brothers dal destino che la attendeva il lunedì mattina seguente.

Se accadesse davvero, basterà a tamponare il panico dilagante da epidemia apparentemente senza più confini? Solo il tempo (poco) che ci divide dalla riapertura delle piazze dell’Asia potrà dare una risposta. Anche se in molti fanno notare come una delle regole auree in momenti di crisi simili risieda sempre nella formula del markets stop panicking when policy-makers start panicking. E una prima riprova si è avuta quando mancavano poco meno di due ore alla chiusura delle contrattazioni e il board dei governatori della Fed emetteva un comunicato nel quale, pur ribadendo la solidità dei fondamentali dell’economia USA, sottolineava come “il coronavirus pone crescenti rischi per l’attività economica. La Federal Reserve sta attentamente monitorando gli sviluppi e le implicazioni per l’outlook. A tal fine useremo tutti i nostri strumenti e agiremo in modo appropriato a supporto dell’economia”. Risultato, perdite dimezzate di colpo ma tornate ad aumentare sul finale, quasi il mercato volesse a questo punto forzare la mano della Fed e spingesse per il bersaglio grosso. Quindi, il solo svolgimento di quel meeting potrebbe forse garantire una sorta di effetto placebo che risponda, di fatto, a uno dei grandi catalizzatori in atto durante l’ultima settimana e riportato in questo grafico: al netto di una realtà macro che era comunque già distante dalla narrativa degli indici e degli utili per azione, il mercato restava compiacente a ogni possibile e continuo aumento dell’instabilità politica grazie all’opera di compressione della volatilità implicita (Vix) garantita proprio dalla presenza delle banche centrali, sorta di mani invisibili.


Deutsche Bank

Insomma, nelle ultime sedute e grazie all’alibi del coronavirus, il mercato avrebbe deciso che era ora di inviare un segnale di sveglia a Fed e soci più chiaro e netto di quello recapitato lo scorso 17 settembre tramite il crash sull’operatività repo dell’interbancario. Time will tell. Nel frattempo, i soliti dietrologi fanno notare come il 27 febbraio, scomodando la formula del come anticipato pur non essendoci in realtà stata alcuna comunicazione preventiva, la Borsa di New York abbia comunicato lo svolgimento il 7 marzo prossimo di una simulazione al Cermak Data Center in ossequio all’esigenza di un disaster recovery testing. Ovvero, testare la capacità operativa della Nyse come se il trading floor del numero 11 di Wall Street fosse inagibile. Strano timing per un’esercitazione simile, però. Un pò come quello delle dimissioni di massa di CEO o delle vendite di gruppo degli insiders.

Mauro Bottarelli
28/02/2020
it.businessinsider.com/bob-iger-ceo-disney-e-gli-altri-ad-che-hanno-dato-le-dim...
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 05:10. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com

 

 

Statistiche nwo.it

 

Statistiche Forum