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Ultimo Aggiornamento: 29/01/2011 16:03
29/01/2011 16:00
 
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1. Tra i due roghi atomici di Hiroshima e Nagasaki, la conseguente resa incondizionata del Giappone il 2 settembre 1945 (che poneva fine ai sei anni della seconda guerra mondiale) e il primo annunzio del Concilio dato da Papa Giovanni il 25 gennaio 1959, passarono poco più di tredici anni.
In questi tredici anni si era ormai compiuta la ricostruzione, e il ricordo della guerra si era alquanto allievolito, ma non cancellato. A un tempo, però, si erano ancor più maturate e sviluppate tutte le enormi conseguenzè della guerra, cioè sì era confermata e accresciuta quella trasformazione epocale che la guerra ha segnato (1).
Nello stesso ambito della vita religiosa la guerra ha implicato tre conseguenze capitali:
- ha spalancato la strada al sionismo realizzato: al ritorno di milioni di ebrei alla terra dei padri e alla loro lingua e cultura, ponendo problemi del tutto nuovi, teorici e pratici, per le altre religioni e in particolare per il cristianesimo;
- ha segnato, con certe premesse economiche (petrolio) e sociali e nuove ideologie, il risveglio dei popoli arabi, non solo risveglio politico, ma anche ripresa espansionistica del messaggio religioso di cui essi sono portatori, provocando un nuovo dinamismo mondiale dell’islam;
- in terzo luogo ha innestato nuovi fermenti critici e nuove ricerche proporzionate all’interno dello stesso cristianesimo: con un bisogno profondo, se pure ancora latente, di adeguazione della sua vitalità e della sua irradiazione nel mondo nuovo ormai in avanzato travaglio.

2. I tredici anni trascorsi dalla fine della guerra mondiale al primo annunzio del Concilio hanno implicato anche per la Chiesa cattolica gravissime ripercussioni di questo enorme mutamento globale, che qualcuno forse avvertiva, ma che i più parevano ignorare ancora negli ultimissimi anni del pontificato di Pio XII. Anzi, forse si può arrivare a dire che proprio a questa ignoranza complessiva fu provvidenzialmente dovuta la nomina di Papa Giovanni: una figura lungamente emarginata nella Chiesa, solo molto recentemente accreditata dal successo della sua nunziatura parigina e del suo episcopato veneziano, e comunque già avanzato in età, sì da essere scelto intenzionalmente per un pontificato breve e di transizione.
Se i Cardinali avessero lucidamente considerato il complesso di problemi che in questa prima elezione, dopo la seconda guerra mondiale, si stavano ponendo alla Chiesa e al mondo, non avrebbero probabilmente eletto Angelo Giuseppe Roncalli, ma avrebbero cercato altri. La conferma, del resto, di questa generale inconsapevolezza è data oggi dalla pubblicazione delle risposte dei vescovi alla consultazione che di essi fu fatta non tanti mesi dopo, in preparazione del Concilio: risposte che nella totalità non lasciano intravvedere nessuna visione panoramica dei problemi e nessun approccio serio ai punti nodali del grande rivolgimento storico in corso, neppure da parte di coloro che poi nel Concilio emersero pian piano – per un dono dello Spirito Attualizzato dalla vastità mondiale del confronto e del dialogo reciproco – come le personalità più dotate e capaci di intuizioni vaste e di apporti validi.

2 / Credo che convenga insistere su questo punto: proprio per confutare una falsa interpretazione del Concilio, che tenderebbe ad attribuire certi mali o certe tendenze negative, rivelatesi poi, all’imprudenza e alle aperture del Concilio stesso, cadendo nel noto paralogismo: post hoc, ergo propter hoc (2).
Il vero è che nei tredici anni dalla guerra al Concilio erano maturate ormai tutte le caratteristiche più forti e determinanti, o più lamentate, dell’era attuale. Mi pare che alcune debbano essere espressamente accennate.
a) L’era planetaria o spaziale: con la relativa tendenza all’universalizzazione dei problemi (di tutti i problemi: economici, sociali, culturali) e alla interdipendenza delle varie entità nazionali, politiche e culturali, con una forte prevalenza di qualche potenza egemone e con la relativa crescente dipendenza delle potenze piccole o medie.
b) L’era atomica: con i suoi immensi pericoli di catastrofi collettive, con la sempre più forte riduzione tecnica dei tempi decisionali e perciò la concentrazione sempre più avanzata del potere in pochissime mani, con la riduzione quasi allo zero delle possibilità di consultazione, di concorso e di
partecipazione altrui.
c) Il divario sempre più accentuato tra ricchi e poveri: con la disparità sempre crescente, e mai compensata, tra detentori e non delle nuove tecnologie, da cui dipendono tutti gli sviluppi industriali, economici, finanziari, per la pace e per la guerra.
d) L’evidenziarsi globale nell’occidente di una società opulenta che, mentre eleva e propone l’esempio di uno standard di vita sempre più largamente al di là dei bisogni vitali essenziali, e crea modelli sempre più accentuati di soddisfazione di bisogni superflui, sembra arroccarsi sempre più su se stessa e abbandonare, quasi senza finzioni, ad una marginalità depauperata di tutto interi popoli e paesi in Asia, in Africa e in America meridionale.
e) L’inasprirsi perciò della conflittualità in molte zone del mondo, con periodi alterni di distensione temporanea e per contro periodi di inasprimento delle crisi con pericolo imminente di estensioni più vaste: come fu, proprio alla vigilia della convocazione del Concilio, la crisi provocata dalla installazione di missili sovietici a Cuba, nel settembre 1962.
f) 11 diffondersi sempre più vasto e apparentemente irreversibile di nuovi costumi, ispirati a un permissivismo involgente a tutti i livelli della moralità, e in particolare la rivoluzione dell’etica sessuale e della vita familiare. A questo proposito è importante notare che i grandi classici della cosiddetta rivoluzione sessuale sono anteriori al Concilio, come lo precedono certi progressi sperimentali della genetica (e in ispecie la cosiddetta pillola).
g) La fragilità del diritto – e delle istituzioni preposte alla sua applicazione — in tutti i paesi, e in particolare già negli anni ‘50 la progressiva sostituzione, ad opera delle grandi imprese e particolarmente delle multinazionali, di organi privati di arbitrato alle pubbliche magistrature.
h) Il dissolversi della filosofia, che tende sempre più a rinunziare ai suoi campi forti (la metafisica) per ridursi sempre di più alle cosiddette scienze dell’uomo (psicologia, sociologia, antropologia culturale, filosofia del linguaggio, filosofia delle scienze, ecc.).
i) L’appropriazione da parte di certi teologi, già miziata anni prima del Concilio, di una quota di magistero spettante ai vescovi: certo dovuta a un evidente sconfinamento dei teologi, ma anche dovuta a una lunga serie di cause precedenti, e in particolare alla riduzione del ruolo episcopale a una funzione prevalentemente amministrativa, vieppiù confermata dai criteri adottati per la selezione e l’elezione dei vescovi.
l) La crisi del clero e delle vocazioni sacerdotali e religiose, certamente già iniziata in quasi tutti i paesi europei nel dopoguerra, prima ancora del Concilio, anche se si è manifestata in modo conclamato dopo il Concilio. E’ forse questo il punto sul quale, perciò, insiste con un’apparente maggiore verosimiglianza la critica anticonciliare.

3 / Mi permetto, però, di ribadire la mia idea, e cioè che anche per questa crisi erano già in atto prima del Concilio le cause più profonde e determinanti.
Posso al riguardo riferire un episodio. Quattro giorni prima dell’apertura della seconda sessione del Concilio, fui ricevuto in udienza da Paolo VI, eletto da tre mesi, per riferirgli ed illustrargli le modificazioni del regolamento del Concilio che avevo proposto tramite il Cardinale Lercaro, per correggere lacune e imperfezioni rivelatesi durante la prima sessione. Esaurito felicemente l’argomento, accorgendomi che il Papa disponeva ancora di qualche momento per me, ne approfittai per parlargli di quella che considerava la questione assolutamente più fondamentale in quel momento, cioè appunto le difficoltà crescenti che colpivano, a mio avviso, molta parte del clero e che costituivano la causa più grave del declino delle vocazioni sacerdotali e religiose in Europa e anche in altre parti del mondo. Paolo VI mi ascoltò molto interessato e pensoso.
3. Di tutti questi mutamenti intervenuti nel mondo e nella Chiesa, Papa Giovanni ebbe un’intuizione sintetica che, unita alla sua consapevolezza storica circa il modo con cui la Chiesa antica affrontava con i Concili le epoche di rinnovamento, gli fece balenare una luce improvvisa e pacata, e decidere con umile risolutezza (come egli stesso ebbe. a dire) la convocazione di un Concilio ecumenico.
A meno di cento giorni, precisamente novanta giorni, dalla sua elezione, ne diede il solenne annunzio ai Cardinali riuniti in S. Paolo di Roma il 25 gennaio 1959. Tratteggiando sommariamente le condizioni religiose della Chiesa romana da un lato, e della Chiesa universale dall’altro, soggiunse che tutto questo
Desta una risoluzione decisa per il richiamo di alcune forme antiche di affermazione dottrinale e di saggi ordinamenti di ecclesiastica disciplina, che nella storia della Chiesa, in epoca di rinnovamento, diedero frutti di straordinaria efficacia.
Così il Papa collegava la sua lettura dei segni dei tempi che la Chiesa attraversava con la sua convinzione relativa alla tradizione conciliare, come una forma che la storia della Chiesa ci ha insegnato e che pur sempre ha ottenuto ubertosi risultati (3).
E perciò riteneva che in un momento storico di eccezionale densità fosse necessario precisare e distinguere fra ciò che è principio sacro e Vangelo eterno, e ciò che è mutevolezza dei tempi (4).
Fermamente ispirandosi all’intima certezza che in mezzo a tante tenebre, indizi non pochi fanno bene sperare sulle sorti della Chiesa e dell’umanità (5).
Appare dunque chiaro che Papa Giovanni ha situato inequivocabilmente la decisione del Concilio in questo contesto epocale valutato sulla base di giudizi storici e, nel medesimo tempo, di intuizioni di fede, le cui conclusioni erano significativamente coincidenti.
Contro tutte le perplessità e le resistenze che ben presto gli vennero opposte da molte parti, e soprattutto dalla Curia romana, come se la sua decisione fosse stata precipitosa e irriflessa, egli continuò sempre ad opporre la sua umile risolutezza e a restare attaccato e fedele a quella prima idea [. . .] sorta quasi umile fiore nascosto nei prati: non lo si vede nemmeno, ma se ne avverte la presenza dal suo profumo (6).

4 / Sino alla solenne conferma fattane nella stessa Allocuzione inaugurale della grande assemblea, l’11 ottobre 1962: primo e improvviso fiorire nel nostro cuore e dalle nostre labbra della semplice parola di Concilio ecumenico (7)
Nello stesso discorso inaugurale afferma con autorità solenne che il Papa è ferito da insinuazioni di anime, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura e che egli perciò deve dissentire da codesti profeti di sventura che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo.
In tale quadro, il Concilio è chiamato a compiere quest’opera: il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace

[. . .]
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