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Così gli immigrati occuperanno il Paese

Ultimo Aggiornamento: 24/04/2024 15:32
30/07/2018 00:32
 
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Migranti, sulle navi della Marina davanti alla Libia:«Qui è tutto cambiato, non passa più nessuno»

Acqua nera a mezzanotte, con le onde in abbassamento che non frangono più, temperatura 27 gradi, tasso d’umidità in diminuzione. Aggiungiamo la visibilità ottima, oltre al vento da nord sceso sotto gli 8 nodi e sarà naturale osservare quanto queste siano in genere condizioni meteo perfette della mezza estate per le partenze dei migranti dalla Libia. Ma soprattutto è il chiarore luccicante della luna piena riflessa sul mare, una sorta di cono luminoso aperto in direzione delle coste siciliane, che solo pochi mesi fa avrebbe rappresentato una sorta di incoraggiante autostrada della speranza per i battellini carichi all’inverosimile verso il «sogno Europa». Ora non più. «Nel nostro ultimo mese di pattugliamenti ininterrotti dal Canale di Sicilia, le coste della Tripolitania, al largo del Golfo della Sirte e sino alle zone a nord delle acque territoriali della Cirenaica, non abbiamo mai incontrato alcun naviglio di migranti e neppure i battelli delle organizzazioni non governative internazionali. Una situazione che ha caratterizzato le attività delle navi militari di Mare Sicuro anche nel periodo precedente il nostro turno», dicono, con la sicurezza di chi vede davvero le cose in diretta, sia i marinai che il 42enne Sebastiano Rossitto, comandante della fregata Virginio Fasan, l’ammiraglia della missione tutta made in Italy operante di fronte alla Libia sin dall’aprile 2015

Emergenza finita

«Ovvio che se ora incontrassimo un battello di migranti, qui in mare aperto, li prenderemmo subito a bordo e non li riconsegneremmo ai guardiacoste libici. Per noi nulla è mutato, anche con il nuovo governo a Roma. Le leggi internazionali del soccorso valgono sempre. Ma posso anche ripetere che la situazione è completamente cambiata da cinque o sei mesi. Per ora l’emergenza appare finita, terminata. I libici, anche grazie all’aiuto italiano, hanno motovedette molto più efficienti, i loro sistemi d’intervento sono strutturati, possono mantenere due o tre imbarcazioni sempre pronte in acqua e si dimostrano in grado di bloccare gli scafisti con i migranti prima che escano dalle 12 miglia delle loro acque territoriali», dice l’ufficiale. A lui si affianca il Contrammiraglio Andrea Cottini, toscano, 55 anni, un veterano della Marina. «L’ultima volta che le cinque navi della Mare Sicuro sono state coinvolte direttamente nella questione migranti è stato agli inizi di giugno, quando hanno scortato al porto spagnolo di Valencia i circa 600 imbarcati sull’Aquarius della ONG SOS Méditerranée. Altrimenti direi che, almeno per il momento, il problema è radicalmente mutato», ribadisce sottolineando che altre sono le priorità della missione.

Dietro il sonar
La cronaca di oltre 48 ore imbarcato sulla Fasan inizia il 24 luglio, con l’elicottero Augusta della Marina Militare che in un’oretta dall’aeroporto di Lampedusa percorre oltre cento miglia per atterrare sul ponte appena beccheggiante. Le vibrazioni sono minime grazie ai due motori elettrici super-silenziosi e quattro generatori nuovissimi che impiegano gasolio verde. A bordo 185 marinai, di cui 14 donne. La nave è stata varata dai quartieri di Riva Trigoso nel 2014: un progetto italo-francese, arricchito da un sofisticato sistema di sonar anti-sommergibile che è l’orgoglio del tenente di vascello Maria Paola Ceracchi, 31 anni, da una dozzina arruolata, addetta alla strumentazione. «Il nostro è un congegno unico al mondo», spiega fiera. «Possiamo calare il sonar a oltre 300 metri di profondità. Ce lo invidiano anche gli americani».

Pescherecci a rischio
S’impone subito il sistema di regole e consuetudini che scandiscono la vita di questo microcosmo sociale galleggiante. Dal megafono giungono di tanto in tanto gli ordini alle varie squadre: i turni degli addetti alle pulizie, le guardie, gli spostamenti degli elicotteristi, i contatti periodici con le altre quattro unità al momento in missione. La nave-officina Gorgona con i suoi 60 membri dell’equipaggio è da mesi ancorata a Tripoli per assistere i libici nel mantenimento delle quattro motovedette donate l’anno scorso dall’Italia al governo di unità nazionale di Fayez Sarraj. La fregata Espero sta ad est, lungo le coste della Cirenaica. «Ha un compito difficile. Tra l’altro fa in modo di impedire che i nostri pescherecci entrino nella zona di mare davanti a Derna, dove il generale Khalifa Haftar sta operando contro ISIS e milizie jihadiste, imponendo unilateralmente il blocco del passaggio ai navigli stranieri. Un altro compito è evitare ai nostri pescherecci di cacciarsi eventualmente nei guai entrando a pescare il gambero rosso nel Golfo della Sirte, una zona contesa sin dai tempi di Gheddafi. Nell’aprile 2017 hanno dovuto pagare una multa di 5.000 dollari per riscattare due che erano stati sequestrati», ricorda Cottino. Il terzo, l’Orione (lo stesso che aveva scortato l’Aquarius in Spagna) sta navigando davanti alle coste tunisine. Sembra strano, ma i marinai italiani parlano con maggior preoccupazione della Tunisia che non della Libia. «Qui c’è un contenzioso antico, risale a oltre mezzo secolo fa, quando Tunisi impose il cosiddetto “Mammellone”, una vasta area di divieto alla pesca ai non tunisini ben oltre i limiti delle loro acque territoriali. L’Orione fa in modo di evitare fastidi in ottemperanza ad un accordo stipulato dal governo di Roma nel 1979. Però oggi, in termini di libertà di pesca e navigazione, siamo in rapporti migliori con i libici che non con i tunisini», dicono.

Le perquisizioni
Tutto questo è molto interessante. Ma ovviamente osservo di continuo i radar per seguire un eventuale passaggio di migranti. In plancia gli ufficiali mettono a punto gli strumenti, compresi i sensori a raggi infrarossi. «Con i radar si vede bene a oltre 30 miglia. Con quelli più ravvicinati siamo in grado di individuare anche un battellino alto meno di 40 centimetri sul pelo dell’acqua a oltre sette miglia. Ma non si vede nulla e questo da molto tempo ormai. L’anno scorso notavamo che, se una volta i migranti partivano alla disperata, più di recente li trovavamo con i giubbotti personali indossati in Libia», dicono. Gli schermi restano però bui. Alle 18:15 siamo a 70 miglia dal porto di Tripoli. Una trentina di miglia a est si individuano le tracce radar di tre pescherecci italiani. Poco più nel centro sta transitando un grande naviglio che sembra diretto a Khoms, il vecchio porto militare di Gheddafi. Gli italiani si danno da fare per identificarlo. Pare abbia spento il trasponder, che è il meccanismo via etere per cui i dati di ogni nave possono essere in teoria letti da chiunque la centri col radar computerizzato. «Nostro mandato è controllare i traffici sospetti: contrabbando di esseri umani, petrolio e armi. Dall’inizio di Mare Sicuro nel 2015 abbiamo fisicamente perquisito almeno un’ottantina di navi che trafficavano con la Libia e la nostra Intelligence in cooperazione con gli alleati NATO ha al momento almeno una decina di navi straniere in lista nera. I nostri commando armati possono salire a bordo, ovviamente sempre avendo prima ottenuto la luce verde da Roma», rimarca Rossitto.

Piattaforme sott’occhio

Emergono così i compiti della Fasan, che navigando di fronte alle zone delicate comprese tra Misurata, Tripoli, Sabratha e il confine tunisino (dove storicamente sono gli scafisti più agguerriti), si trova anche a dover affrontare le incognite maggiori. «Al largo di Tripoli sono le sei piattaforme dove lavorano quasi una trentina di tecnici italiani dell’ENI assieme a quelli della compagnia petrolifera nazionale libica. Siamo in contatto permanente con loro. Come del resto lo siamo con i 280 che operano nell’ospedale militare italiano di Misurata, con il personale della nostra ambasciata a Tripoli ed eventuali cittadini italiani nel Paese. In tutto oltre 500 persone che potremmo dover evacuare di fretta dalle spiagge alla prima emergenza», dice il Contrammiraglio. Lui stesso fu coinvolto nella missione che nell’ottobre 2011, appena dopo la violenta defenestrazione di Gheddafi, vide i commando della Marina salire sulle piattaforme petrolifere abbandonate per verificare che nessuno cercasse di boicottarle. «Arrivammo che in Libia ancora si combatteva. Temevamo fossero minate. Le piste di atterraggio erano piene di detriti per impedire gli atterraggi degli elicotteri. Ma alla fine andò tutto bene», rammenta.

La calma e la preghiera
Alle otto di sera tutti sull’attenti per la cerimonia dell’ammaina bandiera. È un rito che si celebra da sempre. Che siano in porto o in navigazione, la bandiera scende sul ponte. Intanto un militare a turno legge al megafono la «Preghiera del Marinaio», scritta da Antonio Fogazzaro nel 1901. E subito dopo viene recitata brevemente la motivazione alla medaglia d’oro di un marinaio così come descritta negli annali dell’ammiragliato. Durante la notte il bel tempo si fa stabile. Ma è difficile notarlo dalla nave, sono gli strumenti a osservarlo con precisione: le unità militari di ultima concezione equipaggiate contro le armi chimiche e nucleari limitano quasi del tutto gli accessi degli uomini sui ponti. Non ci sono oblò, solo la plancia mantiene un’ampia veduta a prua. E comunque i radar restano muti, bui. «In una giornata così un anno fa potevano essere in mare sino a una quindicina di barche con 3.000 migranti. Nel 2013 ne prendemmo a bordo 1.500 in 24 ore. Oggi nessuno», sottolinea Massimo Nava, 40 anni, capitano di corvetta d’origine milanese. Tornato in elicottero a Lampedusa, un pescatore che vende insalata di polpo al porto se la prende col giornalista di passaggio. «Volete smetterla di parlare di emergenza migranti che poi i turisti scappano via?», grida. Venendo dal largo di Sabratha è difficile dargli torto.

Lorenzo Cremonesi
27 luglio 2018
www.corriere.it/video-articoli/2018/07/27/sulle-navi-marina-alla-libiaqui-tutto-cambiato-non-passa-piu-nessuno/d15d9a0a-91ab-11e8-9a85-e773adbfcd...
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