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E' il momento della Palestina

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2024 18:23
20/11/2012 23:51
 
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Mentre a Gaza piovono bombe e in Israele esplodono razzi, Palestinesi e Israeliani sono sul'orlo di un'altra spirale di violenza e vendette. Ma, proprio ora, l'Autorità palestinese sta per chiedere il riconoscimento all'ONU e questa potrebbe essere un'opportunità incredibile per la pace. Aiutiamoli a farla diventare realtà.

Mentre nel sud di Israele la popolazione vive nella paura dei razzi, a Gaza i palestinesi vivono sotto assedio, imprigionati in una striscia di terreno strettissima. E in Cisgiordania la gente viene espropriata della terra occupata da insediamenti illegali, i malati sono bloccati per ore nel percorso verso gli ospedali dai posti di blocco israeliani e le famiglie sono divise da enormi muri che tagliano in due i loro campi. Ma se i Palestinesi vinceranno la loro scommessa all'ONU per uno stato subito, potremmo assistere all'inizio della fine di 40 anni di occupazione e fare strada a due stati, Palestina e Israele, che possano vivere fianco a fianco in pace e totale sicurezza.

Gli USA e Israele stanno cercando di far saltare il voto all'ONU. Ma l'Europa non ha ancora preso una decisione e i ministri degli esteri europei si incontreranno tra sole 48 ore. Se ci faremo sentire ora potremo convincere l'Europa a votare "Sì" per la pace e la libertà.

[...]

Petizione Avaaz per il riconoscimento della Palestina:

www.avaaz.org/it/palestine_worlds_next_nation_a/?bQyuQbb&...




29/11/2012 23:51
 
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Onu dice sì alla Palestina come stato osservatore. Italia appoggia la risoluzione, deluso Israele

Abu Mazen: «Chiedo il certificato di nascita della Palestina»
E Netanyahu replica: «Un discorso ostile e velenoso»

La Palestina è stato osservatore delle Nazioni Unite. L'Assemblea Generale dell'Onu ha votato sulla risoluzione per il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro. Favorevoli 138 Paesi su 193. Nove i Paesi contrari, 41 gli astenuti.

IL NO DEGLI USA - Per gli Usa che hanno votato contro si tratta di «una risoluzione controproducente» ai fini del raggiungimento dell'obiettivo di «due Stati per due popoli». Lo ha detto l'ambasciatrice Usa all'Onu, Susan Rice, motivando il no degli Stati Uniti. Per il segretario di Stato americano Hillary Clinton il voto: «pone nuovi ostacoli sul cammino della pace». La Santa Sede invece ha espresso la sua soddisfazione: «Accogliamo con favore la decisione dell'Assemblea Generale, con la quale la Palestina è diventata Stato Osservatore non membro delle Nazioni Unite».

L'ITALIA VOTA SI' - L'Italia, a qualche ora dal voto, ha sciolto le riserve e «ha deciso di dare il proprio sostegno alla Risoluzione» come comunica una nota di palazzo Chigi. L'ambasciatore di Israele in Italia ha espresso «una delusione molto grande» per la decisione del governo italiano. «Quando si è molto vicini a qualcuno, quando lo si considera un grande amico, la delusione è più forte», ha spiegato l'ambasciatore, Naor Gilon. Di sentimenti opposti il ministro degli Esteri dell'Anp, Riad Maliki: «Siamo molto contenti per la posizione dell'Italia, chiamerò il ministro Giulio Terzi per ringraziare il governo italiano», sottolinea Maliki. Il capo della diplomazia del governo dell'Anp ribadisce quindi come la recente riunione a Roma del Comitato ministeriale congiunto italo-palestinese «sia stata un'occasione per spiegare le ragioni che ci hanno spinto per andare all'Onu». Da quell'incontro, conclude Maliki, «siamo usciti con un'impressione molto positiva».

TELEFONATA A NETANYAHU- In precedenza il presidente del Consiglio aveva telefonato al premier Netanyahu, ribadendo che questa decisione non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia nei confronti di Israele e ha garantito il fermo impegno italiano ad evitare qualsiasi strumentalizzazione che possa portare indebitamente Israele, che ha diritto a garantire la propria sicurezza, di fronte alla Corte Penale Internazionale. Il presidente dell'Anp Abu Mazen invece «esprime il proprio ringraziamento al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al premier Mario Monti».

ABU MAZEN GUIDA LA DELEGAZIONE- Sul fronte palestinese, il presidente Abu Mazen, parlando all'Assemblea prima del voto aveva chiesto il «certificato di nascita» dello Stato palestinese all'Assemblea generale dell'Onu. «Vogliamo raggiungere la pace e portare nuova vita al negoziato» con Israele, ha spiegato il presidente, ammonendo che «è arrivato il momento di dire basta all'occupazione e ai coloni perché a Gerusalemme Est l'occupazione ricorda il sistema dell'apartheid ed è contro la legge internazionale». E ha ribadito che i palestinesi «non accetteranno niente di meno dell'indipendenza sui territori occupati nel 1967 con Gerusalemme Est». La risoluzione ha avuto l'appoggio di una quindicina di Paesi dell'Ue, Francia e Spagna in testa, ma di fatto ha diviso i 27.

DIPLOMAZIA EUROPEA - La diplomazia europea ha infatti tentato fino all'ultimo ma senza successo di costruire una posizione comune (l'astensione in blocco), ma i singoli Paesi sono andati in ordine sparso. I «no» sono stati meno di dieci- inclusi Israele, Canada, Usa e «i suoi paesi satelliti» - tra tutti i 193 Stati dell'Assemblea. Tra i grandi attori internazionali, Russia e Cina si sono detti a favore del riconoscimento della Palestina come Stato osservatore a partire dalle frontiere del 1967 e con capitale a Gerusalemme Est.

NO ALLO STATO PALESTINESE - In ogni caso, il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha messo in chiaro che il voto all'Onu «non cambierà alcunché sul terreno». In particolare «non avvicinerà la costituzione di uno Stato palestinese, ma anzi la allontanerà ». Comunque «la mano di Israele resta tesa verso la pace», ha assicurato. Inoltre Netanyahu ha definito le parole di Abu Mazen «ostile, non è il discorso di un uomo di pace». D'altro canto l'ambasciatore israeliano all'Onu, Rin Prosor, ha definito la risoluzione «Unilaterale» e «un passo indietro per la pace». «Parlo a nome dell'unico Stato degli ebrei nel mondo» - ha esordito Prosor - «l'unica via per raggiungere la pace è un accordo tra le parti e non attraverso questo voto dell'Onu. Con questa risoluzione l'Onu chiude gli occhi sugli accordi di pace e non conferirà alcuna dignità di Stato». Inoltre, ha sottolineato Prosor, Israele «non permetterà lo stabilirsi di una nova base iraniana del terrore».

www.corriere.it/esteri/12_novembre_29/onu-palestina-voto_5564d9fe-3a09-11e2-8e20-34fd72ebaa...
[Modificato da wheaton80 29/11/2012 23:52]
02/12/2012 10:08
 
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vorrà dire che l'Alleanza Atlantica,senza gli USA e su mandato dell'ONU, attaccherà Israele perchè è in guerra uno (pseudo)Stato (pseudo)membro dell'ONU?
06/12/2012 18:44
 
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Io penso che l'attuale accerchiamento a Israele sia voluto da una fazione che contrasta le intenzioni guerrafondaie dei nazi-sionisti
20/12/2012 01:44
 
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Brzezinsky: gli Stati Uniti non seguiranno Israele come fossero un mulo

Lo stratega americano Zbigniew Brzezinsky rifiuta la strategia israeliana mirata ad esercitare pressioni sul consiglio di sicurezza statunitense al fine di giungere ad un conflitto con l’Iran. “Washington non seguirà Israele, se essa dovesse decidere unilateralmente per un intervento militare contro Teheran” ha dichiarato. Brzezinsky ha affermato di non avere alcuna intenzione di patrocinare una soluzione militare contro l’Iran se Israele dovesse intraprendere una guerra.

La dichiarazione è stata rilasciata durante una conferenza cui hanno preso parte il Consiglio nazionale irano-americano e l’Associazione per il controllo delle armi. Nel caso Israele sferrasse un attacco all’Iran senza che quest’ultimo abbia oltrepassato la “red line” stabilita da Washington, l’America “non sarebbe vincolata a nessun obbligo d’intervento che la portasse a seguire, quasi fosse un mulo, le iniziative di Tel Aviv”. “Se decidono di scatenare una guerra convinti che li seguiremmo incondizionatamente si sbaglierebbero di grosso. Un vero rapporto d’amicizia tra due persone non implica che una possa decidere per entrambe”, ha continuato Brzezinsky. “Credo che gli Stati Uniti abbiano il pieno diritto di sviluppare le proprie strategie di sicurezza in piena autonomia. La maggior parte degli americani, sono convinto, la pensa come me. La chiarezza su questi aspetti è fondamentale, specie se ci siamo impegnati a tutelare Israele”, ha affermato lo stratega. Brzezinsky ha chiarito di sposare la strategia tesa alla “neutralizzazione delle minacce”.

“A meno che qualcuno possa dimostrare, al di là di qualsiasi dubbio, che una nazione con ottanta milioni di abitanti (l’Iran, in realtà, ha una popolazione di 78 milioni di persone) abbia come priorità il suicidio di massa, l’ipotesi di una guerra non è contemplata”. Negli ultimi mesi, l’amministrazione Obama ha più volte respinto le pressioni di Tel Aviv al fine di far rientrare l’America tra gli alleati di Israele in un’eventuale conflitto contro l’Iran. Washington ha più volte ammonito Israele che se dovesse decidere autonomamente per un attacco alle installazioni nucleari iraniane, ne dovrebbe affrontare le conseguenze. Il presidente Obama ha dichiarato di riporre le sue speranze negli effetti delle pesanti misure internazionali comminate a Teheran. Nonostante la posizione assunta da Washington, il premier israeliano Benjamin Netanyahu continua a fare pressioni sulla Casa Bianca affinché si giunga ad uno scontro militare con la Repubblica Islamica.

“Gli americani hanno eletto Obama proprio perché è un uomo di pace”
Jamal Abdi, direttore del Consiglio nazionale irano-americano, ha dichiarato che Obama “è obbligato a seguire la via della diplomazia per quel che riguarda la questione iraniana. Le pesanti critiche che pioverebbero nel caso in cui il presidente sostenesse le tesi israeliane avrebbero un effetto devastante”. Nonostante l’immenso potere di cui dispone la lobby israeliana a Washington, Tel Aviv “non è nelle condizioni di poter contare su un appoggio militare incondizionato da parte degli Stati Uniti contro Teheran”, ha continuato Abdi.

Alle elezioni “gli americani hanno votato per il candidato che prometteva una politica estera tesa al negoziato ed al rifiuto della guerra”. Abdi ha inoltre ricordato che il premier israeliano Netanyahu ha attivamente preso parte all’ultima campagna elettorale statunitense, manifestando in tv la propria posizione anti-democratica. Ora che il candidato da lui sostenuto è stato sconfitto, Netanyahu si trova costretto a rivedere i propri calcoli. Anche Obama si trova nella stessa situazione, dovendo a tutti i costi trovare un modo per accontentare tutti evitando la guerra “patrocinata da influenti gruppi di destra filo-israeliani”.

Jamal Abdi continua tuttavia a ritenere la soluzione militare contro l’Iran come un’opzione realistica. “Se si continua a seguire la via della pressione politica invece di quella diplomatica e se le sanzioni internazionali contro l’Iran continuano ad essere esercitate con questa risolutezza, rendendo di fatto sempre più stretti i margini di trattativa, l’ipotesi di una guerra non è affatto da scartare”, ha riassunto Abdi.

Russia Today
5/12/2012
www.infopal.it/brzezinsky-gli-stati-uniti-non-seguiranno-israele-come-fossero-...
20/12/2012 01:51
 
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ONU: Israele deve aprire i suoi arsenali nucleari

L’assemblea generale dell’ONU ha approvato a grande maggioranza una risoluzione che invita Israele ad aprire il suo programma nucleare per l’ispezione.

La risoluzione, approvata con un voto di 174 a sei con sei astensioni, chiede a Israele di aderire al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) “senza ulteriori ritardi” e aprire i suoi impianti nucleari al controllo da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Quelli a votare contro sono stati Israele, Stati Uniti, Canada, Isole Marshall, Micronesia e Palau.

Le risoluzioni adottate dall’assemblea generale di 193 membri non sono giuridicamente vincolanti, ma riflettono l’opinione pubblica mondiale ed hanno un peso morale e politico. E la risoluzione aggiunge pressione su Israele mentre affronta le critiche sui piani per aumentare insediamenti in Cisgiordania, una mossa vista come rappresaglia per il riconoscimento dello Stato Palestinese da parte dell’assemblea.

Israele si rifiuta di confermare o smentire il possesso di bombe nucleari anche se si crede che le abbia. Si è rifiutato di aderire al trattato di non proliferazione con tre stati che possiedono armi nucleari: India, Pakistan e Corea del Nord.

Israele insiste che vi sia anzitutto un accordo di pace in Medio Oriente prima della creazione di una zona regionale priva di armi di distruzione di massa come è stata proposta. I suoi rivali nella regione sostengono che l’arsenale nucleare di Israele non dichiarato rappresenta la più grande minaccia alla pace nella regione.

Gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione, ma ha votato a favore di due paragrafi in essa che sono stati messi a votazioni distinte. Sia l’adesione e supporto universale al Trattato di Non Proliferazione sia l’appello a quei paesi che ancora non l’hanno fatto di ratificarlo “al più presto”. Gli unici voti negativi su quei punti sono stati di Israele e India.

Il voto è arrivato come conseguenza per la cancellazione di una conferenza ad alto livello mirata a vietare le armi nucleari dal Medio Oriente. Tutti i paesi arabi e l’Iran avevano programmato di partecipare al vertice di metà dicembre a Helsinki, in Finlandia, ma gli Stati Uniti hanno annunciato il 23 novembre che esso non avrebbe avuto luogo, citando sconvolgimenti politici della regione e l’atteggiamento di sfida dell’Iran in materia di non-proliferazione. Iran e alcuni Paesi arabi hanno replicato che la vera ragione per l’annullamento è stato il rifiuto di Israele a partecipare.

Appena prima del voto di Lunedi, il diplomatico iraniano Khodadad Seifi ha detto all’assemblea:“La verità è che il regime israeliano è l’unica parte che ha respinto le condizioni per una conferenza”. Ha fatto quindi appello per “una forte pressione su tale regime perché partecipi alla conferenza, senza precondizioni”.

Il diplomatico israeliano Isi Yanouka ha detto all’assemblea generale che il suo paese aveva continuamente sottolineato il pericolo di proliferazione nucleare in Medio Oriente, individuando l’Iran e la Siria come pericoli. “Tutti questi casi sfidano la sicurezza di Israele e gettano un’ombra oscura sulla prospettiva di intraprendere un significativo processo di sicurezza regionale”, ha detto.

“Il fatto che gli sponsor includono nel linguaggio di questa deliberazione un linguaggio anti-israeliano in merito alla Conferenza 2012 dimostra soprattutto la cattive intenzioni degli stati arabi per quanto riguarda questa conferenza.”

Il diplomatico siriano Abdullah Hallak ha detto al gruppo che il suo governo era arrabbiato perché la conferenza non avrà luogo a causa del “capriccio di una sola parte, una nazione con testate nucleari”.

“Chiediamo alla comunità internazionale di fare pressione su Israele per accettare il TNP, sbarazzarsi del suo arsenale e sistemi di lancio, al fine di consentire per la pace e la stabilità nella nostra regione”, ha detto.

Sponsor principale della conferenza sono gli Stati Uniti, la Russia e la Gran Bretagna. Il ministro degli affari esteri britannico Alistair Burt ha detto comunque che essa è stata rinviata, non annullata.

5 dicembre 2012
fonte: www.guardian.co.uk/world/2012/dec/04/un-tells-israel-nuclear-in...

www.iconicon.it/blog/2012/12/onu-israele-deve-aprire-suoi-arsenali-n...

23/01/2013 15:19
 
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Israele: brutta sorpresa per Netanyahu, governo solo con larghe intese

(ASCA) - Roma, 23 gen - Contro tutte le aspettative della vigilia e i sondaggi, il premier israeliano Benjamin Netanyahu esce sconfitto dalle elezioni con una maggioranza molto ridotta, che lo costringera' a modificare le sue politiche da ''falco'' sulla questione palestinese. Per restare alla guida del governo, infatti, dovra' assolutamente corteggiare i centristi di Yesh Atid, partito fondato dall'ex giornalista Yair Lapid, che e' diventato la seconda forza politica del paese.

I negoziati per la formazione del nuovo governo si preannunciano delicati, visto che i 120 seggi che compongono la Knesset verranno divisi esattamente a meta' fra la destra e il blocco di partiti del centrosinistra, che potrebbe anche cercare di impedire un nuovo mandato, anche se gli analisti ritengono che sia molto piu' probabile una sua riconferma alla guida di un'alleanza molto vasta.

Di sicuro includere il partito di Lapid nella maggioranza lo costringera' a modificare le politiche del governo e a cercare una nuova strada per i colloqui di pace. Il nuovo leader della politica israeliana ha infatti piu' volte ripetuto che non fara' mai parte di un governo che rifiuti le trattative con i palestinesi. ''Lapid e' diventato l'attore principale nel sistema politico'', scrive oggi il quotidiano Haaretz. ''Davanti a se' ha due scelte: diventare capo dell'opposizione o essere il ministro piu' importante del terzo governo Netanyahu''.

Il Likud del premier, insieme ai nazionalisti di Yisrael Beitenu ha ottenuto 31 seggi, mentre la destra religiosa di Jewish Home ne ha ottenuti 11, cosi' come Shas, formazione ultraortodossa sefardita. Altri sette seggi sono andati agli ortodossi ashkenazi della fazione United Torah Judaism, che portano a sessanta i deputati della destra.

Dall'altra parte, Yesh Atid ha ottenuto 19 seggi, superando cosi' i laburisti, che ne hanno conquistati 15. La lista HaTnuah dell'ex ministro degli Esteri, Tzipi Livni, ha ottenuto sei seggi, cosi' come il partito di sinistra Meretz.

Ultimo della lista, il partito Kadima con due seggi.

Dopo gli exit-poll di questa notte Netanyahu e' stato subito costretto a promettere una coalizione ''il piu' ampia possibile'' e Lapid lo ha subito incalzato, chiedendo che nel governo vengano inclusi ''elementi moderati della destra e della sinistra''.

La partecipazione al voto e' stata del 66,6%( [SM=g27825] ), leggermente in rialzo dal 62,5% registrato nelle elezioni del 2009.

www.asca.it/news-Israele__brutta_sorpresa_per_Netanyahu__governo_solo_con_larghe_intese-1240616-...

28/02/2013 05:24
 
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L’Ue condanna l’occupazione di Gerusalemme Est
Bruxelles sollecita sanzioni per boicottare nuove costruzioni nelle colonie ebraiche. Ira di Israele:«Così si incoraggia lo scontro»

27/02/2013

Le attività di insediamento israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme est rappresentano la minaccia maggiore per la costituzione di uno Stato palestinese indipendente al fianco di Israele. Questo l’avvertimento incluso in un rapporto inoltrato a Bruxelles dai consoli generali dei Paesi dell’Ue a Gerusalemme est e a Ramallah, che inasprisce i toni della critica verso il governo Netanyahu e suggerisce apertamente l’adozione di misure punitive a livello economico.

Nel Rapporto, relativo agli sviluppi del 2012, vengono denunciati in particolare i progetti di ulteriore estensione dei rioni ebraici a Gerusalemme est e sono avanzate una serie di raccomandazioni su possibili «sanzioni» da applicare affinché gli insediamenti ebraici non vengano a beneficiare - contro il preciso volere dell’Ue - dell’Accordo d’associazione Israele-Ue.

Nei mezzi di comunicazione israeliani (fatta eccezione per il “liberal” Haaretz) al Rapporto dei consoli è stata finora dedicata scarsa attenzione. A nome del ministero israeliano degli esteri, il portavoce Yigal Palmor ha replicato sostenendo che «compito di un diplomatico dovrebbe essere di gettare ponti, e non di incoraggiare un confronto». Soddisfazione comprensibile invece nell’Autorità nazionale palestinese (Anp), che auspica adesso un’applicazione concreta e puntuale del Rapporto.

Nella parte descrittiva, i firmatari del documento accusano Israele di condurre una «attività di insediamento deliberata, sistematica, provocatoria». Deprecano in particolare il progetto E-1 di collegamento del tessuto urbano ebraico fra Gerusalemme est e la città-colonia di Maale Adumin nonché i progetti di estensione dei rioni ebraici di insediamento di Givat ha-Matos, Ghilo e Har Homa. L’insieme di queste massicce opere edili rischia - ammoniscono i diplomatici europei - di separare fisicamente Gerusalemme da Betlemme, di approfondire le fratture territoriali d’un futuro Stato di Palestina e d’impedire che Gerusalemme est possa diventarne mai la capitale.

Il Rapporto denuncia anche le pratiche amministrative imposte da Israele sui palestinesi di Gerusalemme est (demolizioni di case, sgombero di abitanti, discriminazioni), interpretati come sforzi per indebolirne la presenza. Critiche sono mosse anche al moltiplicarsi di visite ebraiche sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme (per gli ebrei, Monte del Tempio) che potrebbero preludere al tentativo di alterarvi il delicatissimo status quo.

Fra le raccomandazioni avanzate dai consoli vi sono sanzioni economiche nei confronti dei prodotti realizzati nelle colonie e nelle zone d’insediamento ebraico a Gerusalemme est e anche un maggiore controllo dei progetti di cooperazione fra Ue e Israele (anche nel campo della ricerca scientifica) che coinvolgano queste aree. «La colonizzazione - conclude il rapporto - rappresenta una minaccia per la soluzione dei due Stati e dunque sta all’Ue moltiplicare gli sforzi per ostacolarla».

www.lastampa.it/2013/02/27/esteri/l-ue-condanna-l-occupazione-di-gerusalemme-est-QrbT3jHMLbkZ9tbb0TIhZN/pag...
07/03/2013 00:24
 
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I bambini “torturati” nelle carceri isrealiane. Un rapporto ONU accusa Tel Aviv

Gli abusi sui minori sarebbero “diffusi, sistematici e istituzionalizzati secondo il rapporto ONU.

LA COLPA E’ DEI MINORI - Secondo Israele il problema è che c’è da far fronte a “una nuova difficile realtà… un recente aumento del coinvolgimento dei minori palestinesi negli atti di terrore”. Una scusa abbastanza patetica e non solo perché gli attacchi agli israeliani in West Bank sono quasi a zero da anni, mentre il numero di detenzioni non è mai calato. Tutti dati verificabili con facilità, ma anche perché la cronaca racconta di “terroristi” minorenni tra i coloni israeliani, definiti così persino dal governo israeliano, che subiscono un trattamento molto diverso, oltre ad essere mandati assolti anche in presenza di prove mentre i palestinesi sono spesso condannati all’impronta.

IN BALIA DELL’OCCUPANTE - Per i minori palestinesi vale lo stesso principio che vale per i maggiorenni, possono essere arrestati e detenuti a tempo indeterminato a piacimento delle autorità israeliane. E accade a circa 700 di loro all’anno. Il rapporto dell’Unicef comunque riconosce anche i miglioramenti introdotti dagli israeliani, ad esempio cambiando il sistema con i quali li legano in modo che non li ferisca, o imponendo che una volta arrestati possano parlare con un avvocato e avvertire la famiglia del loro arresto. Per decenni non è stato così.

INUMANO - Secondo il rapporto Unicef, il trattamento dei minori palestinesi sarebbe “inumano e degradante”, oltre a non rispettare i loro diritti in quanto umani e in quanto popolazione civile che vive sotto occupazione militare straniera.

RIMEDIERANNO? - Israele ha dichiarato che lavorerà sodo per accogliere i suggerimenti dell’Unicef, ma non si capisce come mai dovrebbe cominciare proprio ora, dopo decine di rapporti identici e dopo avere per anni sottoposto a violentissimi interrogatori e violenze immotivate migliaia di bambini palestinesi senza subire la minima conseguenza o sanzione dalla comunità internazionale.

www.giornalettismo.com/archives/813215/israele-abusa-dei-bambini-pale...
24/03/2013 04:56
 
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Adesso Obama “mediatore” convince. Pace piu’ vicina in M.O.

”Spettacolare, incredibile”: Barack Obama e’ estasiato davanti alle rovine dell’antica citta’ di Petra, in Giordania, ultima tappa del suo primo viaggio in Medio Oriente. Una missione che ha anch’essa dello spettacolare e dell’incredibile: sia per l’entusiasmo che il presidente americano ha scatenato tra i giovani studenti israeliani – a cui si e’ rivolto con uno storico discorso per chiedere di ‘spingere verso la pace’ – sia per i risultati diplomatici raccolti, ben oltre le attese.

Del resto la partenza di Obama da Washington era stata accompagnata da grande scetticismo, sia in patria che in Israele, con tanti dubbi sulla capacita’ del presidente americano di rompere quel muro di diffidenza che sempre c’e’ stato tra lui e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Diffidenza acuita dalla vicenda del nucleare iraniano, con la Casa Bianca che da mesi svolge un ruolo di freno per evitare che Israele agisca unilateralmente attaccando l’Iran. Ma le tante cose sono successe in questi quattro giorni di ‘peregrinaggio’ dell’inquilino della Casa Bianca in Terra Santa dicono che quel muro, se non completamente abbattuto, oggi sembra dividere decisamente meno.

La gran parte della stampa americana loda l’Obama ‘mediatore’, che e’ stato abile nel rassicurare Israele sul fronte della sicurezza e capace di far rappacificare Gerusalemme ed Ankara – con la telefonata di scuse di Netanyahu a Erdogan. E poi, il pressing forsennato per riannodare il dialogo tra le autorita’ israeliane e palestinesi. Un pressing che proseguira’ nei prossimi giorni da parte del segretario di Stato americano, John Kerry, che – rimasto in Medio Oriente – rivedra’ i vertici del governo israeliano e quelli palestinesi per fare il punto dopo i colloqui di Obama con Netanyahu e Abu Mazen: tentando di innescare subito, senza piu’ perdere tempo, la miccia che riaccenda il negoziato di pace.

Con il premier israeliano che oggi – alla guida di un governo piu’ moderato – sembra piu’ aperto verso la soluzione dei ‘due Stati’ e verso una riconsiderazione della politica degli insediamenti nei Territori palestinesi. Due punti su cui il presidente americano ha martellato nel corso della sua storica missione. Missione che si e’ conclusa in Giordania dove Obama ha cercato di rafforzare i legami con il Paese che oggi – dopo l’esito della Primavera araba in Egitto – e’ forse diventato il principale alleato arabo degli Usa nella regione.

Un alleato che e’ pero’ sull’orlo della bancarotta e che ha bisogno del sostegno finanziario degli Usa, anche per fronteggiare l’emergenza dei profughi che scappano dalla guerra civile in Siria. In cambio Obama chiede al re Abdallah una accelerazione sul fronte delle riforme e della democrazia. Per evitare che la Giordania sia travolta anch’essa dall’insurrezione popolare. Finendo in mani ostili all’America.

23 marzo, 2013
www.online-news.it/2013/03/23/adesso-obama-mediatore-convince-pace-piu-vicina-in-m-o/#.UU5...
[Modificato da wheaton80 24/03/2013 04:56]
04/05/2013 02:43
 
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Google "riconosce" la Palestina: no di Israele

Il motore di ricerca più famoso del mondo ha cambiato la denominazione nella versione palestinese della sua homepage. La decisione, malvista da Israele, è stata presa dopo il riconoscimento della Palestina come stato non-membro all'Onu

Un cambiamento impercettibile, non più due parole ma una. Non più Territori Palestinesi, ma Palestina, Falestin in arabo. Il motore di ricerca più famoso del mondo ha cambiato l'intestazione della sua homepage all'indirizzo www.google.ps sdoganando il nome geografico ancora tabù nel vicino Israele. La decisione è stata presa dopo che l'Assemblea generale ha riconosciuto a novembre la Palestina come stato non membro dell'Onu. Immediate le critiche di Israele che da sempre si oppone al riconoscimento della Palestina come stato. "Sorprendente", ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Yigal Palmor. "L'iniziativa di Google suggerisce interrogativi sulle ragioni dietro questa scelta che arriva da un'azienda privata e che irrompe sul terreno della politica internazionale in maniera controversa.

Google comunque", continua Palmor, "non è un'entità politica nè diplomatica, quindi può chiamare qualsiasi cosa con qualsiasi nome senza che questo abbia alcun valore politico o diplomatico". Il colosso di Mountain View si difende. "Stiamo cambiando il nome di 'Territori Palestinesi' in 'Palestina' sui nostri prodotti", ha precisato Nate Tyler, uno dei portavoce di Google. "Quando diamo un nome ai Paesi ci consultiamo con un certo numero di fonti e di autorità internazionali. In questo caso, abbiamo seguito le indicazioni delle Nazioni Unite e dei suoi Paesi membri, dell'Icann (ente che assegna i nomi su internet), dell'Iso e di altre organizzazioni internazionali", ha puntualizzato Tyler.

www.tgcom24.mediaset.it/tgtech/articoli/1093499/google-riconosce-la-palestina-no-di-israe...
27/06/2013 11:05
 
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L’Onu contro Israele: violenta e tortura i bambini palestinesi
Un dossier del Consiglio per i Diritti Umani dell'Onu accusa lo stato d'Israele di torturare, violentare e minacciare i bambini palestinesi, tra le vittime preferite dell'esercito

25 giugno 2013- Continuano a considerarla la "unica democrazia del Medio Oriente", dimenticandosi di tutto il dolore che Israele infligge nei confronti di coloro che fanno parte del suo popolo. Africani fuggiti dalle guerre civili e sbarcati nei territori ebrei, ma, soprattutto, ovviamente, palestinesi. E' quasi possibile effettuare un elenco delle vessazioni e delle ingiustizie a cui i palestinesi sono quotidianamente sottoposti da parte di quel popolo che li ha scacciati dalla loro terra e che ora li segrega e punisce. Sono violenze così abituali che non fanno quasi più orrore; ce le si dimentica, le si sottovaluta. L'ultimo dossier delle Nazioni Unite, però, potrebbe riaccendere l'attenzione internazionale e permettere al mondo intero di comprendere ciò che i palestinesi, anche più piccoli, devono costantemente subire.

Nel dossier stilato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e pubblicato alcuni giorni fa, viene espressa infatti una "profonda preoccupazione circa i maltrattamenti e le torture ai bambini palestinesi arrestati, processati e detenuti da parte della polizia e dei militari israeliani”. Lo stato di Netanyahu si è macchiato di orribili crimini, abusando dei bambini con torture, isolamento carcerario, minacce di morte e violenze sessuali. Bambini che, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno raggiunto ancora neanche l'età adolescenziale. I piccoli verrebbero arrestati durante incursioni notturne nei territori palestinesi.

Bendati, ammanettati e rapiti, quando non sono utilizzati come scudi umani negli scontri a fuoco, vengono trasferiti in centri di detenzione senza che i genitori possano saper nulla sulla loro sorte. Nelle prigioni vengono stuprati e picchiati, sottoposti a violenze psicologiche senza fine, privati di cibo e acqua con l'unico intento di far loro confessare qualche crimine, seppur mai realmente compiuto. Così che, i piccoli, cedono, e ammettono qualsiasi reato, finendo, per tanto, condannati.

Nelle carceri israeliane, di minori palestinesi, ve ne sarebbero circa 7mila, dai 9 ai 17 anni. La media di arresti è di due al giorno. Da quanto emerge dal dossier, la maggior parte dei prigionieri bimbi viene fermata con l'accusa di aver lanciato pietre alle vetture dei soldati israeliani o ai coloni, un reato, questo, punibile con vent'anni di carcere.

www.articolotre.com/2013/06/lonu-contro-israele-violenta-e-tortura-i-bambini-palestines...
[Modificato da wheaton80 27/06/2013 11:05]
19/11/2013 01:37
 
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Onu: primo voto palestinese

(ANSA) - NEW YORK, 18 NOV 2013 - Per la prima volta dalla loro ammissione all'Onu con lo status di osservatori, i palestinesi dell'Anp hanno votato in Assemblea Generale. La maggior parte dei 193 membri dell'Assemblea si sono alzati a applaudire quando l'ambasciatore palestinese Riyad Mansour ha espresso il voto per l'elezione di un giudice del Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia. I palestinesi sono diventati membri osservatori dell'Assemblea il 29 novembre dell'anno scorso.

www.ilsecoloxix.it/p/est/2013/11/18/AQ0p6F0-onu.shtml
13/01/2014 01:17
 
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Fondo olandese scarica banche israeliane: “Hanno filiali in Cisgiordania”

Per il quotidiano israeliano Haaretz l’empasse ammonterebbe solo a poche decine di milioni di euro. Ma la decisione rappresenta un grosso danno d’immagine per le banche di Gerusalemme e potrebbe spingere altre società europee a portare avanti iniziative simili. L’olandese Pggm, tra le maggiori società di gestione fondi pensione d’Europa, ha annunciato in queste ore di aver ritirato i propri investimenti dai cinque istituti di credito israeliani più importanti: Bank Hapoalim, Bank Leumi, First International Bank of Israel, Israel Discount Bank e Mizrahi Tefahot Bank. Il motivo? Hanno filiali in Cisgiordania e finanziano gli insediamenti coloniali nei territori palestinesi occupati. Insomma violano l’articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra, che proibisce a una potenza occupante di trasferire la sua popolazione civile nel territorio che occupa. Per il fondo, che muove un patrimonio di oltre 150 miliardi di euro, le colonie non solo sono illegali rispetto al diritto internazionale, così come stabilito dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aia nel 2004, ma rappresentano un ostacolo a una possibile soluzione nel conflitto israelo-palestinese.

Così la Pggm ha venduto tutte le azioni delle banche in questione e ha assicurato di non aver ceduto a pressioni politiche. Da diversi anni la società dei Paesi Bassi ha cercato una mediazione, ma le banche si sono difese rispondendo che la legge israeliana non permette loro di cessare la fornitura del servizio a soggetti legati agli insediamenti dei coloni. Gli olandesi hanno rimandato la risposta al mittente: “Visto che non ci sarà alcun cambiamento in futuro, abbiamo deciso di tagliare i rapporti”, si legge nel comunicato pubblicato dal fondo pensioni, che dall' 1 gennaio ha smesso di investire nei cinque istituti di credito. Una scelta etica abbracciata dalla compagnia olandese che sembra riflettere la posizione dell’attuale governo di centrosinistra, che considera la presenza di colonie israeliane in territorio palestinese “una minaccia per la pace”.

Nelle ultime settimane Gerusalemme è stata colpita da una serie di boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni per la sua politica di occupazione militare, che hanno fatto balzare dalla sedia parecchi funzionari israeliani. Molti dei quali, poi, proprio dall’Olanda. La decisione della Pggm si somma infatti ad altre simili: il mese scorso l’azienda idrica Vitens ha sospeso le relazioni commerciali con la compagnia idrica nazionale di Israele, Mekorot, date le operazioni di quest’ultima in insediamenti in Cisgiordania. Poche settimane prima, un’altra società olandese, la Haskoning Dhv, specializzata in opere pubbliche, ha annullato un progetto per costruire un impianto di trattamento delle acque reflue a Gerusalemme Est. Il governo israeliano ha già espresso il suo disappunto per l’atmosfera “incline al boicottaggio che sembra arrivare dall’Olanda”. Dal ministero degli Esteri di Amsterdam hanno fatto sapere però che la decisione, presa in particolare dalla Pggm, è stata “indipendente e senza alcuna nostra intromissione”.

Silvia Ragusa
12 gennaio 2014
www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/12/fondo-olandese-scarica-banche-israeliane-hanno-filiali-in-cisgiordania...
[Modificato da wheaton80 13/01/2014 01:19]
03/06/2014 01:01
 
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Medio Oriente – Giura il nuovo governo di unità palestinese. Scontro USA-Israele

RAMALLAH - Ha giurato di fronte al presidente Abu Mazen nella Muqata di Ramallah il nuovo governo di unità nazionale palestinese, presieduto da Rami Hamdallah. "Oggi con la formazione di un governo di consenso nazionale - ha detto Abu Mazen - annunciamo la fine di quelle divisioni in seno al popolo palestinese che hanno danneggiato la nostra causa nazionale".

"E' il governo di tutto il popolo palestinese" -
L'esecutivo nasce dopo la riconciliazione fra Hamas, gruppo definito terrorista da Usa e Ue e che governa la Striscia di Gaza formalmente dal 2007, e al-Fatah, il movimento palestinese più moderato che controlla la Cisgiordania. Secondo le prime informazioni, i ministri incaricati da Hamdallah sono 17. Hamas si è felicitato per la formazione del nuovo governo palestinese. "E' il governo dell'intero popolo palestinese" ha detto il suo portavoce Sami Abu Zuhri. Un altro portavoce di Hamas ha detto che quella di oggi è per gli abitanti della Striscia "una giornata di gioia".

Gli Usa: "Giudicheremo dai fatti" -
Gelando le aspettateive di Israele, gli Stati Uniti hanno confermato che collaboreranno e aiuteranno il nuovo governo di unità nazionale palestinese. Il dipartimento di Stato americano, infatti, ha chiarito che il nuovo esecutivo sarà giudicato solo sulla base delle sue azioni e che il presidente dell'Anp e leader di Fatah Abu Mazen "ha formato un governo di (soli) tecnocrati che non include membri di Hamas. Pertanto, alla luce di quello che sappiamo, lavoreremo con questo governo", anche se gli aiuti economici saranno calibrati sulla base delle azioni dell'esecutivo palestinese.

L'ira di Israele - Le autorità israeliane, invece, si sono dette "profondamente deluse" dalla posizione dialogante degli Stati Uniti nei confronti del governo Fatah-Hamas. Lo hanno fatto sapere ufficiali dello Stato ebraico, dietro anonimato. Dopo il giuramento, il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha convocato il consiglio di sicurezza del proprio governo. Un ministro nazionalista, Uri Ariel, del partito 'Focolare ebraico', ha intanto pubblicato un duro comunicato in cui accusa il presidente palestinese Abu Mazen di aver oggi costituito "un governo terroristico assieme con assassini", ossia Hamas.

02 giugno 2014
www.repubblica.it/esteri/2014/06/02/news/mo_giura_il_nuovo_governo_palestinese_di_unit-8...
27/06/2014 23:28
 
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L’UE sfida Israele. Bruxelles ai paesi membri:“Non fate affari con le colonie”

L’Unione europea ha chiesto ai cittadini e alle società europee di non fare affari negli insediamenti israeliani, affermando che esistono rischi di tipo legale, economico e di reputazione nel condurre attività simili nei territori che l’Ue considera occupati illegalmente. L’invito è contenuto in un comunicato diffuso dal ministero degli Esteri italiano a nome dell’Ue, di cui l’Italia assumerà la presidenza di turno la prossima settimana. Le compagnie che hanno rapporti economici con gli insediamenti dovrebbero prendere in considerazione le violazioni dei diritti umani e “le potenziali implicazioni negative di tali attività sulla loro reputazione o immagine”, afferma il comunicato, aggiungendo che le transazioni finanziarie, gli investimenti, gli acquisti, i contratti e il turismo negli insediamenti creano vantaggi solo ai coloni. E’ di ieri la notizia, pubblicata dal quotidiano israeliano Haaretz, che 5 paesi europei, tra cui l’Italia, sono decisi ad ‘avvertire’ i propri cittadini a non impegnarsi in “attività finanziarie o investimenti” nelle colonie israeliane in Cisgiordania e nelle Alture del Golan annesse dallo stato di Israele. Una mossa che può significare di fatto boicottaggio economico degli insediamenti nei Territori occupati e che appare una risposta al governo di Benyamin Netanyahu dopo il nuovo fallimento delle trattative di pace – promosse dagli Usa – tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese (Anp). La Francia – riportava ieri Haaretz con grande evidenza – ha di recente pubblicato sul sito del proprio ministero degli esteri un “avviso” con il quale si ricorda che le colonie israeliane sono considerate illegali in base al diritto internazionale e che di conseguenza le attività economiche in queste realtà comportano rischi legali. Il quotidiano – che cita una fonte diplomatica francese – ha sostenuto che la decisione di Parigi farebbe parte di “un’azione congiunta” da parte dei cinque maggiori Paesi dell’Ue: oltre la Francia, anche la Germania, la Gran Bretagna,l’Italia e la Spagna. La novità di questo processo – secondo il giornale – e’ costituita dall’attuale posizione francese (che segue analoghi “avvisi” già diffusi da Germania e Gran Bretagna nei mesi corsi) e l’adesione, dopo lo stop dei negoziati, di Italia e Spagna. “Gli avvisi di lavoro non dovrebbero essere accolti come una sorpresa. Gli stati membri hanno perso la pazienza nel non essere interpellati”, ha detto il rappresentante dell’Ue in Israele Lars Faaborg-Andersen. “Se continuerà l’espansione delle colonie, altre nazioni Ue – ha aggiunto il rappresentante dell’Ue – emetteranno simili avvisi”. “Questo è un segnale molto incoraggiante da parte dei paesi europei – esulta il membro dell’Olp, Hanan Ashrawi – specialmente perché questa presa di posizione si rivolge ai cittadini del settore privato”. “E’ chiaro – ha proseguito la Ashrawi – che i paesi europei non vogliano essere più complici della politica di insediamenti israeliana e cerchino di applicare la legge internazionale anche entro i propri confini”.

27 giugno 2014
www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/27/lue-sfida-israele-bruxelles-ai-paesi-membri-non-fate-affari-con-le-colonie/...
22/07/2014 02:22
 
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Israele cerca solo di guadagnare tempo



1. Secondo lei, signor Kandil, fino a che punto Israele potrebbe spingere il suo assalto a Gaza?
Penso che Israele sia in difficoltà perché non può permettersi la pace che legittimerebbe la sua esistenza, come non può permettersi una guerra che gli consenta di tornare al “periodo delle iniziative”. Questo è il motivo per tale ennesima aggressione a Gaza, distruggendo tutto ciò che può colpire, armi, capi, combattenti e infrastrutture, ritenendo che ciò gli darebbe notevoli benefici nella prossima fase del conflitto. Guadagnare tempo sembra essere “l’unica strategia del momento” di fronte alla nuova mappa regionale che si delinea, dove non è più un fattore decisivo. Questo è anche il motivo per cui retrocede sulla creazione dello Stato curdo, che all’inizio ha incoraggiato [1]; il clima internazionale e regionale è dominato da avvertimenti contro i pericoli della partizione dell’Iraq.

2. Altre guerre d’Israele sono dunque in vista?
Quello che posso assicurare è che se Israele decide di impegnarsi in una guerra aperta e totale, troverà una Resistenza pronta ad andare fino in fondo e senza alcuna intenzione di lasciare porte aperte agli “aggiustamenti” che continua a pretendere ogni giorno [...]

3. Dice che Israele non ha una strategia chiara e che cerca solo di guadagnare tempo. Perché?
Penso che tutto ciò che la nostra regione ha vissuto dalla guerra d’Israele contro il Libano, nel luglio 2006, sia il risultato del rapporto intitolato “Baker-Hamilton” presentato al presidente George W. Bush il 6 dicembre 2006 [2] [3]. In realtà, sono passati otto anni, e il Libano era sull’orlo di una guerra memorabile che ha imposto una nuova equazione regionale dopo “l’erosione della deterrenza israeliana“. Per cui è nato il nuovo approccio statunitense, presentato in tale famosa relazione firmata e supervisionata dai due pilastri democratico e repubblicano alla guida dei servizi segreti e degli Esteri, e Consiglieri della Sicurezza Nazionale… In breve, la relazione invita gli Stati Uniti a fare tutto il possibile per risolvere il conflitto israelo-palestinese, implicitamente riconoscendo:

• La sconfitta del progetto statunitense in Iraq e in Afghanistan
• Il fallimento del ruolo regionale d’Israele
• L’emergere di potenze regionali concordi con gli Stati Uniti nel salvare l’Iraq e stabilizzare la regione

Ciò sulla base del ritiro statunitense da Afghanistan e Iraq, con:

• L’accettazione di una partnership USA-Russia per gestire la stabilizzazione della regione
• Il riconoscimento del ruolo centrale dell’Iran, Stato nucleare, su Afghanistan, Iraq e Stati del Golfo
• Il riconoscimento del ruolo influente della Siria nel Levante

Ma la cosa più importante di tale relazione è spingere Israele ad attuare le risoluzioni delle Nazioni Unite sul conflitto arabo-israeliano, tra cui:

• Uno Stato palestinese nei territori occupati nel 1967 con capitale Gerusalemme est
• Una giusta soluzione al problema dei profughi sulla base della “risoluzione 194″ garantendo il diritto al ritorno e al risarcimento
• La restituzione del Golan siriano occupato alla linea del 4 giugno
• Il ritorno ai libanesi delle fattorie Shaba

Dal dicembre 2006 viviamo le conseguenze della denigrazione del rapporto Baker-Hamilton con una serie di guerre per procura e conflitti che insanguinano l’asse della Resistenza. Nessuno conosce la portata della cooperazione tra Israele e Stati del Golfo, come Arabia Saudita e Qatar, per contrastare le raccomandazioni della relazione strategica degli Stati Uniti, o trovare alternative e quindi ignorare la Roadmap che raccomanda di garantire la necessaria stabilità regionale. Tali imbrogli si sono complicati passo passo. Per iniziare, c’erano le elezioni iraniane del 2008 con il piano di rovesciare il Presidente Ahmadinejad ed imporre Muhammad Khatami al potere con la promessa di permettere all’“Impero iraniano il suo dossier nucleare” contro l’abbandono della causa palestinese. All’epoca, Martin Indyk aveva parlato di “rovesciare l’Iran in Palestina”. Tale scommessa fallì, e la prima guerra contro Gaza ebbe luogo, ancora con lo stesso slogan di Indyk: “rovesciare l’Iran in Palestina”. Consacrata la sconfitta d’Israele, la ripresa del percorso di pace fu ridotta ad imporre all’Autorità palestinese ulteriore obbedienza. Quindi nel 2010 il piano di Hillary Clinton per una pace israelo-palestinese “parziale” fatta di concessioni minime degli israeliani. Ma l’estremismo israeliano è responsabile della distruzione del piano di Clinton, il piano d’Israele è una pace che si traduca nell’”alleanza arabo-israeliana contro l’Iran“. In altre parole, i sionisti hanno scelto di costruire tale alleanza invece di accettare il basso costo che avrebbe rappresentato lo smantellamento del 10% degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, per garantire la continuità territoriale tra le parti del residuale mini-Stato palestinese.

4. Israele continuerà a guadagnare tempo iniziando altre guerre di logoramento, senza esaurirsi?
Dalla sconfitta d’Israele nella sua guerra contro il Libano, nel luglio 2006, riteniamo che non sia più questione di guerra aperta israeliana o statunitense. Ma la negazione di nuove realtà sul terreno riempirebbe il vuoto strategico dopo il ritiro degli Stati Uniti da Iraq e Afghanistan. Pertanto, dal dicembre 2006, cioè negli ultimi otto anni, Israele cerca di evitare di pagare il conto della Baker-Hamilton, creando ogni sorta di problema per paralizzare l’Asse della Resistenza formato da Iran, Siria, Hezbollah e anche Hamas. Opportunamente, l’esplosione della cosiddetta “primavera araba” certamente nata dalla rabbia popolare contro i loro governanti, è stata l’occasione per Stati Uniti, Turchia e Qatar d’ adottare la loro idea di affidare il potere regionale ai Fratelli nusulmani, con l’idea che l”impero ottomano’ avrebbe ereditato il potere in Tunisia ed Egitto, con alla sola condizione di abbandonare la Siria. La guerra “universale” contro la Siria ha avuto quindi luogo, ma è fallita, mentre la strategia del caos ha creato un ambiente favorevole al terrorismo e al suo radicamento, con il rischio che il califfato del SIIL divida l’Iraq ed altre entità della regione… Nel frattempo, Hamas ha perso l’illusione che l’identità condivisa con i Fratelli musulmani prevalesse sull’appartenenza alla resistenza palestinese. Ma dopo il fallimento delle vittorie in Egitto e Siria, ha rivisto i conti. I neo-ottomani sono stati sconfitti e il “Fronte del Rifiuto” si avvicina alla vittoria, Hamas non riesce a trovare il suo posto che rientrando nella trincea della resistenza all’occupazione israeliana. Israele ha fallito nonostante i ripetuti tentativi di minare la Resistenza. Indipendentemente dalle posizioni assunte da certi capi di Hamas, qualsiasi siano i disaccordi con Fatah. Ciò che conta è che le Brigate al-Qasam (ramo militare di Hamas) operino e siano pienamente impegnate nella lotta contro l’aggressione israeliana a Gaza. Israele ha scommesso sulla sconfitta della Siria, e sulla sconfitta di Hezbollah in Siria, sostenendo i vari rami di al-Qaida con i suoi raid aerei [4] su Jamraya [Centro di ricerca scientifica a nord ovest di Damasco], nella speranza che vincessero la guerra ad al-Qusayr [maggio 2013], i raid su Janta affinché vincessero a Yabrud, e i raid su al-Qunaytra per imporre la cintura di sicurezza alla cosiddetta opposizione siriana complice. Ma tutti questi piani sono falliti, uno dopo l’altro. Israele oggi è in ansia perché incapace di scatenare una guerra ma anche di aspettare. Questo mentre il mondo assiste alla cristallizzazione di due campi, uno che rappresenta le crescenti forze di Russia, Cina, Brasile e altri Paesi BRICS, l’altro guidato da Washington, sconfitto in Ucraina e Siria e che si prepara ad altre sconfitte in Yemen e Iraq… Israele si trova ad affrontare una nuova equazione basata sulla previsione di ciò che potrebbe derivare dal ritiro statunitense dall’Afghanistan, alla fine dell’anno, ora che l’Iraq è alleato di Siria e Iran, con un accordo tra occidente ed Iran si profila all’orizzonte e segnali indicanti la vittoria siriana che appaiono, mentre l’opposizione a uno Stato curdo nato dalla partizione dell’Iraq è quasi unanime, nonostante il suo dichiarato sostegno. Sa che le condizioni per una nuova guerra saranno diverse da quelle della guerra del 1973, come previsto da una relazione del Shabak [servizio di sicurezza interna d'Israele] nel 2010… Israele non potrà vincere una nuova guerra contro una resistenza che si prepara ad ogni evenienza, soffrendo dello stesso deficit strutturale che ha causato le sue sconfitte precedenti. Tutto ciò che ottiene da tale nuovo assalto su Gaza, è reindirizzare la bussola sulla “causa prima”: la lotta contro l’occupazione e la colonizzazione della Palestina.

5. Cosa ne pensate della nomina di Staffan de Mistura a successore di Laqdar al-Brahimi[5]?
Ad ogni fase della guerra contro la Siria, corrisponde un inviato con una specifica missione. Kofi Annan alla fine si dissociò con dimissioni storiche. Laqdar Brahimi, la cui unica missione era condurre colloqui politici, fece ciò che poteva. Qui siamo nella fase della scelta di De Mistura, probabilmente per le sue competenze tecniche e diplomatiche. Tecnicamente curò la prima missione dell’ONU di lancio di aiuti alimentari [Ciad – 1973], fu vicedirettore del Programma alimentare mondiale [2009-2010]. Diplomaticamente, ha ricoperto vari incarichi presso le Nazioni Unite [6], in particolare come rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Afghanistan [2010-2011], Iraq [2007-2009] e Libano [2001 - 2004]. Pertanto, la sua nomina suggerisce l’esistenza di una nuova mappa regionale dall’Afghanistan al Libano, dove per anni ha gestito il conflitto tra Hezbollah e Israele e lo Stato libanese. In altre parole, ha le chiavi del conflitto arabo-israeliano. Probabilmente non controlla sufficientemente il dossier siriano, ma può essere compensato dalle sue numerose relazioni con personalità regionali, che si precipiteranno, come dovrebbero, per renderlo edotto dei più piccoli dettagli.

6. Secondo Voi, qual è la missione di De Mistura?
Preparare il tavolo per la nuova mappa regionale. Come mediatore delle Nazioni Unite nel conflitto siriano, può passare dalla Siria a Iraq, Afghanistan e Libano. Penso che sarà il partner principale del presidente egiziano al-Sisi.

7. Tale nuova carta regionale richiede la partizione dell’Iraq?

Non credo assolutamente.

8. Eppure molti dicono il contrario, prevedendone la partizione in tre Stati: sunnita, sciita e curdo. Alcuni parlano anche di uno “Stato del SIIL!”

In sostanza, l’idea di partizione, non solo dell’Iraq, si basa sulla tesi di Bernard Lewis, il famoso storico statunitense [7], la cui tesi venne discussa sotto l’egida della NATO a Francoforte nel novembre 2012. La domanda era: “Dovremmo mantenere i confini tracciati da Sykes-Picot, o dovremmo riprogettarli sulla base dei dati demografici regionali?“, cioè in base alle popolazioni sunnita, sciita, curda, alawita, ecc… tale partizione in linea di principio sarebbe più facile in Iraq che altrove. Se dovesse avvenire, il secondo passo dovrebbe portare alla partizione della Turchia, creando uno Stato curdo nei suoi territori orientali, e non dell’Iran, al 90% dalla stessa confessione. Ciò spiega l’immediata ritirata dei capi turchi che iniziano a rendersi conto che pagheranno per l’aggressione alla Siria, soprattutto per Qasab e Aleppo. Da parte loro, i sauditi hanno finalmente capito che rischiano grosso vedendo gli Houthi alla periferia di Sana, e la minaccia della creazione di uno Stato sciita sulle coste petrolifere orientali del loro regno. Ecco perché credo che la decisione sarà altra che non la partizione, ed è per questo motivo che quattro dichiarazioni dicono NO ad uno Stato curdo in Iraq! Di Ban ki Moon [8], del Presidente al-Sisi [9], dal comunicato congiunto Stati Uniti e Russia, del numero due della sicurezza nazionale alla Casa Bianca, Tony Blinken, che ha dichiarato che “l’unità dell’Iraq è l’obiettivo da difendere“. E quando si dice ciò, s’intende NO alla partizione dell’Iraq!



Nasser Kandil, 11/07/2014, sintesi di due interventi: Video di al-Mayadin, MN Kandil è intervistato da Diya Sham (http://www.youtube.com/watch?v=jaY6mbwJuTg) e articolo su al-Bina (http://al-binaa.com/albinaa/?article=9240)

Trascrizione e traduzione di Mouna Alno-Nakhal per Mondialisation.ca

Note

[1] www.985fm.ca/international/nouvelles/le-pm-israelien-se-prononce-en-faveur-d-un-kurdist-328...
[2] online.wsj.com/public/resources/documents/WSJ-iraq_study_g...
[3] en.wikipedia.org/wiki/Iraq_Study_Group
[4] www.leparisien.fr/international/raid-israelien-en-syrie-au-moins-15-morts-06-05-2013-2783221.php#xtref=http%3A%2F%2Faurorasito.wordpress.com%2F2014%2F07%2F20%2Fisraele-cerca-solo-di-guadagnare-...
[5] www.lapresse.ca/international/dossiers/crise-dans-le-monde-arabe/syrie/201407/09/01-4782537-staffan-de-mistura-succedera-a-brahimi-comme-media...
[6] en.wikipedia.org/wiki/Staffan_de_Mistura
[7] fr.wikipedia.org/wiki/Bernard_Lewis
[8] www.aa.com.tr/fr/news/346350--lirak-doit-avoir-un-etat-unique-selon-ban...
[9] www.lexpressiondz.com/linformation_en_continue/198097-egypte-pour-sissi-un-referendum-au-kurdistan-irakien-serait-une-quot-catastrophe-q...

Nasser Kandil - Global Research, 16 luglio 2014
Nasser Kandil è un ex-deputato libanese ed direttore di TopNews-Nasser-Kandil e del quotidiano libanese al-Bina

Traduzione di Alessandro Lattanzio
aurorasito.wordpress.com/2014/07/20/israele-cerca-solo-di-guadagnar...
[Modificato da wheaton80 22/07/2014 02:28]
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Rabbini ebrei contro "Ebrei Sionisti"

29/07/2014 16:56
 
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La polizia di Tel Aviv:«Netanyahu sapeva che i 3 ragazzi erano stati uccisi subito, e non da Hamas»

Crolla il castello di carte di Benjamin Netanyahu. A soffiarci su è la sua stessa polizia. Due giorni fa il portavoce della polizia israeliana, Micky Rosenfeld, avrebbe rivelato alla Bbc che la leadership di Hamas non è stata coinvolta nel rapimento e l’uccisione dei tre coloni, Naftali Fraenkel, Gilad Shaer e Eyal Yifrah, il 12 giugno scorso. Dietro l’azione, una cellula separata che ha agito da sola. A rivelarlo è Jon Donnison in una serie di tweet in cui il corrispondente della Bbc riporta le dichiarazioni di Rosenfeld: «Il portavoce mi ha detto che gli uomini che hanno ucciso i tre coloni israeliani sono una cellula separata, affiliata ad Hamas, ma non operante sotto la sua leadership. Ha anche detto che se il rapimento fosse stato ordinato dai leader di Hamas, lo avrebbero saputo prima». Dichiarazioni che minano alla base la campagna punitiva lanciata dal governo israeliano e l’offensiva contro Gaza. «Sono stati rapiti e uccisi a sangue freddo da animali – disse dopo il ritrovamento dei tre corpi il premier – Hamas è responsabile e Hamas pagherà». Ben prima era cominciata una durissima operazione militare contro Cisgiordania e Gaza, subito dopo la scomparsa dei tre nei pressi di una colonia vicino al villaggio palestinese di Halhul, alle porte di Hebron. Il governo di Tel Aviv accusò immediatamente Hamas, nonostante il movimento abbia da subito negato qualsiasi coinvolgimento. In due settimane, fino al 30 giugno, giorno del ritrovamento dei tre corpi a poca distanza dal luogo del rapimento, 7 palestinesi sono stati uccisi, oltre 550 sono finiti in manette (molti dei quali rilasciati nell’autunno 2011 con l’accordo Shalit), perquisizioni, permessi di lavoro ritirati, raid nei villaggi. E bombardamenti, i primi, isolati, contro la Striscia. Un’operazione che Israele giustificò con la necessità di ritrovare vivi i tre coloni. Eppure il governo israeliano, lo Shin Bet (i servizi segreti) e l’esercito sapevano – dicono diversi giornalisti – fin dal primo giorno che i tre erano già stati uccisi. La sera del rapimento uno di loro chiamò il numero di emergenza della polizia chiedendo aiuto. Durante la telefonata, registrata, si sentono degli spari e qualcuno gridare «ne abbiamo tre». I tre coloni erano già morti. E Israele ne era conoscenza. Subito il governo ha imposto il silenzio stampa ai media israeliani e lanciato una brutale campagna di propaganda, sia all’estero che in casa, contro il movimento islamista. Nei giornali e le tv non sono passate notizie fondamentali, come il ritrovamento dell’auto con cui i tre coloni erano stati portati via e all’interno della quale erano state trovate tracce di sangue.

Intanto, fuori dalle stanze dei bottoni, si infiammava la rabbia della società israeliana e si innalzavano a livelli incontrollabili i tassi di violenza e razzismo anti-arabo, contemporaneamente al grado di consenso del premier Netanyahu. Impossibile per Tel Aviv lasciarsi scappare una simile occasione: liberarsi di Hamas, giustificandola con un atto tanto brutale, e scaricare la colpa per il fallimento dei negoziati di pace sulla controparte palestinese. In realtà, hanno rivelato fonti militari dopo il lancio dell’operazione Barriera Protettiva contro Gaza, i generali dell’esercito avevano sul tavolo da almeno due mesi il piano di attacco contro la Striscia. E Hamas? Difficile credere che abbia ordito l’operazione, consapevole che avrebbe provocato una reazione in grado di far crollare il processo di riconciliazione nazionale con Fatah. Al momento del rapimento, il movimento islamista viveva una profonda crisi politica ed economica: isolato dal resto del mondo arabo, privo dei finanziamenti e della legittimità politica che gli garantiva l’Egitto del presidente islamista Morsi, incapace perfino di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici di Gaza, Hamas aveva estremo bisogno del governo di unità nazionale con il rivale Fatah. A livello politico, il rapimento dei tre coloni sarebbe stato un suicidio. Se l’opinione pubblica israeliana non ha mai voluto mettere in discussione le scelte del proprio governo, bevendosi bugie e omissioni, una piccolissima fetta della società israeliana non è rimasta in silenzio. Nei giorni scorsi sono state tante le manifestazioni di protesta a Tel Aviv, Jaffa e Haifa contro i massacri in corso a Gaza. Migliaia di persone in strada, fino a ieri: il movimento pacifista israeliano ha organizzato una grande protesta a Tel Aviv che la polizia ha tentato di impedire. «Le forze di sicurezza hanno bloccato i bus da Haifa e Gerusalemme, chiuso le strade e minacciato di arrestare chiunque vi prenda parte – ci dice al telefono uno degli attivisti israeliani – Andremo comunque, vediamo cosa succede. La giustificazione che hanno dato è il pericolo di missili». Alle 20, ieri sera, erano già 3.000 i pacifisti in marcia.

Chiara Cruciati
26.7.2014
ilmanifesto.info/attacco-preordinato/
31/07/2014 03:04
 
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La verità del massacro di Gaza – Lettera dell’attore Javier Bardem



L’attore Javer Bardem ha scritto una lettera pubblicata su El Diario, con la quale accusa Israele per le violenze in atto a Gaza: solo le alleanze geopolitiche e l’ipocrisia del mondo degli affari, a partire per esempio dalla vendita di armi, possono spiegare la posizione vergognosa di Usa e Ue. Ecco la lettera integrale:

“Non è possibile essere equidistanti o neutrali, nel vergognoso orrore che sta avendo luogo a Gaza. È una guerra di occupazione e sterminio contro un popolo senza risorse, confinato in un territorio esiguo, senza acqua; dove ospedali, ambulanze e bambini sono considerati bersagli e presunti terroristi. Difficile da capire ed impossibile da giustificare. Così come vergognoso è il comportamento della comunità internazionale occidentale che sta permettendo questo genocidio. Non riesco a comprendere questa barbarie, che la storia passata del popolo ebreo rende ancor più tristemente incomprensibile. Solo le alleanze geopolitiche, e quella maschera ipocrita che è il mondo degli affari – a partire, per esempio, dalla vendita di armi – possono spiegare la presa di posizione vergognosa di Usa, Ue e della Spagna. So già che, come sempre, c’è chi delegittimerà, adducendo fatti privati, il mio diritto a esprimere un’opinione, quindi ci tengo a mettere in chiaro I seguenti punti:

- Sì, mio figlio è nato in un ospedale ebreo, perché persone a cui voglio bene e che mi sono vicine sono di religione ebraica. Essere di religione ebraica non vuol dire appoggiare questo massacro, allo stesso modo in cui essere ebreo non equivale ad essere sionista. Ugualmente, essere palestinese non vuol dire essere per forza un terrorista di Hamas. Fare questa confusione è assurdo, come lo sarebbe dare del nazista a qualcuno solo in quanto Tedesco

- Sì, lavoro anche negli Stati Uniti, dove ho tanti amici e conoscenti ebrei che rifiutano l’intervento armato israeliano e la sua politica di aggressione. Proprio ieri, uno di loro per telefono mi diceva: “Non si può parlare di legittima difesa, mentre si stanno ammazzando dei bambini”. E non è il solo, ho anche molti altri amici con cui discuto su questo tema, confrontandoci apertamente

- Sì, sono Europeo, e mi indigna questa Unione che dice di rappresentarmi con il suo silenzio e la sua vergogna senza fine

- Sì, vivo in Spagna, pago le tasse in questo Paese, e non voglio che i miei soldi servano a finanziare politiche volte ad appoggiare il perpetrarsi di questa barbarie, facendo affari con paesi che si arricchiscono uccidendo bambini innocenti

- Sì, mi indigna, mi riempie di vergogna e dolore tutta questa ingiustizia, così come l’assassinio di questi Esseri Umani. Questi bambini sono nostri figli: è spaventoso. Non posso che sperare che si estingua, nel cuore di questi assassini, questo veleno sanguinario che solo crea ancora più risentimento e più violenza, e lasci spazio a un sentimento di compassione. Sperando che un giorno, gli israeliani e i palestinesi che solo sognano la convivenza e la pace, possano finalmente vedere avverato il loro desiderio”

Fonte: www.eldiario.es/zonacritica/Carta-Javier-Bardem-masacre-Gaza_6_285281...
28 luglio, 2014
www.dionidream.com/verita-massacro-gaza-lettera-dellattore-javier...
[Modificato da wheaton80 31/07/2014 03:14]
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