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Addio CFA, benvenuto ECO: anche l’Africa vuole liberarsi dall’oppressione della BCE

Ultimo Aggiornamento: 24/04/2024 15:21
17/05/2022 12:05
 
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Burkina Faso: la portata storica della sentenza del “processo Sankara”

6 aprile 2022. A Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, è un torrido mercoledì della stagione secca e la sala banchetti di Ouaga 2000, quartiere delle istituzioni politico-finanziare del Paese, è insolitamente gremita. Fuori, decine di uomini, donne e bambini, in maggioranza semplici cittadini burkinabé, cercano di forzare l’entrata per ascoltare il verdetto della giuria militare chiamata a pronunciarsi sull’assassinio di Thomas Noël Isidore Sankara, il padre della Rivoluzione del Burkina Faso (1983-1987). Dopo 34 anni dai fatti giudicati, sei mesi di processo-fiume, un centinaio di testimoni ascoltati e due perizie scientifiche effettuate sul luogo del crimine e sui resti delle vittime, per la prima volta un tribunale nazionale mette nero su bianco, in un dossier di oltre 20mila pagine, ciò che durante la dittatura di Blaise Compaoré (durata 27 anni, dal 1987 al 2014) è sempre stato un segreto di Pulcinella: l’8 ottobre 1987 l’allora Presidente Thomas Sankara, insieme a dodici fedeli compagni, fu assassinato da un commando di militari putchisti inviato al Consiglio Nazionale della Rivoluzione di Ouagadougou dal delfino e “fratello d’armi" Blaise Compaoré per prenderne il posto. Compaoré affidò l’operazione a due quadri del proprio entourage, Hyacinthe Kafando e Gilbert Diendéré: il primo, guardia del corpo personale di Compaoré, faceva parte del gruppo di fuoco; il secondo, Capo di Stato Maggiore dell’ancien régime, diresse l’azione sul terreno. Dei tre illustri imputati, però, il solo fisicamente presente a ricevere la condanna all’ergastolo decisa dalla Corte Militare di Ouagadougou è il Generale Diendéré, già in carcere da fine 2019, dove sconta una pena di vent’anni per il tentato colpo di Stato del settembre 2015. Fin dall’apertura del processo, ad ottobre 2021, Blaise Compaoré, che si è sempre dichiarato innocente ed estraneo ai fatti, si è rifiutato di presentarsi davanti ai giudici, invocando l’immunità presidenziale contro un processo definito dai suoi legali “un linciaggio politico”, “un simulacro di giustizia”.

Accusato in contumacia (come Kafando, in fuga dal 2016) di “attentato alla sicurezza nazionale”, “complicità d’assassinio” e “occultamento di cadavere”, l’ex-dittatore (invecchiato e, secondo persone a lui vicine, gravemente malato) vive in una villa sulla laguna di Abidjan, ospite dell’amico di lunga data Alassane Ouattara, Presidente della Costa d’Avorio e alleato della Francia. Nel 2016, per proteggerlo dal mandato di arresto internazionale e dalla richiesta di estradizione del Tribunale Militare del Burkina Faso, Ouattara gli ha concesso la nazionalità ivoriana. Quando l’insurrezione popolare burkinabé dell’ottobre 2014 ha costretto Compaoré alla fuga, è stato un elicottero delle forze speciali francesi a prelevarlo da Ouagadougou per portarlo ad Abidjan, sottraendolo così alla giustizia del suo Paese. Ma la tenacia e la perseveranza dei familiari di Sankara (su tutti la vedova Mariam, rientrata in Burkina Faso nel 2015 dopo decenni di esilio) ha permesso lo svolgimento di questo storico processo, il primo in cui un ex-dittatore africano viene giudicato e condannato da un tribunale nazionale. Nel lungo e accidentato iter giudiziario che ha portato dalla denuncia, depositata dalla famiglia Sankara il 27 settembre 1997, con Compaoré al potere, e registrata coraggiosamente dal tribunale militare il 3 ottobre dello stesso anno, pochi giorni prima della prescrizione, al recente epilogo, sono stati accompagnati dalla Campagna Internazionale Giustizia per Sankara (Campagne Internationale Justice pour Thomas Sankara - CIJS), formato da una quindicina di avvocati internazionali. Il CIJS, che nel 2002 ha portato il caso davanti al Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, in occasione del verdetto del “processo Sankara”, ha diramato un comunicato in cui si felicita del risultato ottenuto, sottolineando però la necessità di aprire parallelamente un procedimento sulle responsabilità internazionali nella vicenda. Il giudice François Yaméogo, incaricato del dossier Sankara a Ouagadougou, ha deciso a ottobre 2020 di disgiungere le due procedure per far avanzare almeno la parte relativa agli imputati burkinabé, cioè Compaoré, Kafando, Diendéré e altri undici militari giudicati ad aprile (otto condannati a pene dai 3 ai 20 anni di prigione, tre assolti).

In primis la Francia di François Mitterrand, Jacques Foccart e Jacques Chirac, ma anche gli Stati Uniti di Ronald Reagan, la Costa d’Avorio di Félix Houphouët-Boigny, il Togo di Gnassingbé Eyadema, la Liberia di Charles Taylor e la Libia di Muhammar Gheddafi sono accusati di aver partecipato ad un complotto internazionale per eliminare lo scomodo e controcorrente Sankara, apertamente antimperialista e astro nascente, all’epoca, del panafricanismo. I documenti necessari per aprire un processo contro tali eventuali crimini politici sono, però, ancora protetti dal segreto di Stato francese. Il Presidente Emmanuel Macron, in occasione della visita in Burkina Faso del novembre 2017, rispondendo alla domanda di una studentessa dell’università Norbert Zongo di Ouagadougou, aveva promesso di declassificare e trasmettere tali fascicoli alle autorità giudiziarie burkinabé. Tre primi plichi sono stati inviati a novembre 2018, gennaio 2019 e aprile 2020, poi più nulla. Elementi insufficienti, ancora, per chiudere l’istruttoria sulle complicità internazionali nell’omicidio del Capitano Sankara. Nonostante persistano ancora diverse zone d’ombra, come ad esempio il ruolo del Colonnello-Maggiore Jean-Pierre Palm, ex capo dei Servizi Segreti di Compaoré, accusato di aver aiutato alcuni ufficiali francesi a distruggere, all’indomani del golpe dell’ottobre 1987, delle registrazioni della gendarmeria di Ouagadougou, e condannato a dieci anni ad aprile, Mariam Sankara si è detta soddisfatta della sentenza, soprattutto per il suo carattere esemplare:“Il nostro obiettivo era quello di porre fine alle violenze politiche in Burkina Faso.

Questo verdetto darà da pensare a molte persone”. L’alto valore simbolico e la risonanza nazionale, regionale ed internazionale, amplificata dalla profonda crisi politico-securitaria che il Paese (come, del resto, l’intero Sahel centrale) sta recentemente vivendo, fanno di questo processo un evento dall’indiscutibile portata storica. Un’inaspettata ventata di speranza in un contesto umanitario e politico destabilizzato dall’espansionismo neo-jihadista saheliano (le cellule legate al gruppo Stato Islamico nel Grande Sahara sono sempre più distruttive e radicate nel nord-est del Burkina Faso) e dal golpe del 24 gennaio 2022, che ha portato al potere il Tenente-Colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba. Al netto di un tale contesto d’insicurezza e incertezza, tanto nazionale quanto regionale, la data del 6 aprile 2022 rimarrà senza dubbio impressa nel ricordo dell’intero continente africano come il giorno in cui, per la prima volta, un dittatore si è trovato spogliato della maschera dell’impunità di fronte alla sete di giustizia e verità di un intero popolo. In Burkina Faso, come in gran parte del Sahel, se non si conoscono le circostanze della morte di un individuo non si può organizzare il suo funerale, né tantomeno il tradizionale lutto. Ora Mariam, la famiglia Sankara, i parenti dei dodici compagni caduti quel tragico 8 ottobre 1987, insieme a un’intera Nazione, potranno finalmente piangere il padre del “Paese degli uomini integri”.

Andrea de Georgio
04 maggio 2022
www.ispionline.it/it/pubblicazione/burkina-faso-la-portata-storica-della-sentenza-del-processo-sanka...
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