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"No moschee". Lo striscione di Borghezio sventolato dal Duomo di Milano

Ultimo Aggiornamento: 15/05/2009 17:46
11/01/2009 18:16
 
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Milano, la capitale di Gaza Quarto corteo in 7 giorni

di Alberto Giannoni

Milano Un’altra processione d’odio sulle strade di Milano. Il quarto corteo in una settimana in un centro cittadino ormai stordito dalla sistematica invasione di musulmani e militanti filo-palestinesi. Ieri 5mila persone sono tornate a sfilare, da piazzale Loreto alla Stazione Centrale. Un chilometro e mezzo di invocazioni ad Allah e di slogan furenti contro Israele e gli Usa. Un percorso di bandiere bruciate, insulti e preghiere, in una miscela inquietante di fanatismo e politica. Sette giorni prima un altro fiume di islamici aveva sfondato i cordoni della polizia fino a tracimare in piazza Duomo, trasformata in moschea a cielo aperto. Rivolti alla Mecca avevano pregato davanti alla Cattedrale, guidati da Abu Imad, l’imam di viale Jenner che solo due mesi fa è stato condannato in appello per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo. Un’offesa per molti, una ferita rimarginata a stento, e controvoglia, con la visita degli organizzatori del corteo agli stretti collaboratori dell’arcivescovo Dionigi Tettamanzi.
Solo un robusto servizio d’ordine ha evitato che la marcia di ieri degenerasse in una nuova occupazione del Duomo. Ma non ha potuto evitare che fossero dati alle fiamme dei vessilli con la stella di David. «Bush, Barack assassini» lo slogan ripetuto fino a uno stato di trance collettivo al limite del malore fisico. Alcuni ragazzi erano portati a spalle, mimando i funerali dei «martiri». «Darò la mia vita e il mio sangue per la terra di Palestina», il coro-preghiera gridato al tramonto. In testa al corteo donne e bambini. Due piccoli reggevano un telo raffigurante le bandiere Usa di teschi e strisce, e un altro simbolo di morte nella stella a sei punte. Un altro piccolino alzava un cartello che stabiliva l’equazione fra svastica e stella di David. Le invocazioni all’antiamericano Chavez seconde solo a quelle rivolte ad Allah. Gli appelli al boicottaggio di Israele. Una bambina di due anni per ripararsi dal freddo abbracciava la madre mentre questa rabbiosamente urlava il suo «assassino» a Bush.
Poco lontano qualche reduce del Sessantotto osservava compiaciuto i giovani con le bandiere di Hamas e degli Hezbollah libanesi. In coda al corteo le frange della sinistra estrema. Una bandiera nera dell’anarchia sovrastata da una kefiah. Si è rifatto vivo l’ex parlamentare di Rifondazione Fernando Rossi, per teorizzare che le elezioni vinte da Hamas sono state più democratiche di quelle americane o italiane. All’arrivo alla stazione la preghiera collettiva guidata dall’imam. Dall’altro lato della piazza, a buio, il comizio dei Palestinesi d’Italia: «A Gaza è in corso l’Olocausto del Secolo», ha detto il presidente. «Se la nostra preghiera al Duomo ha offeso qualcuno ci scusiamo». Due o tre applausi, sopraffatti dal grido «Allah hu akbar».
Troppo per Milano, anche secondo il vicesindaco Riccardo De Corato: «Ora basta cortei pro Hamas, quattro in sette giorni sono già troppi. Milano non è una provincia della Palestina e tanto meno ha voglia di istituire forzatamente questa sorta di “sabato di Gaza”». «Milano - ha aggiunto il vicesindaco - non può essere ostaggio di queste continue manifestazioni come se fosse un’appendice dei territori palestinesi»


www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=320015
[Modificato da Jonh T. 11/01/2009 18:16]
Una volta, mentre attraversavo il corridoio andando verso la cucina, sentii nell'anima queste parole:
"recita continuamente la coroncina che ti ho insegnato. Chiunque la reciterà, otterrà tanta Misericordia nell'ora della morte. I sacerdoti la consiglieranno ai peccatori come ultima tavola di salvezza; anche se si trattasse del peccatore più incallito se recita questa coroncina una volta sola, otterrà la grazia della Mia infinita Misericordia. Desidero che tutto il mondo conosca la Mia Misericordia. Desidero concedere grazie inimmaginabili alle anime, che hanno fiducia nella Mia Misericordia".


Dal "Diario" di Santa Faustina Kowalska, Libreria Editrice Vaticana, pag.263


11/01/2009 18:20
 
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«Tettamanzi non legittimi gli estremisti»

di Redazione

Le aperture della Curia ai promotori della preghiera in piazza Duomo non convincono l’imam di Milano Yahya Pallavicini: il vicepresidente della Coreis (Comunità religiosa islamica) si dice preoccupato che l’arcivescovo Dionigi Tettamanzi possa tendere la mano a quelli che definisce «profanatori della religione».
«Noi religiosi ci sentiamo offesi dalla strumentalizzazione della preghiera in una manifestazione non autorizzata, coordinata e promossa dall’Ucoii. Né le autorità religiose, né l’arcivescovo Tettamanzi, devono prestarsi alla loro subdola ricerca di legittimazione».
Considera dunque illegittima quella preghiera?
«Non posso riconoscere i criteri di regolarità della preghiera soprattutto quando viene fatta con un’occupazione e con un’ostentazione che non hanno alcuna legittimità, né religiosa né civile. Penso che, dopo l’arroganza dimostrata, ora vogliano fare i lupi travestiti da agnelli incontrando Tettamanzi, magari chiedendo scusa».
L’incontro sarebbe un riconoscimento per l'islam politico.
«Esatto, perciò da imam di Milano e da religioso mi permetto di invitare l’arcivescovo a non prestarsi a questo gioco di affermazione dei simpatizzanti di Hamas. Invece di scusarsi con l’arcivescovo, dovrebbero scusarsi con la cittadinanza per la situazione che hanno creato. La loro azione è un’offesa alla preghiera nel senso più generale ed è una conferma della loro volontà di strumentalizzare politicamente la religione, che è poi la filosofia costituzionale di Hamas e dei Fratelli musulmani».
La Chiesa rischia di legittimare gruppi agli occhi dello Stato già delegittimati?
«Mi auguro che l'islam politico non riemerga, perché la situazione a Gaza ha rivitalizzato questa corrente a livello mondiale e ora vuol far sentire la propria voce. Esistono anche persone che fanno politica anche tra i musulmani, ma con una maggiore etica. Loro invece fanno parte di una corrente radicale che ritiene che per solidarizzare con le vittime o con i palestinesi significa creare disordine. Così facendo hanno creato danno ai musulmani e all’Occidente».
Da milanese insignito dell’Ambrogino d’Oro, cosa sente di dire?
«Da italiano, occidentale e cittadino, penso che debbano presentare le scuse alle autorità civili e alla polizia per il disordine creato da una manifestazione non autorizzata. Abbiano la pietà spirituale o il pudore reverenziale di non mischiare noi, Tettamanzi o il rabbino capo nelle loro faccende di bassa politica».


www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=320016
[Modificato da Jonh T. 11/01/2009 18:23]
Una volta, mentre attraversavo il corridoio andando verso la cucina, sentii nell'anima queste parole:
"recita continuamente la coroncina che ti ho insegnato. Chiunque la reciterà, otterrà tanta Misericordia nell'ora della morte. I sacerdoti la consiglieranno ai peccatori come ultima tavola di salvezza; anche se si trattasse del peccatore più incallito se recita questa coroncina una volta sola, otterrà la grazia della Mia infinita Misericordia. Desidero che tutto il mondo conosca la Mia Misericordia. Desidero concedere grazie inimmaginabili alle anime, che hanno fiducia nella Mia Misericordia".


Dal "Diario" di Santa Faustina Kowalska, Libreria Editrice Vaticana, pag.263


11/01/2009 23:00
 
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La piazza antistante al Duomo è luogo SACRO è luogo di DIO UNO TRINO...è il luogo dove dimora GESU' CRISTO che è DIO.
Qualcuno se lo dovrebbe ricordare.
"Ciascuno deve salvare non solamente la propria anima ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul suo cammino.

Suor Lucia Dos Santos



TURRIS EBURNEA



LIBRI CATTOLICI













12/01/2009 14:42
 
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I post di Jonh confermano cio che ho precedentemente detto.

Confermano che gli stessi musulmani danno contro a tale manifestazione perché POLITICIZZANO la religione in un modo che non giova a nessuno...uguale quando lo fanno i nostri politici...non serve mettere benzina sopra al fuoco...ci si deve muovere diversamente,es:ORGANIZZARE manifestazioni e sensibilizzare la societá...
Confermano,come dicevo,la problematica di una cultura con un temperamento troppo accentuato e diventa fanatismo (dovuta anche ad ignoranzaˇ:ignorare),fanatismo che non risolve nulla se non accendere ancora di piu gli animi sia da una parte che dall altra....

Spero che tali manifestazioni abbiano avuto almeno il merito di svegliare il popolo a difesa della loro cultura,di svegliare quella parte della chiesa che é troppo silente su certe tematiche,e anche quelli che sono stati troppo forzatamente da una parte sola.

Resta il fatto che certe forzate manifestazioni non portano a nulla...nemmeno quella di Borghezio che rischia di esacerbare animi e di dare consensi da parte del popolo alla parte sbagliata...insomma di ottenere l effetto contrario.

Per Tettamanzi....a lui vedrá la chiesa....anche se noi non sappiamo(la chiesa non espone le sue cose interne)lavora sempre a recuperare i fratelli che vanno fuori strada.
La chiesa é sempre stata molto prudente(in tutto) e anche prima di prendere severe precauzioni riguardo un suo membro,tenta sempre la strada del convincimento.
...e se non provvederá lůa chiesa...c é qualcuno lassu che é molto di piu della chiesa.


Per tutti vale:

"renderete conto per ogni parola detta"..........
12/01/2009 15:59
 
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rinascitacampania.etleboro.com/?read=17020



Occorre fare chiarezza sul dramma che si vive in Palestina e rendere note circostanze che i media e l’informazione “politicamente corretti” colpevolmente omettono. A quanti sostengono che Hamas, democraticamente eletta dal suo popolo, è un’organizzazione terroristica e che tutte le colpe sono da addebitare all’intransigenza delle frange “radicali” palestinesi, proponiamo le parole, impregnate di becero razzismo e criminale determinazione, pronunciate negli anni dai più alti dirigenti israeliani:

David Ben Gurion, famigerato direttore dell’Agenzia ebraica in Palestina e successivamente primo ministro e presidente dello stato di Israele che, nel maggio del 1948, rivolto agli ufficiali del suo stato maggiore ebbe a dire: “Dobbiamo usare il terrore, l'assassinio, l'intimidazione, la confisca delle terre e l'eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba” (Ben-Gurion, A Biography, by Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978);

Golda Meir ex primo ministro d'Israele, 1969-1974: "Non esiste una cosa come il popolo palestinese...Non è come se noi siamo venuti e li abbiamo cacciati e preso il loro paese. Essi non esistono” (Golda Meir, dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969);

Yitzhak Rabin primo ministro d'Israele, 1974-1977, 1992-1995: "Uscimmo fuori, Ben-Gurion ci accompagnava. Allon rifece la sua domanda, `Che cosa si doveva fare con la popolazione palestinese?' Ben-Gurion ondeggiò la mano in un gesto che diceva `cacciateli fuori!" (Yitzhak Rabin,versione censurata delle memorie di Rabin, pubblicata sul New York Times, 23 ottobre 1979);

Menachem Begin primo ministro d'Israele, 1977-1983: "[I palestinesi] sono bestie che camminano su due gambe” (Discorso alla Knesset di Menachem Begin Primo Ministro israeliano, riportato da Amnon Kapeliouk, "Begin and the 'Beasts'," su New Statesman, 25 giugno 1982);

Yizhak Shamir primo ministro d'Israele, 1983-1984, 1986-1992: "(I palestinesi) saranno schiacciati come cavallette... con le teste sfracellate contro i massi e le mura" (Yitzhak Shamir a quel tempo Primo Ministro d'Israele in un discorso ai coloni ebrei, New York Times, 1 aprile 1988);

Benjamin Netanyahu Primo Ministro d'Israele, 1996-1999: "Israele avrebbe dovuto approfittare dell'attenzione del mondo sulla repressione delle dimostrazioni in Cina, quando l'attenzione del mondo era focalizzata su quel paese, per portare a termine una massiccia espulsione degli arabi dei territori" (Benyamin Netanyahu, allora vice ministro degli esteri, ex Primo Ministro d'Israele, in un discorso algi studenti della Bar Ilan University, dal giornale israeliano Hotam, 24 novembre 1989);

Ehud Barak primo ministro d'Israele, 1999-2001: "Se pensassimo che invece di 200 vittime palestinesi, 2.000 morti metterebbero fine agli scontri in un colpo, dovremmo usare più forza..." (Il Primo Ministro israeliano Ehud Barak, citato dall'Associated Press, 16 novembre 2000);

Ariel Sharon primo ministro d'Israele, 2001-2006: "E' dovere dei dirigenti d'Israele spiegare all'opinione pubblica, chiaramente e coraggiosamente, un certo numero di fatti che col tempo sono stati dimenticati. Il primo di questi è che non c'è sionismo, colonizzazione, o Stato Ebraico senza lo sradicamento degli arabi e l'espropriazione delle loro terre" (Ariel Sharon, Ministro degli esteri d'Israele, parlando ad una riunione di militanti del partito di estrema destra Tsomet, Agenzia France Presse, 15 novembre 1998).

Proseguiamo con una breve rivisitazione storica della nascita dello stato di Israele. La politica sionista in Palestina ha seguito negli anni tre direttive fondamentali:

1) Mutare il rapporto di popolazione, la maggioranza assoluta araba in minoranza;

2) Conquistare la direzione economica del paese comperando od appropriandosi dei terreni;

3) Seminare il terrore tra le popolazioni arabe, costringendole alla fuga o alla prigionia.

Nel 1918 quando gli Alleati occuparono il paese, la Palestina contava una popolazione di circa 700.000 abitanti di cui 644.000 Arabi (547.000 mussulmani e 70.000 cristiani) e 56.000 Ebrei.

Nel 1922 il censimento effettuato dava 757.182 abitanti (590.000 mussulmani, 83.794 ebrei, 73.014 cristiani e 9.474 appartenenti ad altre religioni.

Nel 1931 un secondo censimento rilevava che la popolazione era aumentata sino a raggiungere un totale di. 1.035.821 abitanti di cui 759.712 mussulmani, 174.610 ebrei, 91.398 cristiani e 10.101 di altre religioni.

Per il Governo Palestinese nel 1944 la popolazione aveva raggiunto 1.764.000 abitanti (1.179.000 arabi, 554.000 ebrei, altri 32.000). A metà maggio del 1948, secondo gli stessi metodi di valutazione adottati dal governo palestinese, la popolazione totale raggiungeva i 2.065.000 abitanti (1.415.000 arabi e 650 mila ebrei).

Da tutti questi dati risulta che la proporzione di ebrei sulla popolazione totale era aumentata dall'8% del 1918 al 31% del 1944. Il ritmo con cui si delinea l'aumento della comunità ebraica risulta ancor più “sorprendente” se si osserva che il tasso di aumento naturale netto degli arabi palestinesi era circa il 50% più alto di quello degli ebrei di Palestina. Un così rapido aumento della popolazione totale è dovuto all'immigrazione clandestina su larga scala.

Veniamo ora alla politica fondiaria ebraica in Palestina.

Nel 1918 gli ebrei possedevano solamente il 2% (162.500 acri) del territorio, la cui superficie totale si elevava a 6.580.755 acri.

Gli ebrei, durante i 30 anni seguenti procedettero all'acquisto sistematico di altri terreni portando i loro possedimenti nel maggio del 1948, data del termine del mandato, a 372.925 acri ossia il 5,67% della superficie totale del paese. Il possesso di terreno coltivabile degli ebrei era (secondo la stima del governo palestinese) di oltre il 15 per cento.

Durante il periodo mandatario (1928-1948) gli arabi cercarono di opporsi in ogni maniera alla vendita di terreni agli ebrei, tanto è che su 210.425 acri acquistati dagli ebrei la maggior parte risulta venduta da proprietari siriani residenti fuori dal paese. La superficie venduta agli ebrei dai palestinesi, durante il mandato, è di soli 100.000 acri, nonostante i prezzi alti e la legislazione in vigore fino al 1939 che facilitava il passaggio dei terreni agli ebrei.

Si pensi inoltre che gli arabi, vendendo il terreno, non pensavano neppure lontanamente di cedere la sovranità del loro territorio, in quanto come è logico, la proprietà di un terreno nulla ha a che vedere con la sovranità.

La politica fondiaria sionista, fu incorporata nella costituzione dell'Organizzazione Ebraica per la Palestina, siglata a Zurigo il 14 Agosto 1929, e riprodotta, a sua volta, nei contratti di locazione del Fondo Nazionale Ebraico (Keren Kayemeth) e del Fondo di Ricostruzione della Palestina. Le clausole dello statuto del Fondo Nazionale Ebraico denotano la politica razzista e discriminatoria che ha caratterizzato e continua a caratterizzare il trattamento degli arabi da parte di Israele negli anni posteriori al 1948.

Dato che l'immigrazione massiccia e l'acquisto di terreni da soli non permettevano di raggiungere i fini prefissi, i sionisti decisero di mettere in atto un vasto piano criminale e terroristico per scacciare la popolazione araba ed eliminare le persone che a questo si opponevano.

Troppo lungo sarebbe qui ricordare i massacri criminali dell’Irgun, dell'Haganah, della banda Stern.

Ricorderemo solo: il massacro dell'hotel King David. L'esplosione di un'intera ala del palazzo dove risiedeva il governo mandatario ed il quartiere generale militare provocò la morte di circa 100 funzionari inglesi, arabi, ebrei (22 Luglio 1946 - Gerusalemme).

II 24 luglio del 1946 il governo mandatario in Palestina dichiarava che l'Haganah e la sua forza associata Palmach, si dedicavano ad atti di sabotaggio e violenza come “Movimento di Resistenza Ebraico”; che l’Irgun Zvei Leumi e la banda Stern lavoravano fin dall'autunno in collegamento con il comando dell'Haganah; che la stazione radio “Kol Israel”, chiamata Voce del Movimento di Resistenza e diretta dall'Agenzia Ebraica, era la finanziatrice di queste organizzazioni.

Il 29 novembre del '47 l'Assemblea Generale dell'ONU raccomandava il piano “maggioritario” di spartizione della Palestina con 33 voti a favore, 13 contrari e 10 astensioni. Il piano, appoggiato da tutte le quattro grandi potenze, riservava il 56% della Palestina ad uno stato ebraico e il 43% (con la striscia di Gaza) allo stato arabo; fu creata inoltre una zona controllata dall'ONU che compren¬deva la città di Gerusalemme e dintorni (0,65%). Ed è dopo il voto all'ONU che la violenza sionista sferrò il suo attacco sulla popolazione araba. All'attentato al King David seguì uno stillicidio impressionante di assassinii e di atroci vessazioni. Una fredda e programmata pulizia etnica.

Il 9 Aprile 1948, una banda dell'Irgun assalì il villaggio di Deir Yassin massacrando 300 abitanti (nella maggioranza donne e bambini) su 400. AI termine della carneficina i membri dell'Irgun dichiararono che era loro ferma decisione continuare i massacri, l'invasione e l'occupazione.

Lo scrittore sionista John Kimche definirà questo eccidio: “l'opera più nefasta della storia ebraica”.

Begin Menachen, il criminale capo dell'Irgun, poi ministro del governo israeliano, ritenne questo massacro una vittoria e disse: “Tale massacro non solo fu giustificato, ma se non si fosse ottenuta la vittoria di Deir Yassin, Io Stato d'Israele non sarebbe stato costituito... il panico sopraffece gli arabi... l'impressione creata dal massacro di Deir Yassin equivale alla forza di sei reggimenti militari. Anche nel resto del paese, gli arabi cominciarono a fuggire pieni di terrore ancor prima di scontrarsi con le forze ebraiche... il massacro di Deir Yassin ci ha particolarmente aiutati a liberare Tiberiade e ad invadere Haifa”.

Del resto questa visione non era solo nei membri dell'Irgun. Come dimostra una frase pronunciata da un funzionario ebraico palestinese, noto per la sua “moderazione”, ad un ufficiale britannico che gli chiedeva come gli ebrei avrebbero risolto il problema arabo: “A questo si provvederà. Qualche massacro sarà sufficiente per eliminarli presto”.

E poi ci parlano di razzismo…

Nando de Angelis

[Modificato da LiviaGloria 15/01/2009 18:50]
15/01/2009 18:51
 
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...da che parte stare???..nessuna e tutte due...discernimento e fede...
15/01/2009 23:30
 
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www.unarosaperisraele.it/05022008.htm

Inutile prendersela con Israele o con Hamas quando sono solamente due pedine del Grande Gioco finanziate dalle medesime forze occulte.
Le stesse forze che ora piano piano stanno iniziando a tagliare il ramo secco di Israele, un semplice esecutore a cui verrà data tutta la colpa (assieme agli USA) dei mali del mondo. Israele è come un killer pagato dal boss.

Altrimenti come si spiegherebbe che la RAI intervisti i refusenik israeliani? che i media italiani sotto il controllo sionista (Mimun è ebreo) permettano di trasmettere tali interviste-autogoal? Forse perché è stato ordinato loro da sfere più alte, dai boss?
16/01/2009 08:29
 
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Gaza, parlano gli ambasciatori

"Terrasanta.net" e Lucio Brunelli hanno raccolto le dichiarazioni sulla crisi dei rappresentanti diplomatici israeliano e palestinese presso la Santa Sede.
Ecco i testi integrali delle due interviste. Cominciamo con la conversazione dell'ambasciatore israeliano, e presentiamo in seguito quella del diplomatico palestinese. Lasciamo ai voi lettori di giudicare sulla corrispondenza delle affermazioni alla realtà dei fatti.


Terrasanta
Per la Chiesa essere filo-palestinese e anti-israeliana non paga, afferma l'ambasciatore di Israele presso la Santa Sede. In una conversazione del 9 gennaio scorso con Terrasanta.net, Mordechay Lewy dice di constatare una "determinante linea di cambiamento" nell'atteggiamento della Chiesa verso Israele, ma mette in guardia dal cercare di ingraziarsi i favori dei musulmani assumendo posizioni anti-israeliane, specialmente come reazione al conflitto in corso a Gaza o alla situazione dei cristiani in Terra Santa. "Posso comprendere - dice Lewy - lo speciale affetto che i cattolici nutrono gli uni per gli altri, ma essi non dovrebbero cercare di migliorare la situazione della sicurezza personale dei loro fratelli contrapponendosi agli israeliani. Quella è una scelta politica che non rappresenta un'assicurazione sulla vita. L'esperienza dimostra che è semmai una scelta fallimentare, che non porta a nulla". Il diplomatico incalza: "I musulmani nutrono un risentimento profondo verso i cristiani e non si lasciano impressionare dalle loro dichiarazioni anti-israeliane". Lewy riconosce che "non è facile" essere cristiani in Medio Oriente: "Non dico che i cristiani non abbiano problemi in Israele, ma dovrebbero ringraziare Dio di vivere sotto la sovranità israeliana e non quella islamica". L'ambasciatore risponde alle opinioni di alcuni cattolici secondo i quali la Chiesa considera poco Israele per la sua incapacità di adempiere ai termini dell'Accordo fondamentale, il trattato bilaterale che nel 1993 ha posto in essere le relazioni diplomatiche tra Israele e Santa Sede. Lewy respinge l'affermazione come "argomento non serio" e aggiuge: "Se qualcuno vuol essere filopalestinese, trova molte ragioni". Precisa poi che Israele non cambierà atteggiamento per questo genere di critiche: "Se ci comportiamo in un certo modo è in ossequio alle nostre leggi. So che talune persone non sono disposte ad apprezzarci pubblicamente, mentre lo fanno in privato. Ce ne facciamo una ragione". Lewy apprezza il discorso rivolto ai diplomatici la settimana scorsa da Papa Benedetto XVI, e dice che il Papa ha offerto consigli che Israele "può sottoscrivere senza difficoltà". Ratzinger ha chiesto un immediato cessate il fuoco a Gaza, ha condannato ogni violenza ed espresso la speranza che le elezioni alle porte in Israele, Iran e Palestina possano contribuire a dischiudere una nuova era di pace. Quando gli chiediamo se la condanna del Papa per la violenza che risponde a violenza fosse diretta a Israele, l'ambasciatore osserva che il discorso papale è "di ordine spirituale e non politico" e offre suggerimenti che, se accolti, rilancerebbero il processo di pace. "(L'intervento del Papa) non dà indicazioni su come votare. (Il Papa) non vota. Non prende parte al processo politico, e non lo fa neppure la Chiesa", dice il diplomatico, apprezzando che Benedetto XVI non abbia fatto nomi o attribuito colpe, perché "non è questo il momento per farlo". Lewy ribadisce nuovamente la sua preoccupazione per le parole del cardinal Renato Martino, presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, che la scorsa settimana definì Gaza "un campo di concentramento". L'ambasciatore considera il commento "improprio", ma si dice soddisfatto della risposta della Santa Sede, che, riconosce, "ha reagito prontamente e con efficacia, come una squadra di vigili del fuoco". Chiediamo all'ambasciatore cosa accadrebbe se Israele dovesse pentirsi delle sue atrocità contro i palestinesi. Si aprirebbe la strada alla pace e si emarginerebbero gli estremisti? "Non vedo alcuna ragione per chiedere a Israele di fare ammenda mentre difende il suo diritto ad esistere", risponde Lewy. "Affrontiamo un nemico, come Hamas, che abusa dei civili utilizzandoli come scudi umani, accumulando munizioni nelle moschee e stabilendo i propri centri operativi nei sotterranei degli ospedali. Hamas occulta un alto numero delle sue perdite in modo che i media credano che in questo conflitto ci sono soprattutto vittime civili".



Lucio Brunelli, per il settimanale "Vita"
Shawqui Armali, cattolico di rito latino, nativo di Haifa, è il rappresentante diplomatico dell’Autorità nazionale palestinese in Vaticano. Come valuta la posizione del Papa sul conflitto a Gaza?
Nelle sue parole ho sentito solidarietà e compassione per le sorti del mio popolo. Il Papa non ha eserciti, non può fare di più. Ma i suoi sono stati sempre interventi saggi.
Israele rivendica il diritto a difendersi dalle provocazioni di Hamas….
Il lancio di missili da parte di Hamas è inutile e controproducente. E va fermato. Il nostro presidente Abu Mazen è sempre stato chiaro su questo punto. Ma la reazione militare israeliana è stata immensamente sproporzionata. Non si può trattare così un popolo intero. Al termine dell’udienza al corpo diplomatico l’abbiamo vista scambiare alcune parole con il Papa...
Ho detto a Benedetto XVI che le sue parole sarebbero stato accolte con gratitudine dal nostro popolo. E lui? Lui mi ha ripetuto per tre volte in inglese “Peace, peace, peace.”.
Crede ancora possibile il pellegrinaggio del Papa in terra santa?
In Vaticano dicono che tutto dipenderà dall’evoluzione del conflitto.
[Modificato da LiviaGloria 16/01/2009 19:21]
16/01/2009 19:29
 
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www.paolorodari.com/2009/01/15/parla-il-presidente-italiano-di-pay-the-way-%C2%ABi-cattolici-non-comprendono-gaz...


Parla il presidente italiano di Pay The Way: «I cattolici non comprendono Gaza»

Gen 15, 2009 il Riformista

Piero Laporta, presidente per l’Italia della Pay The Way Foundation - fondata negli Stati Uniti dall’ebreo Gary Krupp, si batte per promuovere la collaborazione tra le diverse fedi -, conosce bene il rabbino capo di Venezia, Rav Elia Enrico Ricetti. Come vanno lette le parole di Ricetti secondo le quali con Benedetto XVI si stanno cancellando cinquanta anni di dialogo?
Vanno lette alla luce del conflitto corrente, che costringe a posizioni massimaliste affinché Israele non si senta isolata. Con molta probabilità, in altri momenti, i toni sarebbero stati differenti. Siamo rammaricati che da parte cattolica siano giunte parole non sempre appropriate e non sempre tempestive sulle cause dello scontro attuale, cominciato con il lancio di razzi da parte di Hamas sulle città israeliane.

La questione della preghiera del Venerdì Santo, dunque, non interessa più di tanto agli ebrei?
Senz’altro interessa. Ma lo sanno tutti che diverse preghiere ebraiche sono contro i cattolici. Mentre altri salmi e passi di preghiere cattoliche sono addirittura più duri verso gli ebrei della preghiera del Venerdì Santo. Voglio dire: a mio avviso il centro del problema è soprattutto l’escalation del conflitto e le parole di alcuni cattolici in merito.

Quando parla delle parole dei cattolici pensa al Papa?
Parlo del mondo cattolico. E mi domando: perché il mondo cattolico non ha parlato quando Hamas lanciava razzi su Israele? Se, tanto per fare un esempio, una bomba a mano fosse stata fatta esplodere in Italia uccidendo innocenti, cosa sarebbe successo? Tutti avrebbero condannato l’episodio. Cattolici in testa. E, invece, quando Hamas lanciava razzi su Israele nessuno diceva nulla. Mentre oggi che Israele risponde tutti si dichiarano costernati.

Pay The Way è conosciuta in Italia come fondazione ebraica molto vicina al Vaticano. Recentemente ha promosso un Simposio per parlare di quanto fece Pio XII per gli ebrei. Pensa che un viaggio del Papa in Israele possa aiutare il dialogo tra Vaticano e mondo ebraico?
Auspichiamo vivamente che le ragioni del conflitto e le sue conseguenze siano presto superate affinché il dialogo fra le parti riprenda. Il prossimo viaggio in Israele di Benedetto XVI potrebbe essere una eccellente occasione per contribuire a comporre i problemi sul tappeto. Personalmente ritengo che sia innanzitutto la comunità internazionale a dover fare una seria riflessione e a capire che in situazioni simili occorre intervenire tempestivamente su qualunque minaccia alla pace, da qualunque parte provenga, perché gli enormi sacrifici della popolazione di Gaza oggi non ripagano quelli altrettanto acuti e tragici della popolazione israeliana quando è stata obiettivo di migliaia di razzi e bombe di mortaio.

Da cosa è stata motivata la decisione di sospendere la giornata di dialogo ebraico-cristiano?
Credo che molto dipenda dal clima attuale, anche quindi dal conflitto. In questa situazione è impossibile che il collegio rabbinico italiano non partecipi a un evento simile. Perché significherebbe in qualche modo tradire le sofferenze di Israele. Tra l’altro anche noi abbiamo dovuto rinunciare a qualcosa. La Pave the Way, in particolare, a causa di questo conflitto, ha dovuto rinunciare al progetto di finanziare il pellegrinaggio in Terra Santa di dodici leader religiosi - cattolici, ebrei e mussulmani - i quali, partendo da Lione, grazie agli auspici del primate di quella città, il cardinale Philippe Barbarin, avrebbero raggiunto Gerusalemme tutti insieme, dando un segno di grande e significativa fratellanza.
[Modificato da LiviaGloria 16/01/2009 19:30]
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ragazzi cerchiamo di non andare fuori tema, qui stiamo parlando della questione Milano Italia e Islam e i sabotatori del cristiaesimo.
"Ciascuno deve salvare non solamente la propria anima ma anche tutte le anime che Dio ha posto sul suo cammino.

Suor Lucia Dos Santos



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Re:
LiviaGloria, 16/01/2009 19.29:

http://www.paolorodari.com/2009/01/15/parla-il-presidente-italiano-di-pay-the-way-%C2%ABi-cattolici-non-comprendono-gaza%C2%BB/


Parla il presidente italiano di Pay The Way: «I cattolici non comprendono Gaza»

Gen 15, 2009 il Riformista

Piero Laporta, presidente per l’Italia della Pay The Way Foundation - fondata negli Stati Uniti dall’ebreo Gary Krupp, si batte per promuovere la collaborazione tra le diverse fedi -, conosce bene il rabbino capo di Venezia, Rav Elia Enrico Ricetti. Come vanno lette le parole di Ricetti secondo le quali con Benedetto XVI si stanno cancellando cinquanta anni di dialogo?
Vanno lette alla luce del conflitto corrente, che costringe a posizioni massimaliste affinché Israele non si senta isolata. Con molta probabilità, in altri momenti, i toni sarebbero stati differenti. Siamo rammaricati che da parte cattolica siano giunte parole non sempre appropriate e non sempre tempestive sulle cause dello scontro attuale, cominciato con il lancio di razzi da parte di Hamas sulle città israeliane.

La questione della preghiera del Venerdì Santo, dunque, non interessa più di tanto agli ebrei?
Senz’altro interessa. Ma lo sanno tutti che diverse preghiere ebraiche sono contro i cattolici. Mentre altri salmi e passi di preghiere cattoliche sono addirittura più duri verso gli ebrei della preghiera del Venerdì Santo. Voglio dire: a mio avviso il centro del problema è soprattutto l’escalation del conflitto e le parole di alcuni cattolici in merito.

Quando parla delle parole dei cattolici pensa al Papa?
Parlo del mondo cattolico. E mi domando: perché il mondo cattolico non ha parlato quando Hamas lanciava razzi su Israele? Se, tanto per fare un esempio, una bomba a mano fosse stata fatta esplodere in Italia uccidendo innocenti, cosa sarebbe successo? Tutti avrebbero condannato l’episodio. Cattolici in testa. E, invece, quando Hamas lanciava razzi su Israele nessuno diceva nulla. Mentre oggi che Israele risponde tutti si dichiarano costernati.

Pay The Way è conosciuta in Italia come fondazione ebraica molto vicina al Vaticano. Recentemente ha promosso un Simposio per parlare di quanto fece Pio XII per gli ebrei. Pensa che un viaggio del Papa in Israele possa aiutare il dialogo tra Vaticano e mondo ebraico?
Auspichiamo vivamente che le ragioni del conflitto e le sue conseguenze siano presto superate affinché il dialogo fra le parti riprenda. Il prossimo viaggio in Israele di Benedetto XVI potrebbe essere una eccellente occasione per contribuire a comporre i problemi sul tappeto. Personalmente ritengo che sia innanzitutto la comunità internazionale a dover fare una seria riflessione e a capire che in situazioni simili occorre intervenire tempestivamente su qualunque minaccia alla pace, da qualunque parte provenga, perché gli enormi sacrifici della popolazione di Gaza oggi non ripagano quelli altrettanto acuti e tragici della popolazione israeliana quando è stata obiettivo di migliaia di razzi e bombe di mortaio.

Da cosa è stata motivata la decisione di sospendere la giornata di dialogo ebraico-cristiano?
Credo che molto dipenda dal clima attuale, anche quindi dal conflitto. In questa situazione è impossibile che il collegio rabbinico italiano non partecipi a un evento simile. Perché significherebbe in qualche modo tradire le sofferenze di Israele. Tra l’altro anche noi abbiamo dovuto rinunciare a qualcosa. La Pave the Way, in particolare, a causa di questo conflitto, ha dovuto rinunciare al progetto di finanziare il pellegrinaggio in Terra Santa di dodici leader religiosi - cattolici, ebrei e mussulmani - i quali, partendo da Lione, grazie agli auspici del primate di quella città, il cardinale Philippe Barbarin, avrebbero raggiunto Gerusalemme tutti insieme, dando un segno di grande e significativa fratellanza.



All’Angelus, il vibrante appello di Benedetto XVI: fermare la tragedia in atto nella Striscia di Gaza. Ed esorta i fedeli ad accogliere i migranti e ad impegnarsi per l’unità dei cristiani


Maura



(Clive Staples Lewis 1898-1963, Le Lettere di berlicche, 1942)
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"Ogni regime totalitario è iniziato con la soppressione della libertà religiosa."
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Leggendo le vostre reazioni e osservando il comportamente di chi sbandiera in questo modo e con questi toni ( <- soprattutto) mi rimane questo dubbio. Non vuole essere una provocazione fine a se stessa ma uno spunto su cui riflettere seriamente:

"Non correte il rischio di diventare come loro?" ( o meglio quel loro che credete che siano...)

La facilità con cui scaricate su di loro pregiudizi mi farebbe pensare di si...

Ma dico come si fa a dire che "questa gente non vuole saperne di dialogare"? Sono tutti fatti con lo stampino.

Generalizzazione è predecessore di Pregiudizio. Che tanto (tanto) male ha portato nella storia...

PS:Mi farebbe piacere che d'ora in avanti riportaste le fonti su quanto affermate altrimenti tutto il nostro diventa un parlare a vuoto. Molto su idee e poco su fatti.
[Modificato da LettereDiBerlicche 19/01/2009 21:36]

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(Clive Staples Lewis 1898-1963, Le Lettere di berlicche, 1942)
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Come sempre, fa meno rumore una foresta che cresce di un albero che cade
http://www.messaggerodisantantonio.it/messaggero/pagina_articolo.asp?IDX=1157IDRX=114

Musulmani in Italia

Di loro si parla spesso in tono allarmistico, livellandone ogni differenza. In realtà, l'islam italiano è variegato e, per la stragrande maggioranza, assolutamente pacifico.

di Stefano Allievi Sociologo, Università di Padova


L'ignoranza è spesso fonte di pregiudizi e di incomprensioni, di paure, che creano divisioni, ghetti, origine di contrapposizioni anche violente. La conoscenza, al contrario, aiuta a capire, fuga le paure e facilita il dialogo. È per questo che abbiamo dedicato questo dossier ai musulmani che vivono in Italia, una presenza consistente, ma della quale conosciamo poco, e quel poco inficiato da pregiudizi e paure. Ci aiuta nella comprensione il sociologo Stefano Allievi, e lo fa con competenza e grande equilibrio, fornendo buoni criteri di valutazione e di giudizio.

-

Qualche dato

Chi sono i musulmani d'Italia? Qualche dato, innanzitutto. Si tratta di quasi un milione di persone, grosso modo, circa il 2 per cento della popolazione residente nel nostro Paese (contro il 4 per cento della media europea, con punte del 7 per cento, come in Francia). I praticanti, categoria in realtà poco pertinente per definire l'appartenenza religiosa nell'islam, sono naturalmente solo una minoranza.
Il Marocco conta circa un terzo delle presenze musulmane, segue l'Albania, di cui solo una parte dei provenienti, comunque maggioritaria, è considerabile di vaga origine musulmana, quindi la Tunisia, il Senegal, l'Egitto, il Bangladesh, il Pakistan, l'Algeria, la Bosnia, e poi ancora Iran, Nigeria, Turchia, Somalia e... Italia, con un nucleo numericamente contenuto ma assai attivo di convertiti all'islam, che giocano un ruolo importante nell'islam visibile e organizzato.
Di fatto, ci si presenta l'immagine di un islam frammentato, disperso anche sul territorio. Anche perché, a differenza di altri Paesi, non è identificabile solo con le comunità delle grandi città, anche se quasi solo di esse si parla. La presenza islamica, anche organizzata con propri luoghi di culto, per quanto spesso piccoli e precari, in Italia, è significativa anche nelle città medie e piccole, e nei paesi. Quello che potremmo chiamare l'islam dialettale: più locale che nazionale, in un certo senso, ma che spesso manifesta processi di integrazione, e di accettazione, più elevati di quelli visibili in alcune realtà metropolitane.
Un islam che è ancora essenzialmente di prima generazione, con un tasso di presenza femminile relativamente basso, e una presenza delle seconde generazioni ugualmente ancora poco visibile, anche se in veloce crescita (si pensi al mondo della scuola), anche in termini di organizzazione. Il fatto che sia un islam di prima generazione fa di esso un islam ancora voltato all'indietro: che parla arabo (o altra lingua materna) più che italiano, e che guarda ancora molto alle realtà d'origine. Per il quale la non conoscenza della realtà italiana può più di frequente portare a incomprensioni e difficoltà. Si tratta, tuttavia, di un fattore in rapida evoluzione: l'islam comincia a entrare in quella che possiamo considerare la fase della sedentarizzazione, della stabilizzazione, in parte anche dell'istituzionalizzazione.

L'organizzazione interna
Le moschee e quanto sta loro intorno (associazioni, scuole coraniche - l'equivalente islamico del catechismo - ecc.), giocano un ruolo importante, anche perché enfatizzato dalla mancanza o dalla debolezza di altri interlocutori. L'associazionismo laico, etnico o nazionale, ad esempio, è molto debole. C'è poco, insomma, in mezzo tra il bar e la moschea. E non va dimenticata quella quota significativa, ma silenziosa, di individui che effettuano il loro percorso di inserimento ai margini o al di fuori delle rispettive comunità di riferimento.
Al loro interno, i musulmani d'Italia sono organizzati in modo frammentario e diviso.
L'organizzazione principale è l'Ucoii (Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia), costituita ufficialmente nel 1990. Molte moschee fanno capo ai suoi rappresentanti, alcuni dei quali godono di una certa popolarità.
C'è poi il Centro islamico culturale d'Italia, ovvero la moschea di Roma, il principale luogo islamico del Paese, la cui costruzione è stata finanziata dalla Lega del mondo islamico saudita. Rappresenta un islam istituzionale, non molto legato al mondo delle migrazioni.
Vi sono poi altri organismi, per lo più composti da convertiti e di ridotte dimensioni. Come la Coreis (Comunità religiosa islamica), espressione di un gruppo di convertiti, con sede a Milano; o l'Umi (Unione musulmani d'Italia), guidata dal discusso Adel Smith, piccola star dell'islam televisivo, con scarso seguito.
Naturalmente, vi sono altri organismi e associazioni che, soprattutto sul piano locale, giocano un ruolo. Dai gruppi dei mistici sufi principalmente composti da convertiti e dalle confraternite a carattere etnico (si pensi ai muridi senegalesi), a organismi religiosi su base etno-nazionale (le moschee somale, bengalesi, ecc.), fino a operatori culturali e a singoli intellettuali.
Infine, come hanno mostrato anche alcune inchieste giudiziarie, sono presenti gruppi di simpatizzanti e militanti anche con legami dimostrati con la galassia terroristica: ovviamente, in questo caso, non organizzati in maniera aperta. Molto diverse sono tuttavia, in materia, le risultanze delle inchieste giudiziarie e quelle delle inchieste giornalistiche,portatea un'enfatizzazione del fenomeno spesso spettacolarizzata, ma con modesto fondamento. Si tratta, del resto, di un settore in cui, essendo il pericolo effettivamente esistente e l'allarme doverosamente elevato, l'esagerazione paga, garantendo facili rendite in termini di visibilità: che si tratti del mondo politico (qualche partito in particolare), o di quello giornalistico e intellettuale (il caso più clamoroso è quello di Oriana Fallaci, ma ve ne sono molti altri).
Anche nella Chiesa cattolica, dopo tutto, le posizioni più visibili sono le poche che puntano sullo scontro, mentre quelle più pacate, e più numerose, hanno meno visibilità. Come sempre, fa meno rumore una foresta che cresce di un albero che cade. Lo stesso dicasi dei musulmani stessi: i molti che si dissociano fanno meno rumore dei pochi che polemizzano o peggio.
Un'evoluzione interessante è costituita dall'affacciarsi sulla scena delle seconde generazioni, attraverso i Gmi (Giovani musulmani in Italia). I giovani musulmani si propongono con una buona capacità organizzativa e un'ottima visibilità, favorita dal buon livello culturale e di conoscenza della lingua oltre che della società italiana, essendo essi nati e secolarizzati in Italia.
Tutte insieme queste organizzazioni rappresentano, tuttavia, solo una parte minoritaria dell'islam presente in Italia: che, se credente, si accontenta spesso di ritrovarsi nelle moschee, senza interessi di rappresentanza più larga. E va tenuto conto che vi è una vasta maggioranza silenziosa di provenienti da Paesi musulmani che, per impossibilità logistica (le moschee sono ancora poche e spesso distanti, e il venerdì è comunque giorno lavorativo), ma ancora di più per scelta, non frequentano il mondo delle moschee e dell'associazionismo, e non si sentono da esso rappresentati.
Cruciale, nel favorire o meno i processi di integrazione, è ovviamente il ruolo della politica e dei soggetti religiosi: in particolare, in Italia, la Chiesa cattolica, ma anche le altre minoranze.
La politica mostra attenzione al problema islam nella sua complessità, nei suoi vertici istituzionali: si pensi al ruolo cauto e moderato del ministro Pisanu. Lo stesso si può dire di altre alte cariche dello Stato. Molta meno moderazione e cautela si è vista nel mondo politico, la cui agenda è stata di fatto dominata dalla polemica anti-islamica leghista, configurabile come una vera e propria campagna, anche se essa non è ovviamente rappresentativa delle posizioni dell'intero quadro politico, e nemmeno della maggioranza. La via dell'intesa, che sancirebbe il riconoscimento simbolico e l'avvenuta istituzionalizzazione dell'islam italiano, è quindi bloccata e appare ancora lontana. Per ragioni inerenti al rifiuto del quadro politico, ma anche, e soprattutto, per dinamiche proprie, interne al mondo islamico, ancora diviso, non preparato e non pronto a giocare questa partita.

Il ruolo della Chiesa
Più articolato il ruolo della Chiesa cattolica. Che, a parte alcune posizioni più chiuse, nella realtà di molte diocesi locali e del grosso dell'associazionismo (Caritas, Acli, Focolari, Sant'Egidio, ecc.) mostra un volto attento e sfumato nei suoi giudizi e, quel che più conta, nella sua attività e nella sua pastorale. Se, da un lato, l'Italia, Paese maggioritariamente cattolico, si trova in difficoltà nel dover imparare la diversità e la pluralità religiosa nel confronto con un diverso più diverso, quale è l'islam, che in più è stato uno storico nemico, dall'altro, grazie proprio alla presenza di una diffusa cultura cattolica, dispone della capacità di comprendere le esigenze religiose poste dai musulmani, dal problema dei luoghi di culto a quello delle prescrizioni alimentari. Una comprensione che spesso non troviamo nel mondo laico. La Chiesa cattolica è, del resto, guardata spesso con simpatia da moltissimi musulmani: per il suo ruolo nell'accoglienza degli immigrati; per le sue posizioni contro la guerra e contro il terrorismo in Iraq e in altre parti del mondo; per l'impegno per la pace del Papa, nonché per il suo riconoscimento dello specifico religioso dell'islam in occasione dei suoi viaggi (di particolare valore simbolico la sua visita alla moschea di Damasco); per le posizioni assunte in difesa dei più deboli a proposito del conflitto israelo-palestinese. (nota personale di LDB: mi sembra chiaro!)

Le difficoltà dell'integrazione
Noi spesso abbiamo un'immagine dell'islam come realtà statica, definita e immodificabile. Questa percezione, non vera nemmeno per i Paesi d'origine, è ancora meno vera in Europa. L'islam immigrato, infatti, si modifica con una velocità che solo un'osservazione attenta e non preconcetta è in grado di mostrarci.
È qui, nei processi lunghi dell'integrazione silenziosa nel mondo del lavoro e della scuola, nelle realtà associative, nella presenza in movimento dell'islam femminile, tra le seconde generazioni, che è visibile e misurabile il terreno reale dell'incontro tra l'islam e il mondo europeo-occidentale, e anche con gli altri soggetti religiosi che questo mondo abitano da più tempo. Sapendo che, nel contempo, continueranno momenti e terreni di scontro, legati tanto alla politica estera quanto a quella interna: l'attualità ce ne fornisce ormai ogni giorno, come mostra un sempre più feroce terrorismo islamico transnazionale, che non va, tuttavia, confuso con la presenza degli immigrati in Europa.
È soprattutto sul piano locale che si manifestano i momenti e i luoghi di confronto, di incontro e anche di scontro: che si manifestano i problemi, insomma, e che si sperimentano le possibili soluzioni dei medesimi. Ci preme, a questo proposito, contro ogni buonismo o irenismo facile, notare che incomprensioni e problemi, rispetto a un fenomeno nuovo e quasi mai spiegato, e anche iniziali reazioni di rifiuto, sono sociologicamente non solo comprensibili, ma in un certo senso normali, fisiologiche. Possono diventare patologiche, come accaduto talvolta in tempi recenti, soprattutto quando a esse si sovrappone una qualche forma di strumentalizzazione politica. In sostanza, non è patologico il conflitto, ma lo è il non volerne uscire, o addirittura il cercarlo. E questo avviene, ovviamente, perché c'è chi dal conflitto ci guadagna: tra gli italiani (politici, giornalisti, ecc.: la paura è un prodotto che si vende molto bene), come tra certi leader religiosi islamici in cerca di visibilità.
Al di là dei conflitti più presenti sui giornali, spesso riguardanti simboli religiosi (il velo, il crocifisso), vi sono processi di integrazione quotidiana almeno altrettanto importanti, e nel lungo termine decisivi: nelle scuole, nel mondo del lavoro, nei luoghi della sofferenza (ospedali, carceri, ecc.), come pure in quelli del divertimento e della socializzazione. Ed è a questi che dobbiamo guardare per comprendere il processo di integrazione dei musulmani in Italia e in Europa. Con intelligenza. Con attenzione. Con la capacità di non cancellare la propria identità nel rapporto con l'altro: cosa non richiesta né tanto meno auspicabile. Né per noi né per gli immigrati, a cui si richiede invece, come ovvio, il rispetto delle leggi del Paese in cui si inseriscono. Mentre a entrambi si richiede il rispetto della propria identità e dei propri simboli. Su questa base è possibile costruire una convivenza comune.

[Modificato da LettereDiBerlicche 19/01/2009 21:56]

Maura



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I PADANI RIFIUTANO LA RELIGIONE DELL'ODIO



I mega raduni di protesta dei musulmani sulle piazze più importanti di alcune nostre città, raduni non autorizzati ma tacitamente tollerati dalle nostre autorità civili, sono stati fin tropo sottovalutati dai nostri mass media, dai politici e dalle nostre autorità ecclesiastiche.
L'adunata di preghiera a culo per aria, avvenuta in Piazza Duomo a Milano, scandalizza, ma al contempo riempie di rabbia per la mancata reazione delle cosiddette autorevoli autorità, forse ammaliate dalla apostata e imprudente omelia di Tettamanzi, che ha chiesto una moschea in ogni quartiere.
Ed è stato preso alla lettera dai mussulmani. Solo una manciata di cattolici tradizionalisti ha detto un chiaro NO MOSCHEE all'imam Dionigi, dalle guglie del Duomo.
Questa loro capacità di riunirsi in folle immense, in determinati spazi e in pochissimo tempo, dovrebbe interpellare la nostra coscienza di cittadini e di cristiani: sono autentiche sfide per la nostra civiltà occidentale che si illude di risolvere tutto col dialogo, l'apertura e la tolleranza.
I musulmani non hanno bisogno di armi potenti per scatenare una guerra, perchè è sufficiente che gruppi di kamikaze ben organizzati vengano sparpagliati in varie parti del nostro Paese, facendosi esplodere, magari a catena, uno dietro l'altro per giorni e mesi, qua e la, che saremo subito costretti alla resa e alla schiavitù.
Da molti anni stiamo cercando di far conoscere l'anima, l'indole del'Islam e del suo espansionismo preoccupante in ogni parte del mondo, citando fatti concreti, fonti storiche e frasi allarmanti di illustri personaggi, sostenitori, a ragione, dell'inesistenza di un Islam moderato, i quali vanno ripetendo che questa religione è un modello di società mirante all'istituzione di uno Stato teocratico e che la "Jihad", la guerra santa, non è un aspetto marginale dell'Islam, ma costituisce un obbligo grave del credente:" Si tratta di una vera lotta armata contro gli infedeli, cioè contro tutti coloro che non sono musulmani. E' la religione della forza perchè si impone solo con la forza e la violenza."

Eppure molti italiani non lo vogliono capire, perchè, sull'esempio scellerato di altre Nazioni europee, hanno ormai decretato la morte della nostra civiltà cristiana, cioè la morte di Dio, ostentando questo loro ateismo rabbioso addirittura con manifesti blasfemi e disgustosi.
Stolti! cioè "stupidi" dice la Sacra Scrittura riferendosi a coloro che afermano che Dio non esiste.
E questa loro rabbia e cecità spirituale li rende felici dell'avanzata islamica perchè rappresenta per essi la sconfitta del cristianesimo che essi odiano, l'unica avanzata che avrà il potere, secondo loro, di liberari dal "giogo della Chiesa Cattolica". Doppiamente stolti, perchè costori sarano i primi a subire le persecuzioni dell'Islam il quale non fa alcuna differenza tra atei e credenti, perchè l'Islam considera tutti noi europei come "occidentali", alleati degli USA e sopratutto di Israele che in Palestina sta compiendo un orrendo genocidio, in nome di un inaccettabile sionismo razzista.

E se la nostra Europa è ormai preda del "secolarismo" cioè di abandono della fede in Dio per una vita materialistica, l'ONU non è in grado di fermare chi si può permettere ciò che nessun altro oserebbe solo pensare, l'Islam non è certo meglio, in quanto, contrario a quello che si crede, l'Islamismo è la religione della forza. Infatti religione islamica non si fonda, come per il cristiano sull'impegno per esseresanti e virtuosi anche quando comporta sacrificio, forti dell'aiuto di Dio che si chiama "Grazia", e in vista della Beatitudine Eterna, ma si basa solo sul godimento di piaceri vissuti al massimo. Tant'è vero che gli stessi "piaceri" o "vizi" di questa vita terrena vengono promessi ai kamikaze perfino nell'aldilà: vergini perenni da godere per tutta l'eternità in una serie di orge senza fine! Non sappiamo invece come la pensino quelle povere vergini destinate ad essere violentate per l'eternità da bande di maniaci sessuali! La vita stessa del musulmano sulla terra non viene concepita come bellezza, impegno, lavoro e sviluppo dei propri talenti messi a disposizione del progresso e del bene comune, bensì come immolazione di sé attraverso il suicidio o l'omicidio pur di sottomettere ad Allah il mondo intero.
E' proprio la società musulmana che davvero auspichiamo per i nostri figli?
Senza una forte e chiara consapevolezza delle differenze abissali che ci contraddistinguono, della debolezza e dell'asservimento delle preposte autorità civili e religiose ai poteri forti dei soliti noti e senza una forte ripresa della preghiera cristiana, soprattutto della S. Messa cattolica certa e vera (quella tradizionale) e del Rosario, scudo di difesa e protezione delle nostre Nazioni europee, l'Islam umanamente parlando, ne uscirà vittorioso.
Grazie Gesù di averci fatto cristiani, cioè liberi, responsabili e innamorati di tutte le cose belle e buone che ci hai messo a disposizione in questo mondo, anche quando esigono rinuncia da parte nostra.

Matteo Castagna

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Re:
Ghergon, 20/01/2009 18.15:




I PADANI RIFIUTANO LA RELIGIONE DELL'ODIO



mi potresti segnalare il link?


Una volta, mentre attraversavo il corridoio andando verso la cucina, sentii nell'anima queste parole:
"recita continuamente la coroncina che ti ho insegnato. Chiunque la reciterà, otterrà tanta Misericordia nell'ora della morte. I sacerdoti la consiglieranno ai peccatori come ultima tavola di salvezza; anche se si trattasse del peccatore più incallito se recita questa coroncina una volta sola, otterrà la grazia della Mia infinita Misericordia. Desidero che tutto il mondo conosca la Mia Misericordia. Desidero concedere grazie inimmaginabili alle anime, che hanno fiducia nella Mia Misericordia".


Dal "Diario" di Santa Faustina Kowalska, Libreria Editrice Vaticana, pag.263


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