E' il momento della Palestina

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wheaton80
00martedì 20 novembre 2012 23:51


Mentre a Gaza piovono bombe e in Israele esplodono razzi, Palestinesi e Israeliani sono sul'orlo di un'altra spirale di violenza e vendette. Ma, proprio ora, l'Autorità palestinese sta per chiedere il riconoscimento all'ONU e questa potrebbe essere un'opportunità incredibile per la pace. Aiutiamoli a farla diventare realtà.

Mentre nel sud di Israele la popolazione vive nella paura dei razzi, a Gaza i palestinesi vivono sotto assedio, imprigionati in una striscia di terreno strettissima. E in Cisgiordania la gente viene espropriata della terra occupata da insediamenti illegali, i malati sono bloccati per ore nel percorso verso gli ospedali dai posti di blocco israeliani e le famiglie sono divise da enormi muri che tagliano in due i loro campi. Ma se i Palestinesi vinceranno la loro scommessa all'ONU per uno stato subito, potremmo assistere all'inizio della fine di 40 anni di occupazione e fare strada a due stati, Palestina e Israele, che possano vivere fianco a fianco in pace e totale sicurezza.

Gli USA e Israele stanno cercando di far saltare il voto all'ONU. Ma l'Europa non ha ancora preso una decisione e i ministri degli esteri europei si incontreranno tra sole 48 ore. Se ci faremo sentire ora potremo convincere l'Europa a votare "Sì" per la pace e la libertà.

[...]

Petizione Avaaz per il riconoscimento della Palestina:

www.avaaz.org/it/palestine_worlds_next_nation_a/?bQyuQbb&...




wheaton80
00giovedì 29 novembre 2012 23:51
Onu dice sì alla Palestina come stato osservatore. Italia appoggia la risoluzione, deluso Israele

Abu Mazen: «Chiedo il certificato di nascita della Palestina»
E Netanyahu replica: «Un discorso ostile e velenoso»

La Palestina è stato osservatore delle Nazioni Unite. L'Assemblea Generale dell'Onu ha votato sulla risoluzione per il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro. Favorevoli 138 Paesi su 193. Nove i Paesi contrari, 41 gli astenuti.

IL NO DEGLI USA - Per gli Usa che hanno votato contro si tratta di «una risoluzione controproducente» ai fini del raggiungimento dell'obiettivo di «due Stati per due popoli». Lo ha detto l'ambasciatrice Usa all'Onu, Susan Rice, motivando il no degli Stati Uniti. Per il segretario di Stato americano Hillary Clinton il voto: «pone nuovi ostacoli sul cammino della pace». La Santa Sede invece ha espresso la sua soddisfazione: «Accogliamo con favore la decisione dell'Assemblea Generale, con la quale la Palestina è diventata Stato Osservatore non membro delle Nazioni Unite».

L'ITALIA VOTA SI' - L'Italia, a qualche ora dal voto, ha sciolto le riserve e «ha deciso di dare il proprio sostegno alla Risoluzione» come comunica una nota di palazzo Chigi. L'ambasciatore di Israele in Italia ha espresso «una delusione molto grande» per la decisione del governo italiano. «Quando si è molto vicini a qualcuno, quando lo si considera un grande amico, la delusione è più forte», ha spiegato l'ambasciatore, Naor Gilon. Di sentimenti opposti il ministro degli Esteri dell'Anp, Riad Maliki: «Siamo molto contenti per la posizione dell'Italia, chiamerò il ministro Giulio Terzi per ringraziare il governo italiano», sottolinea Maliki. Il capo della diplomazia del governo dell'Anp ribadisce quindi come la recente riunione a Roma del Comitato ministeriale congiunto italo-palestinese «sia stata un'occasione per spiegare le ragioni che ci hanno spinto per andare all'Onu». Da quell'incontro, conclude Maliki, «siamo usciti con un'impressione molto positiva».

TELEFONATA A NETANYAHU- In precedenza il presidente del Consiglio aveva telefonato al premier Netanyahu, ribadendo che questa decisione non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia nei confronti di Israele e ha garantito il fermo impegno italiano ad evitare qualsiasi strumentalizzazione che possa portare indebitamente Israele, che ha diritto a garantire la propria sicurezza, di fronte alla Corte Penale Internazionale. Il presidente dell'Anp Abu Mazen invece «esprime il proprio ringraziamento al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al premier Mario Monti».

ABU MAZEN GUIDA LA DELEGAZIONE- Sul fronte palestinese, il presidente Abu Mazen, parlando all'Assemblea prima del voto aveva chiesto il «certificato di nascita» dello Stato palestinese all'Assemblea generale dell'Onu. «Vogliamo raggiungere la pace e portare nuova vita al negoziato» con Israele, ha spiegato il presidente, ammonendo che «è arrivato il momento di dire basta all'occupazione e ai coloni perché a Gerusalemme Est l'occupazione ricorda il sistema dell'apartheid ed è contro la legge internazionale». E ha ribadito che i palestinesi «non accetteranno niente di meno dell'indipendenza sui territori occupati nel 1967 con Gerusalemme Est». La risoluzione ha avuto l'appoggio di una quindicina di Paesi dell'Ue, Francia e Spagna in testa, ma di fatto ha diviso i 27.

DIPLOMAZIA EUROPEA - La diplomazia europea ha infatti tentato fino all'ultimo ma senza successo di costruire una posizione comune (l'astensione in blocco), ma i singoli Paesi sono andati in ordine sparso. I «no» sono stati meno di dieci- inclusi Israele, Canada, Usa e «i suoi paesi satelliti» - tra tutti i 193 Stati dell'Assemblea. Tra i grandi attori internazionali, Russia e Cina si sono detti a favore del riconoscimento della Palestina come Stato osservatore a partire dalle frontiere del 1967 e con capitale a Gerusalemme Est.

NO ALLO STATO PALESTINESE - In ogni caso, il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha messo in chiaro che il voto all'Onu «non cambierà alcunché sul terreno». In particolare «non avvicinerà la costituzione di uno Stato palestinese, ma anzi la allontanerà ». Comunque «la mano di Israele resta tesa verso la pace», ha assicurato. Inoltre Netanyahu ha definito le parole di Abu Mazen «ostile, non è il discorso di un uomo di pace». D'altro canto l'ambasciatore israeliano all'Onu, Rin Prosor, ha definito la risoluzione «Unilaterale» e «un passo indietro per la pace». «Parlo a nome dell'unico Stato degli ebrei nel mondo» - ha esordito Prosor - «l'unica via per raggiungere la pace è un accordo tra le parti e non attraverso questo voto dell'Onu. Con questa risoluzione l'Onu chiude gli occhi sugli accordi di pace e non conferirà alcuna dignità di Stato». Inoltre, ha sottolineato Prosor, Israele «non permetterà lo stabilirsi di una nova base iraniana del terrore».

www.corriere.it/esteri/12_novembre_29/onu-palestina-voto_5564d9fe-3a09-11e2-8e20-34fd72ebaa...
sedatives
00domenica 2 dicembre 2012 10:08

vorrà dire che l'Alleanza Atlantica,senza gli USA e su mandato dell'ONU, attaccherà Israele perchè è in guerra uno (pseudo)Stato (pseudo)membro dell'ONU?
wheaton80
00giovedì 6 dicembre 2012 18:44
Io penso che l'attuale accerchiamento a Israele sia voluto da una fazione che contrasta le intenzioni guerrafondaie dei nazi-sionisti
wheaton80
00giovedì 20 dicembre 2012 01:44
Brzezinsky: gli Stati Uniti non seguiranno Israele come fossero un mulo

Lo stratega americano Zbigniew Brzezinsky rifiuta la strategia israeliana mirata ad esercitare pressioni sul consiglio di sicurezza statunitense al fine di giungere ad un conflitto con l’Iran. “Washington non seguirà Israele, se essa dovesse decidere unilateralmente per un intervento militare contro Teheran” ha dichiarato. Brzezinsky ha affermato di non avere alcuna intenzione di patrocinare una soluzione militare contro l’Iran se Israele dovesse intraprendere una guerra.

La dichiarazione è stata rilasciata durante una conferenza cui hanno preso parte il Consiglio nazionale irano-americano e l’Associazione per il controllo delle armi. Nel caso Israele sferrasse un attacco all’Iran senza che quest’ultimo abbia oltrepassato la “red line” stabilita da Washington, l’America “non sarebbe vincolata a nessun obbligo d’intervento che la portasse a seguire, quasi fosse un mulo, le iniziative di Tel Aviv”. “Se decidono di scatenare una guerra convinti che li seguiremmo incondizionatamente si sbaglierebbero di grosso. Un vero rapporto d’amicizia tra due persone non implica che una possa decidere per entrambe”, ha continuato Brzezinsky. “Credo che gli Stati Uniti abbiano il pieno diritto di sviluppare le proprie strategie di sicurezza in piena autonomia. La maggior parte degli americani, sono convinto, la pensa come me. La chiarezza su questi aspetti è fondamentale, specie se ci siamo impegnati a tutelare Israele”, ha affermato lo stratega. Brzezinsky ha chiarito di sposare la strategia tesa alla “neutralizzazione delle minacce”.

“A meno che qualcuno possa dimostrare, al di là di qualsiasi dubbio, che una nazione con ottanta milioni di abitanti (l’Iran, in realtà, ha una popolazione di 78 milioni di persone) abbia come priorità il suicidio di massa, l’ipotesi di una guerra non è contemplata”. Negli ultimi mesi, l’amministrazione Obama ha più volte respinto le pressioni di Tel Aviv al fine di far rientrare l’America tra gli alleati di Israele in un’eventuale conflitto contro l’Iran. Washington ha più volte ammonito Israele che se dovesse decidere autonomamente per un attacco alle installazioni nucleari iraniane, ne dovrebbe affrontare le conseguenze. Il presidente Obama ha dichiarato di riporre le sue speranze negli effetti delle pesanti misure internazionali comminate a Teheran. Nonostante la posizione assunta da Washington, il premier israeliano Benjamin Netanyahu continua a fare pressioni sulla Casa Bianca affinché si giunga ad uno scontro militare con la Repubblica Islamica.

“Gli americani hanno eletto Obama proprio perché è un uomo di pace”
Jamal Abdi, direttore del Consiglio nazionale irano-americano, ha dichiarato che Obama “è obbligato a seguire la via della diplomazia per quel che riguarda la questione iraniana. Le pesanti critiche che pioverebbero nel caso in cui il presidente sostenesse le tesi israeliane avrebbero un effetto devastante”. Nonostante l’immenso potere di cui dispone la lobby israeliana a Washington, Tel Aviv “non è nelle condizioni di poter contare su un appoggio militare incondizionato da parte degli Stati Uniti contro Teheran”, ha continuato Abdi.

Alle elezioni “gli americani hanno votato per il candidato che prometteva una politica estera tesa al negoziato ed al rifiuto della guerra”. Abdi ha inoltre ricordato che il premier israeliano Netanyahu ha attivamente preso parte all’ultima campagna elettorale statunitense, manifestando in tv la propria posizione anti-democratica. Ora che il candidato da lui sostenuto è stato sconfitto, Netanyahu si trova costretto a rivedere i propri calcoli. Anche Obama si trova nella stessa situazione, dovendo a tutti i costi trovare un modo per accontentare tutti evitando la guerra “patrocinata da influenti gruppi di destra filo-israeliani”.

Jamal Abdi continua tuttavia a ritenere la soluzione militare contro l’Iran come un’opzione realistica. “Se si continua a seguire la via della pressione politica invece di quella diplomatica e se le sanzioni internazionali contro l’Iran continuano ad essere esercitate con questa risolutezza, rendendo di fatto sempre più stretti i margini di trattativa, l’ipotesi di una guerra non è affatto da scartare”, ha riassunto Abdi.

Russia Today
5/12/2012
www.infopal.it/brzezinsky-gli-stati-uniti-non-seguiranno-israele-come-fossero-...
wheaton80
00giovedì 20 dicembre 2012 01:51
ONU: Israele deve aprire i suoi arsenali nucleari

L’assemblea generale dell’ONU ha approvato a grande maggioranza una risoluzione che invita Israele ad aprire il suo programma nucleare per l’ispezione.

La risoluzione, approvata con un voto di 174 a sei con sei astensioni, chiede a Israele di aderire al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) “senza ulteriori ritardi” e aprire i suoi impianti nucleari al controllo da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Quelli a votare contro sono stati Israele, Stati Uniti, Canada, Isole Marshall, Micronesia e Palau.

Le risoluzioni adottate dall’assemblea generale di 193 membri non sono giuridicamente vincolanti, ma riflettono l’opinione pubblica mondiale ed hanno un peso morale e politico. E la risoluzione aggiunge pressione su Israele mentre affronta le critiche sui piani per aumentare insediamenti in Cisgiordania, una mossa vista come rappresaglia per il riconoscimento dello Stato Palestinese da parte dell’assemblea.

Israele si rifiuta di confermare o smentire il possesso di bombe nucleari anche se si crede che le abbia. Si è rifiutato di aderire al trattato di non proliferazione con tre stati che possiedono armi nucleari: India, Pakistan e Corea del Nord.

Israele insiste che vi sia anzitutto un accordo di pace in Medio Oriente prima della creazione di una zona regionale priva di armi di distruzione di massa come è stata proposta. I suoi rivali nella regione sostengono che l’arsenale nucleare di Israele non dichiarato rappresenta la più grande minaccia alla pace nella regione.

Gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione, ma ha votato a favore di due paragrafi in essa che sono stati messi a votazioni distinte. Sia l’adesione e supporto universale al Trattato di Non Proliferazione sia l’appello a quei paesi che ancora non l’hanno fatto di ratificarlo “al più presto”. Gli unici voti negativi su quei punti sono stati di Israele e India.

Il voto è arrivato come conseguenza per la cancellazione di una conferenza ad alto livello mirata a vietare le armi nucleari dal Medio Oriente. Tutti i paesi arabi e l’Iran avevano programmato di partecipare al vertice di metà dicembre a Helsinki, in Finlandia, ma gli Stati Uniti hanno annunciato il 23 novembre che esso non avrebbe avuto luogo, citando sconvolgimenti politici della regione e l’atteggiamento di sfida dell’Iran in materia di non-proliferazione. Iran e alcuni Paesi arabi hanno replicato che la vera ragione per l’annullamento è stato il rifiuto di Israele a partecipare.

Appena prima del voto di Lunedi, il diplomatico iraniano Khodadad Seifi ha detto all’assemblea:“La verità è che il regime israeliano è l’unica parte che ha respinto le condizioni per una conferenza”. Ha fatto quindi appello per “una forte pressione su tale regime perché partecipi alla conferenza, senza precondizioni”.

Il diplomatico israeliano Isi Yanouka ha detto all’assemblea generale che il suo paese aveva continuamente sottolineato il pericolo di proliferazione nucleare in Medio Oriente, individuando l’Iran e la Siria come pericoli. “Tutti questi casi sfidano la sicurezza di Israele e gettano un’ombra oscura sulla prospettiva di intraprendere un significativo processo di sicurezza regionale”, ha detto.

“Il fatto che gli sponsor includono nel linguaggio di questa deliberazione un linguaggio anti-israeliano in merito alla Conferenza 2012 dimostra soprattutto la cattive intenzioni degli stati arabi per quanto riguarda questa conferenza.”

Il diplomatico siriano Abdullah Hallak ha detto al gruppo che il suo governo era arrabbiato perché la conferenza non avrà luogo a causa del “capriccio di una sola parte, una nazione con testate nucleari”.

“Chiediamo alla comunità internazionale di fare pressione su Israele per accettare il TNP, sbarazzarsi del suo arsenale e sistemi di lancio, al fine di consentire per la pace e la stabilità nella nostra regione”, ha detto.

Sponsor principale della conferenza sono gli Stati Uniti, la Russia e la Gran Bretagna. Il ministro degli affari esteri britannico Alistair Burt ha detto comunque che essa è stata rinviata, non annullata.

5 dicembre 2012
fonte: www.guardian.co.uk/world/2012/dec/04/un-tells-israel-nuclear-in...

www.iconicon.it/blog/2012/12/onu-israele-deve-aprire-suoi-arsenali-n...

wheaton80
00mercoledì 23 gennaio 2013 15:19
Israele: brutta sorpresa per Netanyahu, governo solo con larghe intese

(ASCA) - Roma, 23 gen - Contro tutte le aspettative della vigilia e i sondaggi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu esce sconfitto dalle elezioni con una maggioranza molto ridotta, che lo costringera' a modificare le sue politiche da ''falco'' sulla questione palestinese. Per restare alla guida del governo, infatti, dovra' assolutamente corteggiare i centristi di Yesh Atid, partito fondato dall'ex giornalista Yair Lapid, che e' diventato la seconda forza politica del paese.

I negoziati per la formazione del nuovo governo si preannunciano delicati, visto che i 120 seggi che compongono la Knesset verranno divisi esattamente a meta' fra la destra e il blocco di partiti del centrosinistra, che potrebbe anche cercare di impedire un nuovo mandato, anche se gli analisti ritengono che sia molto piu' probabile una sua riconferma alla guida di un'alleanza molto vasta.

Di sicuro includere il partito di Lapid nella maggioranza lo costringera' a modificare le politiche del governo e a cercare una nuova strada per i colloqui di pace. Il nuovo leader della politica israeliana ha infatti piu' volte ripetuto che non fara' mai parte di un governo che rifiuti le trattative con i palestinesi. ''Lapid e' diventato l'attore principale nel sistema politico'', scrive oggi il quotidiano Haaretz. ''Davanti a se' ha due scelte: diventare capo dell'opposizione o essere il ministro piu' importante del terzo governo Netanyahu''.

Il Likud del premier, insieme ai nazionalisti di Yisrael Beitenu ha ottenuto 31 seggi, mentre la destra religiosa di Jewish Home ne ha ottenuti 11, cosi' come Shas, formazione ultraortodossa sefardita. Altri sette seggi sono andati agli ortodossi ashkenazi della fazione United Torah Judaism, che portano a sessanta i deputati della destra.

Dall'altra parte, Yesh Atid ha ottenuto 19 seggi, superando cosi' i laburisti, che ne hanno conquistati 15. La lista HaTnuah dell'ex ministro degli Esteri, Tzipi Livni, ha ottenuto sei seggi, cosi' come il partito di sinistra Meretz.

Ultimo della lista, il partito Kadima con due seggi.

Dopo gli exit-poll di questa notte Netanyahu e' stato subito costretto a promettere una coalizione ''il piu' ampia possibile'' e Lapid lo ha subito incalzato, chiedendo che nel governo vengano inclusi ''elementi moderati della destra e della sinistra''.

La partecipazione al voto e' stata del 66,6%( [SM=g27825] ), leggermente in rialzo dal 62,5% registrato nelle elezioni del 2009.

www.asca.it/news-Israele__brutta_sorpresa_per_Netanyahu__governo_solo_con_larghe_intese-1240616-...

wheaton80
00giovedì 28 febbraio 2013 05:24
L’Ue condanna l’occupazione di Gerusalemme Est
Bruxelles sollecita sanzioni per boicottare nuove costruzioni nelle colonie ebraiche. Ira di Israele:«Così si incoraggia lo scontro»

27/02/2013

Le attività di insediamento israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme est rappresentano la minaccia maggiore per la costituzione di uno Stato palestinese indipendente al fianco di Israele. Questo l’avvertimento incluso in un rapporto inoltrato a Bruxelles dai consoli generali dei Paesi dell’Ue a Gerusalemme est e a Ramallah, che inasprisce i toni della critica verso il governo Netanyahu e suggerisce apertamente l’adozione di misure punitive a livello economico.

Nel Rapporto, relativo agli sviluppi del 2012, vengono denunciati in particolare i progetti di ulteriore estensione dei rioni ebraici a Gerusalemme est e sono avanzate una serie di raccomandazioni su possibili «sanzioni» da applicare affinché gli insediamenti ebraici non vengano a beneficiare - contro il preciso volere dell’Ue - dell’Accordo d’associazione Israele-Ue.

Nei mezzi di comunicazione israeliani (fatta eccezione per il “liberal” Haaretz) al Rapporto dei consoli è stata finora dedicata scarsa attenzione. A nome del ministero israeliano degli esteri, il portavoce Yigal Palmor ha replicato sostenendo che «compito di un diplomatico dovrebbe essere di gettare ponti, e non di incoraggiare un confronto». Soddisfazione comprensibile invece nell’Autorità nazionale palestinese (Anp), che auspica adesso un’applicazione concreta e puntuale del Rapporto.

Nella parte descrittiva, i firmatari del documento accusano Israele di condurre una «attività di insediamento deliberata, sistematica, provocatoria». Deprecano in particolare il progetto E-1 di collegamento del tessuto urbano ebraico fra Gerusalemme est e la città-colonia di Maale Adumin nonché i progetti di estensione dei rioni ebraici di insediamento di Givat ha-Matos, Ghilo e Har Homa. L’insieme di queste massicce opere edili rischia - ammoniscono i diplomatici europei - di separare fisicamente Gerusalemme da Betlemme, di approfondire le fratture territoriali d’un futuro Stato di Palestina e d’impedire che Gerusalemme est possa diventarne mai la capitale.

Il Rapporto denuncia anche le pratiche amministrative imposte da Israele sui palestinesi di Gerusalemme est (demolizioni di case, sgombero di abitanti, discriminazioni), interpretati come sforzi per indebolirne la presenza. Critiche sono mosse anche al moltiplicarsi di visite ebraiche sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme (per gli ebrei, Monte del Tempio) che potrebbero preludere al tentativo di alterarvi il delicatissimo status quo.

Fra le raccomandazioni avanzate dai consoli vi sono sanzioni economiche nei confronti dei prodotti realizzati nelle colonie e nelle zone d’insediamento ebraico a Gerusalemme est e anche un maggiore controllo dei progetti di cooperazione fra Ue e Israele (anche nel campo della ricerca scientifica) che coinvolgano queste aree. «La colonizzazione - conclude il rapporto - rappresenta una minaccia per la soluzione dei due Stati e dunque sta all’Ue moltiplicare gli sforzi per ostacolarla».

www.lastampa.it/2013/02/27/esteri/l-ue-condanna-l-occupazione-di-gerusalemme-est-QrbT3jHMLbkZ9tbb0TIhZN/pag...
wheaton80
00giovedì 7 marzo 2013 00:24
I bambini “torturati” nelle carceri isrealiane. Un rapporto ONU accusa Tel Aviv

Gli abusi sui minori sarebbero “diffusi, sistematici e istituzionalizzati secondo il rapporto ONU.

LA COLPA E’ DEI MINORI - Secondo Israele il problema è che c’è da far fronte a “una nuova difficile realtà… un recente aumento del coinvolgimento dei minori palestinesi negli atti di terrore”. Una scusa abbastanza patetica e non solo perché gli attacchi agli israeliani in West Bank sono quasi a zero da anni, mentre il numero di detenzioni non è mai calato. Tutti dati verificabili con facilità, ma anche perché la cronaca racconta di “terroristi” minorenni tra i coloni israeliani, definiti così persino dal governo israeliano, che subiscono un trattamento molto diverso, oltre ad essere mandati assolti anche in presenza di prove mentre i palestinesi sono spesso condannati all’impronta.

IN BALIA DELL’OCCUPANTE - Per i minori palestinesi vale lo stesso principio che vale per i maggiorenni, possono essere arrestati e detenuti a tempo indeterminato a piacimento delle autorità israeliane. E accade a circa 700 di loro all’anno. Il rapporto dell’Unicef comunque riconosce anche i miglioramenti introdotti dagli israeliani, ad esempio cambiando il sistema con i quali li legano in modo che non li ferisca, o imponendo che una volta arrestati possano parlare con un avvocato e avvertire la famiglia del loro arresto. Per decenni non è stato così.

INUMANO - Secondo il rapporto Unicef, il trattamento dei minori palestinesi sarebbe “inumano e degradante”, oltre a non rispettare i loro diritti in quanto umani e in quanto popolazione civile che vive sotto occupazione militare straniera.

RIMEDIERANNO? - Israele ha dichiarato che lavorerà sodo per accogliere i suggerimenti dell’Unicef, ma non si capisce come mai dovrebbe cominciare proprio ora, dopo decine di rapporti identici e dopo avere per anni sottoposto a violentissimi interrogatori e violenze immotivate migliaia di bambini palestinesi senza subire la minima conseguenza o sanzione dalla comunità internazionale.

www.giornalettismo.com/archives/813215/israele-abusa-dei-bambini-pale...
wheaton80
00domenica 24 marzo 2013 04:56
Adesso Obama “mediatore” convince. Pace piu’ vicina in M.O.

”Spettacolare, incredibile”: Barack Obama e’ estasiato davanti alle rovine dell’antica citta’ di Petra, in Giordania, ultima tappa del suo primo viaggio in Medio Oriente. Una missione che ha anch’essa dello spettacolare e dell’incredibile: sia per l’entusiasmo che il presidente americano ha scatenato tra i giovani studenti israeliani – a cui si e’ rivolto con uno storico discorso per chiedere di ‘spingere verso la pace’ – sia per i risultati diplomatici raccolti, ben oltre le attese.

Del resto la partenza di Obama da Washington era stata accompagnata da grande scetticismo, sia in patria che in Israele, con tanti dubbi sulla capacita’ del presidente americano di rompere quel muro di diffidenza che sempre c’e’ stato tra lui e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Diffidenza acuita dalla vicenda del nucleare iraniano, con la Casa Bianca che da mesi svolge un ruolo di freno per evitare che Israele agisca unilateralmente attaccando l’Iran. Ma le tante cose sono successe in questi quattro giorni di ‘peregrinaggio’ dell’inquilino della Casa Bianca in Terra Santa dicono che quel muro, se non completamente abbattuto, oggi sembra dividere decisamente meno.

La gran parte della stampa americana loda l’Obama ‘mediatore’, che e’ stato abile nel rassicurare Israele sul fronte della sicurezza e capace di far rappacificare Gerusalemme ed Ankara – con la telefonata di scuse di Netanyahu a Erdogan. E poi, il pressing forsennato per riannodare il dialogo tra le autorita’ israeliane e palestinesi. Un pressing che proseguira’ nei prossimi giorni da parte del segretario di Stato americano, John Kerry, che – rimasto in Medio Oriente – rivedra’ i vertici del governo israeliano e quelli palestinesi per fare il punto dopo i colloqui di Obama con Netanyahu e Abu Mazen: tentando di innescare subito, senza piu’ perdere tempo, la miccia che riaccenda il negoziato di pace.

Con il premier israeliano che oggi – alla guida di un governo piu’ moderato – sembra piu’ aperto verso la soluzione dei ‘due Stati’ e verso una riconsiderazione della politica degli insediamenti nei Territori palestinesi. Due punti su cui il presidente americano ha martellato nel corso della sua storica missione. Missione che si e’ conclusa in Giordania dove Obama ha cercato di rafforzare i legami con il Paese che oggi – dopo l’esito della Primavera araba in Egitto – e’ forse diventato il principale alleato arabo degli Usa nella regione.

Un alleato che e’ pero’ sull’orlo della bancarotta e che ha bisogno del sostegno finanziario degli Usa, anche per fronteggiare l’emergenza dei profughi che scappano dalla guerra civile in Siria. In cambio Obama chiede al re Abdallah una accelerazione sul fronte delle riforme e della democrazia. Per evitare che la Giordania sia travolta anch’essa dall’insurrezione popolare. Finendo in mani ostili all’America.

23 marzo, 2013
www.online-news.it/2013/03/23/adesso-obama-mediatore-convince-pace-piu-vicina-in-m-o/#.UU5...
wheaton80
00sabato 4 maggio 2013 02:43
Google "riconosce" la Palestina: no di Israele

Il motore di ricerca più famoso del mondo ha cambiato la denominazione nella versione palestinese della sua homepage. La decisione, malvista da Israele, è stata presa dopo il riconoscimento della Palestina come stato non-membro all'Onu

Un cambiamento impercettibile, non più due parole ma una. Non più Territori Palestinesi, ma Palestina, Falestin in arabo. Il motore di ricerca più famoso del mondo ha cambiato l'intestazione della sua homepage all'indirizzo www.google.ps sdoganando il nome geografico ancora tabù nel vicino Israele. La decisione è stata presa dopo che l'Assemblea generale ha riconosciuto a novembre la Palestina come stato non membro dell'Onu. Immediate le critiche di Israele che da sempre si oppone al riconoscimento della Palestina come stato. "Sorprendente", ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Yigal Palmor. "L'iniziativa di Google suggerisce interrogativi sulle ragioni dietro questa scelta che arriva da un'azienda privata e che irrompe sul terreno della politica internazionale in maniera controversa.

Google comunque", continua Palmor, "non è un'entità politica nè diplomatica, quindi può chiamare qualsiasi cosa con qualsiasi nome senza che questo abbia alcun valore politico o diplomatico". Il colosso di Mountain View si difende. "Stiamo cambiando il nome di 'Territori Palestinesi' in 'Palestina' sui nostri prodotti", ha precisato Nate Tyler, uno dei portavoce di Google. "Quando diamo un nome ai Paesi ci consultiamo con un certo numero di fonti e di autorità internazionali. In questo caso, abbiamo seguito le indicazioni delle Nazioni Unite e dei suoi Paesi membri, dell'Icann (ente che assegna i nomi su internet), dell'Iso e di altre organizzazioni internazionali", ha puntualizzato Tyler.

www.tgcom24.mediaset.it/tgtech/articoli/1093499/google-riconosce-la-palestina-no-di-israe...
wheaton80
00giovedì 27 giugno 2013 11:05
L’Onu contro Israele: violenta e tortura i bambini palestinesi
Un dossier del Consiglio per i Diritti Umani dell'Onu accusa lo stato d'Israele di torturare, violentare e minacciare i bambini palestinesi, tra le vittime preferite dell'esercito

25 giugno 2013- Continuano a considerarla la "unica democrazia del Medio Oriente", dimenticandosi di tutto il dolore che Israele infligge nei confronti di coloro che fanno parte del suo popolo. Africani fuggiti dalle guerre civili e sbarcati nei territori ebrei, ma, soprattutto, ovviamente, palestinesi. E' quasi possibile effettuare un elenco delle vessazioni e delle ingiustizie a cui i palestinesi sono quotidianamente sottoposti da parte di quel popolo che li ha scacciati dalla loro terra e che ora li segrega e punisce. Sono violenze così abituali che non fanno quasi più orrore; ce le si dimentica, le si sottovaluta. L'ultimo dossier delle Nazioni Unite, però, potrebbe riaccendere l'attenzione internazionale e permettere al mondo intero di comprendere ciò che i palestinesi, anche più piccoli, devono costantemente subire.

Nel dossier stilato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e pubblicato alcuni giorni fa, viene espressa infatti una "profonda preoccupazione circa i maltrattamenti e le torture ai bambini palestinesi arrestati, processati e detenuti da parte della polizia e dei militari israeliani”. Lo stato di Netanyahu si è macchiato di orribili crimini, abusando dei bambini con torture, isolamento carcerario, minacce di morte e violenze sessuali. Bambini che, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno raggiunto ancora neanche l'età adolescenziale. I piccoli verrebbero arrestati durante incursioni notturne nei territori palestinesi.

Bendati, ammanettati e rapiti, quando non sono utilizzati come scudi umani negli scontri a fuoco, vengono trasferiti in centri di detenzione senza che i genitori possano saper nulla sulla loro sorte. Nelle prigioni vengono stuprati e picchiati, sottoposti a violenze psicologiche senza fine, privati di cibo e acqua con l'unico intento di far loro confessare qualche crimine, seppur mai realmente compiuto. Così che, i piccoli, cedono, e ammettono qualsiasi reato, finendo, per tanto, condannati.

Nelle carceri israeliane, di minori palestinesi, ve ne sarebbero circa 7mila, dai 9 ai 17 anni. La media di arresti è di due al giorno. Da quanto emerge dal dossier, la maggior parte dei prigionieri bimbi viene fermata con l'accusa di aver lanciato pietre alle vetture dei soldati israeliani o ai coloni, un reato, questo, punibile con vent'anni di carcere.

www.articolotre.com/2013/06/lonu-contro-israele-violenta-e-tortura-i-bambini-palestines...
wheaton80
00martedì 19 novembre 2013 01:37
Onu: primo voto palestinese

(ANSA) - NEW YORK, 18 NOV 2013 - Per la prima volta dalla loro ammissione all'Onu con lo status di osservatori, i palestinesi dell'Anp hanno votato in Assemblea Generale. La maggior parte dei 193 membri dell'Assemblea si sono alzati a applaudire quando l'ambasciatore palestinese Riyad Mansour ha espresso il voto per l'elezione di un giudice del Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia. I palestinesi sono diventati membri osservatori dell'Assemblea il 29 novembre dell'anno scorso.

www.ilsecoloxix.it/p/est/2013/11/18/AQ0p6F0-onu.shtml
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00lunedì 13 gennaio 2014 01:17
Fondo olandese scarica banche israeliane: “Hanno filiali in Cisgiordania”

Per il quotidiano israeliano Haaretz l’empasse ammonterebbe solo a poche decine di milioni di euro. Ma la decisione rappresenta un grosso danno d’immagine per le banche di Gerusalemme e potrebbe spingere altre società europee a portare avanti iniziative simili. L’olandese Pggm, tra le maggiori società di gestione fondi pensione d’Europa, ha annunciato in queste ore di aver ritirato i propri investimenti dai cinque istituti di credito israeliani più importanti: Bank Hapoalim, Bank Leumi, First International Bank of Israel, Israel Discount Bank e Mizrahi Tefahot Bank. Il motivo? Hanno filiali in Cisgiordania e finanziano gli insediamenti coloniali nei territori palestinesi occupati. Insomma violano l’articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra, che proibisce a una potenza occupante di trasferire la sua popolazione civile nel territorio che occupa. Per il fondo, che muove un patrimonio di oltre 150 miliardi di euro, le colonie non solo sono illegali rispetto al diritto internazionale, così come stabilito dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aia nel 2004, ma rappresentano un ostacolo a una possibile soluzione nel conflitto israelo-palestinese.

Così la Pggm ha venduto tutte le azioni delle banche in questione e ha assicurato di non aver ceduto a pressioni politiche. Da diversi anni la società dei Paesi Bassi ha cercato una mediazione, ma le banche si sono difese rispondendo che la legge israeliana non permette loro di cessare la fornitura del servizio a soggetti legati agli insediamenti dei coloni. Gli olandesi hanno rimandato la risposta al mittente: “Visto che non ci sarà alcun cambiamento in futuro, abbiamo deciso di tagliare i rapporti”, si legge nel comunicato pubblicato dal fondo pensioni, che dall' 1 gennaio ha smesso di investire nei cinque istituti di credito. Una scelta etica abbracciata dalla compagnia olandese che sembra riflettere la posizione dell’attuale governo di centrosinistra, che considera la presenza di colonie israeliane in territorio palestinese “una minaccia per la pace”.

Nelle ultime settimane Gerusalemme è stata colpita da una serie di boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni per la sua politica di occupazione militare, che hanno fatto balzare dalla sedia parecchi funzionari israeliani. Molti dei quali, poi, proprio dall’Olanda. La decisione della Pggm si somma infatti ad altre simili: il mese scorso l’azienda idrica Vitens ha sospeso le relazioni commerciali con la compagnia idrica nazionale di Israele, Mekorot, date le operazioni di quest’ultima in insediamenti in Cisgiordania. Poche settimane prima, un’altra società olandese, la Haskoning Dhv, specializzata in opere pubbliche, ha annullato un progetto per costruire un impianto di trattamento delle acque reflue a Gerusalemme Est. Il governo israeliano ha già espresso il suo disappunto per l’atmosfera “incline al boicottaggio che sembra arrivare dall’Olanda”. Dal ministero degli Esteri di Amsterdam hanno fatto sapere però che la decisione, presa in particolare dalla Pggm, è stata “indipendente e senza alcuna nostra intromissione”.

Silvia Ragusa
12 gennaio 2014
www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/12/fondo-olandese-scarica-banche-israeliane-hanno-filiali-in-cisgiordania...
wheaton80
00martedì 3 giugno 2014 01:01
Medio Oriente – Giura il nuovo governo di unità palestinese. Scontro USA-Israele

RAMALLAH - Ha giurato di fronte al presidente Abu Mazen nella Muqata di Ramallah il nuovo governo di unità nazionale palestinese, presieduto da Rami Hamdallah. "Oggi con la formazione di un governo di consenso nazionale - ha detto Abu Mazen - annunciamo la fine di quelle divisioni in seno al popolo palestinese che hanno danneggiato la nostra causa nazionale".

"E' il governo di tutto il popolo palestinese" -
L'esecutivo nasce dopo la riconciliazione fra Hamas, gruppo definito terrorista da Usa e Ue e che governa la Striscia di Gaza formalmente dal 2007, e al-Fatah, il movimento palestinese più moderato che controlla la Cisgiordania. Secondo le prime informazioni, i ministri incaricati da Hamdallah sono 17. Hamas si è felicitato per la formazione del nuovo governo palestinese. "E' il governo dell'intero popolo palestinese" ha detto il suo portavoce Sami Abu Zuhri. Un altro portavoce di Hamas ha detto che quella di oggi è per gli abitanti della Striscia "una giornata di gioia".

Gli Usa: "Giudicheremo dai fatti" -
Gelando le aspettateive di Israele, gli Stati Uniti hanno confermato che collaboreranno e aiuteranno il nuovo governo di unità nazionale palestinese. Il dipartimento di Stato americano, infatti, ha chiarito che il nuovo esecutivo sarà giudicato solo sulla base delle sue azioni e che il presidente dell'Anp e leader di Fatah Abu Mazen "ha formato un governo di (soli) tecnocrati che non include membri di Hamas. Pertanto, alla luce di quello che sappiamo, lavoreremo con questo governo", anche se gli aiuti economici saranno calibrati sulla base delle azioni dell'esecutivo palestinese.

L'ira di Israele - Le autorità israeliane, invece, si sono dette "profondamente deluse" dalla posizione dialogante degli Stati Uniti nei confronti del governo Fatah-Hamas. Lo hanno fatto sapere ufficiali dello Stato ebraico, dietro anonimato. Dopo il giuramento, il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha convocato il consiglio di sicurezza del proprio governo. Un ministro nazionalista, Uri Ariel, del partito 'Focolare ebraico', ha intanto pubblicato un duro comunicato in cui accusa il presidente palestinese Abu Mazen di aver oggi costituito "un governo terroristico assieme con assassini", ossia Hamas.

02 giugno 2014
www.repubblica.it/esteri/2014/06/02/news/mo_giura_il_nuovo_governo_palestinese_di_unit-8...
wheaton80
00venerdì 27 giugno 2014 23:28
L’UE sfida Israele. Bruxelles ai paesi membri:“Non fate affari con le colonie”

L’Unione europea ha chiesto ai cittadini e alle società europee di non fare affari negli insediamenti israeliani, affermando che esistono rischi di tipo legale, economico e di reputazione nel condurre attività simili nei territori che l’Ue considera occupati illegalmente. L’invito è contenuto in un comunicato diffuso dal ministero degli Esteri italiano a nome dell’Ue, di cui l’Italia assumerà la presidenza di turno la prossima settimana. Le compagnie che hanno rapporti economici con gli insediamenti dovrebbero prendere in considerazione le violazioni dei diritti umani e “le potenziali implicazioni negative di tali attività sulla loro reputazione o immagine”, afferma il comunicato, aggiungendo che le transazioni finanziarie, gli investimenti, gli acquisti, i contratti e il turismo negli insediamenti creano vantaggi solo ai coloni. E’ di ieri la notizia, pubblicata dal quotidiano israeliano Haaretz, che 5 paesi europei, tra cui l’Italia, sono decisi ad ‘avvertire’ i propri cittadini a non impegnarsi in “attività finanziarie o investimenti” nelle colonie israeliane in Cisgiordania e nelle Alture del Golan annesse dallo stato di Israele. Una mossa che può significare di fatto boicottaggio economico degli insediamenti nei Territori occupati e che appare una risposta al governo di Benyamin Netanyahu dopo il nuovo fallimento delle trattative di pace – promosse dagli Usa – tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese (Anp). La Francia – riportava ieri Haaretz con grande evidenza – ha di recente pubblicato sul sito del proprio ministero degli esteri un “avviso” con il quale si ricorda che le colonie israeliane sono considerate illegali in base al diritto internazionale e che di conseguenza le attività economiche in queste realtà comportano rischi legali. Il quotidiano – che cita una fonte diplomatica francese – ha sostenuto che la decisione di Parigi farebbe parte di “un’azione congiunta” da parte dei cinque maggiori Paesi dell’Ue: oltre la Francia, anche la Germania, la Gran Bretagna,l’Italia e la Spagna. La novità di questo processo – secondo il giornale – e’ costituita dall’attuale posizione francese (che segue analoghi “avvisi” già diffusi da Germania e Gran Bretagna nei mesi corsi) e l’adesione, dopo lo stop dei negoziati, di Italia e Spagna. “Gli avvisi di lavoro non dovrebbero essere accolti come una sorpresa. Gli stati membri hanno perso la pazienza nel non essere interpellati”, ha detto il rappresentante dell’Ue in Israele Lars Faaborg-Andersen. “Se continuerà l’espansione delle colonie, altre nazioni Ue – ha aggiunto il rappresentante dell’Ue – emetteranno simili avvisi”. “Questo è un segnale molto incoraggiante da parte dei paesi europei – esulta il membro dell’Olp, Hanan Ashrawi – specialmente perché questa presa di posizione si rivolge ai cittadini del settore privato”. “E’ chiaro – ha proseguito la Ashrawi – che i paesi europei non vogliano essere più complici della politica di insediamenti israeliana e cerchino di applicare la legge internazionale anche entro i propri confini”.

27 giugno 2014
www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/27/lue-sfida-israele-bruxelles-ai-paesi-membri-non-fate-affari-con-le-colonie/...
wheaton80
00martedì 22 luglio 2014 02:22
Israele cerca solo di guadagnare tempo



1. Secondo lei, signor Kandil, fino a che punto Israele potrebbe spingere il suo assalto a Gaza?
Penso che Israele sia in difficoltà perché non può permettersi la pace che legittimerebbe la sua esistenza, come non può permettersi una guerra che gli consenta di tornare al “periodo delle iniziative”. Questo è il motivo per tale ennesima aggressione a Gaza, distruggendo tutto ciò che può colpire, armi, capi, combattenti e infrastrutture, ritenendo che ciò gli darebbe notevoli benefici nella prossima fase del conflitto. Guadagnare tempo sembra essere “l’unica strategia del momento” di fronte alla nuova mappa regionale che si delinea, dove non è più un fattore decisivo. Questo è anche il motivo per cui retrocede sulla creazione dello Stato curdo, che all’inizio ha incoraggiato [1]; il clima internazionale e regionale è dominato da avvertimenti contro i pericoli della partizione dell’Iraq.

2. Altre guerre d’Israele sono dunque in vista?
Quello che posso assicurare è che se Israele decide di impegnarsi in una guerra aperta e totale, troverà una Resistenza pronta ad andare fino in fondo e senza alcuna intenzione di lasciare porte aperte agli “aggiustamenti” che continua a pretendere ogni giorno [...]

3. Dice che Israele non ha una strategia chiara e che cerca solo di guadagnare tempo. Perché?
Penso che tutto ciò che la nostra regione ha vissuto dalla guerra d’Israele contro il Libano, nel luglio 2006, sia il risultato del rapporto intitolato “Baker-Hamilton” presentato al presidente George W. Bush il 6 dicembre 2006 [2] [3]. In realtà, sono passati otto anni, e il Libano era sull’orlo di una guerra memorabile che ha imposto una nuova equazione regionale dopo “l’erosione della deterrenza israeliana“. Per cui è nato il nuovo approccio statunitense, presentato in tale famosa relazione firmata e supervisionata dai due pilastri democratico e repubblicano alla guida dei servizi segreti e degli Esteri, e Consiglieri della Sicurezza Nazionale… In breve, la relazione invita gli Stati Uniti a fare tutto il possibile per risolvere il conflitto israelo-palestinese, implicitamente riconoscendo:

• La sconfitta del progetto statunitense in Iraq e in Afghanistan
• Il fallimento del ruolo regionale d’Israele
• L’emergere di potenze regionali concordi con gli Stati Uniti nel salvare l’Iraq e stabilizzare la regione

Ciò sulla base del ritiro statunitense da Afghanistan e Iraq, con:

• L’accettazione di una partnership USA-Russia per gestire la stabilizzazione della regione
• Il riconoscimento del ruolo centrale dell’Iran, Stato nucleare, su Afghanistan, Iraq e Stati del Golfo
• Il riconoscimento del ruolo influente della Siria nel Levante

Ma la cosa più importante di tale relazione è spingere Israele ad attuare le risoluzioni delle Nazioni Unite sul conflitto arabo-israeliano, tra cui:

• Uno Stato palestinese nei territori occupati nel 1967 con capitale Gerusalemme est
• Una giusta soluzione al problema dei profughi sulla base della “risoluzione 194″ garantendo il diritto al ritorno e al risarcimento
• La restituzione del Golan siriano occupato alla linea del 4 giugno
• Il ritorno ai libanesi delle fattorie Shaba

Dal dicembre 2006 viviamo le conseguenze della denigrazione del rapporto Baker-Hamilton con una serie di guerre per procura e conflitti che insanguinano l’asse della Resistenza. Nessuno conosce la portata della cooperazione tra Israele e Stati del Golfo, come Arabia Saudita e Qatar, per contrastare le raccomandazioni della relazione strategica degli Stati Uniti, o trovare alternative e quindi ignorare la Roadmap che raccomanda di garantire la necessaria stabilità regionale. Tali imbrogli si sono complicati passo passo. Per iniziare, c’erano le elezioni iraniane del 2008 con il piano di rovesciare il Presidente Ahmadinejad ed imporre Muhammad Khatami al potere con la promessa di permettere all’“Impero iraniano il suo dossier nucleare” contro l’abbandono della causa palestinese. All’epoca, Martin Indyk aveva parlato di “rovesciare l’Iran in Palestina”. Tale scommessa fallì, e la prima guerra contro Gaza ebbe luogo, ancora con lo stesso slogan di Indyk: “rovesciare l’Iran in Palestina”. Consacrata la sconfitta d’Israele, la ripresa del percorso di pace fu ridotta ad imporre all’Autorità palestinese ulteriore obbedienza. Quindi nel 2010 il piano di Hillary Clinton per una pace israelo-palestinese “parziale” fatta di concessioni minime degli israeliani. Ma l’estremismo israeliano è responsabile della distruzione del piano di Clinton, il piano d’Israele è una pace che si traduca nell’”alleanza arabo-israeliana contro l’Iran“. In altre parole, i sionisti hanno scelto di costruire tale alleanza invece di accettare il basso costo che avrebbe rappresentato lo smantellamento del 10% degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, per garantire la continuità territoriale tra le parti del residuale mini-Stato palestinese.

4. Israele continuerà a guadagnare tempo iniziando altre guerre di logoramento, senza esaurirsi?
Dalla sconfitta d’Israele nella sua guerra contro il Libano, nel luglio 2006, riteniamo che non sia più questione di guerra aperta israeliana o statunitense. Ma la negazione di nuove realtà sul terreno riempirebbe il vuoto strategico dopo il ritiro degli Stati Uniti da Iraq e Afghanistan. Pertanto, dal dicembre 2006, cioè negli ultimi otto anni, Israele cerca di evitare di pagare il conto della Baker-Hamilton, creando ogni sorta di problema per paralizzare l’Asse della Resistenza formato da Iran, Siria, Hezbollah e anche Hamas. Opportunamente, l’esplosione della cosiddetta “primavera araba” certamente nata dalla rabbia popolare contro i loro governanti, è stata l’occasione per Stati Uniti, Turchia e Qatar d’ adottare la loro idea di affidare il potere regionale ai Fratelli nusulmani, con l’idea che l”impero ottomano’ avrebbe ereditato il potere in Tunisia ed Egitto, con alla sola condizione di abbandonare la Siria. La guerra “universale” contro la Siria ha avuto quindi luogo, ma è fallita, mentre la strategia del caos ha creato un ambiente favorevole al terrorismo e al suo radicamento, con il rischio che il califfato del SIIL divida l’Iraq ed altre entità della regione… Nel frattempo, Hamas ha perso l’illusione che l’identità condivisa con i Fratelli musulmani prevalesse sull’appartenenza alla resistenza palestinese. Ma dopo il fallimento delle vittorie in Egitto e Siria, ha rivisto i conti. I neo-ottomani sono stati sconfitti e il “Fronte del Rifiuto” si avvicina alla vittoria, Hamas non riesce a trovare il suo posto che rientrando nella trincea della resistenza all’occupazione israeliana. Israele ha fallito nonostante i ripetuti tentativi di minare la Resistenza. Indipendentemente dalle posizioni assunte da certi capi di Hamas, qualsiasi siano i disaccordi con Fatah. Ciò che conta è che le Brigate al-Qasam (ramo militare di Hamas) operino e siano pienamente impegnate nella lotta contro l’aggressione israeliana a Gaza. Israele ha scommesso sulla sconfitta della Siria, e sulla sconfitta di Hezbollah in Siria, sostenendo i vari rami di al-Qaida con i suoi raid aerei [4] su Jamraya [Centro di ricerca scientifica a nord ovest di Damasco], nella speranza che vincessero la guerra ad al-Qusayr [maggio 2013], i raid su Janta affinché vincessero a Yabrud, e i raid su al-Qunaytra per imporre la cintura di sicurezza alla cosiddetta opposizione siriana complice. Ma tutti questi piani sono falliti, uno dopo l’altro. Israele oggi è in ansia perché incapace di scatenare una guerra ma anche di aspettare. Questo mentre il mondo assiste alla cristallizzazione di due campi, uno che rappresenta le crescenti forze di Russia, Cina, Brasile e altri Paesi BRICS, l’altro guidato da Washington, sconfitto in Ucraina e Siria e che si prepara ad altre sconfitte in Yemen e Iraq… Israele si trova ad affrontare una nuova equazione basata sulla previsione di ciò che potrebbe derivare dal ritiro statunitense dall’Afghanistan, alla fine dell’anno, ora che l’Iraq è alleato di Siria e Iran, con un accordo tra occidente ed Iran si profila all’orizzonte e segnali indicanti la vittoria siriana che appaiono, mentre l’opposizione a uno Stato curdo nato dalla partizione dell’Iraq è quasi unanime, nonostante il suo dichiarato sostegno. Sa che le condizioni per una nuova guerra saranno diverse da quelle della guerra del 1973, come previsto da una relazione del Shabak [servizio di sicurezza interna d'Israele] nel 2010… Israele non potrà vincere una nuova guerra contro una resistenza che si prepara ad ogni evenienza, soffrendo dello stesso deficit strutturale che ha causato le sue sconfitte precedenti. Tutto ciò che ottiene da tale nuovo assalto su Gaza, è reindirizzare la bussola sulla “causa prima”: la lotta contro l’occupazione e la colonizzazione della Palestina.

5. Cosa ne pensate della nomina di Staffan de Mistura a successore di Laqdar al-Brahimi[5]?
Ad ogni fase della guerra contro la Siria, corrisponde un inviato con una specifica missione. Kofi Annan alla fine si dissociò con dimissioni storiche. Laqdar Brahimi, la cui unica missione era condurre colloqui politici, fece ciò che poteva. Qui siamo nella fase della scelta di De Mistura, probabilmente per le sue competenze tecniche e diplomatiche. Tecnicamente curò la prima missione dell’ONU di lancio di aiuti alimentari [Ciad – 1973], fu vicedirettore del Programma alimentare mondiale [2009-2010]. Diplomaticamente, ha ricoperto vari incarichi presso le Nazioni Unite [6], in particolare come rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Afghanistan [2010-2011], Iraq [2007-2009] e Libano [2001 - 2004]. Pertanto, la sua nomina suggerisce l’esistenza di una nuova mappa regionale dall’Afghanistan al Libano, dove per anni ha gestito il conflitto tra Hezbollah e Israele e lo Stato libanese. In altre parole, ha le chiavi del conflitto arabo-israeliano. Probabilmente non controlla sufficientemente il dossier siriano, ma può essere compensato dalle sue numerose relazioni con personalità regionali, che si precipiteranno, come dovrebbero, per renderlo edotto dei più piccoli dettagli.

6. Secondo Voi, qual è la missione di De Mistura?
Preparare il tavolo per la nuova mappa regionale. Come mediatore delle Nazioni Unite nel conflitto siriano, può passare dalla Siria a Iraq, Afghanistan e Libano. Penso che sarà il partner principale del presidente egiziano al-Sisi.

7. Tale nuova carta regionale richiede la partizione dell’Iraq?

Non credo assolutamente.

8. Eppure molti dicono il contrario, prevedendone la partizione in tre Stati: sunnita, sciita e curdo. Alcuni parlano anche di uno “Stato del SIIL!”

In sostanza, l’idea di partizione, non solo dell’Iraq, si basa sulla tesi di Bernard Lewis, il famoso storico statunitense [7], la cui tesi venne discussa sotto l’egida della NATO a Francoforte nel novembre 2012. La domanda era: “Dovremmo mantenere i confini tracciati da Sykes-Picot, o dovremmo riprogettarli sulla base dei dati demografici regionali?“, cioè in base alle popolazioni sunnita, sciita, curda, alawita, ecc… tale partizione in linea di principio sarebbe più facile in Iraq che altrove. Se dovesse avvenire, il secondo passo dovrebbe portare alla partizione della Turchia, creando uno Stato curdo nei suoi territori orientali, e non dell’Iran, al 90% dalla stessa confessione. Ciò spiega l’immediata ritirata dei capi turchi che iniziano a rendersi conto che pagheranno per l’aggressione alla Siria, soprattutto per Qasab e Aleppo. Da parte loro, i sauditi hanno finalmente capito che rischiano grosso vedendo gli Houthi alla periferia di Sana, e la minaccia della creazione di uno Stato sciita sulle coste petrolifere orientali del loro regno. Ecco perché credo che la decisione sarà altra che non la partizione, ed è per questo motivo che quattro dichiarazioni dicono NO ad uno Stato curdo in Iraq! Di Ban ki Moon [8], del Presidente al-Sisi [9], dal comunicato congiunto Stati Uniti e Russia, del numero due della sicurezza nazionale alla Casa Bianca, Tony Blinken, che ha dichiarato che “l’unità dell’Iraq è l’obiettivo da difendere“. E quando si dice ciò, s’intende NO alla partizione dell’Iraq!



Nasser Kandil, 11/07/2014, sintesi di due interventi: Video di al-Mayadin, MN Kandil è intervistato da Diya Sham (http://www.youtube.com/watch?v=jaY6mbwJuTg) e articolo su al-Bina (http://al-binaa.com/albinaa/?article=9240)

Trascrizione e traduzione di Mouna Alno-Nakhal per Mondialisation.ca

Note

[1] www.985fm.ca/international/nouvelles/le-pm-israelien-se-prononce-en-faveur-d-un-kurdist-328...
[2] online.wsj.com/public/resources/documents/WSJ-iraq_study_g...
[3] en.wikipedia.org/wiki/Iraq_Study_Group
[4] www.leparisien.fr/international/raid-israelien-en-syrie-au-moins-15-morts-06-05-2013-2783221.php#xtref=http%3A%2F%2Faurorasito.wordpress.com%2F2014%2F07%2F20%2Fisraele-cerca-solo-di-guadagnare-...
[5] www.lapresse.ca/international/dossiers/crise-dans-le-monde-arabe/syrie/201407/09/01-4782537-staffan-de-mistura-succedera-a-brahimi-comme-media...
[6] en.wikipedia.org/wiki/Staffan_de_Mistura
[7] fr.wikipedia.org/wiki/Bernard_Lewis
[8] www.aa.com.tr/fr/news/346350--lirak-doit-avoir-un-etat-unique-selon-ban...
[9] www.lexpressiondz.com/linformation_en_continue/198097-egypte-pour-sissi-un-referendum-au-kurdistan-irakien-serait-une-quot-catastrophe-q...

Nasser Kandil - Global Research, 16 luglio 2014
Nasser Kandil è un ex-deputato libanese ed direttore di TopNews-Nasser-Kandil e del quotidiano libanese al-Bina

Traduzione di Alessandro Lattanzio
aurorasito.wordpress.com/2014/07/20/israele-cerca-solo-di-guadagnar...
wheaton80
00martedì 22 luglio 2014 03:25
Rabbini ebrei contro "Ebrei Sionisti"

wheaton80
00martedì 29 luglio 2014 16:56
La polizia di Tel Aviv:«Netanyahu sapeva che i 3 ragazzi erano stati uccisi subito, e non da Hamas»

Crolla il castello di carte di Benjamin Netanyahu. A soffiarci su è la sua stessa polizia. Due giorni fa il portavoce della polizia israeliana, Micky Rosenfeld, avrebbe rivelato alla Bbc che la leadership di Hamas non è stata coinvolta nel rapimento e l’uccisione dei tre coloni, Naftali Fraenkel, Gilad Shaer e Eyal Yifrah, il 12 giugno scorso. Dietro l’azione, una cellula separata che ha agito da sola. A rivelarlo è Jon Donnison in una serie di tweet in cui il corrispondente della Bbc riporta le dichiarazioni di Rosenfeld: «Il portavoce mi ha detto che gli uomini che hanno ucciso i tre coloni israeliani sono una cellula separata, affiliata ad Hamas, ma non operante sotto la sua leadership. Ha anche detto che se il rapimento fosse stato ordinato dai leader di Hamas, lo avrebbero saputo prima». Dichiarazioni che minano alla base la campagna punitiva lanciata dal governo israeliano e l’offensiva contro Gaza. «Sono stati rapiti e uccisi a sangue freddo da animali – disse dopo il ritrovamento dei tre corpi il premier – Hamas è responsabile e Hamas pagherà». Ben prima era cominciata una durissima operazione militare contro Cisgiordania e Gaza, subito dopo la scomparsa dei tre nei pressi di una colonia vicino al villaggio palestinese di Halhul, alle porte di Hebron. Il governo di Tel Aviv accusò immediatamente Hamas, nonostante il movimento abbia da subito negato qualsiasi coinvolgimento. In due settimane, fino al 30 giugno, giorno del ritrovamento dei tre corpi a poca distanza dal luogo del rapimento, 7 palestinesi sono stati uccisi, oltre 550 sono finiti in manette (molti dei quali rilasciati nell’autunno 2011 con l’accordo Shalit), perquisizioni, permessi di lavoro ritirati, raid nei villaggi. E bombardamenti, i primi, isolati, contro la Striscia. Un’operazione che Israele giustificò con la necessità di ritrovare vivi i tre coloni. Eppure il governo israeliano, lo Shin Bet (i servizi segreti) e l’esercito sapevano – dicono diversi giornalisti – fin dal primo giorno che i tre erano già stati uccisi. La sera del rapimento uno di loro chiamò il numero di emergenza della polizia chiedendo aiuto. Durante la telefonata, registrata, si sentono degli spari e qualcuno gridare «ne abbiamo tre». I tre coloni erano già morti. E Israele ne era conoscenza. Subito il governo ha imposto il silenzio stampa ai media israeliani e lanciato una brutale campagna di propaganda, sia all’estero che in casa, contro il movimento islamista. Nei giornali e le tv non sono passate notizie fondamentali, come il ritrovamento dell’auto con cui i tre coloni erano stati portati via e all’interno della quale erano state trovate tracce di sangue.

Intanto, fuori dalle stanze dei bottoni, si infiammava la rabbia della società israeliana e si innalzavano a livelli incontrollabili i tassi di violenza e razzismo anti-arabo, contemporaneamente al grado di consenso del premier Netanyahu. Impossibile per Tel Aviv lasciarsi scappare una simile occasione: liberarsi di Hamas, giustificandola con un atto tanto brutale, e scaricare la colpa per il fallimento dei negoziati di pace sulla controparte palestinese. In realtà, hanno rivelato fonti militari dopo il lancio dell’operazione Barriera Protettiva contro Gaza, i generali dell’esercito avevano sul tavolo da almeno due mesi il piano di attacco contro la Striscia. E Hamas? Difficile credere che abbia ordito l’operazione, consapevole che avrebbe provocato una reazione in grado di far crollare il processo di riconciliazione nazionale con Fatah. Al momento del rapimento, il movimento islamista viveva una profonda crisi politica ed economica: isolato dal resto del mondo arabo, privo dei finanziamenti e della legittimità politica che gli garantiva l’Egitto del presidente islamista Morsi, incapace perfino di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici di Gaza, Hamas aveva estremo bisogno del governo di unità nazionale con il rivale Fatah. A livello politico, il rapimento dei tre coloni sarebbe stato un suicidio. Se l’opinione pubblica israeliana non ha mai voluto mettere in discussione le scelte del proprio governo, bevendosi bugie e omissioni, una piccolissima fetta della società israeliana non è rimasta in silenzio. Nei giorni scorsi sono state tante le manifestazioni di protesta a Tel Aviv, Jaffa e Haifa contro i massacri in corso a Gaza. Migliaia di persone in strada, fino a ieri: il movimento pacifista israeliano ha organizzato una grande protesta a Tel Aviv che la polizia ha tentato di impedire. «Le forze di sicurezza hanno bloccato i bus da Haifa e Gerusalemme, chiuso le strade e minacciato di arrestare chiunque vi prenda parte – ci dice al telefono uno degli attivisti israeliani – Andremo comunque, vediamo cosa succede. La giustificazione che hanno dato è il pericolo di missili». Alle 20, ieri sera, erano già 3.000 i pacifisti in marcia.

Chiara Cruciati
26.7.2014
ilmanifesto.info/attacco-preordinato/
wheaton80
00giovedì 31 luglio 2014 03:04
La verità del massacro di Gaza – Lettera dell’attore Javier Bardem



L’attore Javer Bardem ha scritto una lettera pubblicata su El Diario, con la quale accusa Israele per le violenze in atto a Gaza: solo le alleanze geopolitiche e l’ipocrisia del mondo degli affari, a partire per esempio dalla vendita di armi, possono spiegare la posizione vergognosa di Usa e Ue. Ecco la lettera integrale:

“Non è possibile essere equidistanti o neutrali, nel vergognoso orrore che sta avendo luogo a Gaza. È una guerra di occupazione e sterminio contro un popolo senza risorse, confinato in un territorio esiguo, senza acqua; dove ospedali, ambulanze e bambini sono considerati bersagli e presunti terroristi. Difficile da capire ed impossibile da giustificare. Così come vergognoso è il comportamento della comunità internazionale occidentale che sta permettendo questo genocidio. Non riesco a comprendere questa barbarie, che la storia passata del popolo ebreo rende ancor più tristemente incomprensibile. Solo le alleanze geopolitiche, e quella maschera ipocrita che è il mondo degli affari – a partire, per esempio, dalla vendita di armi – possono spiegare la presa di posizione vergognosa di Usa, Ue e della Spagna. So già che, come sempre, c’è chi delegittimerà, adducendo fatti privati, il mio diritto a esprimere un’opinione, quindi ci tengo a mettere in chiaro I seguenti punti:

- Sì, mio figlio è nato in un ospedale ebreo, perché persone a cui voglio bene e che mi sono vicine sono di religione ebraica. Essere di religione ebraica non vuol dire appoggiare questo massacro, allo stesso modo in cui essere ebreo non equivale ad essere sionista. Ugualmente, essere palestinese non vuol dire essere per forza un terrorista di Hamas. Fare questa confusione è assurdo, come lo sarebbe dare del nazista a qualcuno solo in quanto Tedesco

- Sì, lavoro anche negli Stati Uniti, dove ho tanti amici e conoscenti ebrei che rifiutano l’intervento armato israeliano e la sua politica di aggressione. Proprio ieri, uno di loro per telefono mi diceva: “Non si può parlare di legittima difesa, mentre si stanno ammazzando dei bambini”. E non è il solo, ho anche molti altri amici con cui discuto su questo tema, confrontandoci apertamente

- Sì, sono Europeo, e mi indigna questa Unione che dice di rappresentarmi con il suo silenzio e la sua vergogna senza fine

- Sì, vivo in Spagna, pago le tasse in questo Paese, e non voglio che i miei soldi servano a finanziare politiche volte ad appoggiare il perpetrarsi di questa barbarie, facendo affari con paesi che si arricchiscono uccidendo bambini innocenti

- Sì, mi indigna, mi riempie di vergogna e dolore tutta questa ingiustizia, così come l’assassinio di questi Esseri Umani. Questi bambini sono nostri figli: è spaventoso. Non posso che sperare che si estingua, nel cuore di questi assassini, questo veleno sanguinario che solo crea ancora più risentimento e più violenza, e lasci spazio a un sentimento di compassione. Sperando che un giorno, gli israeliani e i palestinesi che solo sognano la convivenza e la pace, possano finalmente vedere avverato il loro desiderio”

Fonte: www.eldiario.es/zonacritica/Carta-Javier-Bardem-masacre-Gaza_6_285281...
28 luglio, 2014
www.dionidream.com/verita-massacro-gaza-lettera-dellattore-javier...
wheaton80
00venerdì 1 agosto 2014 03:50
Israele, ex viceministro: ‘Obama ha urlato a Netanyahu, lo ha trattato come talebano’

“Obama ha urlato contro Netanyahu. Non è stata una conversazione piacevole e il presidente degli Stati Uniti non stava parlando con un leader talebano“. E’ lo sfogo di Danny Danon, parlamentare del Likud ed ex viceministro della Difesa di Netanyahu, ai microfoni della trasmissione “Steve Malzberg Show”, in onda sull’emittente americana Newsmax Tv. Il primo ministro israeliano, secondo il racconto di Danon, avrebbe avuto un tesissimo colloquio telefonico con Obama, che “urlava e diceva al primo ministro cosa fare e cosa non fare”. “Ve lo dico in tutta sincerità” – continua il parlamentare – “abbiamo un rapporto molto stretto con gli Stati Uniti, l’alleato più forte di Israele. Ma questo non è il modo di trattare il leader di un Paese alleato. E’ un insulto il modo in cui il presidente Obama sta trattando Israele. Abbiamo bisogno di sostegno e supporto da parte degli USA. Purtroppo ora non li abbiamo“. E aggiunge: “Io incoraggio il primo Ministro Netanyahu e i miei amici al governo ad essere forti adesso e di fare qualunque cosa sia positiva per Israele, anche se comporta dire al presidente Obama: ‘No, non possiamo soddisfare i tuoi desideri o le tue pressioni a firmare un “Cessate il fuoco”’, il che sarebbe negativo per Israele ora. La richiesta di un ‘cessate il fuoco’ è inaccettabile”.

Gisella Ruccia
tv.ilfattoquotidiano.it/2014/07/30/israele-ex-viceministro-obama-ha-urlato-contro-netanyahu-ha-trattato-come-talebano...
wheaton80
00sabato 2 agosto 2014 14:43
Le stragi di Gaza: qual è l'obiettivo israeliano?

Sin dall'inizio dell'offensiva israeliana, nelle dichiarazioni ufficiali l'obiettivo erano "i tunnel di Hamas che collegano Gaza con Israele" (e naturalmente chiunque abbia un briciolo di cervello non può non chiedersi: ma se questi tunnel esistono, perchè gli uomini di Hamas si ostinano a sparare dei razzi innocui anzichè fare una incursione in massa? Una cinquantina di persone armate con un attacco a sorpresa può fare una notevole strage). Naturalmente con ampio esempio di fotografie dove però si vedevano soldati in un ambiente stretto ma con muri di mattoni ai lati, mentre si sa che i tunnel di Hamas (che in realtà ci sono, ma sono verso l'Egitto e servono per gli approvvigionamenti di viveri e medicinali) sono scavanti nel terreno. Inoltre c'era qualcosa di strano negli obiettivi. Intendo dire: se tu cerchi di distruggere un tunnel, devi capire quale è il percorso ed usare bombe antibunker, che esplodono sottoterra. Invece le bombe israeliane erano normali bombe sganciate su obiettivi civili. Case, moschee, ospedali, scuole dell'Onu (notoriamente usate come rifugio antiaereo, insieme alla moschee e agli ospedali)... questi erano i bersagli. E, a completare l'opera, la distruzione negli ultimi giorni dell'unica centrale elettrica che dia elettricità a Gaza e di tutti gli impianti per la distribuzione dell'acqua potabile.

Tunnel? Niente, sarà per la prossima volta

E' chiaro che qualcosa non torna. E' evidente che l'obiettivo principale era uccidere quanti più civili palestinesi è possibile. E quindi sono stati colpiti gli obiettivi dove era più facile trovare gente: le case più grandi, e gli edifici usati come rifugi, come le scuole dell'Onu e le moschee. E naturalmente gli ospedali, in modo che i feriti non possano ricevere cure. Per non parlare degli impianti per l'acqua: 2 milioni di persone in 300 Km. quadrati senza acqua non ci impiegano molto a sviluppare le condizioni per la diffusione delle malattie. Perchè molti lo dimenticano, ma a Gaza non è possibile far entrare acqua, cibo o qualsiasi altra cosa. Gaza è una immensa prigione a cielo aperto. E' circondata da un muro e gli accessi sono sotto il controllo israeliano, che ovviamente non fa passare nulla da quei varchi. Quindi a pagarlo saranno i civili palestinesi, anche nel lungo periodo.

Ma se c'erano dei dubbi, l'attacco via terra li ha dissolti
Spesso, quando si parla della guerra, sui giornali si è soliti mettere delle cartine che indicano come i soldati avanzano. Per Gaza non lo si fa mai. E il motivo è ovvio. L'attacco via terra è stato diretto in maniera da "tagliare" il nord della striscia di Gaza dal resto della zona. A questo si aggiungano gli avvisi dell'esercito israeliano di evacuare quelle zone prima dell'attacco. Ed infine, dulcis in fundo: la notizia - postata ieri dalla giornalista e volontaria Rosa Schiano - che Israele intende predisporre una zona di sicurezza profonda 3 Km. Che vuol dire? Semplice: che Israele intende prendersi altra terra palestinese. Tra evacuazioni ed uccisioni, costringono i palestinesi ad andarsene dal nord della striscia di Gaza; abbattono il muro che attualmente chiude i contatti tra Gaza e l'esterno e lo spostano di 3 Km. più a sud; e così ricavano lo spazio per costruire un'altra colonia illegale o per ampliare quelle esistenti. Un percorso semplice, lo stesso usato decine di volte da Israele negli ultimi 50 anni.

Tanto nessuno protesta. Non l'Onu, che sta dando ampio risalto al fatto - raccontato da Israele, ma di cui non esistono prove - che Hamas nasconde armi nelle scuole, ma non dice niente su tutte le violazioni delle risoluzioni fatto da Israele; non gli Stati Uniti, che da sempre si preoccupano di usare il proprio diritto di veto per evitare risoluzioni contro Israele; non l'Europa, che da sempre è schierata acriticamente a favore di Israele (Italia in testa, dato che stiamo vendendo loro 30 aerei da addestramento che, muniti di bombe vere, possono essere utilizzati per la guerra). E neanche i Paesi arabi vicini ad Israele, che temono le rappresaglie. Non è capitato una sola volta che aerei israeliani abbiano bombardato l'Egitto, la Siria o il Libano. Protesta l'opinione pubblica? Solo in parte. La maggior parte è assolutamente disinformata, grazie alle menzogne che si leggono sui giornali e che si sentono in Tv. E se qualcuno protesta, succede quello che è successo a Norman Finkelstein, ebreo figlio di due deportati (il padre ad Auschwitz, la madre a Majdanek). Il quale ha capeggiato una protesta pacifica a New York ed è finito arrestato.

Perchè questo succede, se la protesta riesce. Se non riesce, come in Italia, abbiamo poche decine o centinaia di persone, completamente ignorate dai media, che sfilano e di cui nessuno sa niente. Mentre a Milano abbiamo avuto l'assurdo di 7 tra poliziotti e carabinieri che, in assetto antisommossa, sono stati schierati a difesa della bandiera israeliana che reclamizza la partecipazione di quel Paese all'Expo 2015. Sette tra poliziotti e carabinieri che avrebbero potuto essere utilizzati in maniera più proficua per i cittadini milanesi per il pattugliamento delle strade. E che invece sono rimasti per ore fermi ad un angolo di strada. Che sarebbe potuto succedere? Avrebbero imbrattato la bandiera con la vernice o magari lanciavano qualche pomodoro? Non mi pare una cosa così grave da richiedere lo schieramento di ben tre pattuglie di Polizia e carabinieri.

Antonio Rispoli
30/07/2014
www.julienews.it/notizia/editoriali/le-stragi-di-gaza-qual--lobiettivo-israeliano/340692_editoriali...
wheaton80
00domenica 3 agosto 2014 21:05
Usa e Onu contro Tel Aviv, attacco a scuola è "atto criminale"

(AGI) - Onu e stati Uniti criticano duramente Tel Aviv per l'attacco alla scuola gestita dall'Onu a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Il segretario generale dell'Onu l'ha definito "un oltraggio morale e un atto criminale" e ha chiesto una rapida inchiesta e che i responsabili ne rispondano dinanzi alla giustizia. "Questa follia deve finire", ha aggiunto. In una dichiarazione diffusa dal suo portavoce, Ban ha definito l'accaduto "un'altra grave violazione della legge umanitaria internazionale": il diplomatico coreano ha infatti ricordato che i rifugi dell'Onu devo essere zone sicure e che le forze Armate israeliane sono state ripetutamente informate su dove si trovano questi siti. "Questo attacco, insieme alle altre violazioni del diritto internazionale, deve essere indagato rapidamente e i responsabili devono pagare per questo". Gli Stati Uniti, ricorrendo a toni particolarmente duri, ha condannato il "vergogno cannoneggiamento" israeliano nei pressi di una scuola dell'Onu a Rafah nel sud della Striscia di Gaza, che ha causato 10 morti. Washington ha ribadito la richiesta a Tel Aviv - che ha ammesso di essere responsabile dei colpi - di fare di tutto per evitare vittime civili. Cosi' il dipartimento di Stato. Israele riconosce le responsabilita': l'eserito di Tel Aviv (Tsahal) ha infatti ammesso di aver sparato colpi di cannone nelle vicinanze della scuola Onu a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dove sono morte 10 persone. In una dichiarazione Tsahal ha spiegato che l'obiettivo non era l'edifico ma "tre terroristi della Jihad islamica che a bordo di una moto stavano passando accanto ad una scuola dell'Unrwa (l'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi) a Rafah". L'Unione Europea ha chiesto a Israele e ad Hamas di "fermare immediatamente" le ostilita' nella Striscia di Gaza e ha deplorato l'enorme perdita di vite umane nel conflitto. "Il bagno di sangue deve finire", si legge in una nota firmata dai presidenti uscenti della Commissione Europea, Jose Manuel Durao Barroso, e del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, a nome dei 28 Paesi membri. "Deploriamo la terribile perdita di vite umane, tra cui donne e bambini innocenti", prosegue il comunicato condannando "l'intollerabile violenza" sofferta dai residenti di Gaza sotto le bombe israeliane. L'Ue definisce anche l'incessante lancio di razzi di Hamas su Israele "un'inaccettabile minaccia" ai cittadini dello Stato ebraico, ma fa notare che "la legittima difesa deve essere proporzionale'".

03 agosto 2014
www.agi.it/estero/notizie/usa_e_onu_contro_tel_aviv_attacco_a_scuola_e_atto_criminale-201408032028-est...
wheaton80
00martedì 5 agosto 2014 02:16
La Bolivia dichiara Israele “stato terrorista”

LA PAZ - Mercoledì la Bolivia ha ritirato un accordo con Israele per l’esenzione dai visti internazionali, e lo ha dichiarato uno stato terrorista. Il presidente Evo Morales ha annunciato la mossa durante il discorso con un gruppo di educatori nella città di Cochabamba. “Significa, in altre parole, che stiamo dichiarando (Israele) uno stato terrorista,” ha affermato. Dal 1972 il trattato aveva permesso agli israeliani di viaggiare liberamente in Bolivia senza visto. Morales ha dichiarato che l’offensiva a Gaza dimostra “che Israele non garantisce i principii di rispetto per la vita e gli elementari precetti di diritto che governano la coesistenza pacifica ed armoniosa della nostra comunità internazionale”. Più di due settimane di combattimenti a Gaza hanno lasciato oltre 1.600 morti e 8.000 feriti nell’intensa campagna aerea e terrestre israeliana, in risposta ad attacchi missilistici dal gruppo islamista militante di Hamas. Recentemente 16 persone sono state uccise da due bombe israeliane che hanno colpito una scuola delle Nazioni Unite, suscitando la protesta internazionale. La Bolivia ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele dal 2009, a causa di precedenti operazioni militari a Gaza. A metà luglio, Morales ha richiesto formalmente all’alto commissario dell’ONU per i diritti umani di perseguire Israele per “crimini contro l’umanità”. Non soltanto la Bolivia ma anche altri paesi dell’ America Latina hanno proceduto a richiamare il proprio rappresentante diplomatico in Israele “per consultazioni”. Fra questi i primi sono stati il Brasile e l’Ecuador, poi seguiti dal Cile, dal Perù, e da El Salvador. Alcuni di questi paesi hanno motivato l’interruzione dei rapporti diplomatici per protesta contro l’escalation di violenza contro la popolazione civile, altri hanno addotto come causa l’uso sproporzionato della forza militare da parte di Israele contro la popolazione civile. La cancelleria di Israele ha stigmatizzato tale mossa ed ha criticato questi paesi i quali, secondo Israele, “finirebbero per appoggiare l’azione dei terroristi”.

Fonti
Dailystar
ElSalvador.com

www.controinformazione.info/la-bolivia-dichiara-israele-stato-ter...
wheaton80
00giovedì 7 agosto 2014 02:45
Video - Gaza, Moni Ovadia (Tsipras): “Israele non si difende, fa guerra. Italia? Deve denunciare”

“È un cartello idiota, stupido e inutile che dà un assist formidabile al governo israeliano e al suo programma di auto-vittimizzazione. Sembra fatto apposta per dare forza alla retorica e alla propaganda che tutto l’occidente sposa. Danneggia la causa del popolo palestinese“. Con queste parole l’eurodeputato della Lista Tsipras, attore, regista e scrittore di origine ebraica Moni Ovadia, ha commentato alcuni cartelli esposti ieri sera in piazza Duomo a Milano, durante la manifestazione in favore della Palestina organizzata da alcuni partiti della sinistra, da Fiom Cgil e da Emergency. Sulla situazione nella Striscia, Ovadia condanna l’atteggiamento di Israele “che non si difende, ma assedia un intero popolo facendo la guerra”. Il governo italiano? “Non avrà il coraggio di denunciare tutto questo”, conclude.

Fabio Abati
tv.ilfattoquotidiano.it/2014/08/06/gaza-moni-ovadia-tsipras-israele-non-si-difende-fa-guerra-italia-non-ha-coraggio...
wheaton80
00martedì 12 agosto 2014 03:33
Hamas creazione del Mossad

Secondo Zeev Sternell, storico all'Università Ebraica di Gerusalemme, "Israele ha ritenuto che fosse opportuno e astuto spingere gli islamici contro l'organizzazione per la liberazione dalla Palestina (OLP)". Grazie al Mossad, "l'istituzione israeliana per l'Intelligence e le operazioni speciali", è stato consentito ad Hamas di rinforzare la sua presenza nei territori occupati. Nel frattempo il movimento di Arafat per la liberazione della Palestina, Fatah, così come la sinistra palestinese sono stati sottoposti alla più brutale forma di repressione e intimidazione. Non dimentichiamoci che fu Israele che, nei fatti, creò Hamas. Secondo Zeev Sternell, storico all'Università Ebraica di Gerusalemme "Israele ha ritenuto che fosse opportuno e astuto spingere gli islamici contro l'organizzazione per la liberazione dalla Palestina (OLP)". Ahmed Yassin, la guida sprituale del movimento islamista palestinese, di ritorno dal Cairo negli anni settanta, fondò un'associazione islamica caritatevole.

Il Primo Ministro israeliano, Golda Meir, vide in ciò un'opportunità di controbilanciare l'ascesa del movimento Fatah, di Arafat. Secondo il settimanale israeliano Koteret Rashit (ottobre 1987), "le associazioni islamiche e le università erano state sostenute e incoraggiate dall'autorità militare israeliana" incaricata dell'amministrazione (civile) di Gaza e della West Bank. "Esse (le associazioni islamiche e le università) erano state autorizzate a ricevere finanziamenti in denaro dall'estero". Gli Islamisti fondarono orfanotrofi, ospedali, una rete di scuole, posti di lavoro anche per le donne e aiuti finanziari per i poveri. Nel 1978 crearono "l'Università Islamica", a Gaza. "L'autorità militare era convinta che queste attività avrebbero indebolito sia l'Olp che le organizzazioni di sinistra, a Gaza". Alla fine del 1992 c'erano 600 moschee a Gaza. Grazie all'agenzia di intelligence israeliana, Mossad, fu dato modo agli Islamisti di rinforzare la loro presenza nei territori occupati. Nel frattempo i membri di Fatah (Movimento per la Liberazione Nazionale della Palestina) e la sinistra palestinese era oggetto della più brutale forma di repressione. Nel 1984 Ahmed Yassin venne arrestato e condannato a 12 anni di prigione, dopo la scoperta di un nascondiglio di armi.

Ma un anno dopo fu liberato e riprese le sue attività. E quando l'Intifada cominciò, nell'ottobre 1987, prendendo gli Islamisti di sorpresa, lo Sceicco Yassin rispose creando Hamas (il Movimento di Resistenza Islamico): "Dio è il nostro inizio, il profeta il nostro modello, il Corano la nostra costituzione", proclama l'articolo 7 del documento base dell'organizzazione. E ancora, Ahmed Yassin era in prigione quando gli accordi di Oslo (dichiarazione dei principi per un Auto-Governo ad interim) furono firmati nel settembre 1993. Hamas aveva del tutto rifiutato quegli accordi. Ma a quel tempo il 70% dei palestinesi condannavano gli attacchi contro i civili israeliani. Yassin fece tutto quanto era in suo potere per minare gli accordi di Oslo. E in questo, anche prima della morte del primo ministro Rabin, aveva il sostegno del governo israeliano. Quest'ultimo era infatti molto riluttante rispetto al rettificare un accordo di pace. Hamas lanciò dunque una ben pianificata e perfettamente cronometrata campagna di attacchi contro civili: un giorno prima della riunione tra i negoziatori palestinesi e israeliani allo scopo del riconoscimento, da parte di Israele, dell'Autorità Nazionale Palestinese. Questi eventi erano in gran parte strumentali alla formazione di un'estrema destra di governo, in Israele, dopo le elezioni del maggio 1996.

A quel punto, inaspettatamente, il Primo Ministro Netanyahu ordinò il rilascio dello Sceicco Ahmed Yassin dalla prigione (per motivi umanitari), dove stava scontando un ergastolo. Intanto Netanyahu, insieme al Presidente Bill Clinton, facevano pressioni su Arafat affinchè controllasse Hamas. In effetti Netanyahu sapeva che gli Islamisti avrebbero potuto, ancora una volta, sabotare gli accordi di Oslo. Quindi fece ancora di peggio: dopo aver espulso Yassin in Giordania gli permise di tornare a Gasa, dove venne ricevuto in trionfo, da eroe, nell'ottobre 1997. Arafat rimase solo a fronteggiare questi eventi. Inoltre, a causa del supporto che aveva manifestato nei confronti di Saddam Hussein durante la Guerra del Golfo del 1991 (mentre Hamas si asteneva cautamente dal prendere posizione), gli stati del Golfo decisero di tagliare ogni finanziamento all'Autorità Palestinese. Tra il febbraio e l'aprile del 1998, lo Sceicco Ahmad Yassin era, invece, in grado di ottenere molte centinaia di milioni di dollari da quegli stessi paesi. Il budget di Hamas diventava così superiore rispetto a quello dell'Autorità Palestinese.

Queste nuove fonti di finanziamenti permisero agli Islamisti di svolgere efficacemente le varie attività caritatevoli. Si stima che un palestinese su tre riceva aiuti economici da Hamas. Riguardo a ciò Israele non ha mai fatto nulla, nessun azione per porre freno all'afflusso di soldi ad Hamas, nei territori occupati. Hamas aveva costruito la sua forza tramite i vari atti di sabotaggio al processo di pace, in modo perfettamente compatibile con gli interessi del governo israeliano. In cambio, quest'ultimo otteneva di impedire anche l'applicazione di quanto stablito a Oslo. In altre parole, Hamas stava svolgendo le funzioni per le quali era stato originariamente creato: prevenire la creazione di uno Stato Palestinese. E a questo proposito Hamas e Ariel Sharon sono esattamente sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda.

Hassane Zerouky, 25/3/2004
Fonte: globalresearch.ca/articles/ZER403A.html

Traduzione a cura di Nuovi Mondi Media
www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=110
wheaton80
00mercoledì 20 agosto 2014 02:58
Cruz e Bardem difendono Gaza, Hollywood minaccia:“La vostra carriera è finita”

Penelope Cruz e Javier Bardem si sono ritrovati al centro di un vero e proprio putiferio, dopo aver firmato una lettera aperta in cui davano il loro appoggio a Gaza e condannavano l’offensiva israeliana paragonandola ad un “genocidio”. L’appello, pubblicato su El Diario è stato sottoscritto da diversi registi, scrittori e musicisti. Tra i volti noti che hanno dato il loro sostegno alla petizione c’è anche Pedro Almodovar.

Il contenuto della lettera aperta

Nella lettera, gli attori hanno definito il bombardamento della Striscia di Gaza come un “genocidio”, poi hanno chiesto una presa di posizione da parte dell’Unione Europea, perché fermi “il bombardamento via terra, mare e aria che sta uccidendo la popolazione civile palestinese a Gaza”. Sperano e pregano che finalmente si arrivi ad un cessate il fuoco ed esortano Israele a “togliere il blocco imposto sulla Striscia da più di un decennio”. Infine hanno rimarcato:“Gaza vive giorni di orrore. Non c’è più acqua, elettricità, è impossibile l’accesso agli ospedali, alle scuole e ai campi. E la comunità internazionale non fa nulla”.

Hollywood contro Penelope Cruz e Javier Bardem
I massimi dirigenti di Hollywood non sono stati contenti, quando sono venuti a conoscenza della presa di posizione di Penelope Cruz e Javier Bardem. L’Independent ha parlato addirittura di “carriera finita” per le due star. Un importante manager del cinema americano, invece, ha dichiarato all’Hollywood Reporter:“Sono furioso con Penelope Cruz e Javier Bardem”. Stessa rabbia anche da parte dell’amministratore delegato di Relativity Media, Ryan Kavanaugh, che ha affermato:“La lettera mi ha fatto ribollire il sangue”. Il suo parere sembrerebbe rispecchiare quello della maggior parte degli attori, manager e dirigenti di Hollywood, che si sono dimostrati compatti contro la coppia.

Il padre di Angelina Jolie: “Impiccatevi”

Jon Voight, padre di Angelina Jolie, già nelle scorse settimane si era scagliato contro la coppia accusandoli:“Avevate una grande responsabilità perché potete utilizzare la vostra celebrità a fin di bene. Invece avete diffamato l’unico paese democratico in Medio Oriente: Israele. Dovreste impiccarvi per la vergogna, provare un profondo rammarico per quello che avete fatto e chiedere perdono alle persone che soffrono in Israele”.

Daniela Seclì
11 agosto 2014
cinema.fanpage.it/cruz-e-bardem-difendono-gaza-hollywood-minaccia-la-vostra-carriera-e...
wheaton80
00mercoledì 20 agosto 2014 03:23
Con il boicottaggio europeo che aumenta, la più grande catena di distribuzione alimentare in Irlanda scarica i prodotti israeliani

I maggiori esportatori di generi alimentari israeliani stanno affrontando un’ondata senza precedenti di cancellazione degli ordini dall’Europa come risultato del più recente massacro dei palestinesi a Gaza ad opera di Israele. SuperValu, la più grande catena di distribuzione alimentare in Irlanda, ha riferito la scorsa settimana ai media irlandesi che ha ritirato i prodotti israeliani dai suoi negozi. E i media israeliani suggeriscono che altri grandi rivenditori europei hanno preso decisioni simili senza annunciarle pubblicamente. Le compagnie israeliane d’esportazione di frutta e verdura hanno affrontato cancellazioni degli ordini da Scandinavia, Regno Unito, Francia, Belgio e Irlanda. Secondo un articolo dell'11 Agosto dal sito web del quotidiano ebraico The Marker, i rivenditori sono diventati timorosi della rapida crescita del boicottaggio dei prodotti israeliani da parte dei consumatori. Un portavoce di EDOM, un importante produttore ed esportatore israeliano di frutta che ha vaste attività negli insediamenti illegali israeliani nella Cisgiordania occupata, ha detto a The Marker:“Gli importatori europei ci dicono che non possono vendere i prodotti israeliani... Un acquirente europeo mi ha detto che era stato bloccato in diverse catene in Danimarca e Svezia, e poi in Belgio. Lo scorso fine settimana, mi ha detto che i manghi che erano stati confezionati nei Paesi Bassi, come sempre, e spediti in Irlanda, sono stati restituiti, sostenendo che i prodotti di Israele non sarebbero stati accettati... Ho sentito parlare di grandi esportatori dai quali catene nel sud della Francia non hanno più acquistato.

Non vi è alcun boicottaggio ufficiale, ma tutti hanno paura di vendere frutta israeliana. Possiamo solo sperare che le cose non peggiorino”. Tra gli altri esportatori intervistati per questo articolo c’è un coltivatore israeliano di melograni che viene citato mentre dice che sono stati costretti ad annullare il loro "intero piano di lavoro nel Regno Unito”, perché le principali catene di distribuzione non erano più interessate alle merci israeliane, e che messaggi simili erano stato mandati da importatori in Belgio e Scandinavia. Un articolo a parte pubblicato su The Marker il 27 luglio, spiegava in dettaglio come il produttore di succhi di frutta Priniv aveva perso un importante contratto in Svezia dopo aver rifiutato la richiesta di esportare il prodotto in modo tale da rendere più facile nascondere il fatto che sia stato prodotto in Israele. Anche i clienti in Belgio e in Francia hanno fatto richieste analoghe. Ido Yaniv, direttore di Priniv, attribuisce il calo delle vendite all'attacco israeliano a Gaza. In questi ultimi anni, le campagne strutturate di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) sono riuscite a fare pressione sui rivenditori di tutta Europa per annunciare che non immagazzineranno prodotti provenienti da insediamenti israeliani illegali o da aziende che operano nelle colonie. La catena Tesco è stata l’ultima del Regno Unito a fare un tale annuncio. Ma sta diventando ora sempre più evidente che le imprese europee stanno iniziando a reagire al crescente sostegno pubblico ai diritti dei palestinesi e al boicottaggio di Israele in Europa. Almeno per ora, stanno decidendo di non vendere più prodotti israeliani di qualsiasi genere.

“Smaltimento” delle merci israeliane
SuperValu, il più grande rivenditore di generi alimentari e vegetali irlandese, ha dato istruzioni a tutti i suoi 232 negozi di rimuovere i prodotti israeliani dagli scaffali all'inizio di questo mese. In una e-mail ai direttori dei punti vendita, la catena ha invitato i direttori a far “rimuovere tutto il materiale in magazzino disponibile in vendita e smaltire [i prodotti] a livello di negozio”. Una fonte da SuperValu ha riferito all'Irish Herald che “Si tratta per lo più di frutta e verdure, carote ed erbe, più nello specifico”. A seguito di quanto riportato dall’Irish Herald, SuperValu ha rilasciato una dichiarazione in cui affermava che non aveva ufficialmente approvato il boicottaggio di Israele, ma non ha negato che i prodotti israeliani erano stati rimossi dai propri magazzini. Il grande negozio di giocattoli irlandese Smyths può aver preso una decisione simile, mettendo temporaneamente in mostra un poster in un negozio di Dublino che affermava che aveva rimosso giocattoli prodotti in Israele dagli scaffali. Queste decisioni arrivano come parte di un enorme aumento del sostegno alla lotta palestinese e al boicottaggio di Israele in tutta l' Irlanda. Le proteste si sono tenute davanti ai rivenditori in tutto il paese e richieste per il boicottaggio sono state fatte dai sindacati nazionali, da amministrazioni locali e persino da star dello sport, tra cui la stella del rugby irlandese e del Leinster Gordon Darcy.

Costruire il boicottaggio
Le richieste di boicottaggio dei prodotti israeliani, di sanzioni e di un embargo militare da imporre su Israele sono state una parte fondamentale delle enormi manifestazioni di massa in solidarietà con Gaza che hanno avuto luogo in tutto il mondo nelle ultime settimane. Le organizzazioni della società civile stanno rispondendo all'attacco a Gaza annunciando nuove iniziative di boicottaggio. Nelle settimane e nei mesi che seguiranno, la sfida per gli attivisti sarà quella di far decollare la pressione sui distributori al dettaglio per far rimuovere i prodotti israeliani e per rendere pubblico il loro rifiuto di commercializzare prodotti israeliani. Le campagne contro la vendita di prodotti freschi israeliani è stata sotto grande attenzione dei movimenti di solidarietà europei negli ultimi anni. Le iniziative BDS si sono concentrati su aziende israeliane, come Mehadrin ed Edom, che giocano un ruolo chiave nella colonizzazione della terra palestinese in Cisgiordania e traggono profitto dall' assedio di Gaza, come ha spiegato la ricercata pubblicata dai sindacati agricoli palestinesi. Nel mese di Gennaio, il leader dei coloni israeliani nella regione della Valle del Giordano in Cisgiordania ha riferito ad Associated Press che la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni è costata ai coloni 29 milioni di $ di vendite mancate, soprattutto in Europa. Le campagne contro le compagnie israeliane esportatrici di prodotti freschi si sono intensificate a seguito della decisione della catena inglese di distribuzione Co-operative di boicottare tutte le compagnie che hanno attività nelle colonie, con campagne in corso anche in Francia, Spagna, Belgio, Olanda, Germania, Norvegia e Svezia. Nel 2011, la compagnia israeliana d’esportazione Agrexco finì in liquidazione a seguito delle campagne e dei boicottaggi in 13 paesi europei, che videro i rivenditori tagliare i legami con la compagnia israeliana, il blocco dei suoi magazzini nel Regno Unito ed in Belgio ed una gigantesca mobilitazione contro la progettazione di un centro di distribuzione Agrexco a Sete, nel sud della Francia. L’analista israeliano Shir Hever suggerì allora che i contadini avrebbero dovuto abbandonare l’Agrexco per esportare i propri prodotti, preferendo altri canali d’esportazione, poichè la campagna di boicottaggio era un fattore chiave del collasso della compagnia.

Si ringrazia Boycott From Within per la traduzione dall’ebraico
Fonte: electronicintifada.net
Traduzione: BDS Italia

15 Agosto 2014
bdsitalia.org/index.php/ultime-notizie-sulbds/1460-supervalu-boicottaggio-prodotti-is...
wheaton80
00giovedì 21 agosto 2014 02:19
Il mio appello al popolo di Israele: liberate voi stessi liberando la Palestina
L'Arcivescovo Emerito Desmond Tutu, in un articolo in esclusiva per Haaretz, ha lanciato un appello per un boicottaggio globale di Israele, chiedendo con urgenza a israeliani e palestinesi di essere migliori dei loro leader, nel cercare una soluzione sostenibile alla crisi in Terra Santa



Le scorse settimane hanno visto una mobilitazione senza precedenti della società civile di tutto il mondo contro l'ingiustizia e la brutalità della sproporzionata risposta israeliana al lancio di razzi dalla Palestina. Se si contano tutte le persone che si sono radunate lo scorso fine settimana a Città del Capo, a Washington DC, a New York, a Nuova Delhi, a Londra, a Dublino, a Sidney ed in tutte le altre città del mondo per chiedere giustizia in Israele e Palestina, ci si rende subito conto che si tratta senza dubbio della più grande ondata di protesta di sempre dell'opinione pubblica riguardo ad una singola causa. Circa venticinque anni fa, ho partecipato a diverse grandi manifestazioni contro l'apartheid. Non avrei mai immaginato che avremmo rivisto manifestazioni tanto numerose, ma sabato scorso a Città del Capo l'affluenza è stata uguale se non addirittura maggiore. C'erano giovani e anziani, musulmani, cristiani, ebrei, indù, buddisti, agnostici, atei, neri, bianchi, rossi e verdi... come ci si aspetterebbe da una nazione viva, tollerante e multiculturale. Ho chiesto alla gente in piazza di unirsi al mio coro:"Noi ci opponiamo all'ingiustizia dell'occupazione illegale della Palestina. Noi ci opponiamo alle uccisioni indiscriminate a Gaza. Noi ci opponiamo all'indegno trattamento dei palestinesi ai checkpoint e ai posti di blocco. Noi ci opponiamo alla violenza da chiunque sia perpetrata. Ma non ci opponiamo agli ebrei". Pochi giorni fa, ho chiesto all'Unione Internazionale degli Architetti, che teneva il proprio convegno in Sud Africa, di sospendere Israele dalla qualità di Paese membro. Ho pregato le sorelle e i fratelli israeliani presenti alla conferenza di prendere le distanze, sia personalmente che nel loro lavoro, da progetti e infrastrutture usati per perpetuare un'ingiustizia. Infrastrutture come il muro, i terminal di sicurezza, i posti di blocco e gli insediamenti costruiti sui territori Palestinesi occupati. Ho detto loro:"Quando tornate a casa portate questo messaggio: invertite la marea di violenza e di odio unendovi al movimento nonviolento, per portare giustizia a tutti gli abitanti della regione". In poche settimane, più di 1 milione e 600mila persone in tutto il mondo hanno aderito alla campagna lanciata da Avaaz chiedendo alle multinazionali che traggono i propri profitti dall'occupazione della Palestina da parte di Israele e/o che sono coinvolte nell'azione di violenza e repressione dei Palestinesi, di ritirarsi da questa attività. La campagna è rivolta nello specifico a ABP (fondi pensionistici olandesi); a Barclays Bank; alla fornitura di sistemi di sicurezza (G4S), alla francese Veolia (trasporti); alla Hewlwtt-Packard (computer) e alla Caterpillar (fornitrice di Bulldozer). Il mese scorso 17 governi della UE hanno raccomandato ai loro cittadini di astenersi dal fare affari o investimenti negli insediamenti illegali israeliani. Abbiamo recentemente assistito al ritiro da banche israeliane di decine di milioni di euro da parte del fondo pensione olandese PGGM e al ritiro da G4S della Fondazione Bill e Melinda Gates; e la Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti ha ritirato una cifra stimata in 21 milioni dollari da HP, Motorola Solutions e Caterpillar. Questo movimento sta prendendo piede. La violenza genera solo violenza ed odio, che generano ancora più violenza e più odio. Noi sudafricani conosciamo la violenza e l'odio. Conosciamo la pena che comporta l'essere considerati la puzzola del mondo, quando sembra che nessuno ti comprenda o sia minimamente interessato ad ascoltare il tuo punto di vista. È da qui che veniamo. Ma conosciamo anche bene i benefici che sono derivati dal dialogo tra i nostri leader, quando organizzazioni etichettate come "terroriste" furono reintegrate ed i loro capi, tra cui Nelson Mandela, liberati dalla prigione, dal bando e dall'esilio. Sappiamo che, quando i nostri leader cominciarono a parlarsi, la logica della violenza che aveva distrutto la nostra società si è dissipata ed è scomparsa. Gli atti di terrorismo iniziati con i negoziati, quali attachi ad una chiesa o ad un pub, furono quasi universalmente condannati ed i partiti responsabili furono snobbati alle elezioni.

L'euforia che seguì il nostro votare assieme per la prima volta non fu solo dei sudafricani neri. Il vero trionfo della riappacificazione fu che tutti si sentirono inclusi. E dopo, quando approvammo una costituzione così tollerante, compassionevole e inclusiva che avrebbe reso orgoglioso anche Dio, tutti ci siamo sentiti librerati.
Certo, avere un gruppo di leader straordinari ha aiutato. Ma ciò che alla fine costrinse questi leader a sedersi attorno al tavolo delle trattative fu l'insieme di strumenti persuasivi e non violenti messi in pratica per isolare il Sudafrica economicamente, accademicamente, culturalmente e psicologicamente. A un certo punto - il punto di svolta - il governo di allora si rese conto che preservare l'apartheid aveva un costo superiore ai suoi benefici. L'interruzione, negli anni '80, degli scambi commerciali con il Sud Africa da parte di aziende multinazionali dotate di coscienza, è stata alla fine una delle azioni chiave che ha messo in ginocchio l'apartheid, senza spargimenti di sangue. Quelle multinazionali avevano compreso che, sostenendo l'economia del Sud Africa, stavano contribuendo al mantenimento di uno status quo ingiusto. Quelli che continuano a fare affari con Israele, che contribuiscono a sostenere un certo senso di "normalità" nella società Israeliana, stanno arrecando un danno sia agli israeliani che ai palestinesi. Stanno contribuendo a uno stato delle cose profondamente ingiusto. Quanti contribuiscono al temporaneo isolamento di Israele, dichiarano così che Israeliani e Palestinesi in eguale misura hanno diritto a dignità e pace. In sostanza, gli eventi accaduti a Gaza nell'ultimo mese circa stanno mettendo alla prova chi crede nel valore degli esseri umani. È sempre più evidente il fallimento dei politici e dei diplomatici nel fornire risposte e che la responsabilità di negoziare una soluzione sostenibile alla crisi in Terra Santa ricade sulla società civile e sugli stessi abitanti di Israele e Palestina. Oltre che per le recenti devastazioni a Gaza, tante bellissime persone in tutto il pianeta - compresi molti Israeliani - sono profondamente disturbate dalle quotidiane violazioni della dignità umana e della libertà di movimento cui i Palestinesi sono soggetti a causa dei checkpoint e dei posti di blocco. Inoltre, la politica israeliana di occupazione illegale e di costruzione di insediamenti cuscinetto in una terra occupata aggrava la difficoltà di raggiungere in futuro un accordo che sia accettabile per tutti. Lo stato di Israele si sta comportando come se non ci fosse un domani. Il suo popolo non potrà avere la vita tranquilla e sicura che vuole - e a cui ha diritto - finché i suoi leader continueranno a mantenere le condizioni che provocano il conflitto. Io ho condannato quanti in Palestina sono responsabili dei lanci di missili e razzi contro Israele. Soffiano sulle fiamme dell'odio. Io sono contrario ad ogni manifestazione di violenza.

Ma dobbiamo essere chiari che il popolo palestinese ha ogni diritto di lottare per la sua dignità e libertà. È una lotta che ha il sostegno di molte persone in tutto il mondo. Nessuno dei problemi creato dagli esseri umani è irrisolvibile, quando gli esseri umani stessi si impegnano a risolverlo con il desiderio sincero di volerlo superare. Nessuna pace è impossibile quando la gente è determinata a raggiungerla. La Pace richiede che israeliani e palestinesi riconoscano l'essere umano in loro stessi e nell'altro, che riconoscano la reciproca interdipendenza. Missili, bombe e insulti non sono parte della soluzione. Non esiste una soluzione militare. È più probabile che la soluzione arrivi dallo strumento nonviolento che abbiamo sviluppato in Sud Africa negli anni '80, per persuadere il governo della necessità di modificare la propria linea politica. Il motivo per cui questi strumenti - boicottaggio, sanzioni e disinvestimenti - si rivelarono efficaci, sta nel fatto che avevano una massa critica a loro sostegno, sia dentro che fuori dal Paese. Lo stesso tipo di sostegno di cui siamo stati testimoni, nelle ultime settimane, a favore della Palestina. Il mio appello al popolo di Israele è di guardare oltre il momento, di guardare oltre la rabbia nel sentirsi perennemente sotto assedio, nel vedere un mondo nel quale Israele e Palestina possano coesistere - un mondo nel quale regnino dignità e rispetto reciproci. Ciò richiede un cambio di prospettiva. Un cambio di mentalità che riconosca come tentare di perpetuare l'attuale status quo equivalga a condannare le generazioni future alla violenza e all'insicurezza. Un cambio di mentalità che ponga fine al considerare ogni legittima critica alle politiche dello Stato come un attacco al Giudaismo. Un cambio di mentalità che cominci in casa e trabocchi fuori di essa, nelle comunità, nelle nazioni e nelle regioni che la Diaspora ha toccato in tutto il mondo. L'unico mondo che abbiamo e condividiamo. Le persone unite nel perseguimento di una causa giusta sono inarrestabili. Dio non interferisce nelle faccende della gente, ha fiducia nel fatto che noi cresceremo ed impareremo risolvendo le nostre difficoltà e superando le nostre divergenze da soli. Ma Dio non dorme. Le Scritture Ebraiche ci dicono che Dio è schierato dalla parte del debole, dalla parte di chi è senza casa, della vedova, dell'orfano, dalla parte dello straniero che libera gli schiavi nell'esodo verso la Terra Promessa. Fu il profeta Amos che disse che dobbiamo lasciar scorrere la giustizia come un fiume. La giustizia prevarrà alla fine. L'obiettivo della libertà del popolo palestinese dall'umiliazione e dalle politiche di Israele è una causa giusta. È una causa che lo stesso popolo di Israele dovrebbe sostenere. Nelson Mandela disse che i Sudafricani non si sarebbero potuti sentire liberi finché anche i Palestinesi non lo fossero stati. Avrebbe potuto aggiungere che la liberazione della Palestina libererà anche Israele.

Desmond Tutu
14 Agosto 2014

Originale pubblicato su www.haaretz.com/opinion/1.610687 - Traduzione realizzata dalla Comunità di Avaaz
secure.avaaz.org/it/tutu_to_israelis_free_yourselves/?14...
wheaton80
00giovedì 21 agosto 2014 02:25
M. O.: Usa blocca la consegna di missili Hellfire a Israele

(AGI) - La Casa Bianca ha ordinato al Pentagono di bloccare una consegna di missili Hellfire a Israele, che ne aveva fatto richiesta durante le sue recenti operazioni nella Striscia di Gaza. Secondo quanto riferisce il quotidiano israeliano "Haaretz", funzionari della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato Usa hanno deciso di rivedere le procedure di consegna delle armi a Israele, alla luce dell'inquietudine manifestata dal governo Usa per i danni e le morti provocate dagli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza. Negli ultimi giorni il quotidiano "Wall Street Journal" aveva parlato di un "raffreddamento dei rapporti" tra Washington e Tel Aviv, "una dichiarazione infondata" secondo l'ambasciatore israeliano negli Usa, Ron Dermer, il quale ha detto ieri che "Israele apprezza fortemente l'appoggio ricevuto durante il recente conflitto a Gaza sia dall'amministrazione del presidente Barack Obama che dal Congresso". I missili Hellfire, montati su elicotteri, vengono usati per attaccare bersagli a terra.

14 agosto 2014
www.agi.it/estero/notizie/m_o_usa_blocca_la_consegna_di_missili_hellfire_a_israele-201408141010-est...
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