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La"Resistenza Verde" sta riconquistando la Libia?

Ultimo Aggiornamento: 15/07/2023 16:21
25/01/2014 16:43
 
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Ad oltre due anni dall'assassinio di Mu'ammar Gheddafi avvenuto il 20 ottobre 2011, il disordine nato dal vaso di Pandora di quella che un tempo era la Libia non solo sembra tutt'altro che rientrato, ma mette ormai seriamente in discussione la stessa sopravvivenza del governo “ufficiale”, instauratosi dopo l'occupazione della NATO. Mentre scrivo, un'autobomba è esplosa da poche ore a Bengasi, provocando otto morti, e due operai italiani (Francesco Scalise e Luciano Gallo) sembrano esser stati rapiti dal cantiere edile in cui lavoravano, senza per il momento alcuna rivendicazione dell'accaduto. Le ultime notizie da un territorio che ormai si mostra un vero e proprio far west mediterraneo, in cui rapimenti, uccisioni e stupri sono all'ordine del giorno, mentre imperversa una guerra tra bande permanente. In questa situazione, tre giorni fa, il Congresso Generale Libico ha decretato lo stato di emergenza, annunciato in diretta televisiva dal capo del governo Ali Zeidan. La decisione sarebbe stata presa durante una seduta straordinaria, come riportato dall'AFP e dalla Voce della Russia, in seguito agli scontri avvenuti in questi giorni nella parte meridionale del paese. Il riferimento è in particolare alla situazione della città di Sebha, a 770 km dalla capitale: qui il 18 gennaio, dopo una settimana di scontri a fuoco tra le forze filo-governative e gli uomini della tribù di Tabu, la base militare di Tamenhant è stata conquistata e occupata da un gruppo di uomini armati riconducibile a quest'ultima.



“Ribelli” per le autorità, “lealisti” per i media, si tratta di combattenti libici che si autodefiniscono “Resistenza Verde” e che non hanno smesso di lottare in difesa della Repubblica Socialista Islamica nonostante la morte del loro rais. Per loro, il successo conseguito a Tamenhant è molto più che simbolico, se si considera che si tratta della più grande base militare aeronautica del paese. Accedendovi, i resistenti avrebbero potuto facilmente avere accesso alle armi e all'equipaggiamento militare di terra e d'aria presenti al suo interno, insieme alle stanze di controllo dei radar. Forse è proprio per questo che in serata il ministro della Difesa libico, Abdul-Raziq Shabahi, autorizzava i bombardamenti sulla base (come riportato da Reuters e Russia Today: italian.ruvr.ru/2014_01_19/Proclamato-lo-stato-demergenza-in-... che hanno portato alla riconquista della roccaforte militare qualche ora dopo. Un'occasione, per il governo libico, di ostentare sicurezza nella futura cattura dei colpevoli dell'affronto, che sarebbero stati tutti riconosciuti ed individuati. Uno scempio umanitario, secondo i portavoce della Resistenza, perché i bombardamenti avrebbero coinvolto anche la popolazione civile di Sabha. Eppure, poche ore prima dell'annuncio del ministro della Difesa, il premier Zeidan dichiarava di avere il pieno controllo sia su Sabha sia sul territorio circostante. Viene da chiedersi, allora, che senso avrebbe bombardare una città sotto il controllo governativo. Soprattutto perché risulta ancora più difficile per un esercito non regolare conquistare una base militare come Tamenhant senza aver prima il controllo anche sulla città adiacente. Tant'è che ad offrire l'aiuto delle proprie forze aeree al governo di Tripoli per il bombardamento di Sabha sarebbe stato... il principato del Qatar. Non difficile a credersi, se si considera che lo stesso Qatar utilizzò i propri carri armati a sostegno dei ribelli (o mercenari, a seconda del punto di vista) che oggi siedono al governo della Libia post-Gheddafi. Eppure, proprio le vicende di Sabha sembrano mostrare tutta la debolezza dell'attuale governo libico nel mantenere il controllo del proprio territorio. Un governo che viene definito “monarchico” dai guerriglieri lealisti (come la bandiera della Libia “liberata”) e che l'11 gennaio scorso ha perso un suo membro, il ministro dell'Industria Hassan al-Drouhin, trovato assassinato a Sirte, come risposta all'uccisione di 19 persone da parte delle forze governative poche ore prima. In questo quadro, la riconquista di Tamenhant potrebbe essere per l'attuale regime libico una vittoria di Pirro, a fronte di un'altra riconquista, di ben più vasta portata. Negli stessi giorni degli scontri di Sabha, i lealisti infatti dichiaravano di aver formato un esercito di 250 mila uomini armati ed equipaggiati, pronti a cacciare il governo appoggiato dalla NATO, dall'Arabia Saudita e dal Qatar, lanciando un appello a tutto il popolo libico affinché si unisca nella riconquista della nazione.



Un movimento che, secondo Reseau Voltaire, avrebbe già portato in queste settimane alla liberazione di molte città del sud, dove sarebbe tornata a sventolare la bandiera verde della Jamahiriya. Si tratta di Aghdabia, Mars al-Braga, Ras Lanuf, Saluq e Tobruq; a cui si aggiungerebbero, secondo fonti lealiste, Amsaad, Dome, Tamimi, Baida, Afattaùh, Priairie Qmins, Ddina ed altre realtà minori. Nell'elenco compariva anche la stessa Sabha, prima dei bombardamenti. Numerose le manifestazioni popolari a sostegno della Resistenza in tutta la Libia meridionale, che hanno come tratti distintivi il drappo verde o la foto del defunto Gheddafi, tanto che il governo si sarebbe affrettato a proibire nella zona ovest della capitale ogni manifestazione di sostegno alla Resistenza Verde. Alcuni siti vicini ai resistenti scrivono addirittura di manovre interne al governo di Zeidan per rimuovere alcuni ambasciatori, che avrebbero già fatto sapere il loro appoggio al ritorno della Jamahiriya. Ma, in assenza di elementi certi, è difficile individuare il confine tra informazione e contro-propaganda. Di veramente certo c'è che, ad oltre due anni dalla morte di Gheddafi, la Libia continua a grondare sangue. Non è difficile comprendere, quindi, l'appoggio di gran parte della popolazione alla Resistenza Verde. “Ora la vita è decisamente peggiore di prima, non c'è sicurezza, non c'è cibo per le persone, non c'è gas a Tripoli, né elettricità, le strade sono in pessime condizioni e gli ospedali privi di medicine, mentre ovunque avvengono omicidi e le donne vengono rapite”. A parlare è uno dei comandanti delle truppe lealiste, che si presenta come Azmi, ufficiale delle operazioni speciali del Comando Verde, intervistato dalla Pravda online il 18 dicembre scorso. Che si dice convinto di una futura restaurazione della Jamahiriya (“dall'85 all'88% della popolazione avrebbe espresso questa scelta alle urne”, se fosse stato possibile), anche in virtù della debolezza dell'attuale governo, che controllerebbe direttamente solo una piccola parte del territorio nazionale, lasciando il resto in mano a milizie, bande, gruppi islamici e gruppi terroristici collegati ad Al Qaeda (escluso il sud). Per restaurare la nuova repubblica socialista islamica, Azmi vede come punto di riferimento un altro Gheddafi: si tratta di Saif-al-Islam, il figlio dell'ex rais che osò denunciare i finanziamenti del padre all'allora presidente francese Sarkozy (in prima fila nell'attacco alla Libia). Oggi Saif è detenuto ad al-Zintan, una cittadina nel nord del paese, dove i media occidentali l'hanno mostrato, ammanettato, nelle prime fasi del processo a suo carico. Ma secondo l'ufficiale della Resistenza intervistato dalla Pravda “non vi è nessun governo in Libia che possa realmente processare Saif, tutti stanno soltanto prendendo tempo. La scelta è tra condannarlo a morte o liberarlo, ma non ci sono elementi giudiziari contro di lui (...)”. Mentre invece godrebbe dell'appoggio del popolo e del Consiglio delle tribù, che facilmente gli permetterebbero di formare un governo: “C'è molto sostegno per Saif, il popolo libico lo voterebbe”, anche se “le nazioni della NATO, gli USA, il Qatar e la Turchia non lo accetterebbero”.



Parole che però non tutti sembrano condividere all'interno dello stesso Esercito Verde. Il sito Jamahiriya News Agency, ad esempio, si chiede chi sia Azmi e quale comando rappresenti realmente. L'accusa, non troppo indiretta, è di essere una pedina nelle mani di chi vuole mantenere la Libia nell'attuale condizione di occupazione, che risulta del tutto illegittima dal punto di vista della legalità internazionale. “Azmi parla di riformare il sistema attuale anziché rifiutarlo”, scrive J.N.A., mentre “non votare è il modo migliore con cui le persone possono rifiutare di dare legittimità al regime di burattini della NATO”. Nell'intervista della Pravda, Azmi esprimeva inoltre la convinzione che il tribunale di Zintan avrebbe alla fine deciso il meglio per Saif-al-Islam, concedendogli la libertà, e che in realtà lo stesse proteggendo dalla probabile cattura da parte dei mercenari filo-israeliani e filo-qatarioti di Misurata. Convinzione irrealistica per Jamahiriya News Agency, secondo cui Saif sarà tenuto in vita solo finché sarà utile, ricordando invece la lettera scritta dalla madre Safia il 20 ottobre scorso (http://italian.ruvr.ru/2013_10_21/Vedova-di-Gheddafi-Chiedo-di-avviare-l-indagine-piu-dettagliata-sull-omicidio-di-Muammar-Gheddafi/), in cui faceva appello alla comunità internazionale per avere notizie sulle condizioni di detenzione del figlio. Divisioni e prese di posizione che rispecchiano la complessità della situazione libica. Una situazione in cui le truppe di occupazione, costituite prevalentemente da mercenari stranieri, perdono sempre più terreno a vantaggio della Resistenza Verde e, se non fosse per l'aiuto dei soliti noti, sarebbero già state sconfitte definitivamente insieme al governo che vorrebbero difendere. Se ciò avverrà e se basterà a riportare la pace in terra libica sarà il futuro a dircelo.

Jacopo Castellini
www.nexusedizioni.it/apri/Argomenti/Attualita/LA-RESISTENZA-VERDE-STA-RICONQUISTANDO-L...
[Modificato da wheaton80 25/01/2014 16:43]
01/02/2014 23:15
 
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Il 9 gennaio elementi armati della tribù Tubu di Murzuq avevano assaltato la stazione di polizia di Tragan, a 140 km a sud di Sabha, per scovare e uccidere il capo della brigata al-Haq, Mansur al-Aswad, vicecomandante militare di Sabha, in rappresaglia per i crimini commessi dalla sua milizia, Abu Sayf, negli scontri del 2012, sempre a Sabha. Il 18 gennaio, un gruppo della Resistenza aveva occupato la base aerea di Taminhant, a 30 km ad est di Sabha, lasciandola poi alle truppe Tubu del Consiglio militare di Murzuq, guidato dal colonnello Barqa Warduqo, per poi riconsegnarla alle unità della Resistenza. Il 16 gennaio precedente, elementi della 25.ma Brigata, composta da Tubu e che controllava la centrale elettrica di Sarir, nell’oasi di Jalu, Massala e gli impianti petroliferi al-Shula nella Libia orientale, subivano un agguato dove tre soldati furono uccisi. Il comandante Muhammad Salah riteneva che gli aggressori fossero gli stessi che nel dicembre 2013 tentarono di assaltare Sarir, in cui cinque di loro furono uccisi. Gli operai della centrale di Sarir smisero di recarsi al lavoro, causando blackout a Tripoli e a Bengasi. Presso Agheila, sulla costa nord-occidentale della Libia, la milizia di Zawiya si scontrava con la tribù Warshafana. Gli islamisti di Misurata e i miliziani di Zintan intervenivano in supporto dei miliziani di Zawiya, il 20 gennaio, ma dovettero ritirarsi il 21 gennaio dopo aver subito 18 morti ad opera della guerriglia dei Warshafana filo-Jamahiriya. Scontri per il controllo dell’oasi di Qufra, tra Tubu e i Zuwaya del CNT, si ebbero sempre il 20 gennaio. Altri scontri venivano registrati anche a Zintan, Jamil, Raqdalin, Surman, Misurata, Abu Isa, Harish, Zahra, Tarhuna, Bani Walid, Sirte, Aghedabia, Marsa al-Briga, Ras Lanuf, Bin Jawad, al-Uqaylat, Saluq, Tobruq e nei quartieri di Abu Salim e Ain Zara a Tripoli. Scontri a fuoco a Bengasi, presso il palazzo di giustizia, mentre l’incendio nella centrale elettrica di Muzdawzha provocava dei blackout. L’ambasciata libica a Cairo alzava la bandiera della Jamahiriya e il personale riconosceva il sostegno alla Resistenza e chiedeva aiuto alle autorità di sicurezza egiziane. I combattimenti a Sabha e nel regione di Warshafana avevano causato 154 morti e 463 feriti, mentre a Bengasi vi furono due esplosioni contro una scuola coranica e un edificio militare. Tutto il sud veniva ripulito dalla presenza dei mercenari del CNT, e tutti gli enti, come l’aeroporto e le basi militari di Sabha, erano sotto il controllo della Resistenza. Decine di mercenari del CNT furono catturati e giustiziati sul posto, mentre il comando della Resistenza ordinava la distribuzione di cibo e medicinali agli abitanti.

I comandanti del battaglione del CNT ‘Faras Sahara’ furono fucilati e i soldati detenuti nello stadio di Sabha. Isa Abd al-Majid Mansur, leader del Fronte Tubu per la Salvezza della Libia, affermava che “Questa non è una guerra tribale… le milizie islamiste sostenute dal CNT vogliono sbarazzarsi di noi. Gli organismi internazionali che verranno ad indagare, vedranno le vittime e con quali armi e in quali condizioni sono state uccise. Sapranno che persone inermi sono state rapite e fucilate con armi da 14,5 millimetri“. Isa Abd al-Majid affermava che Sabha era diventata il quartier generale di al-Qaida nel Maghreb. Il 25 gennaio 2014, il personale dell’ambasciata egiziana di Tripoli veniva ritirato, dopo che elementi armati avevano sequestrato l’addetto culturale e quello commerciale, assieme ad altri tre dipendenti, in reazione all’arresto ad Alessandria d’Egitto di Shaban Hadiya (Abu Ubayda), capo della Sala delle operazioni rivoluzionarie libica. Il 29 gennaio 2014, mentre il ministro della Giustizia Salah Margani veniva rapito da sconosciuti, il viceprimo ministro e ministro degli Interni libico Aldulqarim Sadiq subiva un attentato a Tripoli, quando la sua limousine cadde in un’imboscata, tesa nell’ambito della lotta sul controllo del petrolio del Paese. Il 19 gennaio, il Capo di stato maggiore, generale Muhammad Qarah fu ucciso con un colpo di pistola alla testa, durante un’operazione contro le milizie a sud della capitale. La settimana prima fu il viceministro dell’Industria Hassan al-Drui ad essere ucciso, a Sirte, da killer non identificati. Tali omicidi, oltre 100, vengono attribuiti ai sostenitori della Jamahiriya. Infatti si tratta soprattutto di ex-ufficiali disertori e traditori che nel 2011 passarono agli islamo-golpisti sostenuti dalla NATO. Il Gruppo Inkerman, società di contractors inglesi, aveva contato 81 omicidi tra Bengasi e Derna, entro l’ottobre 2013. A Misurata Sahmayn Abu Misuratayn concordava i termini di un accordo con il governo del CNT di Zaydan, ottenendo le cariche di viceprimo ministro e i ministeri dell’elettricità, del petrolio e delle finanze, e le milizie di Misurata ottenevano il riconoscimento formale quale forza armata governativa del CNT. Inoltre, alcuni ministeri sarebbero stati trasferiti a Misurata. A Qufra, dopo gli scontri tra tubu e CNT, le milizie governative si ritiravano da tutta l’area, avendo subito molte perdite e abbandonato materiale bellico. Il valico di frontiera di Ras Jadir, tra Tunisia e Libia, veniva ripreso dalla Resistenza dopo un scontro con i miliziani del CNT che fuggirono in territorio tunisino. Presso Sabha, gli aerei della NATO bombardavano per errore una colonna delle milizie misuratine, diretta verso la base di Taminhant, uccidendo il comandante del battaglione del CNT ‘Ghepardo‘ Ali Triqi. A Sabha, la ricostituita 6.ta Brigata di fanteria libica respingeva le forze attaccanti misuratine, che perdevano 120 autoveicoli, 90 prigionieri e 470 caduti, di cui 13 sudanesi, 20 egiziani, 5 afghani e 3 siriani. Ad Agheila, un comandante del CNT veniva eliminato in uno scontro a fuoco e a Ryan le forze della Resistenza eliminavano Ahmad Muhammad Isa al-Ajirab, capo del locale consiglio militare, e prendevano il controllo della cittadina. A Bani Walid veniva costituita la brigata al-Rusifa della tribù Warfala, i cui capi chiedevano a tutti i membri della tribù che avevano prestato servizio nell’esercito libico di unirsi alla neonata unità, posta sotto il comando del Consiglio di Bani Walid, cui rispondono tutti i warfala. Gli scontri tra le forze delle Resistenza e le milizie ribelli hanno spinto l’ammiraglio francese Edouard Guillard a richiedere un nuovo intervento in Libia per impedire qualsiasi evoluzione nelle regioni meridionali della Libia, “che potrebbe portare a una minaccia terroristica”. Guillard ha detto che qualsiasi intervento richiederebbe il consenso del regime del CNT di Tripoli guidato dal primo ministro Ali Zaydan. Oltre a Sabha, gli scontri riguardano Agheila, Zawiyah e Zahra.

In relazioni a tali eventi, è stata emanata una nuova legge che vieta alle reti televisive di trasmettere notizie e commenti su Gheddafi. AllAfrica.com riferiva che “il decreto 5/2014 sulla cessazione e il divieto di trasmissione di alcune TV satellitari approvata dal Congresso Nazionale Generale (GNC) della Libia il 22 gennaio, istruisce i ministeri degli Esteri e delle Comunicazioni a prendere ‘le misure necessarie per fermare la trasmissione di tutti i canali televisivi satellitari ostili alla rivoluzione del 17 febbraio e il cui scopo è destabilizzare il Paese e creare divisioni tra i libici’, incaricando il governo a ‘prendere tutte le misure contro gli Stati o territori da cui tali TV vengono trasmesse, se non ne bloccano la trasmissione’.” Si tratta di una legge che mira a bloccare le stazioni satellitari filo-Jamahiriya, quali sono al-Qadra e al-Jamahiriya. Sempre AllAfrica.com osservava che “il governo libico ha adottato la risoluzione 13/2014 del 24 gennaio che sospende le borse di studio agli studenti che studiano all’estero e gli stipendi e bonus ai dipendenti della Libia che hanno ‘partecipato ad attività contrarie alla rivoluzione del 17 febbraio’. Le ambasciate libiche sono invitate a stilarne gli elenchi e a farne riferimento al procuratore generale per processarli“.

Dichiarazione del Movimento nazionale popolare di Libia
Primo, supportiamo la rivolta delle tribù libiche che riteniamo la strada giusta per la liberazione oggi, e chiediamo che le aree libere debbano costituire un sistema di consigli delle organizzazioni sociali, lasciando ai rispettivi comitati esecutivi delle forze armate e di sicurezza la direzione della rivolta, il coordinamento degli sforzi e del supporto delle tribù alla preservazione della vita dei cittadini e delle loro proprietà, la tutela dalle azioni degli aggressori, la rinuncia alle violenze e alla vendetta, il perdono per tutti coloro che si pentono, respingere l’abominevole Consiglio di febbraio, di tener conto al Consiglio di tutte le tribù di tutte le aree libiche, senza esclusioni o emarginazioni o sfiducia, che le regole nazionali sono competenza e integrità, e di perseguire tutti l’obiettivo di liberare la Patria e abolire il sistema imposto in Libia con la rivoluzione di febbraio da NATO e fantocci, sotto tutte le sue denominazioni. Secondo, il mondo vede i crimini commessi in Libia dalle milizie della NATO, le carceri piene di migliaia di uomini liberi, l’assassinio di centinaia di onorevoli libici, la partecipazione dei giovani libici in battaglie utili al nemico sionista, saccheggio, corruzione e milioni di profughi… Tutto ciò senza aver mosso un dito, ed è chiaro che il mondo non ascolta la voce della ragione, se non gli interessi materiali delle imprese multinazionali monopolistiche; la maggior parte degli Stati ha contribuito a tale tragedia. Dipende dai bravi libici sostenere il popolo e liberarlo dal dominio dell’oscurantismo blasfemo e dal debito commerciale. Ci aspettiamo il riconoscimento internazionale della legittimità della rivoluzione del Popolo, la comprensione della necessità della rivoluzione contro lo status quo, e la riparazione dell’errore compiuto in conseguenza della disinformazione, e il compimento della responsabilità etica e legale di ciò che è accaduto e accade in Libia, sperando di adottare consigli popolari controllati dai rappresentanti del Popolo libico, basati sulle relazioni durature tra i popoli. Ci appelliamo anche alla coscienza di media, giornalisti, intellettuali, scrittori e difensori dei diritti umani nel compiere il loro dovere verso la rivoluzione popolare in Libia e verso le tattiche fallimentari del regime fantoccio presso le opinioni pubbliche nazionale e internazionale, smentendo le posizioni tenute dai media oscurati. Terzo, informiamo il mondo che è crollata la menzogna che permise l’invasione, secondo cui Gheddafi uccise il popolo usando mercenari e soldati che stupravano le donne, sfruttando tali invenzioni per bombardare il nostro Paese per 193 giorni, con 24040 sortite, 8975 attacchi aerei ed inviare 15000 truppe straniere per invaderlo, senza che il mondo alzasse un dito contro i bombardamenti sui civili e l’impiego di mercenari di Turchia, Qatar, Sudan e altri Paesi.

Quarto, la scintilla della rivolta del popolo libico è scoppiata nelle città in risposta all’ingiustizia della schiavitù e del feudalesimo, per la volontà delle famiglie di tornare allo Stato del Popolo e delle tribù, distrutto con l’arrivo degli invasori. Una rivolta contro l’occupazione e il tradimento, l’oppressione e l’ingiustizia di coloro che sognano di tornare agli anni cinquanta, dimenticando che il popolo libico è consapevole dai tempi della rivoluzione che non si può tornare al dominio feudale inutile ed autoritario, alla dittatura tribale o del singolo. Quinto, l’esperienza ha dimostrato che la rivoluzione popolare è la rivoluzione di domani, e che prevarrà inevitabilmente nonostante i sacrifici, il tempo e la dimensione del conflitto; il popolo è disposto a sopportare un lungo periodo di lotta, determinato a vincere e a tornare alla Libia progettata dal Popolo vero su tutto il suolo della Patria; anche se in parte ha scelto la non-violenza, tutte le aree comuni create fin dall’inizio saranno parte inestimabile del sistema. Sesto, notiamo che il nostro popolo è cosciente della cospirazione per trasformare la Libia in centro del terrorismo per finanziarlo ed addestrarlo, e dei piani per il dominio internazionale dei terroristi della Fratellanza e dei gruppi religiosi estremisti ed opprimenti alleati, perseguito nella regione molestando l’Egitto e colpendo al cuore la Tunisia e gli Stati dell’Africa sahariana, con il sostegno dei mandanti del terrorismo in Qatar, Turchia e altri Paesi che non combattono il terrorismo, ma lo supportano promuovendone la diffusione e l’incendio che oggi affliggono la regione. Settimo, annunciamo al mondo che i mujahidin delle tribù libiche libere si ribellano stanchi della manipolazione della Patria e dei cittadini, determinati a completare la liberazione, sottolineando il dovere etico di non compiere atrocità e di rispettare gli stranieri, secondo la nostra religione ed etica islamiche, ma determinati a liberare la Libia dalla giunta di qarijiti corrotti e taqfiri oppressori, restaurare la Jamahiriya, ottenendo proiettili, razzi, bombe ed aerei nelle loro ispirate vittorie, sicuri della vittoria e smascherando ai popoli della Terra tale cospirazione, mentre i fantocci perdono la battaglia e i saggi riconoscono la lezione storica del diritto del popolo libico alla difesa, garantito dal diritto internazionale. Un popolo aggredito da bande di ladri sostenute da Paesi che promuovono il terrorismo internazionale. (…)

Viva una libera, indipendente ed unita Libia. Viva il grande popolo libico!
Viva la Resistenza Popolare. Vittoria ai combattenti per la libertà!


Fonti
- libyaagainstsuperpowermedia.org/2014/01/31/a-new-intervention-threatens-the-devastated-libyan-patriots-after-the-martyr-gaddafi-loyalists-take-full-monitoring-of-souther...
- libyaagainstsuperpowermedia.org/2014/01/30/declaration-of-the-peoples-national-movement-libya-on-the-popular-libyan-rev...
- libyaagainstsuperpowermedia.org/2014/01/30/further-news-from-occupie...
- libyaagainstsuperpowermedia.org/2014/01/26/libya-the-truth-interview-with-green-res...
- resistencialibia.info/?p=6996
- www.spacewar.com/reports/Political_killings_blight_Libya_as_it_slips_further_toward_lawlessness_...

Alessandro Lattanzio, 1/2/2014
aurorasito.wordpress.com/2014/02/01/dichiarazione-del-movimento-nazionale-popolare-d...
[Modificato da wheaton80 01/02/2014 23:17]
11/03/2014 23:43
 
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Libia, sfiduciato il premier Zeidan. La petroliera attaccata dalla Marina

Ha fatto in tempo a mantenere almeno una promessa il premier libico Ali Zeidan, defenestrato ieri dopo una drammatica seduta al Congresso di Tripoli, il Parlamento provvisorio della Libia post Gheddafi. Zeidan aveva promesso fiamme e fuoco contro i ribelli secessionisti della Cirenaica che lo avevano sfidato con la vendita del primo carico di petrolio a uno Stato straniero, 350mila barili per 30 milioni di dollari: «Bombarderò quella nave se lascia il porto di Al Sidra». Ieri mattina la Morning Glory, battente bandiera nordcoreana, forzato il cordone di navi da guerra (in realtà pescherecci armati di mitragliere) che doveva impedirle di lasciare la rada, e ha preso il largo. Ma è stata inseguita fino alle acque internazionali e, mentre a Tripoli si consumavano le ultime ore da premier di Zeidan (gira voce addirittura di un mandato di arresto per corruzione da parte del procuratore generale), è stata colpita e danneggiata. Secondo alcune fonti sui social media locali, ci sarebbe un incendio a bordo. Il premier ha avuto notizia da privato cittadino. Il Congresso aveva appena votato e approvato a larga maggioranza la mozione di sfiducia nei suoi confronti. Al suo posto è stato nominato premier il ministro della difesa, Abdullah al Thani. Resterà in carica per 15 giorni, prima dell’elezione di un nuovo premier. Le elezioni parlamentari, invece, non sono state ancora fissate e ciò sta portando a un crescente nervosismo. A Sirte sono scoppiati violenti scontri fra milizie pro e contro il governo centrale di Tripoli. Ci sono voci non confermate di una dozzina di vittime. La mozione di fiducia era basata sulla «manifesta incapacità» del premier, al suo posto da meno di una anno, ad assicurare la sicurezza nel Paese. L’Est è in gran parte in mano a milizie ex rivoluzionarie secessioni, alcune ispirate alla senussia, la corrente islamica della Cirenaica, e pesantemente infiltrate da elementi ex di Al Qaeda. Alcune città, come Derna e Al Baida, sono in mano a gruppi apertamente qaedisti, come Ansar al Sharia. A Bengasi ci sono un paio di omicidi politici al giorni. Al Sud, il capoluogo del Fezzan Sebha è assediato da milizie islamiste che arrivano dalle terre di nessuno nel deserto del Niger e del Mali. Zeidan non è riuscito a ricostruire un esercito nazionale con un minimo di forza per imporre il potere centrale. Anche Misurata, a 200 chilometri da Tripoli, è in mano alla Brigata che porta il nome della città, decisiva nella guerra contro Gheddafi ma che ora risponde solo a se stessa ed è stata incaricata immediatamente dal nuovo governo di condurre l’offensiva contro di secessionisti della Cirenaica, o «Barqa» in dialetto arabo locale. C’è solo una parola che può riassumere la situazione attuale della Libia: «anarchia».

Giordano Stabile
11/03/2014
www.lastampa.it/2014/03/11/esteri/libia-sfiduciato-il-premier-zeidan-la-petroliera-ribelle-prende-il-largo-lPUOQZ2BLTLoeIAXjubpnJ/pag...
23/05/2014 00:42
 
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Libia, una nuova guerra per liberarsi degli islamisti

Secondo l’ex-capo dei golpisti del CNT, Mahmud Jibril, “Gli Stati Uniti hanno perseguito una politica di doppiezza in Libia. Il loro obiettivo principale era mettere al potere i Fratelli Musulmani in Egitto, Libia e Tunisia per contenere il terrorismo, affidando il programma ai suoi alleati regionali Turchia e Qatar. La caduta di Mubaraq contribuì al successo del piano degli Stati Uniti. Ma il Generale Abdalfatah al-Sisi, il ministro della Difesa egiziano che ha tolto di mezzo il presidente egiziano islamista Muhammad Mursi, ha inferto un duro colpo al piano. Il Qatar supportò la rivolta anti-Gheddafi, imponendo l’emiro del Gruppo Islamico Combattente Libico in Afghanistan (LIFG), Abdalhaqim Belhadj, a capo dei rivoluzionari libici. L’emiro del Qatar, Hamad bin Qalifa, rifiutò di disarmare le milizie e di recuperare le armi fornite dal Qatar, su raccomandazione della Francia, che gli islamisti ricevevano all’aeroporto di Bengasi sotto la supervisione di ufficiali dei servizi segreti del Qatar. Perciò ci siamo rivolti al Sudan per avere le armi. Per le sue operazioni, il Qatar assieme a Mustafa Abdaljalil, presidente del CNT, aveva deciso che sarei stato sollevato dalla carica di ministro degli Interni e della Difesa. Mustafa Abdaljalil aveva già “giurato fedeltà al Qatar, nutrendo simpatie per i Fratelli Musulmani. Con mia grande sorpresa, appresi che Abdalhaqim Belhadj fu presentato ai capi di Stato Maggiore della NATO in una riunione della coalizione a Doha, nell’agosto 2011, dove ebbe un briefing sulla situazione militare in Libia, in vista dell’offensiva contro Tripoli. Il comando operativo fu poi trasferito dall’isola di Djarba in Tunisia, sotto l’autorità del partito islamista al-Nahda di Rashid Ghannuchi, uomo del Qatar, a Zintan nel Jabal al-Nafusa, nella Libia occidentale. Infine, l’assalto contro Tripoli fu ritardato di diverse settimane a causa del fatto che il Qatar aveva invocato l’opposizione della NATO a tale operazione quale scusa per l’incapacità nel distruggere le difese della capitale. Quando arrivammo a Tripoli, scoprimmo che 24 dei 28 obiettivi cruciali per paralizzare le difese della capitale furono distrutti. Il Qatar sfruttò il pretesto dell’opposizione della NATO per permettere a Belhadj di entrare per primo”.

Il 24 marzo 2014, la petroliera Morning Glory veniva sequestrata a largo di Cipro da un commando di 24 Navy SEAL imbarcati sui natanti veloci di un incrociatore lanciamissili di scorta alla portaerei USS Roosevelt. L’equipaggio di 21 persone della petroliera venne trasbordato sulla portaerei statunitense per essere poi processato per “acquisto illegale di petrolio” in Libia. “L’equipaggio sarà deferito alle autorità giudiziarie competenti“, secondo il tenente-colonnello Salim al-Shawirf. “L’equipaggio della petroliera è ora sotto la mia autorità ed è indagato“, aveva detto il procuratore neo-coloniale libico Abdalqadir Radwan, sebbene senza l’intervento delle forze speciali e della marina statunitensi la nave non sarebbe mai stata presa. La petroliera era di proprietà di una società degli Emirati Arabi Uniti, ed era noleggiata da una società saudita, batteva la bandiera della Corea democratica, ma Pyongyang l’aveva radiata dal suo registro navale in quanto violava la legge “sul registro e i contratti marittimi che vietano il trasporto di merci di contrabbando“. A metà aprile, esplosero proteste a Zawiya, pochi giorni dopo che il governo aveva ceduto il controllo di due porti petroliferi all’esercito per porre fine alla crisi e alle controversie tra le autorità regionali cirenaiche e quelle centrali. L’esercito aveva preso il controllo dei porti di Zuaytina e Mars al-Hariga. Però l’11 aprile i manifestanti riuscirono ad occupare la raffineria di Zawiya chiudendone la produzione di 120000 barili al giorno. Il 13 aprile, i “ribelli” della regione autonoma della Cirenaica si accordarono per consegnare al governo centrale i terminali petroliferi dei porti di Ras Lanuf e Sidra, occupati dal luglio 2013. La disputa ha ridotto le esportazioni di petrolio della Libia di 1,25 milioni di barili al giorno, con la conseguente perdita di circa 14 miliardi di dollari di entrate. Nel giugno 2013, un comandante di al-Qaida, Ibrahim Ali Abu Baqr al-Tantush, prendeva il controllo di una base segreta creata dalle forze speciali statunitensi sulla costa libica: Campo 27. Nell’estate del 2012, i Berretti Verdi statunitensi ristrutturarono la base militare a 27 chilometri ad ovest di Tripoli, per ospitare e addestrare i combattenti per le operazioni speciali antiterrorismo della Libia. Ma due anni dopo, il campo di addestramento veniva utilizzato da al-Qaida fomentando il caos nella Libia post-Jamahiriya. “Un funzionario della Difesa degli Stati Uniti affermava che il campo oggi viene considerato ‘zona negata’ o luogo in cui le forze USA dovrebbero aprirsi la strada per accedervi“. Seth Jones, esperto di al-Qaida della Rand Corporation, aveva detto che la Libia è oggi un rifugio di al-Qaida nordafricana. “V’è una serie di campi di addestramento di al-Qaida e dei vari gruppi jihadisti emersi nel sud-ovest della Libia, intorno a Tripoli, e nel nord-est della Libia, intorno a Bengasi”. Nel marzo 2014, il generale David Rodriguez, a capo dell’US Africa Command, affermò al Comitato dei Servizi Armati del Senato che un paio di migliaia di combattenti stranieri era transitato dal nord Africa alla Siria e che al-Qaida ne coordinava le attività. Ed ora questi militanti avevano una base presso Tripoli, oltre a una serie di dispositivi tattici avanzati.

“La sfida più grande sono munizioni, armi ed esplosivi che dalla Libia continuano a fluire in tutta la regione del nord-ovest dell’Africa“. Alla domanda se tali armi rafforzassero al-Qaida in Africa, Rodriguez rispose: “Li rafforza in tutto il nord-ovest dell’Africa“. Nel frattempo, il Congresso Nazionale Generale della Libia non riusciva a nominare un nuovo primo ministro, avendo il candidato Ahmad Mitiq ottenuto solo 113 dei 120 voti necessari. La Libia era senza premier da quando Ali Zaydan era scappato in Europa a marzo e il primo ministro ad interim Abdullah al-Thini rimaneva in carica fino alla nomina di un successore. Al-Thini aveva annunciato a metà aprile che si sarebbe dimesso, spaventato da uno scontro a fuoco in una zona residenziale che lo vide oggetto. Il primo vicepresidente del Congresso, Az al-Din al-Awami dichiarava chiuso un primo procedimento per eleggere il nuovo premier; ma esso venne illegalmente riaperto dal secondo vicepresidente, Salah Maqzum, dove Mitiq riceveva 121 voti. Infine la situazione venne risolta dal presidente del Congresso Nuri Abu Sahmayn che nominava Mitiq nuovo primo ministro. Il portavoce del primo ministro al-Thini, Ahmad Lamin, affermava che una volta raggiunto l’accordo, al-Thini sarebbe rimasto in carica finché Mitiq avesse stilato il nuovo governo e il Congresso l’avesse approvato. Ma proprio quando ci si avviava verso l’adempimento di tale processo, esplosero nuovi scontri a Bengasi. Secondo il quotidiano algerino al-Qabar del 12 maggio, il Feldmaresciallo egiziano Abdalfatah al-Sisi avrebbe deciso di estirpare il terrorismo islamista in Egitto intervenendo militarmente contro le relative basi in Libia. Il direttore dell’intelligence egiziana Muhammad Farid al-Tuhamy avrebbe visitato Washington per spiegare al governo degli Stati Uniti le minacce poste da al-Qaida all’Egitto dalla Libia, affermando che i combattenti dallo Stato Islamico dell’Iraq e Levante (SIIL) provengono dall’Egitto e che il nuovo governo del Cairo li combatte. Il 10 maggio al-Qabar aveva pubblicato un articolo che avvertiva dell’imminente guerra in Libia, che avrebbe potuto propagarsi anche in Tunisia. Gli Emirati Arabi Uniti avrebbero sostenuto l’azione contro la Libia per stabilizzarvi la situazione e por fine alle minacce poste dagli islamisti. Lo sceicco Muhammad bin Zayid bin Sultan al-Nuhayan, principe ereditario di Abu Dhabi, sosterrebbe l’Egitto nella repressione dei gruppi islamisti che minacciano la stabilità regionale. La mattina del 16 maggio, l’ambasciatore d’Algeria a Tripoli, Abdalhamid Buzhar, subiva un tentativo di rapimento da parte di uomini armati, presso la sua residenza a Qarqas, Tripoli. Ma la scorta del personale diplomatico algerino riusciva ad evacuare l’ambasciatore presso l’aeroporto di Tripoli e da lì ad Algeri. Il resto del personale della rappresentanza diplomatica venne evacuato il giorno dopo e l’ambasciata venne chiusa. Questo tentato rapimento era l’ultimo di una serie di attacchi alle missioni diplomatiche in Libia. Un diplomatico tunisino e l’ambasciatore giordano furono rapiti e poi rilasciati. A Bengasi, sempre il 16 maggio, esplosero scontri armati tra l”esercito nazionale libico’ dell’ex-generale golpista Qalifa Haftar e le milizie islamiste, causando 79 morti e oltre 140 feriti. A Tripoli, un comunicato del presidente del Congresso nazionale generale, Nuri Abu Sahmayn, accusava Haftar di essere “al di fuori della legittimità dello Stato” e di compiere un vero e proprio “colpo di Stato”. Il generale negava:“L’operazione lanciata venerdì e battezzata ‘Restaurare la dignità della Libia’ mira a ripulire il Paese dai terroristi. Abbiamo cominciato questa battaglia e continueremo fino a raggiungere il nostro scopo. Il popolo libico è con noi”. L”esercito nazionale’ guidato da Qalifa Haftar, ex-capo dei golpisti che nel 2011 rovesciarono Muammar Gheddafi, aveva il sostegno di un aereo da guerra e di elicotteri che bombardarono la caserma occupata dalla milizia islamista “Brigata 17 febbraio”, mentre i miliziani attaccarono la base del gruppo islamista Rafallah al-Sahati. I combattimenti si svolgevano nella zona di Sidi al-Fradj, a sud di Bengasi. Il Capo di stato maggiore dell’esercito libico, Abdalsalam Jadallah al-Ubaydi, “nega che le forze armate siano coinvolte negli scontri a Bengasi“.

“In una dichiarazione alla televisione nazionale, al-Ubaydi ha chiesto all’esercito e ai rivoluzionari di opporsi a qualsiasi gruppo armato che cerchi di controllare Bengasi con la forza”. Invece molti soldati aderivano all”esercito nazionale’ dopo i numerosi attacchi compiuti dalle milizie legate ad al-Qaida fin dall’invasione USA-NATO. Al-Ubaydi vietava inoltre alle forze armate di entrare a Bengasi per sostenere Haftar. Per al-Ubaydi l’azione di Haftar era un “colpo di Stato”. Il primo ministro ad interim Abdullah al-Thini affermava che solo un aviogetto aveva attaccato i gruppi islamisti e senza il permesso del governo, “E’ il tentativo di sfruttare l’attuale insicurezza contro la rivoluzione”. Muhammad al-Hijazi, portavoce dell”esercito nazionale’, dichiarava alla TV libica al-Ahrar che unità dell’esercito regolare si erano unite alle forze di Haftar nella lotta agli islamisti, tra cui forze aeree e forze speciali. Gli “scontri non si fermeranno fin quando l’operazione raggiungerà i suoi obiettivi“. Sempre secondo al-Hijazi anche i militari dell’aeroporto di Bengasi, Benina, avevano aderito all’azione di Haftar. Reuters riferiva che le autorità libiche avevano chiuso l’aeroporto di Bengasi, “Abbiamo chiuso l’aeroporto per la sicurezza dei passeggeri, ci sono scontri in città. L’aeroporto sarà riaperto a seconda della situazione della sicurezza”. L’agenzia LANA citava Milad al-Zuwi, portavoce delle forze speciali, che negava il coinvolgimento delle sue truppe. Il portavoce dell”esercito libico nazionale’ Muhammad al-Hijazi riferiva che i combattenti al comando di Haftar “hanno bombardato le basi appartenenti ad Ansar al-Sharia e ad altri gruppi islamisti a Bengasi“. Quindi alcuni elicotteri e un caccia MIG-21 bombardarono le basi bengasine di Ansar al-Sharia, Rafallah al-Sahati e battaglione ’17 Febbraio’. A Tripoli, le milizie di Zintan attaccarono una base dei miliziani filo-governativi. Il 17 maggio, velivoli libici bombardavano la stazione radio di Ansar al-Sharia di Bengasi. Le operazioni proseguirono il 18 maggio a Tripoli, con l’assalto al parlamento, causando 2 morti e decine di feriti, e a cui parteciparono le brigate di Zintan al-Qaqa, al-Sawaiq e al-Madani che, insieme ad unità dell’esercito libico, assaltarono anche diverse basi islamiste, tra cui quella della 27ª brigata di Misurata comandata da Buqa, capo della milizia islamista governativa ‘Scudo della Libia‘. Il 19 maggio, il Capo di Stato Maggiore Generale al-Ubaydi ordinava alle milizie islamiste filo-governative di proteggere le sedi governative di Tripoli, mentre l’ex-premier al-Thini confermava che 120 mezzi dell’esercito governativo erano passati con Haftar nell’offensiva contro gli islamisti di Bengasi. Il generale Haftar ribadiva che il suo obiettivo era la “liberazione della Libia dal governo islamista che ha consegnato il Paese ai terroristi”. Un ex-comandante delle forze armate libiche, colonnello Adan al-Jarushi, affermava che anche le forze armate prendevano parte all’azione contro i taqfiriti di Bengasi. Al-Jarushi si appellava ai soldati ad unirsi all’operazione e ordinava a tutte le basi aeree di bombardare le posizioni dei terroristi. L”esercito nazionale libico’ (ENL) di Haftar è formato da circa 6000 tra miliziani irregolari e soldati dell’esercito, e dalle forze speciali di stanza a Bengasi guidate dal colonnello Abu Qamada. Inoltre l’ENL controlla le basi aeree di Bengasi e Tobruq e 200 tra blindati, carri armati e pickup armati di mitragliatrici, lanciarazzi o mortai.

L’offensiva sembra godere di un certo sostegno popolare e di alcune milizie tribali in cerca di vendetta per i crimini commessi dagli islamisti. Bengasi subisce da tre anni assassini e attentati perpetrati dalle stesse milizie islamiste che il CNT aveva nominato ‘forze di sicurezza’. Il capo dei Fratelli Musulmani in Libia, Bashir al-Qabti, aveva dichiarato: “Il sangue libico versato è responsabilità del governo debole mentre dita straniere giocano con il destino e il sangue dei libici per schiacciare la rivoluzione del 17 febbraio, nell’ambito di una guerra programmata contro la primavera araba“. Anche il portavoce del governo libico affermava che potenze estere tentavano di conferire legittimità alle azioni di elementi fuorilegge dell’esercito. “Vengono presentati da certi media come dei patrioti, anche se non sono altro che dei ribelli, secondo la convenzione militare“, insisteva Ahmad al-Amin, portavoce delle autorità-fantoccio della NATO e del Qatar in Libia. L’Algeria intanto schierava 10000 militari lungo i 6000 km di confine con la Libia ed alzava il livello di allerta delle forze di sicurezza algerine, per preparale ad affrontare una possibile intrusione libica sul territorio nazionale. Anche la Tunisia rafforzava i presidi al confine con la Libia, mentre già dal 13 maggio gli statunitensi avevano inviato a Sigonella 250 marines e 8 convertiplani V-22 Osprey. Il portavoce del Pentagono, colonnello Steve Warren, ha sottolineato che “mentre i marines sono “senza dubbio” dediti alla protezione delle ambasciate, non ha escluso la possibilità che possano essere chiamati per una missione diversa“. Ai marines statunitensi verrebbe ordinato di proteggere i giacimenti petroliferi. La portavoce del dipartimento di Stato USA Jen Psaki affermava “Ribadiamo il nostro invito a tutte le parti ad astenersi dalle violenze e a cercare una soluzione con mezzi pacifici“. Reuters riferiva che il giacimento al-Fil era stato chiuso per le proteste e quello di al-Sharara rimaneva chiuso, riducendo la produzione petrolifera nazionale libica a circa 200000 barili al giorno, lontani dagli 1,4 milioni di barili al giorno pompati nel 2013. Come già detto, il 18 maggio la milizia di Haftar attaccava il parlamento libico, che veniva evacuato. Poco prima, il nuovo premier Ahmad Mitiq aveva formato il nuovo governo che attendeva la fiducia del parlamento. I miliziani di Haftar assaltarono il parlamento chiedendone la sospensione e il passaggio dei poteri ad un organismo di 60 elementi eletti per redigere la nuova costituzione del Paese nordafricano. Il Congresso Nazionale Generale (GNC) veniva incendiato dopo che i miliziani avevano sequestrando dieci deputati, prima di ritirarsi. Sparatorie esplosero in tutta Tripoli. “Annunciamo il congelamento del GNC“, affermava il colonnello Muqtar Firnana, ex-ufficiale della polizia militare di Zintan, su al-Ahrar TV a nome dell”esercito libico nazionale’ di Haftar. Secondo fonti, gli assalitori, forse miliziani di Zintan, arrivarono a bordo di blindati provenendo dalla strada che collega la capitale all’aeroporto. Le brigate di Zintan detengono Sayf al-Islam Gheddafi, ma si sono sempre rifiutate di consegnarlo a Tripoli.

Fonti

www.wsws.org/en/articles/2014/03/20/liby-m20.html?view=print
secret-difa3.blogspot.it/2014/05/lambassadeur-dalgerie-tripoli-echa...
www.rid.it/index~phppag,3_id,151.html
nsnbc.me/2014/05/17/cia-trained-rebel-leader-suspected-libya-coup-...
nsnbc.me/2014/05/08/libya-al-thinni-to-stay-on-as-pm-until-congress-approves-maetiq-adminis...
nsnbc.me/2014/05/05/0-2-libya-two-prime-ministers-now/
nsnbc.me/2014/04/12/oil-port-in-western-libya-shut-down-by-pro...
nsnbc.me/2014/03/28/morning-glory-seized-returned-tripoli-pentagon...
nsnbc.me/2014/05/04/libyas-gnc-unable-to-agree-on-new-prime-m...
nsnbc.me/2014/04/23/jihadists-now-control-secretive-u-s-bas...
www.moonofalabama.org/2014/05/libya-cias-haftar-giving-it-another-...
www.mondialisation.ca/libye-an-iii-post-kadhafi-un-incubateur-de-dictateurs/5378714...
www.algerie-focus.com/blog/2014/05/la-frontiere-avec-la-libye-est-fermee-sonatrach-rapatrie-ses-50-e...
www.globalresearch.ca/chaos-in-libya-how-the-us-nato-war-destabilized-north-africa-and-now-threatens-europe/5382675...

Alessandro Lattanzio, 20/5/2014
aurorasito.wordpress.com/2014/05/20/libia-una-nuova-guerra-per-liberarsi-degli-is...
23/02/2015 16:00
 
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Libia, NATO, Qatar e intervento dell’Egitto

“Al-Qaida ha dato istruzioni alle cellule dormienti affinché tornassero a galla. I membri di queste cellule hanno attaccato caserme e commissariati per prendere le armi. E’ successo a Bengasi e a al-Bayda, dove si è sparato. La situazione è grave per tutto l’occidente e tutto il Mediterraneo. Come possono, i dirigenti europei non capirlo? Il rischio che il terrorismo si estenda su scala planetaria è evidente” (Muammar Gheddafi, 7 marzo 2011)

Alla domanda se l’Italia voglia intervenire contro l’Egitto e l’Algeria, su mandato di Stati Uniti, Turchia e Qatar, per impedire ad Egitto e Algeria di stabilizzare la situazione in Libia, il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, rispondeva:“Se l’Italia interviene, lo farà anche indirettamente per aiutare l’Egitto a prendersi un pezzo di Libia ed eventualmente l’Algeria a prendersene un altro. Non è affatto vero che certe organizzazioni islamiche stiano invadendo la Libia o controllino la Libia. E’ assai improbabile quello che abbiamo letto ovvero che controllerebbero Sirte o Tripoli. In realtà ci sono delle schegge di queste organizzazioni disperse in particolare in Cirenaica, dove lo stato islamico ha una funzione rilevante di legittimazione dell’intervento egiziano. Perché l’Egitto vuole riparare al torto che la geologia gli ha fatto, vale a dire non disporre di importanti risorse energetiche. Dalla dissoluzione della Libia è uscita la Cirenaica, che si trova a pochi chilometri dal suo confine, pertanto l’Egitto sta premendo in tutti i modi per convincere il resto del mondo a legittimarlo in un’operazione di polizia in Libia che di fatto, se dovesse andare a buon fine, significherebbe l’ingresso dell’Egitto almeno in una parte della Libia. Un altro paese che ha qualche interesse a che questa situazione perduri è la Francia”. Paragonate tale risposta al commento dell’autore inglese Dan Glazebrook:“Gli Stati africani che nel 2010 avanzavano economicamente, beneficiando degli investimenti cinesi su infrastrutture e produzione, allontanandosi da secoli di dipendenza coloniale e neocoloniale dalle predatrici istituzioni finanziarie occidentali, affrontano gravi nuove minacce terroristiche da gruppi come Boko Haram, dotati di nuove armi e strutture su gentile concessione dell’umanitarismo della NATO. Algeria ed Egitto, ancora governati dagli stessi movimenti indipendentisti che rovesciarono il colonialismo europeo, vedono i loro confini destabilizzati, ponendo le basi per attacchi debilitanti pianificati ed eseguiti dalla nuova miliziocrazia libica della NATO. Questo è il contesto in cui l’Egitto avvia la reazione regionale contro la strategia di destabilizzazione della NATO“.

La conclusione che se ne trae è semplice, Caracciolo, spacciato per massimo esperto di geopolitica in Italia, perora le operazioni di distruzione della regione Africa-Mediterraneo-Medio Oriente, ideate da Washington e Londra, finanziate da Qatar e Quwait, e sostenute da Turchia e Israele, esibendo un ridicolo pacifismo, opportunistico, il cui scopo è in sostanza impedire che l’asse del blocco eurasiatico SCO-BRICS, rappresentato in questo caso da Egitto e Algeria, risolva la situazione d’instabilità inoculata, scientemente, dalla NATO, per sabotare appunto l’opera di risanamento economico-infrastrutturale avviatavi dalla Cina, così come i grandi programmi di investimenti pan-africani previsti dalla Jamahiriya Libica. L’allineamento a tale programma di sterminio, volto, ancora una volta, non a costruire un blocco filo-occidentale in Africa, ma solo a devastarne le terre per rallentarvi l’espandersi dell’influenza dei Paesi BRICS, vede protagonisti non solo l’asse atlantista USA-UK-Israele, ma anche le relative propaggini turca, qatariota, petroemiratina, e le varie furiose sette islamiste (alimentate dalle intelligence atlantiste), capeggiate dalla Fratellanza musulmana, come Hamas, che invocano il ‘non-intervento’ contro i ‘fratelli’ libici che devastano la Libia (oltre che Siria, Mali, Tunisia ed Iraq), terminando nella grottesca coda italiana, un ripugnante impasto dalle varie ‘anime': i presunti redivivi ‘realpolitiker’ del gruppo Espresso/Repubblica, dai rapporti intrecciatissimi con lo sponsor del terrorismo mediorientale del Qatar, la rete di ONG/giornalini online filo-islamista, capeggiata da Famiglia Cristiana (o meglio Famiglia Wahhabita), che funge da copertura per la rete di terroristi islamisti arruolati e armati dalle intelligence della NATO (Gladio-B); il circo dei pidocchi madiatico-politici (PD, SEL, Lega, M5S, fascisteria avariata); gruppi di propaganda atlantisti, camuffati da centri studi ‘geopolitici’, addirittura qualcuno spacciandosi per ‘eurasiatista’, ma tutti legati all’ambiente dell’estrema destra coltivata e coccolata dall’intelligence italiana, francese, turca o anche ucraina (Gladio), ed infine l’area dell”antagonismo’, i supporter ‘antifa’ e ‘anti-razzisti’ di Gladio nelle reti dei centri sociali, sorvegliate dall’intelligence italiana, foraggiate ed eterodirette dalle ONG dell’oligarca statunitense George Soros, e infine intruppate dalle intelligence israeliana (Mossad) e tedesca (BND, Rosa Luxemburg Stieftung) affinché continui ad esprimere sostegno verso la ‘rivoluzione’ islamista a Gaza, Tunisia, Libia, Siria, Libano, ecc…

Un altro motivo, non secondario, di tale mobilitazione ‘pacifista’ in Libia delle strutture di Gladio e della NATO (e annesso circo mediatico), è il fatto che, dopo le sonore sconfitte della NATO in Siria e Ucraina, e dell’imminente risoluzione della questione SIIL in Iraq, un passo enorme per l’Iran associato al Patto di Shanghai, l’intervento egiziano-libico in Libia (con supporto francese, che reagisce in questo modo alla False Flag del 7 gennaio a Parigi), possa porre fine al peggiore focolaio islamista nella regione Africa-Mediterraneo; sarebbe una sconfitta devastante per l’atlantismo. La regione libica deve essere lasciata incancrenirsi, come desiderano da Washington-Londra-Tel Aviv e dai loro referenti locali in Italia ed UE, permettendole di divenire la base di lancio di una destabilizzazione che devasterebbe ulteriormente il Nord Africa, Corno d’Africa e Medio Oriente, ostacolando l’affermazione mondiale del multipolarismo (BRCS, UEE, SCO, ALBA, APEC, ecc…) e ritardando il collasso del polo atlantista, perseguendo anche una mera ‘rivincita di Pirro’ qualsiasi, che serva anche a lenire i dolori per l’abrasiva sconfitta subita dall’aggressione atlantista in Siria-Iraq, Africa, Balcani e Ucraina-Caucaso. La NATO non ha più nulla da offrire se non guerre endemiche, devastazione socio-economica, sconvolgimenti politico-geografici.

Un Airbus A320 partito da Tobruq atterrava all’aeroporto di Zintan il 23 gennaio, dove era presente ad attendere il velivolo il sindaco di Zintan, Mustafa Baruni. Il SIIL libico occupava la città di Sirte, a 400 km da Tripoli. Il centro del SIIL si trovava a Derna, seconda città della Cirenaica, sede Califfato libico collegato a SIIL, Jund al-Qalifa algerino e Ansar Bayt al-Maqdis in Sinai. Il 27 gennaio, a Tripoli, un commando del SIIL aveva attaccato l’hotel Corinthia, uccidendo 9 persone, ed altre città, come Sirte. Il 13 febbraio, mentre il SIIL trasmetteva la predica del capo al-Baghdadi dalla stazione radio di Sirte e diffondeva le immagini dell’assassinio di 21 egiziani rapiti a Sirte, l’ambasciata italiana a Tripoli invitava gli ultimi italiani presenti in Libia ad andarsene immediatamente. Difatti, anche il personale dell’ambasciata era già stato richiamato da diverse settimane. Nel frattempo, il 16 febbraio al Cairo veniva firmato un accordo per la vendita di 24 caccia francesi Rafale, una fregata FREMM e missili a corto e medio raggio della MBDA, per un valore di oltre 5 miliardi di euro, tra il presidente egiziano Abdalfatah al-Sisi e il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian. Nell’autunno 2014, a Parigi il presidente egiziano al-Sisi aveva incontrato il presidente francese François Hollande, per discutere della situazione in Libia. Il capo dello Stato egiziano aveva espresso la volontà di rafforzare l’aeronautica egiziana, che possiede cacciabombardieri Mirage 5 e Mirage 2000. Il califfato di Derna conterebbe 2000 jihadisti che aumenterebbero grazie alla disgregazione delle altre bande jihadiste, come Ansar al-Sharia di Muhammad al-Zahawi, filiazione di Ansar al-Sharia tunisina ed erede del Gruppo Combattente Islamico Libico (LIFG) di Abdelhagim Belhadj, l’uomo del Qatar e della NATO durante l’aggressione alla Jamahiriya Libica. Ansar al-Sharia si oppone al governo dei Fratelli musulmani a Tripoli di al-Hasi e disporrebbe di 5000 jihadisti sparsi tra Bengasi e Derna. La brigata Umar al-Muqtar, composta da 250 jihadisti guidati da Ziyad Balam, opera al fianco di Ansar al-Sharia a Derna, Aghedabia e Bengasi, città dove è presente anche la brigata Martiri del 17 Febbraio formata da 12 battaglioni di 4000 jihadisti in totale, guidati da Fawzi Buqatif, membro della Fratellanza musulmana libica. L’unità più importante della Martiri del 17 Febbraio è la brigata Rafallah al-Sahati di 1000 combattenti capeggiati da Ismail al-Salabi e Salahadin bin Umran. Ansar al-Sharia, Rafallah al-Sahati e Martiri del 17 Febbraio si sono riunite nel Consiglio rivoluzionario della Shura di Bengasi, gruppo che si oppone ad Haftar e al ‘governo’ di Tobruq. Un’altra banda legata alla Fratellanza musulmana è la Lybia al-Fajir guidata da Wisam bin Hamid che raccoglierebbe 12000 jihadisti raggruppati in 4 brigate presenti a Bengasi, Qums, Misurata, Zlitan, Bani Walid, Zawiya, Gharian, Tarhuna e Sabratha.

Gli altri gruppi islamisti libici sarebbero legati ad al-Qaida nel Magreb Islamico e al Muwaqin bin Dam di Muqtar Balmuqtar, attivi in Cirenaica e nel Fezan, ad Ubari, dove si troverebbe la loro base principale. Sono costoro ad essersi uniti al SIIL. Il 16 febbraio, l’aeronautica egiziana bombardava le basi dello Stato islamico in Libia, in risposta all’assassinio dei 21 egiziani rapiti dai taqfiriti. Un incontro urgente del Consiglio Nazionale di Difesa si era tenuto la notte precedente, decidendo che “l‘Egitto aveva il diritto di rispondere agli omicidi”. Gli attacchi furono effettuati “in attuazione delle decisioni adottate dal Consiglio Nazionale di Difesa, secondo il diritto dell’Egitto di difendere sicurezza e stabilità del proprio grande popolo, punendo e rispondendo agli atti criminali di elementi e organizzazioni terroristiche all’interno e all’esterno del Paese”. L’operazione era stata condotta da 6 aerei da combattimento F-16C Block52 decollati dalla base aerea di Marsa Matruh, bombardando campi, centri di addestramento e 6 depositi di armi dello Stato islamico a Derna e Sirte. Le forze aeree egiziane avevano “eseguito l’operazione con successo, colpito i loro obiettivi e rientrati in patria senza alcun danno”. L’attacco aereo egiziano eliminava 50 terroristi dello Stato islamico, nei bombardamenti su Derna, dove almeno cinque edifici occupati dai terroristi furono distrutti. Per reazione, il gruppo islamista Libya al-Fajir minacciava i cittadini egiziani in Libia di andarsene entro 48 ore. Nel frattempo, l’Unità 999 delle forze speciali egiziane compiva un’incursione a Derna eliminando 150 terroristi dello SI e catturandone altri 55. Secondo Lybia Herald, altri 35 egiziani sarebbero stati rapiti in Libia dai terroristi dello Stato islamico. L’Algeria ha dispiegato a sua volta 50000 effettivi lungo il confine con la Libia e il Niger, dove le unità della IV e della VI Regione militare, tra dicembre 2014 e gennaio 2015, lanciavano alcune operazioni per distruggere i locali gruppi terroristici. Le Forze Armate Tunisine ed Algerine hanno inoltre raggiunto un accordo per l’implementazione di un piano per l’eliminazione dei gruppi terroristici operanti ai loro confini: circa 14000 uomini (8000 algerini e 6000 tunisini) rafforzeranno la sorveglianza delle frontiere e le attività d’intelligence sul campo.

In relazione all’intervento in Cirenaica, il governo egiziano accusava il Qatar di sostenere il terrorismo; quindi il Qatar richiamava l’ambasciatore in Egitto criticando la scelta del Cairo di bombardare i terroristi dello Stato islamico in territorio libico; anche Hamas si dichiarava contrario all’intervento militare internazionale in Libia, come anche il ministro degli Esteri inglese Philip Hammond, che respingeva l’azione militare in Libia affermando che la crisi doveva essere risolta politicamente. Nel frattempo, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il ministro degli Esteri egiziano Samah Shuqry aveva provato, invano, di far autorizzare una missione militare araba. “E’ importante far capire che l’Egitto non è un Paese aggressore. Il nostro esercito interviene soltanto per difendere una terra e un popolo e non per impossessarsene” affermava al-Sisi. UE e USA si schieravano per una ‘soluzione politica’ della crisi libica, a ennesima dimostrazione della collusione tra NATO, petroemirati del Golfo e mercenari islamisti. Anche il ‘capo’ della diplomazia europea, Federica Mogherini, ribadiva che l’UE incoraggiava il dialogo politico fra le diverse parti libiche, sostenendo l’operato del rappresentante speciale dell’ONU Bernardino Leon, uomo del gruppo Bilderberg. USA, Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna affermavano che la decapitazione degli egiziani, “sottolinea ancora una volta l’impellente necessità di una soluzione politica del conflitto, la cui prosecuzione va a beneficio esclusivo dei gruppi terroristici, Stato islamico compreso“, toni ben diversi dal bellicismo scatenato contro la Jamahiriya Libica, accusata di crimini inventati dalla macchina propagandistica occidentale e del Qatar. Il 19 febbraio, il ministero degli esteri della Turchia definiva il primo ministro della Libia “irresponsabile” ed “ostile”, avendo accusato Ankara d’ingerenza negli affari interni libici.

“Ci aspettiamo che i funzionari del governo ad interim rivedano il loro atteggiamento irresponsabile verso il nostro Paese ed evitino dichiarazioni ostili ed infondate, altrimenti la Turchia sarà obbligata a prendere misure appropriate“. Il primo ministro libico Abdullah al-Thini, in un’intervista al quotidiano Asharq al-Awsat, aveva accusato la Turchia d’interferenza negli affari interni della Libia e avvertito che il governo avrebbe potuto espellere le compagnie turche. Nel settembre 2014, in effetti, il primo ministro libico Abdullah al-Thini accusò anche il Qatar di aver inviato 3 aerei militari carichi di armi a Tripoli, ed accusò il Sudan di aiutare il Qatar in Libia. Secondo Amir Hashim Rabyah, a capo del Centro di Studi politici e strategici al-Ahram, “Se vi è una reale volontà di sconfiggere il terrorismo prima che arrivi su territorio egiziano in modo netto e intensificato, ci dovrebbero essere attacchi preventivi contro coloro che aiutano i terroristi… In particolare mi riferisco agli aerei del Qatar che li riforniscono dal Sudan“. Il Qatar è uno dei principali sponsor delle insurrezioni armate islamiste del 2011 contro il governo libico, e quindi delle guerre contro Siria e Iraq e dell’ascesa al potere della Fratellanza musulmana in Egitto. Secondo il Tesoro degli Stati Uniti, il qatariota Abdalrahman bin Umar al-Nuami avrebbe inviato 600000 dollari ad al-Qaida in Siria nel 2013, e oltre 2 milioni di dollari ai capi di al-Qaida in Iraq. Nel 2012 Abdalrahman bin Umar al-Nuami avrebbe fornito 250000 dollari al gruppo islamista somalo al-Shabab. Infine, in Qatar 2 basi militari vengono utilizzate per addestrare i terroristi che combattono contro l’Esercito arabo siriano.

Alessandro Lattanzio
22/2/2015

Riferimenti
english.ahram.org.eg/NewsContent/2/8/123434/World/Region/Britain-urges-political-solution-in-Li...
english.ahram.org.eg/NewsContent/1/64/123401/Egypt/Politics-/Cairo-accuses-Qatar-of-supporting-terrorim;-Doh...
english.ahram.org.eg/NewsContent/1/64/123417/Egypt/Politics-/UPDATED-GCC-secretary-general-criticises-Cairos...
allainjules.com/2015/01/23/alerte-info-libye-seif-el-islam-kadhafi-aurait-ete-libere-secretement-a...
it.euronews.com/2015/02/19/libia-e-crisi-diplomatica-tra-egitto-...
www.ilgazzettino.it/ESTERI/libia_ambasciata_italiana_paese/notizie/11790...
nsnbc.me/2015/02/19/terrorism-in-egyptlibya-must-be-fought-at-its-root-think-tank-suggests-intercepting-qatari...
nsnbc.me/2015/02/17/fajr-libya-urges-egyptians-to-leave-libya-within...
nsnbc.me/2015/02/17/military-hits-derna-and-sirte-details-of-egyptian-airstrikes-on-is-i...
nsnbc.me/2015/02/16/breaking-egypt-launched-air-strikes-may-deploy-special-forces-against-isis-i...
www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Libia-attacchi-egiziani-via-terra-in-a-Derna-Catturati-55-miliziani-Isis-83ddbef6-ea83-44d5-b648-a3bffed2e...
reseauinternational.net/premier-contrat-enfin-signe-lexport-pour-le-rafale-24-avions-vendus-...
www.rid.it/index~phppag,3_id,529.html
www.rid.it/index~phppag,3_id,516.html
rt.com/op-edge/233787-egypt-west-isis-mideast-libya/
news.xinhuanet.com/english/africa/2015-02/16/c_133998720.htm
sputniknews.com/middleeast/20150216/1018325554.html

aurorasito.wordpress.com/2015/02/22/libia-nato-qatar-e-intervento-del...

[Modificato da wheaton80 23/02/2015 16:06]
09/01/2016 23:37
 
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Clamorosa intercettazione: la guerra di Sarkozy a Gheddafi e all’Italia

Sono oramai note – ai più avveduti – le vere ragioni dell’attacco a Gheddafi del 2011 da parte di Sarkozy e Blair e della NATO, al fianco di una titubante ma obbediente Italia, attacco militare che portò alla morte del dittatore libico e all’attuale caos di tipo ‘irakeno’ alle porte di casa nostra. Ragioni che non vengono certo spiegate sui TG e sulla stampa mainstream, in questo vergognoso regime europeo che sacrifica le nostre libertà e i nostri interessi nazionali in nome dell’ideologia e degli interessi di un’élite transnazionale. Elite che non esitano a scatenare guerre con centinaia di migliaia di morti, a fabbricare prove e creare pretesti per abbattere governi stranieri, a bombardare per lustri popolazioni civili in plaghe remote, a creare imperi del male per procura come Daesh e poi ritirarsi magari a vita privata senza rendere conto a nessun tribunale. Nuove potenze coloniali, ancora peggiori se possibile di quelle ottocentesche. Le vere ragioni dell’ennesimo disastro geopolitico in terre di petrolio – in sintesi, un attacco all’Italia e ai nostri interessi per mano degli ‘alleati’ francesi e inglesi – sono però note oggi in maniera completa attraverso alcune delle 3.000 email di Hillary Clinton pubblicate dal Dipartimento di Stato il 31 dicembre scorso su ordine di un tribunale (http://www.foxnews.com/politics/2016/01/01/state-department-releases-over-3000-clinton-emails-on-new-years-eve.html). Email che delineano con chiarezza il quadro geopolitico ed economico che portò la Francia e il Regno Unito alla decisione di rovesciare un regime stabile e tutto sommato amico dell’Italia: due terzi delle concessioni petrolifere nel 2011 erano dell’ENI, che aveva investito somme considerevoli in infrastrutture e impianti di estrazione, trattamento e stoccaggio. Ricordiamo che la Libia è il maggior Paese produttore africano, e che l’Italia era la principale destinazione del gas e del petrolio libici. Non troverete traccia di queste mail, come detto, nella stampa di regime eurocolonizzatrice né in quella eurosottomessa di casa nostra. E nemmeno delle telefonate di Blair, nelle quali Gheddafi aveva messo in guardia del rischio di un nuovo Iraq alle porte dell’Europa in caso di sua caduta. Profezia puntualmente avverata. Scenari Economici ve ne dà notizia in anteprima italiana. La mail UNCLASSIFIED U.S. Department of State Case No. F-2014-20439 Doc No. C05779612 Date: 12/31/2015, inviata il 2 aprile 2011 dal funzionario Sidney Blumenthal (stretto collaboratore prima di Bill e poi di Hillary) alla allora segretaria di stato USA Hillary Clinton, dall’eloquente titolo “France’s client & Qaddafi’s gold”, racconta i retroscena dell’intervento franco-inglese (https://www.foia.state.gov/searchapp/DOCUMENTS/HRCEmail_DecWebClearedMeta/31-C1/DOC_0C05779612/C05779612.pdf). Li sintetizziamo qui:

- La Francia ha chiari interessi economici in gioco nell’attacco alla Libia
- Il governo francese ha organizzato le fazioni anti-Gheddafi alimentando inizialmente i capi golpisti con armi, denaro, addestratori delle milizie (anche sospette di legami con Al-Qaeda), Intelligence e forze speciali al suolo
- Le motivazioni dell’azione di Sarkozy sono soprattutto economiche e geopolitiche, che il funzionario USA riassume in 5 punti:

1. Il desiderio di Sarkozy di ottenere una quota maggiore della produzione di petrolio della Libia (a danno dell’Italia, NdR)
2. Aumentare l’influenza della Francia in Nord Africa
3. Migliorare la posizione politica interna di Sarkozy
4. Dare ai militari francesi un’opportunità per riasserire la sua posizione di potenza mondiale
5. Rispondere alla preoccupazione dei suoi consiglieri circa i piani di Gheddafi per soppiantare la Francia come potenza dominante nell’Africa Francofona

Ma la stessa mail illustra un altro pezzo dello scenario dietro all’attacco franco-inglese, se possibile ancora più stupefacente, anche se alcune notizie in merito circolarono già all’epoca. La motivazione principale dell’attacco militare francese fu il progetto di Gheddafi di soppiantare il Franco Francese Africano (CFA) con una nuova valuta pan-africana. In sintesi Blumenthal dice:

- Le grosse riserve d’oro e argento di Gheddafi, stimate in 143 tonnellate d’oro e una quantità simile di argento”, pongono una seria minaccia al Franco francese CFA, la principale valuta africana
- L’oro accumulato dalla Libia doveva essere usato per stabilire una valuta pan-africana basata sul dinaro d’oro libico
- Questo piano doveva dare ai Paesi dell’Africa Francofona un’alternativa al franco francese CFA
- La preoccupazione principale da parte francese è che la Libia porti il Nord Africa all’indipendenza economica con la nuova valuta pan-africana
- L’Intelligence francese scoprì un piano libico per competere col franco CFA subito dopo l’inizio della ribellione, spingendo Sarkozy a entrare in guerra direttamente e bloccare Gheddafi con l’azione militare



La nobile dottrina del “Responsibility to Protect” (R2P) diffusa a beneficio del pubblico europeo fu quindi – secondo Blumenthal – solo uno schermo per coprire la vera motivazione dell’attacco a Gheddafi: l’oro delle sue riserve e gli interessi economici francesi in Africa. Si noti infatti che la “protezione di vite civili” è totalmente assente dai rapporti diplomatici. Altra mail rilevante, soprattutto sugli aspetti militari, qui: www.foia.state.gov/searchapp/DOCUMENTS/HRCEmail_DecWebClearedMeta/31-C1/DOC_0C05782401/C05782... Sarebbe interessante capire dove sono le riserve auree di Gheddafi, insieme a valuta e diamanti (http://www.iltempo.it/esteri/2014/12/09/nascosto-in-sette-bunker-il-tesoro-di-gheddafi-1.1355025). Per finire con un dettaglio minimo ma significativo notiamo l’accenno di Sid Blumenthal a “l’occasionale emissario di Sarkozy, intellettuale e auto-promotore Bernard Henri-Levy, considerato dagli esponenti della NLC (National Libyan Council, fazione libica anti-Gheddafi finanziata e addestrata dalla Francia, NdR) un personaggio a metà utile e a metà ridicolo”. La triste vicenda del fondatore della Nouvelle Philosophie, auto-proclamato difensore dei diritti umani, come parabola dell’estinzione dell’intellighenzia progressista europea sostituita dagli ideologi del mercato e dell’iperfinanza e degli interessi delle élite. Pasolini, dove sei?

Ulrich Anders
9 gennaio 2016
scenarieconomici.it/clamorosa-intercettazione-guerra-sarkozy-allitalia-libia-g...
04/02/2016 03:30
 
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Libia, Ayesha Gheddafi, il nuovo leader della resistenza contro la NATO e l’ISIS



Maja Orlic (con traduzione di Mario Andrijasevic) su Southfront (http://southfront.org/ayesha-gaddafi-as-a-new-leader-of-resistance-against-nato-and-the-libyan-terrorists/) scrive:“Lei è tornata! La figlia di Muammar Gheddafi torna a guidare la resistenza contro la NATO e gli altri terroristi libici”. Ayesha si sarebbe quindi messa alla guida della resistenza e sarebbe in procinto di creare un nuovo governo segreto. In un momento cruciale per il Paese e alla vigilia del nuovo intervento della NATO che in Italia i nostri “alleati” hanno deciso oggi a Roma, Aisha Gheddafi ha garantito, prosegue Orlic, che nei prossimi mesi si formerà un "governo segreto" di "libici famosi", fedeli al colonnello Gheddafi e che fungerà da mediatore nel Paese e all'estero. Analizzando la situazione attuale, Ayesha ha criticato l'ex esercito per "un mix pazzesco di anarchici" che hanno deciso di fare la guerra sul principio di chi pagava di più. Li ha accusati di usare una bandiera verde di Jamahiriya e di reclutare sostenitori, oltre che di rafforzare i governi tribali, sotto la cui ombra si sono uniti gli islamisti dei Tuareg e Toubou, che cospirano contro il governo di Tobruk. Ayesha Gheddafi ha invitato poi i soldati delle forze armate libiche a dare il loro giuramento al Comandante Supremo, al fine di ripristinare lo Stato. "Il mio nome mi dà un dovere e il diritto di essere in prima linea in questa battaglia", ha detto colei che durante la guerra ha perso il marito e due figli. Oggi è pronta a diventare un "simbolo della Nazione" e, accanto ad un ritratto di Gheddafi, a diventare un "simbolo della missione per ripristinare l'unità nazionale". E' una lotta per i suoi figli, dichiara. "Siamo pronti per una battaglia mortale, in cui i terroristi si troveranno ad affrontare una Nazione". Non è chiaro se per terroristi intendesse i fondamentalisti dell'ISIS, coloro che oggi a Roma hanno pianificato nuove bombe (NATO), o, semplicemente, entrambi.

02/02/2016
www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=5871&pg=14203
11/02/2016 23:01
 
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Hillarygate, la complicità occidentale nel genocidio dei neri in Libia

A capodanno furono svelati 3000 messaggi di posta elettronica di Hillary Clinton, quando era segretaria di Stato. Sono stati ripresi da diversi media statunitensi, tra cui la CNN. Gli storici saranno sorpresi da alcune rivelazioni esplosive contenute nei messaggi di posta elettronica sulla Libia: la legittimazione dei crimini dei ribelli, le operazioni speciali inglesi e francesi in Libia all’avvio delle proteste contro Gheddafi, l’integrazione dei terroristi di al-Qaida nell’opposizione sostenuta dai Paesi occidentali, ecc…

Gli squadroni della morte della NATO

Le informazioni raccolte da Sidney Blumenthal su Hillary Clinton forniscono prove decisive sui crimini di guerra commessi dai “ribelli” libici sostenuti dalla NATO. Citando un capo ribelle “con cui ha parlato in piena fiducia”, Blumenthal ha detto di Clinton:“Prendendo le parole con la massima riservatezza, un capo dei ribelli ha detto che le sue truppe continuano l’esecuzione sommaria di tutti i mercenari stranieri (che hanno combattuto per Muammar Gheddafi) durante i combattimenti“. Mentre le esecuzioni illegali sono facili da riconoscere (i gruppi coinvolti in questi crimini vengono chiamati convenzionalmente “squadroni della morte”), ancor più sinistro è che erano considerati “mercenari stranieri” i combattenti di origine sub-sahariana e, difatti, i civili neri. Vi è un’ampia documentazione presso giornalisti, ricercatori e gruppi di difesa dei diritti umani che dimostrano che i libici neri e i lavoratori sub-sahariani assunti da società libiche, attività favorita da Gheddafi per la sua politica a favore dell’unità africana, furono oggetto di una brutale pulizia etnica.



Il massacro di Tawarga

I neri libici furono spesso stigmatizzati come “mercenari stranieri” dai ribelli, principalmente gruppi estremisti legati ad al-Qaida, per la loro fedeltà in generale a Gheddafi; in quanto comunità, furono sottoposti a torture ed esecuzioni e le loro città furono “liberate” con la pulizia etnica e le stragi. L’esempio più documentato è Tawarga, una città di 30.000 libici neri. La popolazione scomparve del tutto dopo l’occupazione da parte dei gruppi ribelli sostenuti dalla NATO, le Brigate di Misurata. Tali attacchi erano ben noti e continuarono fino al 2012, come confermato dall’articolo del Daily Telegraph:“Dopo che Muammar Gheddafi fu ucciso, centinaia di lavoratori migranti provenienti dagli Stati confinanti furono arrestati dai combattenti alleati delle nuove autorità provvisorie. Accusarono gli africani di essere mercenari al servizio dell’ex-leader”. Sembra che Hillary Clinton fosse stata personalmente informata dei crimini degli alleati, i ribelli anti-Gheddafi, molto prima di commettere i peggiori crimini del genocidio.

al-Qaida e le forze speciali di Francia e Regno Unito in Libia
Nella stessa e-mail Sydney Blumenthal ha anche confermato ciò che divenne un problema ben noto, le insurrezioni sostenute dall’occidente in Medio Oriente e la cooperazione tra le forze militari occidentali e le milizie legate ad al-Qaida. Blumenthal riferisce che “una fonte estremamente sensibile” confermò che le unità speciali inglesi, francesi ed egiziane crearono le milizie ribelli libiche al confine tra Libia ed Egitto, nonché alla periferia di Bengasi. Mentre gli analisti a lungo specularono sulla presenza di truppe occidentali sul terreno nella guerra libica, il messaggio è la prova definitiva del ruolo svolto da esse e della loro presenza sul terreno nelle prime manifestazioni contro il regime di Gheddafi, scoppiate nel febbraio 2011 a Bengasi. Il 27 marzo, in ciò che doveva essere una “rivolta popolare”, gli agenti dei servizi speciali inglesi e francesi “supervisionarono il trasferimento di armi ai ribelli“, tra cui armi d’assalto e munizioni.



Il timore francese per la moneta pan-africana
La risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite proposta dalla Francia istituiva una no-fly zone sulla Libia “al fine di proteggere i civili”. Tuttavia, una e-mail inviata a Clinton nell’aprile 2011 esprime intenzioni meno nobili. L’e-mail indica l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy come a capo dell’attacco alla Libia e individua cinque obiettivi da raggiungere: avere il petrolio libico, garantire l’influenza francese nella regione, aumentare la reputazione nazionale di Sarkozy, affermare il potere militare francese ed evitare l’influenza di Gheddafi su ciò che chiamava “francofona”. Ancor più sorprendente è il riferimento alla minaccia che le riserve di oro e denaro libiche, stimate in 143 tonnellate d’oro e una quantità simile di denaro, “comportassero la sostituzione del franco CFA quale moneta ufficiale dell’Africa francofona”. Una delle principali cause della guerra, poi, fu la volontà francese d’impedire la creazione della moneta panafricana basata sul dinaro-oro libico, un programma che faceva parte dei tentativi di Gheddafi di promuovere l’unità africana. Questo avrebbe dato ai Paesi africani un’alternativa al franco CFA, uno dei fattori del dominio neocoloniale sull’economia dell’Africa Centrale da parte della Francia.

Fonte: www.contrainjerencia.com/?p=113428
17 gennaio 2016

Traduzione di Alessandro Lattanzio
aurorasito.wordpress.com/2016/02/11/hillarygate-la-complicita-occidentale-nel-genocidio-dei-neri-i...
[Modificato da wheaton80 11/02/2016 23:04]
12/07/2016 02:30
 
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Recupero delle e-mails di Hillary Clinton, sparite dal precedente articolo postato:



[Modificato da wheaton80 12/07/2016 02:31]
12/07/2016 02:32
 
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Libia: Al Sarraj perde pezzi e Haftar diventa più forte

Al Sarraj nella notte perde quattro ministri e così Khalifa Haftar diventa sempre più forte. Il Ministro del Tesoro, Fakher Boufarna; della Giustizia, Jumua Al Darsi; della Riconciliazione Nazionale, Ab-del Jawad Al Obeidi, e dell’Economia e dell’Industria, Abdel Matlub Boufarua, si sono dimessi polemicamente. Al Sarraj e il suo governo, mai accettato dal popolo libico e fortemente imposto a seguito degli accordi raggiunti dall'ONU, ora si troverà a dover affrontare il complicatissimo scenario politico libico e proporre quattro nuovi ministri. Il "Premier" era arrivato via mare, quasi fosse un profugo, cercando in tutti i modi di farsi accettare dal popolo (e dai suoi ministri). Non c'è riuscito, pur avendo una copertura mediatica straordinaria. I giochi sono ancora aperti: Khalifa Haftar sta dimostrando un dinamismo insospettabile per la sua età e continua l'opera di persuasione sul popolo e sui leader stranieri. Alcune voci darebbero il generale come "poco affidabile", ma il fatto che abbia dimostrato di aver resistito così a lungo sotto embargo, che sia amato da vasti strati del popolo e che riesca a farsi ricevere sia da Mosca che da Washinghton significa che è molto più sagace di quanto si possa immaginare.

Francesco Bergamo
02/07/16
www.difesaonline.it/geopolitica/breviestero/libiaalsarrajperdepezziehaftardiventapi%C3%...
13/09/2016 03:53
 
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Il Generale Haftar mette le mani sul petrolio libico

Da sempre in Libia chi controlla il petrolio ha in mano il potere. Era inevitabile pertanto che i combattimenti, al netto della battaglia per la presa di Sirte, dove restano asserragliati ancora centinaia di jihadisti dello Stato Islamico, sarebbero tornati a concentrarsi nei territori della cosiddetta Mezzaluna Petrolifera. In questo tratto di costa, situato tra Sirte e Bengasi, alle prime ore di domenica 11 settembre, contingenti dell’LNA (Libyan National Army), le forze armate fedeli al generale Khalifa Haftar, sono avanzate in direzione dei terminal petroliferi di Ras Lanuf ed Es Sider, sottraendone il controllo alla Guardia Petrolifera (PFG, Petrol Facilities Guard) guidata da Ibrahim Jedhran, in passato leader dei separatisti della Cirenaica e oggi invece alleato del governo di unità nazionale (GNA, Government of National Accord) del Premier designato dalle Nazioni Unite Faiez Serraj.

Secondo il resoconto del colonnello Ahmad Mesmari, uno dei portavoce dell’LNA, i militari di Haftar hanno adesso il controllo degli ingressi alla città di Ajdabiya (crocevia strategico per l’export di petrolio, ndr) e dei porti petroliferi di Es Sider e Ras Lanuf, mentre scontri sono in corso per la presa dei terminal di Zuwaytina e Al-Brega. Bombardamenti aerei si sono registrati inoltre nelle ultime ore a ovest di Ajdabiya e nel distretto Ganfuda a Bengasi. L’offensiva dell’LNA è stata effettuata nell’ambito dell’operazione Al-Barq Al-Khatif (Sudden Lightning) e i militari di Haftar nella loro avanzata non avrebbero trovato “quasi alcuna resistenza”. Tra i miliziani di Jedhran vi sarebbe stato infatti solo un morto, mentre la maggior parte si sarebbe data alla fuga lasciando incustoditi sul posto blindati e altri veicoli militari. La situazione sta dunque volgendo velocemente a favore delle milizie dell’LNA, come dimostrerebbero anche le dichiarazioni di Salah Al-Atewish, capo della tribù Magharba stanziata nell’area di Ajdabiya, il quale avrebbe invitato tutti i suoi membri a sostenere il Generale Haftar.

Perché sono importanti i terminal di Es Sider e Ras Lanuf
La perdita del controllo dei terminal di Es Sider e Ras Lanuf rappresenta un duro colpo per il governo Serraj tanto sul piano politico quanto su quello strettamente economico. Nell’area in cui si trovano i due porti non sono infatti operativi solo i terminal per le esportazioni petrolifere, ma anche una raffineria, complessi petrolchimici, una base militare, un aeroporto civile, gli edifici della NOC (National Oil Company, la compagnia pubblica degli idrocarburi) e di diverse società energetiche straniere, giacimenti, pozzi e un’area residenziale in cui vivono circa 25.000 persone. Fin quando hanno funzionato a pieno regime, i terminal di Es Sider e Ras Lanuf hanno coperto metà della produzione nazionale petrolifera libica, pari a circa 700.000 barili al giorno. Le attività sono state interrotte alla fine del 2014 a causa dei continui attacchi sferrati da milizie islamiste affiliate allo Stato Islamico o ad Ansar Al Sharia. In questo lasso di tempo i porti sono stati difesi dalle milizie della Guardia Petrolifera, che nel luglio scorso ha trovato un accordo con il governo di Serraj per riaprire i terminal e far ripartire le esportazioni petrolifere sotto il controllo del nuovo governo. Adesso l’irruzione nella Mezzaluna Petrolifera delle forze di Haftar complica ulteriormente i piani di Serraj, soffocando nuovamente le ambizioni di riunificazione del Paese nutrite dalle Nazioni Unite.

L’esecutivo sostenuto dall’ONU, con base a Tripoli e comando militare a Misurata, già non può contare sulla gestione totale della NOC, di fatto spaccata a metà con due sedi rivali: una si trova nella capitale e risponde al GNA; l’altra è invece a Bengasi ed è diretta da uomini di fiducia del governo parallelo di Tobruk del Premier Abdullah Al-Thinni, espressione della Camera dei Rappresentanti e su cui vige il controllo di Haftar. Con i terminal più importanti nelle mani del Generale della Cirenaica, lo scenario che si prospetta per la Libia già nel breve periodo è quello di uno scontro frontale tra le forze fedeli a Tobruk e quelle che invece appoggiano Serraj. Nel momento in cui Sirte cadrà definitivamente, tra Tripoli e Bengasi non ci saranno infatti più ostacoli. In palio c’è una produzione petrolifera nazionale assestata ad oggi a circa 200.000 barili al giorno. Pochi rispetto agli 1,6 milioni dei tempi di Gheddafi, ma comunque più che sufficienti per spingere le fazioni opposte allo scontro. Il capo della missione ONU in Libia, Martin Kobler, in un tweet ha espresso preoccupazione per l’escalation del conflitto, in cui progressivamente la guerra a ISIS sta lasciando spazio a uno scontro interno per la leadership. “Il petrolio libico appartiene a tutti i libici”, ha twittato Kobler. Si sbaglia. Perché il petrolio in Libia da sempre appartiene solo ed esclusivamente a chi ha in mano il potere.

12 settembre 2016
www.panorama.it/news/oltrefrontiera/il-generale-haftar-mette-le-mani-sul-petrolio...
26/09/2016 00:06
 
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Haftar vince la scommessa petrolifera in Libia



Sembrava un gesto avventato quello con cui domenica scorsa il generale Khalifa Haftar si è impossessato con le armi dei quattro terminal (Zueitina, Mersa el-Brega, Ras Lanuf e Sidra) cacciando le milizie della Petroleum Facilities Guard di Ibrahim Jadhran e sfidando il governo riconosciuto dall’ONU di Fayez al-Sarraj. Invece il blitz si sta rivelando vincente per Haftar, per il governo di Tobruk e per gli interessi libici e potrebbe avere avuto complicità e appoggi insospettati. Le tribù della “Mezzaluna Petrolifera” hanno appoggiato l’operazione militare, stanche delle tasse imposte dagli uomini di Jadhran, che a causa del blocco dell’export petrolifero non avevano più introiti. Ragione che sarebbe all’origine della defezione di molte unità delle PFG, che hanno spalancato le porte all’Esercito Nazionale Libico. Invece di gestire i pozzi, Haftar li ha consegnati alla Compagnia Petrolifera Nazionale (NOC), mantenendone però il presidio ai fini della sicurezza. Il Premier del governo di Tobruk, Abdullah al Thani, ha nominato ieri il Colonnello Miftah Maqreef responsabile della sicurezza dei terminal della Mezzaluna Petrolifera e quindi comandante delle quattro brigate delle PFG al posto di Ibrahim Jadhran.



In un’intervista al giornale egiziano Al-Ahram al-Arabi, il Generale Haftar, appena nominato Maresciallo per i suoi meriti in battaglia dal parlamento di Tobruk, ha detto che “comprende le preoccupazioni espresse da alcuni Paesi occidentali su quanto sta avvenendo nella Mezzaluna Petrolifera”, ma ha aggiunto che “si tratta di timori infondati”. “La nostra operazione è mirata a liberare i porti dalle mani di una banda di miliziani che hanno bloccato l’esportazione del greggio provocando enormi perdite all’economia”, ha precisato. “Inoltre non c’è stato spargimento di sangue” e “nessun danno alle strutture”. La NOC ha accolto mercoledì con soddisfazione la consegna dei porti petroliferi e il Presidente della compagnia, Mustafa Sonallah, ha annunciato ieri che “le esportazioni riprenderanno immediatamente da Zueitina e Ras Lanuf, e continueranno a Brega”.



La NOC punta ad aumentare la produzione di petrolio dai 290mila barili al giorno attuali a 600mila barili al giorno entro quattro settimane e a 900mila barili al giorno entro la fine dell’anno. Un contesto positivo per la Libia, auspicato dall’ONU, ma che esalta il ruolo di Haftar e mette in seria difficoltà il già debole esecutivo di Fayez al-Sarraj, costretto a dialogare con il Maresciallo da una posizione di debolezza dopo che il Consiglio Presidenziale, massimo organo esecutivo di Tripoli, si è diviso sulla risposta militare all’occupazione dei terminal petroliferi. Due dei nove membri, Ali al-Qatrani e Fathi al-Majbari, hanno espresso la loro contrarietà a “qualsiasi intervento militare” contro Haftar, secondo quanto riferito dal giornale online Al-Wasat. Anche le milizie di Misurata sono apertamente contrarie ad azioni contro Haftar e pronte ad accordi più ampi con il Maresciallo, sui quali ha chiesto dettagli ieri l’inviato dell’ONU Martin Kobler, giunto a Misurata con il consigliere militare, il Generale degli Alpini Paolo Serra. La posizione di Misurata lascia spazio al dubbio di un’intesa preventiva con Haftar sul blitz ai terminal petroliferi e del resto i combattenti della milizia cittadina sono provati dalla battaglia ancora in corso a Sirte contro lo Stato Islamico, dove i raid statunitensi dal 1° agosto sono saliti a 150. Inoltre molti a Misurata rimproverano al-Sarraj e le milizie di Tripoli di aver fatto ben poco per strappare la città natale di Muammar Gheddafi al Califfato.



L’assenza di conflittualità tra le truppe di Haftar e quelle di Misurata è una buona notizia per i 300 militari italiani che stanno raggiungendo la città della Tripolitania per l’operazione Ippocrate, ma non per l’Occidente, Italia inclusa. Dopo il documento firmato da Stati Uniti ed europei, che intimava il ritiro senza condizioni di Haftar dai terminal petroliferi, in tutta la Cirenaica e a Zintan, nell’ovest della Tripolitania, ci sono state manifestazioni contro le ingerenze occidentali”. I leader tribali della Cirenaica hanno espresso pieno appoggio al generale Haftar sottolineando il diritto a “proteggere i beni della Libia”. La crisi di consenso per americani ed europei in Libia fa il gioco di Haftar e dei russi che lo sostengono con discrezione ma contribuisce a indebolire al-Sarraj, che si è detto “contrario a un intervento militare straniero in Libia o ad un attacco militare contro qualsiasi altra parte del Paese per motivi politici, regionali o ideologici”. Di fatto il Presidente di Tripoli quindi, che ieri si è recato al Cairo per consultazioni (nell’Egitto grande sponsor di Haftar), rinuncia a contestare con le armi il controllo dei terminal. Una decisione che rende ancora più inconsistente il peso di al-Sarraj, il quale rischia nuove contestazioni nella capitale da parte delle milizie islamiste, nemiche acerrime del governo laico di Tobruk e del Maresciallo Haftar e che già avevano criticato la richiesta di intervento aereo agli Stati Uniti per colpire lo Stato Islamico a Sirte.

Gianandrea Gaiani
17 settembre 2016
Fonte: Il Mattino

www.analisidifesa.it/2016/09/hafar-vince-la-scommessa-petrolifera-i...
30/10/2016 01:00
 
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Libia. La Cina fa pendere la bilancia verso Tobruk

Mentre la situazione in Libia appare sempre più confusa e il governo di Fayez al Sarraj di stanza a Tripoli cerca di riprendere le redini del potere con la formazione di un nuovo governo di unità nazionale, un nuovo attore appare nel teatro libico. La Cina, infatti, avrebbe previsto l’investimento di 36 miliardi di dollari in Cirenaica. Secondo quanto riportato dai media locali, il Paese asiatico, secondo solo all’Italia come partner commerciale dell’import-export libico, avrebbe scelto di finanziare un grande progetto infrastrutturale nell’area di Tobruk che prevederebbe la costruzione del più grande porto del Paese in acque profonde, un aeroporto commerciale, una ferrovia lungo il confine con l’Egitto in direzione Sudan, 10.000 case, un ospedale con 300 posti letto e un’università. A questo complesso progetto di rilancio infrastrutturale si dovrebbe aggiungere un piano per lo sviluppo dell’esportazione di energia solare verso la Grecia con la costruzione di una centrale energetica a Jaghbub, nel deserto libico orientale.

A tal proposito, il Primo Ministro del governo di Tobruk, Abdullah Al-Thinni, in un’intervista all’emittente televisiva Al-Hadath riportata dal Libya Herald, ha dichiarato che l’ingente investimento, frutto di una cordata di investitori cinesi, dovrebbe portare al compimento delle opere in un periodo di soli tre anni con un effettivo impatto sull’economia locale già nel breve periodo. Il progetto, definito dallo stesso Libya Herald come un ringraziamento della Camera dei Rappresentanti (HoR) alla città di Tobruk, potrebbe avere una significativa rilevanza anche per le relazioni commerciali libiche. Dopo la caduta di Muhammar Gheddafi e l’inizio della guerra civile, sia le imprese sia i lavoratori cinesi impegnati in Libia lasciarono il Paese e, negli anni successivi, il capitale cinese non riuscì a trovare canali d’accesso per il Paese nordafricano. Ad oggi, invece, in linea con un programma di penetrazione imponente in tutto il territorio africano, Pechino potrebbe dare nuova linfa alle relazioni commerciali sino-libiche. Di riflesso, sul piano interno, questo rinnovato slancio economico della Cirenaica, unito al programma di esportazione petrolifera dai porti della mezzaluna petrolifera, renderebbe Tobruk sempre più centro nevralgico dell’economia del Paese, con inevitabili ricadute dal punto di vista politico.

Parallelamente all’indebolimento del GNA, provato dal tentativo di colpo di stato del 14 ottobre e dalle difficoltà strutturali che ne frenano la ripresa economica, il fronte favorevole al governo di Tobruk e al generale Khalifa Haftar sembra, dunque, sempre più ampio. E’ notizia di poche ore fa la visita di Haftar negli Emirati Arabi Uniti per discutere degli sviluppi della situazione libica con il Ministro della Difesa Mohammed al Bowardi. L’incontro risulta tanto più significativo in quanto segue di poche ore la visita ad Abu Dhabi di un altro attore centrale nella vita politica libica: Martin Kobler. L’inviato speciale ONU in Libia, prima di muoversi verso il Cairo per nuovi colloqui con i rappresentanti dell’Unione Africana e della Lega Araba sulla questione libica, ha, infatti, avuto un lungo meeting con il Ministro degli Esteri emiratino Anwar Mohammed Gargash. Durante i colloqui il rappresentante UAE, secondo le agenzie di stampa locali, avrebbe ribadito il pieno sostegno degli Emirati Arabi Uniti all’azione di mediazione delle Nazioni Unite e al governo di accordo nazionale libico, sottolineando, però, la necessità di una soluzione che includa le istanze di tutte le parti libiche.

La debolezza del governo Sarraj si contrappone alla solidità ed al radicamento delle forze di Tobruk e i numerosi attori coinvolti nella contesa libica sembrano schierarsi sempre più a favore di una riconciliazione tra Tripoli e Tobruk per garantire la stabilità politica ed economica della Libia. L’intervento esterno, molto spesso al limite dell’ingerenza internazionale, mira altresì a mantenere un canale di dialogo preferenziale con la futura dirigenza del Paese. In questo senso si legga il prolificare di meeting a partecipazione variabile sulla questione libica come quello di Parigi di inizio mese o quello previsto nelle prossime settimane in Arabia Saudita, dove Riyad ha già dichiarato di non volere la partecipazione di Qatar e UAE. A fronte di una produzione del petrolio in continua ascesa che potrebbe minare alla base la validità dell’accordo OPEC sul taglio della produzione di uno Stato Islamico in lento arretramento, la possibilità di una ripresa libica sembra essere ora plausibile. La scelta dell’alleato interno diventa, dunque, per le controparti d’area (ed internazionali) sempre più decisiva per cercare di influire sulla collocazione della Libia nello scacchiere internazionale.

Francesca La Bella
28 ott 2016
nena-news.it/libia-la-cina-fa-pendere-la-bilancia-verso...
26/11/2016 02:08
 
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"Emiro" dell'ISIS in Libano individuato e arrestato da unità dell'Esercito Libanese questa mattina vicino Arsal

Il sedicente 'emiro' dell'ISIS in Libano, Ahmad Yousef Amoun, é stato arrestato dall'Armée Libanaise nei pressi del confine con la Siria nella prima mattinata di oggi. Amoun, di cui siamo in grado di offrirvi una foto esclusiva grazie ai nostri contatti (la maggior parte dei siti di agenzie e testate giornalistiche fino a poco fa non l'avevano) è stato individuato alle prime luci dell'alba nella Valle di Al-Arnab, nei pressi di Arsal. Vistosi avvicinato dagli uomini dell'Esercito, non ha esitato ad aprire il fuoco su di loro, fortunatamente senza alcuna conseguenza. Oltre ad Amoun, gli uomini dell'Armée sono riusciti ad arrestare dieci suoi seguaci che avevano preso parte a diverse iniziative di terrorismo nell'area del Qalamoun, di qua e di là del confine siro-libanese.

Suleiman Kahani
25 novembre 2016
palaestinafelix.blogspot.it/2016/11/emiro-dellisis-in-libano-individuat...
[Modificato da wheaton80 26/11/2016 02:09]
26/01/2017 18:37
 
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Libia, il Generale Haftar completa la riconquista di Bengasi

Il Generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, ha completato la riconquista di Bengasi. Il suo Esercito Nazionale Libico (LNA), una milizia che conta circa 40mila uomini, ha strappato agli islamisti di Ansar al-Sharia, dopo due anni di assedio, il quartiere Ganfouda, a sud-ovest della seconda città libica. L’annuncio della liberazione è giunto con un tweet di Ali Mosmari, portavoce dell’LNA:“Abbiamo appena liberato Ganfouda”, ha scritto il portavoce e ha aggiunto che decine di civili intrappolati dai combattimenti sono ora liberi di muoversi. Ganfouda, vicino al quartiere dell’Università, era stata una delle roccaforti della rivolta contro Gheddafi nel 2011 ed era poi stata trasformata dai gruppi islamisti nella loro principale base in Cirenaica. Con la liberazione totale di Bengasi ora Haftar è padrone di tutta la costa libica, dal confine egiziano al porto petrolifero di Sidra, vicino a Sirte. La zona occidentale è invece controllata dalle milizie di Misurata e altri gruppi alleati del governo riconosciuto dall’ONU di Fayez al-Serraj.

Giordano Stabile
25/01/2017
www.lastampa.it/2017/01/25/esteri/libia-il-generale-haftar-completa-la-riconquista-dibengasi-jclAQ5OgAkQ95oSsqOYBzO/pag...
22/02/2017 20:44
 
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Accordo in Libia grazie a Egitto e Russia

Nonostante le nostre relazioni fraterne con l’Algeria, che abbiamo sempre difeso, ecco che arriva il momento in cui si deve saper dire a certi leader algerini, basta doppiezza! Basta ipocrisie! Basta divisione del Maghreb soffiando sulla brace del Sahara marocchino! E basta doppio gioco. L’abbiamo chiarito nell’edizione del 22 gennaio, dal titolo “Butefliqa protegge i Fratelli Musulmani tunisini?” (http://www.tunisie-secret.com/Bouteflika-est-il-le-protecteur-des-Freres-musulmans-tunisiens_a1698.html); a differenza del re del Marocco Muhamad VI, che non ha mai voluto ricevere il capo dei Fratelli Musulmani tunisini, nonostante le ripetute richieste di quest’ultimo, Butefliqa è quasi diventato il padrino del mafioso islamo-terrorista tunisino (1).

Abdalhaqim Belhadj escluso dall’accordo intra-libico grazie all’Egitto

Oltre agli incessanti incontri pubblici tra Abdalaziz Butefliqa e Rashid Ghanuchi, il rapporto tra i due sono passati dalla sponsorizzazione dei mercenari all’alleanza con gli islamisti in generale, a scapito degli interessi strategici di Tunisia ed Algeria. Rashid Ghanuchi non è l’unico Fratello Musulmano ufficialmente ricevuto più volte ad Algeri. I suoi seguaci e fratelli della setta terroristica Ali al-Salabi e Abdalhaqim Belhadj hanno ricevuto tale privilegio presidenziale. In precedenza, la nebulosa islamista ha forgiato legami con i vertici algerini. Ma con l’ultimo accordo tra Fayaz al-Saraj e Qalifa Balqasim Haftar, concluso al Cairo il 14 febbraio, la strategia della nomenklatura al potere ad Algeri è in frantumi. Nonostante una certa riluttanza da entrambe le parti (Haftar e Saraj), l’accordo è stato stipulato senza il protetto di Ghanuchi e Butefliqa, l’ex-terrorista di al-Qaida Abdalhaqim Belhadj, un vero e proprio schiaffo al Presidente algerino, che ha legato reputazione e destino all’ex-attivista di al-Qaida e capo dei Fratelli Musulmani locali Rashid Ghanuchi. Consentendo a Ghanuchi di sostituire i ministeri degli esteri algerino e tunisino con una diplomazia parallela, in cosa sperava Butefliqa? Affondare gli accordi intra-libici firmati alla fine del 2015 in Marocco, o rafforzarli?

La retromarcia della diplomazia algerina

Tale affronto non è sfuggito alla stampa. Il 17 febbraio 2017, tre giorni dopo la conclusione dell’accordo tra Haftar e Saraj, il sito Aqir Qabar titolava:“Le autorità algerine si accorgono dell’errore di lavorare con Rashid Ghanuchi”. Il giorno prima, sotto il titolo “Lezione tunisina”, il quotidiano algerino vicino agli islamisti al-Qabar scriveva:“Diverse personalità dell’ambiente politico, culturale e mediatico tunisino hanno chiesto spiegazioni al governo sui rapporti tra il governo algerino e il Presidente di al-Nahda Rashid Ghanuchi, in particolare sulla questione libica. Questi tunisini credono che governo e Presidente al-Bājī Qāʾid al-Sabsī debbano indicare agli algerini che in Tunisia vi sono un governo, un Presidente e un Ministro degli Esteri con cui parlare, e non con il capo di un partito politico (al-Nahda)”. Per sdrammatizzare l’impatto politico e mediatico di questo affronto, il Ministero degli Esteri algerino denunciava il ruolo che cercava di svolgere Rashid Ghanuchi verso il governo algerino, in particolare nel caso della Libia. Almeno questa è l’affermazione dei nostri colleghi e amici di Algerie-Patriotique:“Facendo da intermediario tra Algeria e Fratelli Musulmani libici, il capo del partito islamista tunisino al-Nahda, Rashid Ghanuchi, cercava pubblicità gratuita ai danni dell’Algeria? I funzionari del Ministero degli Esteri algerino sono convinti, prima di tutto, di non aver bisogno dei servizi di nessuno per discutere con i nostri fratelli libici”.

L’incontro segreto tra Ghanuchi, Ahmad Uyahia e Salabi
Rimane vero che il rapporto tra la Presidenza algerina e la Fratellanza Musulmana sono eccellenti dall’inizio della cosiddetta “primavera araba”. Oltre l’ultima visita di Ghanuchi a Butefliqa, il 22 gennaio, il capo di gabinetto di quest’ultimo, Ahmad Uyahia, arrivava di nascosto a Tunisi, a gennaio, per rivedere il capo dei Fratelli Musulmani tunisini. Quando la notizia trapelò, Ahmad Uyahia, che è anche Segretario Generale del Congresso Nazionale Democratico (RND), affermò che l’incontro avveniva nell’ambito delle sue attività di avvocato! Il sito d’informazione algerino TSA s’era poi chiesto:“Perché un incontro tra parti, che secondo una fonte diplomatica (algerina), sarebbe stato segreto?”. E TSA rispose:“Ovviamente Ahmad Uyahia era a Tunisi per la questione libica, dovendo incontrare, tra gli altri, Ali al-Salabi, uno dei principali capi islamisti libici…”. Non potendo negare l’evidenza, Jamil Auy, dell’ufficio stampa di al-Nahda, confermava l’incontro tra Uyahia, Ghanuchi e Salabi parlando di “visita ufficiale”. Su Radio Shams FM aveva detto che questo “incontro era incentrato sugli interessi comuni dei due Paesi, ma soprattutto sulla questione libica. Questo giro si accordava con quello dello sceicco Ali al-Salabi. Furono accolti entrambi a casa di Rashid Ghanuchi (…)!

Rashid Ghanuchi utilizza l’Algeria per scopi islamisti
Secondo Algerie-Patriotique, citando un diplomatico algerino:“Certo, Rashid Ghanuchi vede aprirsi le porte in Algeria per dimostrare all’opinione pubblica tunisina di aver ancora un peso e soprattutto di essere una personalità fondamentale nei circoli islamisti del Maghreb”; e il nostro collega di Algerie-Patriotique aggiungeva che Ganuchi “si agita come un diavolo per dimostrare che i Fratelli Musulmani rappresentano nel Maghreb una corrente dell’opinione pubblica e una forza che non è possibile ignorare (…). Da fine calcolatore, Rashid Ghanuchi vede la Libia come un modo per risorgere politicamente e dimostrare all’opinione internazionale che i Fratelli Musulmani ancora giocano un ruolo come forza stabilizzante del Nord Africa e più in generale del mondo arabo”. A fine gennaio, il capo della setta islamista tunisina al-Nahda assicurava anche di essere stato nominato dal Presidente Butefliqa per convincere gli islamisti in Libia “a svolgere un ruolo positivo” nella soluzione della crisi nel Paese. La stessa fonte diplomatica algerina, confidava a TSA che “il signor Ghanuchi ha fatto politica interna (Tunisia). In Algeria non c’è diplomazia parallela. Pensa che abbiamo bisogno di Ghanuchi per discutere con le parti libiche?”.

Il rigetto di Abdalfatah al-Sisi

Secondo le informazioni del quotidiano arabo Quds al-Arabi, pubblicato a Londra, Rashid Ghanuchi avrebbe coordinato Algeri e Tunisi per fare incontrare a Tunisi Fayaz al-Saraj, Presidente dell’Accordo Nazionale (GNA) e Qalifa Balqasim Haftar, capo della Forze armate del Parlamento di Tobruq, prima di un vertice a tre (Butefliqa, Sisi, Sabsi). Le nostre fonti indicano che con l’appoggio di Butefliqa, Rashid Ghanuchi sperava di accogliere Saraj, Haftar e Salabi, il complice di Abdalhaqim Belhadj, in Libia. Ma l’Egitto si oppose nettamente, sventando così il piano di Rashid Ghanuchi con la complicità passiva di Baji Caid al-Sabsi ed approvato da Butefliqa in spregio degli interessi strategici dell’Algeria e del Maghreb in generale. Principale sostegno logistico, militare e diplomatico di Qalifa Balqasim Haftar, sostenuto dalla Russia e dalla nuova amministrazione statunitense, Abdalfatah al-Sisi non conta di fare alcuna concessione ai Fratelli Musulmani, indicati da Egitto ed Emirati Arabi Uniti come organizzazione terroristica. Questo è uno dei motivi per cui l’ultimo accordo concluso tra Haftar e Saraj, il 14 febbraio, esclude d’ufficio Belhadj e Salabi. Secondo fonti egiziane, questo accordo continuerà la “pulizia” della Libia dai jihadisti di SIIL e al-Qaida, così come dai mercenari del Qatar in Libia, i Fratelli Musulmani. L’accordo affida a Qalifa Balqasim Haftar questa missione militare, con il sostegno del “Consiglio Supremo delle Tribù Libiche” (presieduto da Agali Abdusalam Brani), fino all’organizzazione nel 2018 delle elezioni legislative e presidenziali. Riguardo il “vertice” Algeria-Tunisia-Egitto sulla crisi libica, che dovrebbe svolgersi a marzo, una fonte diplomatica egiziana assicurava che è ormai obsoleto e che si limiterà a una riunione informale dei Ministri degli Esteri dei tre Paesi. A meno di cambiamenti dell’ultimo minuto o del voltafaccia algerino, l’incontro dovrebbe tenersi il 1° marzo a Tunisi.

Nabil ben Yahmad
19 febbraio 2017
Fonte: www.tunisie-secret.com/Accord-Haftar-Sarraj-une-gifle-pour-le-couple-Bouteflika-Ghannouchi_a1...

Traduzione: Alessandro Lattanzio (rivisto da Wheaton80)
aurorasito.wordpress.com/2017/02/22/accordo-in-libia-grazie-a-egitto-e...
23/02/2017 18:23
 
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Petrolio, accordo fra Libia e Russia

Il gigante russo del petrolio Rosneft e l'ente petrolifero libico National Oil Corporation (NOC) hanno siglato un accordo di cooperazione che "getta le basi per gli investimenti della Rosneft nel settore petrolifero libico": lo scrive oggi la Tass citando la società libica. L'intesa è stata firmata ieri dal Presidente di NOC Mustafa Sanalla e da quello di Rosneft Igor Sechin a margine della Settimana Internazionale del Petrolio a Londra.

21 febbraio 2017
www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2017/02/21/petrolio-accordo-fra-libia-e-russia_87b20162-9819-4f26-a635-603f1c4d1...
01/03/2017 23:48
 
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Così Putin risolverà la crisi in Libia?

Se Italia ed Unione Europea restano pressoché immobili, e se Donald Trump ha altro a cui pensare, a risolvere la crisi libica ci pensa la Russia. In Libia, come per la Siria, Mosca sta, infatti, cercando di ritagliarsi ancora una volta un ruolo da protagonista, come principale mediatore di una crisi internazionale alla quale l’Europa, pur subendone direttamente le conseguenze, non ha saputo dare risposte convincenti.

Il viaggio di Sarraj a Mosca
E ad auspicare una mediazione russa per risolvere la crisi in Libia è stato proprio il leader del Consiglio Presidenziale libico, Fayez al-Sarraj, che giovedì, secondo quanto confermano i media locali, volerà a Mosca per incontrare alcuni membri del governo russo. Lo stesso Sarraj, il “cavallo” su cui avevano puntato l’Italia e le Nazioni Unite, si appella ora al Cremlino per trovare una mediazione con il governo di Tobruk e con il Generale Khalifa Haftar, Comandante dell’Esercito Nazionale libico che controlla la Cirenaica e i terminal del greggio della cosiddetta “mezzaluna petrolifera”. La visita del Premier libico a Mosca, sostengono gli analisti, come Mattia Toaldo, dell’European Council on Foreign Relations, citato da Nova, serve al Premier libico per “ricevere un’ulteriore legittimazione e una rassicurazione sul fatto che lui rimane il Primo Ministro, e che semmai bisogna puntare all’allargamento dell’accordo politico libico”. Sarraj, infatti, appare sempre più isolato. A minacciare il suo potere non c’è solo Khalifa Haftar, il Generale appoggiato dai russi che lo scorso gennaio, a bordo della portaerei Admiral Kuznetsov, proprio con Mosca ha stipulato un accordo di cooperazione militare. Ma anche la nascita di nuove formazioni militari a Tripoli, come la Guardia Nazionale (LNG), che sosterrebbero l’ex Premier islamista, Khalifa Ghwell, autore di un tentativo di colpo di Stato contro Sarraj.

La diplomazia russa al lavoro
Per Putin, ospitare a Mosca Sarraj, significa invece rafforzare ulteriormente l’immagine della Russia come potenza capace di assumere un ruolo di primo piano nei grandi dossier internazionali e quello di vero e proprio alfiere della lotta al terrorismo islamico. Per questo, dopo l’iniziativa egiziana, ora a mediare un accordo, o almeno ad organizzare un incontro, tra il Premier libico e il Generale Khalifa Haftar, vuole pensarci la diplomazia russa. “Non c’è alternativa alla soluzione politica; sulla base di questo approccio stiamo lavorando costantemente con Tripoli e con Tobruk, stiamo cercando di incoraggiarli a superare le differenze interne, per la ricerca di compromessi su tutte le questioni controverse”, ha detto all’inizio di febbraio la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Soluzione rapida della crisi, stabilizzazione del Paese e “mantenimento della sovranità e integrità territoriale” libica sono tra le priorità di Mosca. “Ci piacerebbe che in Libia finisse al più presto la lunga crisi e che la Libia diventasse di nuovo un Paese prospero con istituzioni statali forti, un esercito forte, ripristinando anche il suo status di importante attore regionale”, ha detto lunedì il vice Ministro degli Esteri e inviato speciale del Presidente russo per il Medio Oriente e Nord Africa, Mikhail Bogdanov. “Il confronto tra Tripoli e Tobruk ha creato un vuoto di potere e in questo contesto, lo Stato islamico ed al Qaeda sono ancora attivi in molto aree della Libia”, ha detto il vice Ministro intervenendo al Forum sul Medio Oriente.

Perché Mosca punta a stabilizzare la Libia

La necessità di “costruire un dialogo significativo” tra Tripoli e Tobruk sarà quindi al centro della discussione durante la visita di Sarraj in Russia, ha annunciato Bogdanov, secondo il quale “è necessario continuare la cooperazione con entrambi i centri di potere a Tripoli e Tobruk, incoraggiandoli a superare le controversie e a cercare decisioni reciprocamente accettabili per quanto riguarda la riconciliazione nazionale”. E per capire quanto la Russia stia investendo, nel vero senso della parola, nella stabilizzazione della Libia, basta guardare al recente accordo concluso tra il gigante russo Rosneft e la compagnia petrolifera libica, National Oil Corporation, che prevede, secondo quanto riferisce la Tass, “l’istituzione di una commissione di lavoro congiunta dei due partner, per valutare le opportunità in molti settori, incluse l’esplorazione e la produzione”. Progetti che per essere implementati hanno bisogno di sicurezza e stabilità. Stabilità che Mosca vuole raggiungere attraverso un accordo tra il suo uomo, il Generale Haftar, e il Premier Sarraj. A guadagnarci, ovviamente, non sarà solo Rosneft. Assumendo il ruolo di potenza mediatrice anche in Libia, la Russia punta ad estendere ulteriormente la sua influenza in Medio Oriente e Nord Africa e a consolidare la sua presenza militare nel Mediterraneo, magari trovando un approdo per la flotta russa a Tobruk. Il Cremlino non vuole lasciarsi sfuggire l’occasione e prende l’iniziativa, invitando a Mosca il principale alleato dell’Occidente.

Alessandra Benignetti
28 febbraio 2017
www.occhidellaguerra.it/cosi-putin-risolvera-la-crisi-libia/
09/05/2017 13:28
 
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Libia, liberato il porto di Bengasi dai jihadisti di Al-Qaeda

Oggi le truppe del Maresciallo Khalifa Belqasim Haftar hanno liberato il porto di Bengasi, nella parte orientale del Paese, dall'occupazione dei militanti di Al-Qaeda. Lo riferisce “Sky News Arabia”. Gli uomini di Haftar, oltre il porto sul Mar Mediterraneo, hanno preso il controllo di diverse altre strutture nella zona nord di Bengasi. L'Esercito Libico è impegnato da oltre due anni in operazioni a Bengasi contro i jihadisti di Al-Qaeda e dell'ISIS. Molte parti della città sono già sotto il controllo dei militari.

08.05.2017
it.sputniknews.com/mondo/201705084468987-libia-liberato-porto-...
04/06/2017 02:46
 
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Libia, Haftar conquista il Jufra:“Preso tutto il sud”

Il Generale Khalifa Haftar avanza nel centro-sud della Libia e ha conquistato senza difficoltà un distretto, il Jufra, in cui si trova una base aerea di importanza strategica sulla via che porta a Tripoli e Misurata. "Sì, Al-Jufra è sotto il nostro controllo. In effetti tutto il sud è sotto il nostro controllo", ha dichiarato all'agenzia italiana ANSA il Colonnello Ahmed Almesmari, portavoce delle "Forze Armate Libico Arabe" (LNA), di cui Haftar è Comandante Generale. Un altro portavoce della formazione che mescola unità regolari e milizie meno inquadrate, Mohammed Lafiras, ha confermato all'agenzia Anadolu che è stata presa anche la base aerea di Al Jufra. La struttura fornisce "una copertura per colpire una gran parte della Libia occidentale", ricorda il sito Libya Herald. La conquista è avvenuta "senza incontrare alcuna resistenza", ha precisato il portavoce. Media hanno riferito invece di una dozzina di morti nei combattimenti per la presa di tre centri del distretto del Jufra situati circa 250 chilometri a sud di Sirte. Ad opporsi negli ultimi giorni all'avanzata del Generale, in corso da mesi nel centro-sud della Libia, sono state soprattutto le "Soraya Difaa Benghazi" (Brigate di difesa di Bengasi, BDB) combattenti anti-Gheddafiani radicali scacciati dalla città costiera nell'ambito della lotta che Haftar ha condotto contro i jihadisti con la "Amaliyet al Karama" (l'Operazione Dignità). Era stato però di "circa 140 morti", anche secondo un comunicato di un'agenzia ONU, il bilancio di un attacco portato due settimane fa da milizie misuratine e, fra le altre, delle BDB, contro forze di Haftar insediate nella base aerea di Brak Al-Shati, 250 km più a sud-ovest. Già venerdì il colonnello Almesmari aveva indicato che ora si punta a nord-ovest, su Bani Walid, città a soli 140 km da Tripoli, non però con ambizioni 'politiche' di conquistare la capitale ma solo per sradicare il "terrorismo" islamico dall'area. Il problema è però che Haftar considera terroriste anche le milizie che appoggiano il Premier Fayez Al-Sarraj e nei proclami del Generale la 'liberazione' di Tripoli continua a ricorrere: da ultimo, ancora a metà del mese scorso, appena due settimane dopo il faccia a faccia di Abu Dhabi in cui sarebbero state abbozzate intese peraltro rimaste solo indiscrezioni senza conferme ufficiali. L'avanzata di Haftar ha avuto l'appoggio di raid aerei egiziani lanciati ufficialmente per colpire terroristi islamici legati alla strage di 29 cristiani uccisi dall'ISIS in un bus venerdì scorso nel deserto centrale. "Secondo analisti è più che certo che i raid egiziani siano stati eseguiti per spianare la strada a Khalifa Haftar", ha detto all'ANSA questa settimana Jamal Zubia, portavoce dell'ex-Premier Khalifa Al-Ghwell. Il Generale peraltro, ormai già più di due anni fa, aveva annunciato "l'inizio della liberazione di Tripoli dai covi terroristi", a conferma delle valutazioni di analisti secondo i quali non avrebbe le forze per portarla a termine.

03 giugno 2017
www.swissinfo.ch/ita/libia--haftar-conquista-il-jufra---preso-tutto-il-sud-/...
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