Francia: idea uscita euro contagia le istituzioni

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wheaton80
00mercoledì 17 maggio 2017 02:12
Magaldi: il supermassone Macron è un bambino nato morto

«Se avesse vinto Marine Le Pen, forse il ripensamento sull’Europa sarebbe stato più rapido. Così invece, per scuotersi, bisognerà soffrire la continuazione della stagnazione, per la Francia e per l’Europa. Vale quello che dissi tanti anni fa per Berlusconi: lasciatelo governare, e si capirà che è un cattivo statista». Gioele Magaldi non ha dubbi: Emmanuel Macron riuscirà nella “missione impossibile” di far rimpiangere addirittura Hollande, passato alla storia come il meno stimato di tutti i presidenti francesi:«Macron è il prodotto “surgelato”, preconfezionato e perfetto per non cambiare nulla, cioè per riproporre quella stessa subalternità politica, istituzionale e sostanziale nell’adesione a un certo paradigma economico che hanno avuto Sarkozy e Hollande». Lo strano entusiasmo manifestato anche dal mainstream italiano per il neo-inquilino dell’Eliseo, paragonato a Renzi all’insegna del “nuovo”? Ma no:«Renzi e Macron sono vecchi: sono personaggi vecchi, anche se appaiono giovani grazie ai loro modi pieni di ritmo». E attenzione, non hanno un gran futuro davanti:«Così come Renzi non inganna più nessuno – la sua vittoria nel PD è un pò il canto del cigno – così Macron è un bambino nato morto, politicamente». All’indomani del voto francese, in collegamento con David Gramiccioli di “Colors Radio”, si esprime senza mezzi termini il massone progressista Magaldi, Presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”. Emmanuel Macron, insiste Magaldi, rappresenta «la perfetta continuità rispetto a quello che è stato il mediocre Hollande», ma forse il successore «ha capacità anche minori di Hollande, che era un oscuro burocrate di partito ma almeno aveva una sua “praticaccia”: Macron invece non ha altrettanta esprienza». Già banchiere Rothschild, ha fatto il consulente e poi il Ministro proprio di Hollande. In più è il pupillo del supermassone reazionario Jacques Attali. Non a caso, aggiunge Magaldi, lo stesso Macron vanta precise ascendenze massoniche, «nella Ur-Lodge “Fraternitè Verte”, dove lo ha portato lo stesso Hollande, e nell’ambigua superloggia “Atlantis Aletheia”, dove hanno convissuto moderati, sedicenti progressisti e reali conservatori; un circuito che fu importante, a suo tempo, nel traghettare la dittatura dei colonnelli in Grecia verso il ritorno alla democrazia». Il suo mentore Attali? «Un raffinato massone, un intellettuale di spessore», ma che purtroppo «operando sul versante del sedicente centro-sinistra ha compartecipato alla costruzione di quest’Europa matrigna, tecnocratica e oligarchica». Un’operazione cosmetica, quella che ha portato Macron all’Eliseo.

E, nonostante i lodevoli sforzi per rendere più laica la sua piattaforma, Marine Le Pen non poteva vincere:«Con un’avversaria così, impossibilitata a diventare maggioritaria, vincerà sempre l’altro, il candidato della continuità con questa gestione pessima dell’Europa». Magaldi poi sorride, di fronte a «tutta questa empatia sbandierata da Gentiloni e Renzi per Macron», e spiega:«Sarebbe come esultare se in Germania vincesse Schulz sulla Merkel, due che sono come i ladri di Pisa: litigano di giorno ma poi, la notte, vanno a rubare insieme». Stessi programmi, identico paradigma per l’Europa. «Macron riprodurrà quello stile renziano, fatto di velleitari distinguo rispetto all’austerity, apparenti “abbaiamenti” per chiedere lo 0,1% in più di spesa pubblica. E non avrà nemmeno bisogno di abbaiare molto, perché alla Francia è stato sempre concesso tutto: in questa gestione dell’Europa, alla Francia la mancia è sempre stata assicurata, senza che nemmeno la chiedesse». Completamente da bocciare, quindi, ogni investimento di credito nei confronti di Macron. Se non altro, «il nuovo quinquennio servirà a smascherare definitivamente tutti questi impostori, che prendono sul serio l’idea renziana-macroniana dei piccoli aggiustamenti, riverniciata di gioventù e ottimismo, come se i piccoli aggiustamenti bastassero davvero a correggere il percorso europeo». Per Magaldi, in questa Europa, «il dramma è che al vertice di governi e istituzioni ci sono solo dei pesci lessi, che stanno lì e amministrano un copione scritto da altri, e lo fanno in modo grigio». Che fare? «Più che indignarsi, c’è da rimboccarsi le maniche e costruire coalizioni realmente progressiste, sia in Francia che in Italia che altrove, uscendo da questa ormai insopportabile narrazione “destra, centro, sinistra” che ha perso di senso, mentre ha sempre più senso la divaricazione tra chi vuole conservare l’attuale paradigma politico-economico e chi vuole progredire su un’altra via». Di una cosa, Magaldi è assolutamente certo: Renzi e Macron «vengono entrambi da una tarda interpretazione della cosiddetta “terza via” enunciata a suo tempo da Anthony Giddens», il sociologo che ispirò Bill Clinton e Tony Blair negli anni ‘90. Ovvero:«L’idea che la sinistra – laburista, democratica, post-socialista – nel nuovo millennio non dovesse proporre paradigmi alternativi a quello del neoliberismo ormai imperante, da Thathcher e Reagan in poi, con tutto il lavorio supermassonico di corredo». Quella sinistra doveva azzerare i diritti, e l’ha fatto: rigore nei bilanci pubblici, svalutazione della sfera pubblica, deregulation senza contrappesi. «Alla sinistra spettava il ruolo di dare una spruzzata di benevolenza sociale e di solidarietà più sbandierata che praticata. Quindi: smantellamento sistematico del welfare system, e una serie di iniziative economico-finanziarie non troppo dissimili da quelle predicate, con più asprezza, dai teorici fanatici del neoliberismo». Questa è stata la “terza via”. «E chi oggi in Italia contesta Renzi da posizioni di “sedicente sinistra”? Massimo D’Alema, che da Presidente del Consiglio è stato uno degli interpreti “all’amatriciana” di quella strada. Così è stato Bersani, che oggi si presenta come contestatore. E così è Renzi, a distanza di vent’anni».

09/5/17
www.libreidee.org/2017/05/magaldi-il-supermassone-macron-e-un-bambino-nat...
wheaton80
00mercoledì 28 marzo 2018 22:19
Cosa sta succedendo a Nicolas Sarkozy

Dopo due giorni in stato di fermo, durante i quali è stato più volte interrogato, ora l’ex Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy è ufficialmente incriminato per corruzione, finanziamenti illeciti alla campagna elettorale e per l’occultamento di fondi pubblici provenienti dalla Libia. La giustizia francese ha agito valutando il risultato delle indagini condotte dall’Ufficio Centrale per la Lotta alla Corruzione e ai reati finanziari e fiscali (OCLCIFF), che ha interrogato l’ex Presidente per 25 ore durante gli ultimi due giorni.

Cosa è successo
Per l’anticorruzione di Nanterre, il leader libico Mu’ammar Gheddafi ha partecipato finanziariamente alla corsa elettorale, al cui termine, nel 2007, Sarkozy è stato eletto all’Eliseo. Un’inchiesta iniziata nel 2012 e su cui i magistrati hanno accelerato quando, a ottobre del 2017, il libro “Avec les compliments du Guide” ha contribuito a documentare i fatti che oggi la giustizia contesta all’ex Presidente. Gli autori Fabrice Arfi e Karl Laske hanno documentato il passaggio da Tripoli a Parigi di borse piene di denaro, bonifici e promesse di pagamento per un totale di 50 milioni di euro circa, oltre a ricatti, minacce e intimidazioni tese a favorire l’ascesa di Sarkozy, rimasto in carica dal 2007 al 2012. Un altro elemento che ha spinto la magistratura ad accelerare è stato l’arresto di Alexandre Djouhri, uomo d’affari francese catturato a Londra a gennaio di quest’anno, ritenuto essere uno dei contatti che hanno garantito la consegna del denaro.

Giuditta Mosca
22 Mar, 2018
www.wired.it/attualita/politica/2018/03/22/nicolas-sarkozy-i...
wheaton80
00venerdì 4 maggio 2018 01:15
La crisi di Macron figlia delle divisioni della massoneria francese

Macron e le divisioni scoppiate all'interno della massoneria francese. Ecco un punto di vista interessante per capire la brusca parabola discendente, sia in Francia che in Europa, di Emmanuel Macron. L'autore è Giulio Sapelli, esperto di geopolitica, una vita trascorsa tra l'insegnamento universitario e l'impresa, oggi ricercatore associato presso la Fondazione ENI Enrico Mattei. Intervistato da Business Insider mentre Macron è in visita negli Stati Uniti, dove è stato accolto da Donald Trump con tutti gli onori, Sapelli fa il punto su diversi nodi irrisolti della politica mondiale, spaziando dalla Cina alla Brexit, per poi concentrarsi soprattutto sulle questioni europee, riassunte nel titolo:«L'asse Francia-Germania non esiste, e l'Europa sta imbarbarendo a causa del dominio tedesco». L'analisi più intrigante riguarda la Francia e l'operato di Macron. «È sbagliato dire che in Europa c'è un asse franco-tedesco», sostiene Sapelli. «C'è una dominazione tedesca, a cui e contro cui la Francia, che è il cuore politico dell'Europa, si leva con grandi contraddizioni al suo interno. Il fatto che 24 milioni di francesi non votino, ma votino solo 22 milioni, non significa che c'è la divisione del popolo francese, bensì una profonda divisione nell'establishment». Di quale divisione si tratti, incalzato dall'intervistatore Edoardo Toffoletto, Sapelli lo spiega partendo da un riferimento personale:«Mi sono abbonato alla newsletter di En Marche! (il partito di Macron; ndr). La cosa che mi ha più interessato è stata che, quando faceva propaganda elettorale, metteva i suoi interventi anche nelle logge del Grande Oriente di Francia, le quali, tuttavia, lo criticavano aspramente per essere troppo un liberale di destra. La massoneria francese è nota per le sue tendenze socialiste: in effetti, il primo maggio, i massoni sfilano dietro Force Ouvrière (terzo sindacato francese) a Parigi. Assieme all'America, la Francia è l'unico Paese in cui la massoneria è solidale con il sindacato. Mi sono convinto, quindi, che Macron esprima una parte del potere francese, legata ad altri circuiti massonici più conservatori, come il Rito Scozzese Antico e Accettato, cioè la massoneria inglese legata alla casa reale».

A questo punto non ho potuto fare a meno di andare a rileggere un'intervista rilasciata giusto un anno fa (23 aprile 2017) da Jacques Attali, 74 anni, economista ed ex consigliere di François Mitterrand, che, subito dopo la vittoria al primo turno delle Presidenziali francesi del suo allievo politico, disse con orgoglio al Corriere della Sera:«Ho scoperto io Macron, e ora vi svelo come governerà». Attali, come gran parte dei politici francesi di primo piano, non ha mai fatto mistero della propria appartenenza massonica. Di lui, si dice che sia un «supermassone oligarchico» di livello internazionale, e Gioele Magaldi, autore di un documentato saggio sulle 36 super logge (Ur-Lodges) a cui sono affiliati numerosi leader politici di livello mondiale, rivela che Attali è affiliato alla superloggia internazionale reazionaria «Three Eyes», fondata da Henry Kissinger, 95 anni, ex Segretario di Stato USA, che ne è tuttora il numero uno. Politologo bipartisan, dopo avere collaborato con il socialista Mitterrand, Attali ha avuto un ruolo di primo piano nel 2010 anche a fianco dell'allora Presidente francese Nicolas Sarkozy, per il quale predispose il rapporto «Liberare l'economia», valendosi della collaborazione di Macron, che allora era un giovane e promettente laureato dell'ENA, la scuola dell'alta burocrazia francese. Un enfant prodige, al quale Attali ha spianato la strada per una carriera folgorante: infatti, quando il socialista François Hollande prese il posto di Sarkozy, una delle sue prime mosse, suggerita da Attali, fu quella di nominare Macron come consigliere economico dell'Eliseo, e poi Ministro dell'Economia. Un ruolo pubblico che non ha impedito a Macron di diventare anche un brillante e ricco finanziere dei Rothschild, professione che ha esercitato fino all'elezione a Presidente della Repubblica il 7 maggio di un anno fa. Nel suo primo anno di mandato, è mia opinione che Macron abbia cercato di mettere in pratica la linea politica suggerita dal suo mentore, soprattutto in Europa.

Ovvero un'inversione di rotta in senso keynesiano e roosveltiano della politica economica UE, per porre fine al rigore e all'austerity. Fino a scontrarsi con la Germania di Angela Merkel, inflessibile su questi punti. Può stupire che una simile linea gli sia stata suggerita da Attali, che è stato, a suo tempo, tra gli estensori materiali delle regole della moneta unica europea, a cominciare da quelle più ferree, compresa l'impossibilità giuridica della fuoriuscita dall'euro. «Cosa credono, che l'euro l'abbiamo creato per la felicità della plebaglia europea?», diceva allora, da duro massone oligarca. Ma con il tempo, di fronte all'ondata di euroscetticismo che, di elezione in elezione, ha gonfiato le vele dei partiti cosiddetti populisti in vari paesi UE, anche Attali e una parte di rilievo della massoneria francese hanno cambiato idea, fino a scontrarsi con la Germania. E Hollande, che ne doveva interpretare il mandato e non lo ha fatto, è stato rapidamente accantonato. Ora il superamento dell'austerità in Europa è diventato una sorta di «hic Rhodus, hic salta» per Macron. Una partita che lo vede in forte difficoltà, di fatto già perdente nel braccio di ferro con la Germania. Gli resta tuttavia il fronte interno, dove si è lanciato in un programma di riforme radicali a 360 gradi (burocrazia, scuola, flessibilità del lavoro, tasse, diritti civili), fino a scontentare interi settori della società, che con scioperi e manifestazioni stanno bloccando la Francia. Non solo. Per Sapelli, anche una parte della massoneria francese è scontenta di Macron:«Come si fa a mettersi contro, come sta facendo lui, al funzionario francese? Ciò non può essere coerente con una visione elitaria del potere qual'è quella massonica. I funzionari francesi non sono soltanto l'asse della Repubblica, ma del potere francese». Insomma, un autogol dopo l'altro. Mascherati finora da un attivismo internazionale frenetico (comprese le bombe sulla Siria), blandito dai media. Fino a quando?

Tino Oldani
24/04/2018
www.italiaoggi.it/news/la-crisi-di-macron-figlia-delle-divisioni-della-massoneria-francese...
wheaton80
00sabato 28 luglio 2018 22:31
L’Eliseo e «Gladio B»


Benché tutti lo abbiano visto scortare ovunque il Presidente della Repubblica, Alexandre Benalla non era affatto responsabile della sicurezza di Emmanuel Macron. Ma allora, che ruolo svolgeva?

Chi è Alexandre Benalla
Rivelato da Le Monde, il caso Benalla lascia intravedere quel che accade dietro le quinte dell’Eliseo. Un collaboratore di Emmanuel Macron è un mascalzone che, spacciandosi per poliziotto, il 1° maggio scorso, con una fascia da poliziotto al braccio e una radio interna della polizia, è andato a pestare due manifestanti. Era entrato in un giro di «amicizie malsane», secondo il prefetto Michel Delpuech: un aspetto della vicenda ora oggetto di un’inchiesta giudiziaria, che vede inquisite cinque persone. All’inchiesta della magistratura se ne affianca una amministrativa, dell’Ispettorato Generale della Polizia Nazionale (IGPN). Ebbene, questo farabutto, lungi dall’essere un non ben precisato collaboratore, altro non era che «il vicedirettore dell’Ufficio del Presidente della Repubblica». Scortava Macron in molte occasioni, pubbliche e private, e possedeva un duplicato delle chiavi della residenza secondaria del Presidente. Per la sua funzione (quale esattamente?) gli era stato concesso un porto d’armi permanente. Gli era stata assegnata una macchina di servizio con super-girofari (da chi?). Aveva un badge d’accesso all’emiciclo dell’Assemblea Nazionale, un passaporto diplomatico e poteva accedere a documenti confidenziali dello Stato (Secret Défense) (perché?). In una deposizione giurata resa alla Commissione Senatoriale d’Inchiesta, le organizzazioni sindacali dei poliziotti hanno dichiarato che Benalla, questo mascalzone al servizio del Presidente, incuteva «terrore» ai poliziotti. Non esitava a minacciare e a ingiuriare funzionari di alto grado della polizia e della gendarmeria, cui si permetteva anche di dare ordini. Partecipava a riunioni del Ministero dell’Interno e della prefettura di polizia, accompagnato da “guardie del corpo”. Reclutava “agenti di sicurezza” per l’Eliseo. Imputazioni fermamente smentite dal gabinetto del Presidente della Repubblica. Il Presidente Macron ha dichiarato di essere stato «tradito» da Benalla, di averlo sanzionato con quindici giorni di sospensione, senza stipendio, e di averlo riassegnato a un ruolo di minore importanza. Però, per ragioni «tecniche», la sanzione pecuniaria non è stata applicata. Inoltre, dopo pochi giorni, per «carenza di personale», lo stesso Benalla ha accompagnato nuovamente il Presidente, come se niente fosse accaduto. Benché fossero a conoscenza del pestaggio del 1° maggio, nessuno dei responsabili della sicurezza presidenziale, compreso il Ministro dell’Interno, si è preoccupato del protrarsi della vicinanza di Benalla al Presidente.

Da qui l’ovvia domanda dei parlamentari della Commissione d’Inchiesta: Alexandre Benalla faceva parte di una polizia parallela in gestazione, agli ordini unicamente del Presidente Macron? Nel sistema costituzionale francese il Presidente della Repubblica non ha alcun potere sui settori amministrativi, che sono di pertinenza esclusiva del governo. La sicurezza del Presidente compete a funzionari civili e militari [1]. Se il Presidente disponesse di un servizio di sicurezza unicamente ai suoi ordini, questo sarebbe fuori del controllo delle istituzioni, perché beneficerebbe dell’«irresponsabilità» di cui gode il Presidente per la durata del mandato. Dopo sei giorni di silenzio, il Presidente della Repubblica si è rivolto ai propri fedeli riuniti per una festa. Dimenticando che anche i propri sostenitori si stanno ponendo domande, li ha sollecitati a mettersi contro i nemici che gli stanno facendo le pulci. Macron ha dichiarato di essere stato tradito da Benalla, vicedirettore del suo gabinetto, rivendicando però di essere il solo capo, quindi l’unico «responsabile» di quest’errore di casting (in realtà, unico autore dell’errore). Questa dichiarazione, molo bella e commovente, non fornisce risposte. Soprattutto, ostacola il lavoro dei parlamentari, perché esenta le personalità che vengono ascoltate dal rispondere in dettaglio: solo il Presidente è, o piuttosto sarà, al termine del mandato, «responsabile». Circolare! Non c’è niente da vedere! I parlamentari sono scossi dalla dichiarazione giurata del direttore per l’ordine pubblico della prefettura di polizia, Alain Gibelin, che contraddice le dichiarazioni dell’Eliseo, immediatamente rettificata il giorno successivo. Gli stessi parlamentari vengono turbati dalle contraddizioni tra la descrizione ufficiale dell’incarico a Benalla e i motivi riportati sulla concessione del porto d’armi; nonché dalla dichiarazione dell’Eliseo secondo cui Benalla non disponeva di un appartamento di servizio, contraddetta dalla dichiarazione di spostamento di domicilio, rilasciata il 9 luglio nella caserma di Quai Branly. Per tacere del furto dei video di sorveglianza alla prefettura di polizia di Parigi, perpetrato da poliziotti per conto di Benalla; video rimasti a disposizione all’Eliseo per un’intera giornata e visionato da molti collaboratori.

L’ipotesi di «Gladio B»
Rete Voltaire ha scritto che Benalla aveva l’incarico di creare un equivalente francese dell’US Secret Service, nel quale la funzione di protezione del Presidente si sarebbe aggiunta a quella di lotta al terrorismo [2]; informazione che molti media hanno ripreso, senza tuttavia citare la fonte. Il Ministro dell’Interno, che ha dichiarato di non sapere nulla dell’affare Benalla, si è detto convinto che il rimaneggiamento non mirava a sottrarre i servizi di sicurezza dell’Eliseo alle gerarchie tradizionali. Ci auguriamo che, in questo caso, il Ministro non si sia fatto abbindolare. Tutti ricordiamo che durante la guerra fredda Stati Uniti e Regno Unito avevano creato, all’interno dei Paesi loro alleati e all’insaputa delle rispettive istituzioni nazionali, un servizio per combattere l’influenza sovietica. Questo sistema, noto agli storici come stay-behind, è conosciuto dal grande pubblico con il nome della branca italiana, Gladio, ed era gestito nel mondo intero congiuntamente da CIA e MI6, attraverso la Lega Anticomunista Mondiale (WALC) [3]. I principali responsabili della rete stay-behind operativi, ossia pronti a entrare in clandestinità in caso d’invasione sovietica, erano ex responsabili della repressione nazista. I francesi, mentre sanno che il capitano delle SS, nonché capo della Gestapo a Lione, Klaus Barbie, è diventato responsabile dello stay-behind in Bolivia contro Che Guevara, ignorano, per esempio, che il prefetto di polizia di Parigi, il collaborazionista Maurice Papon, che il 17 ottobre 1961 massacrò un centinaio di algerini, era uno dei responsabili dello stay-behind contro l’FLN [4]. A Damasco, dove abito, ci si ricorda di un altro ufficiale SS e direttore del campo [parigino, ndt] di Drancy, Alois Brunner, che CIA e MI6 misero a capo dei servizi segreti siriani per impedire che il Paese si spostasse nel campo sovietico.

Brunner fu arrestato dal Presidente Bashar al-Assad, appena salito al potere. In Francia, quando lo stay-behind si rivoltò contro la Francia, accusata d’abbandonare l’Algeria ai sovietici, e organizzò il colpo di Stato del 1961 e finanziò l’OAS (Organisation de l’Armée Secrète), il Presidente Charles De Gaulle ne recuperò alcuni agenti per formare una milizia contro la milizia: il SAC (Service d’Action Civique) [5]. Sembrerebbero storie vecchie, eppure nel mondo politico continuano a esserci personaggi che hanno fatto parte dello stay-behind; per esempio, l’attuale Presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, fu a capo di Gladio in Lussemburgo [6]. Naturalmente, nel XXI secolo non si tortura né si ammazza più come un tempo, ci si accontenta di screditare chi disturba utilizzando i mezzi di comunicazione. E, soprattutto, non c’è più l’Unione Sovietica, quindi non c’è più bisogno dello stay-behind. Però si è dovuto ricollocarne il personale, che nel frattempo si era rinnovato. Moltissimi elementi indicano che questi agenti hanno guidato la jihad, dapprima contro i sovietici in Afghanistan, poi contro la Russia [7], al punto da essere designati dall’FBI con il nome di Gladio B [8]. L’efficacia di questa rete nel Medio Oriente Allargato non ha più bisogno di essere dimostrata. Negli Stati Uniti, proprio la lotta al terrorismo (o la sua manipolazione) dipendeva dal Secret Service, di cui l’Eliseo stava preparando un duplicato. Stranamente, la task force dell’Eliseo, diretta dal prefetto Pierre de Bousquet de Florian, è già duplicata da una “cellula” di cui si occupa un incaricato di missione presso il Capo di Stato Maggiore del Presidente, l’Ammiraglio Bernard Rogel. Secondo L’Opinion, questo incaricato di missione, Ludovic Chaker (che ha fatto assumere Benalla) è un “ex” agente della Direzione Generale per la Sicurezza Esterna (DSGE) [9]. Non si tratta di paragonare Benalla a Papon, ma è giusto chiedersi se Benalla possa essere elemento di una forza di repressione illegale che si sta (ri)costituendo in Europa.


Il primo Segretario Generale di En Marche!, Ludovic Chaker, sarebbe un agente della DGSE. Guarda caso, ha assunto come guardia del corpo del candidato Macron un amico di Jawad Benadaoud, l’“affittacamere di Daesh”. Oggi Chaker è incaricato di missione all’Eliseo, dove “raddoppia” la task force contro il terrorismo del prefetto Bousquet de Florian

Chi ha dato il via all’affare Benalla?
È molto chiaro che, non essendoci denuncia delle vittime e tenuto conto della difficoltà di riconoscere Benalla nei filmati delle esazioni da lui commesse, il caso non è diventato di pubblico dominio spontaneamente. Coloro che hanno fatto esplodere il caso dovevano essere molto bene informati, sia su Benalla sia sulla confusione che regna all’Eliseo. Tuttavia, la loro veste ufficiale li ha costretti alla discrezione. Viene spontaneo pensare immediatamente a responsabili della Direzione Generale per la Sicurezza Interna (DGSI) o della Direzione d’Intelligence e Sicurezza della Difesa (DRSD). Non è impossibile che gli strumenti di polizia che Benalla usurpava il 1° maggio gli siano stati forniti da poliziotti. Benalla potrebbe essere caduto in una trappola [10]. Non ci troviamo nella stessa situazione della guerra fredda o della guerra d’Algeria. Questo caso non ha niente in comune con il SAC. Il Presidente Macron non sta cercando, come De Gaulle, di proteggere, pur violando la legge, il Paese da una milizia. Siamo invece di fronte a uno scontro tra l’alleanza Russia-Stati Uniti da un lato e Stato Profondo anglosassone, che si scatena contro Trump, dall’altro.


L’ex consigliere di Donald Trump, Steve Bannon, si è sistemato a Bruxelles con l’incarico di «far saltare Emmanuel Macron e Angela Merkel come birilli»

Note

[1] Durante i periodi di coabitazione tra un Presidente e un Primo Ministro appartenenti a forze politiche opposte, la sicurezza del Presidente è stata di competenza esclusiva della gendarmeria, in modo tale che il Primo Ministro fosse a conoscenza di quanto fatto dal Presidente
[2] www.voltairenet.org/article202133.html
[3] www.voltairenet.org/article192711.html
[4] “Gli eserciti segreti della NATO: operazione Gladio e terrorismo in Europa”, di Daniele Ganser, Fazi Editore, 2004. Ci sono diversi documentari sullo stay-behind, tra cui in francese “Les Armées secrètes de l’OTAN”, d’Emmanuel Amara per France-Télévision, e “Au cœur de la Guerre froide: les hommes de l’ombre” di Lucio Mollica per la RTBF. Io scrissi una ventina di anni fa questo articolo: www.voltairenet.org/article8691.html
[5] www.voltairenet.org/article8694.html e www.voltairenet.org/article8701.html
[6] www.voltairenet.org/article179486.html
[7] Si legga la seconda parte di “Sous nos yeux. Du 11-septembre à Donald Trump”, Thierry Meyssan, Demi-Lune 2017
[8] Si leggano e si vedano numerose opere e documentary di Sibel Edmonds
[9] www.lopinion.fr/blog/secret-defense/ludovic-chaker-ami-benalla-est-charge-mission-aupres-l-amiral-rogel-157827?utm_source=...
[10] Si veda la deposizione e la lettera di Alain Gibelin alla Commissione dell’Assemblea Nazionale e le si metta a confronto con le dichiarazioni di Alexandre Benalla a Le Monde del 27 luglio

Thierry Meyssan
28 luglio 2018

Traduzione: Rachele Marmetti
www.voltairenet.org/article202195.html
wheaton80
00lunedì 19 novembre 2018 03:08
La Francia si ribella a Macron. Ecco chi l’ha messo alle corde

La Francia profonda insorge contro Emmanuel Macron. La rivolta, divampata in tutto il Paese a seguito dell’aumento delle tasse sul gasolio, 6,5 centesimi, e sulla benzina, 2,9 centesimi, ha innescato una contestazione senza precedenti, aggravata dalla morte di una signora in Savoia, vittima del panico di una donna al volante che ha perso il controllo per non travolgere i manifestanti, e da centosessanta feriti. La polizia, quasi in assetto di guerra, come se avesse dovuto fronteggiare un attentato terroristico, ha respinto migliaia di cittadini indignati nei pressi dell’Eliseo e dell’Arco di Trionfo. In altri centri minori della Francia, non diversamente da quanto è accaduto a Parigi, la gente si è fatta sentire e sono stati proprio i “rurali”, quasi sempre snobbati dai governi o dalle élites, a protestare platealmente dopo l’approvazione di un provvedimento che porta il carburante a costi insostenibili per l’agricoltura francese. Il Ministro dell’Interno, Christophe Castaner, che ha preso il posto del dimissionario Collomb, ha disposto il massimo livello di allerta, come dopo un attacco jihadista, raccomandando di prendere tutte le misure atte a non creare disastri. Per tutta risposta, purtroppo, dopo il grave incidente in Savoia, a Grasse, nelle Alpi Marittime, un’automobile “ha cercato di forzare un blocco” ed un poliziotto è rimasto ferito. La Francia, insomma, è sconvolta. Macron, che soltanto qualche giorno fa aveva annunciato pomposamente di voler riconciliare i francesi, si ritrova con un popolo unito ma contro di lui. Le differenze politiche in questo momento non contano molto.

Si sta formando un movimento spontaneo, al di là della destra, della sinistra e del centro, contro “il presidente dei ricchi”, quello che soltanto un anno e mezzo fa prometteva di ristabilire un’equità della quale i francesi non hanno visto neppure l’ombra. Le tasse sono aumentate e di fronte all’arroganza macroniana che non ha avuto neppure il buon gusto di spiegare perché l’imposizione fiscale dai tempi di Holland è sensibilmente lievitata, i suoi connazionali, soprattutto quelli che lo hanno votato, insorgono senza prendere ordini dai partiti. Le Pen come Mélenchon, i socialisti come i post-gollisti, sono tutti dalla parte dei manifestanti anche se, saggiamente, non si sono affiancati a quanti sono scesi in strada. Il popolo, ancorché non irreggimentato, lavora per loro. E se dopo i ferrovieri, gli impiegati statali, perfino gli agricoltori e la gente comune, quelli che vivono nei grandi centri come nei borghi più sperduti, si accorgono che le politiche sociali ed economiche di Macron stanno gettando nella disperazione il ceto medio, mentre nulla i più disagiati hanno ricevuto dal nuovo governo, vuol dire che il tempo della resa dei conti con l’inquilino dell’Eliseo è arrivata ben più in fretta di quanto i suoi oppositori politici immaginavano. Il movimento dei “gilet gialli” (dai giubbotti che i manifestanti indossano) è possibile che assuma fattezze molto più ampie di quelle mostrate nella giornata di sabato. Il partito di Macron, En Marche!, non riesce a fare fronte al disagio perché disorganizzato politicamente e, a conti fatti, prescindendo dai voti ottenuti alle politiche in seguito all’elezione presidenziale, non è assolutamente rappresentativo.

Nessuno, apertamente, mostra di condividere il percorso dell’improvvisato raggruppamento e, dunque, non si vede chi potrebbe arginare la rabbia dei cittadini, che non ne possono più delle promesse di Macron condite da una albagia irritante, a dimostrazione di quanto sia lontano dal popolo e tanto, ma tanto vicino a quelle oligarchie economico-finanziarie che ne hanno favorito l’ascesa. A sei mesi dalle elezioni europee, test sul quale il Presidente conta molto per rilanciare la sua idea di Unione continentale, quanto gli sta accadendo intorno non l’aiuta di certo. Anche a livello internazionale comincia a rendersi conto di essere rimasto solo. Angela Merkel non ha nessuna intenzione di spendere i suoi spiccioli di potere elaborando progetti, peraltro non condivisi nella CDU, con un perdente che perfino tra le mura amiche dell’Eliseo comincia ad avvertire una certa ostilità. Nelle prossime settimane il popolare movimento dei “gilet gialli” dovrebbe, secondo quanto si dice a Parigi, lanciare una nuova offensiva. I partiti che si preparano per la competizione europea non staranno a guardare. In un modo o nell’altro, senza appropriarsi direttamente di nulla e di nessuno, favoriranno l’agitazione e la messa in discussione di Macron, sempre più afflitto da sondaggi disastrosi. Che il Presidente abbia “marciato” per una sola breve stagione è ormai fuori discussione. Bisognerà attendere come le forze politiche che gli si oppongono, compresi i centristi nonostante il benevolo appoggio parlamentare di qualcuno di loro, si muoveranno in questo magma imprevedibile fino a qualche tempo fa. Quel che è certo, per ora, è che Macron sarà costretto a giocare sulla difensiva e non è detto che la “campagna che accerchia la città”, per usare una metafora dei tempi della rivoluzione culturale cinese, non abbia la meglio. A quel punto Macron sarebbe costretto a governare per più di tre anni avendo contro la Francia. Una situazione insostenibile, imprevedibile, inedita.

Gennaro Malgieri
18/11/2018
formiche.net/2018/11/macron-francia-movimento-protesta/
wheaton80
00martedì 27 novembre 2018 14:19
Tempi duri per la Francia in Africa

I ‘possedimenti d’oltre mare’, le ex colonie della Francia in Africa, servono all’economia della Madre Patria (valgono il 42% dell’economia francese), quindi, il controllo neocoloniale delle risorse naturali, della finanza, dell’economia, della politica, non è terminato con le varie indipendenze acquisite negli anni Sessanta. La Cellula Africana dell’Eliseo, nota come FranceAfrique, dopo aver constatato l’impossibilità militare di mantenere il controllo delle colonie (la guerra d’Algeria è la più drammatica prova di questa impossibilità), ha lavorato incessantemente per mantenere il controllo indiretto tramite Capi di Stato e regimi di comodo. Per quarant’anni la Francia ha fatto il bello e cattivo tempo nei Paesi francofoni africani, decidendo chi accedeva alla Presidenza e quali politiche economiche dovevano essere promesse. Le relazioni Francia-Africa sono state caratterizzate, per quasi mezzo secolo, da paternalismo, ‘amicizie’ con dittatori psicopatici, sfruttamento di minerali e idrocarburi ai danni dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, colpi di Stato, trattative segrete, finanziamento di ribellioni e guerre civili, controllo dei prezzi mondiali di importanti prodotti di esportazione, tra cui il cacao.

I primi quarant’anni di FranceAfrique sono stati caratterizzati da una brutalità che ricordava molto da vicino quella nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, o Grande Guerra Patriottica, come è denominata dai russi. Impresentabili e sanguinari dittatori erano i benvenuti all’Eliseo in quanto garanti degli interessi francesi. Mobutu Sese Seko nello Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo), Jean-Bedel Bokassa nella Repubblica Centrafricana, Idri Deby Itno nel Ciad, Omar Bongo Odinga in Gabon, Juvenal Habyarimana nel Rwanda. Negli anni Novanta si è assistito al primo ‘attacco’ all’‘Impero francese in Africa’, attuato da Stati Uniti e Gran Bretagna. Tutto inizia con i tre rivoluzionari africani: Yoweri Kaguta Museveni Uganda, Paul Kagame in Rwanda, Meles Zenawi in Etiopia. Uomini nuovi sulla scena africana che propongono una politica mista tra rigore marxista e libero mercato. Il primo a prendere il potere è Museveni, nel 1987, seguito da Melezev, nel 1991. Paul Kagame sarà l’ultimo ad arrivare alla Presidenza, dopo che i francesi, nel tentativo di mantenere il Rwanda francofono, idearono e permisero il genocidio. Dopo il Rwanda cade lo Zaire.

La giovane Repubblica Democratica del Congo diventa teatro di due guerre pan-africane (dal 1996 al 1997, e dal 1998 al 2003) e tre grandi ribellioni. Una serie di guerre civili che continua tutt’ora, coinvolgendo i Paesi vicini: Burundi e Rwanda, il primo in mano ad un regime razial-nazista HutuPower, il secondo costantemente minacciato di invasioni delle FDLR, il gruppo terroristico ruandese creato nel 2000, da Parigi, raggruppando tutte le forze HutuPower che avevano scatenato l’Olocausto nel 1994. È proprio il Congo che ferma la guerra per procura tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. L’impossibilità di vittoria dei fronti contrapposti fa comprendere a Washington e Londra la necessità di accordi con Parigi per spartirsi le risorse naturali africane. Il secondo attacco all’Impero Francese proviene dalla Libia di Gheddafi.

Presso la Banca Centrale di Tripoli erano state accumulate 143 tonnellate d’oro e una enorme quantità di argento che dovevano servire alla creazione di una moneta panafricana basata sul dinaro libico che potesse rappresentare una valida alternativa al Franco CFA dei Paesi africani francofoni. Alla scoperta di questo piano, il Presidente Nicolas Sarkozy sostiene una finta ribellione e attacca militarmente la Libia per interrompere il processo avviato da Gheddafi di indipendenza finanziaria ed economica delle sue ‘colonie’ africane. Ora la Libia, Paese economicamente avanzato sotto il Colonnello, è diventato un inferno, dove decine di milizie si stanno scontrando, ponendolo in una situazione di caos somalo che durerà per decenni. La caduta della Libia ha aperto le porte per una controffensiva francese in Africa.

Prima si creano pericolosi gruppi islamici legati ad Al Qaeda, Daesh e Arabia Saudita, poi si invadono i Paesi con il pretesto di combattere il terrorismo internazionale. Mali e Repubblica Centrafricana diventano le vittime più esemplari. In questa ‘opera’, Parigi associa Washington, che ora inizia a dar segni di stanchezza. Constatando che la lotta contro un fantomatico terrorismo internazionale nel Sahara favorisce solo la Francia, ora il Presidente Donald Trump sta progressivamente ritirando le sue truppe dal fronte sahariano, lasciando il compito di controllo del territorio ai soldati francesi. Per tentare di contro-bilanciare la perdita dell’alleato e condividere le spese dello sforzo bellico, la Francia ha convinto la Germania all’avventura d’oltre mare. Il primo contingente di soldati tedeschi giunge in Niger per partecipare alla lotta internazionale contro il terrorismo, ovvero per dividersi le risorse naturali della regione con la Francia. La terza minaccia è rappresentata dall’espansionismo economico della Cina. Una potenza troppo forte per tentare colpi di mano diretti nei Paesi francofoni che sono oggetto delle proposte di cooperazione economica e militare di Pechino. Di fronte al peso politico internazionale e alla potenza militare della Cina, Parigi è costretta ad una politica di compromessi nel tentativo di limitare i danni e mantenere l’egemonia nella regione.

Dopo Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, la FranceAfrique è costretta ad accettare un nuovo e ingombrante ospite: la Cina. La quarta minaccia all’Impero d’Oltremare, quella più pericolosa in quanto determinata, guerrafondaia e aggressiva, è la Russia, che ritorna in Africa dopo il crollo dell’Unione Sovietica determinata a conquistare l’impero francese. Dal 2017 al 2018 le visite di Stato della diplomazia russa in Rwanda e altri Paesi africani si sono susseguite senza sosta. Sono stati firmati decine di contratti di vendita di armi, estrazione di minerali e idrocarburi, cooperazione militare, economica, scientifica, arrivando agli studi di realizzazione delle prime centrali nucleari. Mosca ha speso milioni per aumentare la sua influenza politica e culturale in Africa. L’obiettivo è chiaro: estromettere Francia, Europa e Stati Uniti e dividere l’Africa solo con la Cina. Una divisione che si basa su alleanze politiche ed economiche e non sul neocolonialismo di stampo occidentale, quindi conveniente per molti Paesi africani. Mosca protegge il regime di Kabila in Congo e quello di Nkurunziza in Burundi, impedendo alla Francia di attuare un cambiamento di regime più favorevole e meno pericoloso di quello cleptomane congolese e potenzialmente genocidario burundese.

Ma è in Centrafrica che la Russia si è impegnata a buttare fuori i francesi, prendendo le redini del destino del martoriato Paese cascato in guerra civile permanente grazie agli intrighi internazionali di Parigi. Soldati, mercenari, imprenditori russi stanno letteralmente invadendo il Centrafrica con l’obiettivo di rafforzare un Governo loro amico e sbattere fuori i francesi. La prima e scontata risposta di Parigi è stata quella di impedire il processo di pace russo, supportato da vari Paesi africani, e di riavviare la guerra civile utilizzando le milizie cristiane Anti Balaka nell’intento di regalare ai russi un Afghanistan in versione africana. La seconda risposta è stata quella di minacciare il Cremlino, invitandolo a non interferire nei territori francesi d’oltre mare. La reazione russa non si è fatta attendere. La minaccia lanciata da Parigi ha fatto aumentare la guerra fredda in Africa e risvegliato l’Orso sovietico. «Dopo aver terminato la liberazione della Repubblica Centrafricana dalle mani della Francia, continueremo con una vasta operazione di liberazione dell’Africa tutta intera», ha dichiarato due settimane fa un diplomatico russo sui media africani.

Durante il recente incontro dei Capi di Stato in Francia (in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale), il Presidente Vladimir Putin avrebbe parlato chiaro al suo omonimo francese. La Francia deve mettere un termine allo sfruttamento disumano delle risorse subsahariane. Una richiesta che non può essere accettata, in quanto le colonie africane rappresentano il 42% dell’economia francese. Chiedere il ritiro della Francia dall’Africa equivale a richiedere il fallimento economico e il declassamento da potenza mondiale a Paese di secondaria importanza sullo scacchiere internazionale. La guerra fredda tra Russia e Francia in Africa è iniziata. Le modalità di questa guerra non sono al momento facilmente prevedibili, ma le conseguenze potrebbero essere enormi. La Russia ha una diplomazia e proposte economiche meno raffinate di quelle cinesi, ma si presenta ai governi africani come un potenza del sud, ‘amica’ e determinata a mettere fine al neocolonialismo occidentale, offrendo protezione, collaborazione economica, giusti accordi commerciali, trasferimento di tecnologia, avvio della rivoluzione industriale.

Questo in contemporanea con l’offensiva economica cinese nel Continente in chiave anti-occidentale. Tempi duri per l’Europa debole, divisa e in preda all’ascesa al potere di movimenti di destra, sovranisti se non fascisti. Dall’altra parte dell’oceano, l’America di Trump è confusa. Ha avviato un nuovo corso della sua politica estera in Africa e tende a riprendere la guerra fredda con la Francia, in quanto le risorse naturali servono all’industria americana, forse più che a quella francese. Ma gli Stati Uniti del 2018 non sono più la potenza vincitrice del ‘45, dove potenza militare si coniugava con potenza industriale e boom economico. Gli Stati Uniti del 2018 sono una potenza in declino che ha fallito il progetto di Nuovo Ordine Mondiale ideato dalla famiglia Bush, in stretta collaborazione con il capitalismo americano. Le guerre fino ad ora fatte per questo ‘mitico’ ordine mondiale hanno dissanguato le casse dello Stato: 6mila miliardi di dollari spesi nei fronti Afghanistan, Iraq, guerre segrete o di procura in Siria, Yemen, piani eversivi in Venezuela, Nicaragua e altri Paesi. Donald Trump è in rotta di collisione con la Francia, che ha ravvivato la proposta di un esercito europeo indipendente dal Patto Atlantico: la NATO. La Francia di Macron sembra essere un governo di fine epoca, piuttosto che un moderno governo capace di far risorgere la Grandeur Francese. Sempre più le proteste popolari interne che, in mancanza di una chiara alternativa di sinistra, stanno spostando la popolazione a favore del fascismo di Le Pen.

Una Francia che deve equilibrare la potenza della Grande Germania e continuare la guerra fredda mai dichiarata con l’Italia per questioni economiche e migratorie. Guerra fredda il cui teatro principale è la Libia e quello secondario il Niger. La Francia di Emmanuel Macron è circondata in Africa. Il terreno inizia a mancare sotto i piedi. Le solide fondamenta della FranceAfrique si stanno trasformando in pantano. L’Impero francese è minacciato da Stati Uniti, Cina e Russia, mentre i governi delle sue ‘colonie’ diventano sempre più aggressivi e imprevedibili. Tira aria di ribellione e sconvolgimenti epocali; Parigi potrebbe essere, per la prima volta, la vittima di un futuro da incubo, dove le sconfitte subite in Indocina e Algeria riaffiorano triplicate per porre il colpo mortale ai territori d’oltremare. Anche la risposta militare è sempre più debole, come dimostrano il Centrafrica e il Mali. Ora anche la Famiglia Bongo in Gabon è in bilico; la sta tenendo in piedi il lavoro della massoneria con FranceAfrique e altri soldati francesi sono stati inviati per difendere l’Impero. Tempi duri per la FranceAfrique.

Fulvio Beltrami
23 novembre 2018
lindro.it/tempi-duri-per-la-francia-in-africa/
wheaton80
00domenica 16 dicembre 2018 19:46
La Chiesa francese scarica Macron e si schiera al fianco dei gilet gialli

La Chiesa francese sta interpretando, meglio di altri attori politico-sociali, la protesta dei gilet gialli. L’episcopato d’Oltralpe ha dialogato per anni con Emmanuel Macron. Tanto che, poco dopo le elezioni presidenziali, avevamo addirittura raccontato di un’asse Papa Francesco-Presidente della Repubblica, finalizzato a costituire un muro oppositivo al populismo. Il “flirt” adesso pare finito. Pure perché la Francia, com’è abbastanza noto, è sempre stata una roccaforte del tradizionalismo dottrinale. Un fattore, quest’ultimo, che ha spesso alimentato una certa associazione tra gli ecclesiastici transalpini e i movimenti politici conservatori. I vescovi francesi sanno che Macron ha provato a nascondere la polvere sotto al tappeto. Lo ha spiegato bene Monsignor Dumas, Segretario della Conferenza Episcopale d’Oltralpe, quando ha dichiarato che “i gilet gialli mostrano la reale difficoltà di alcuni di vivere, la profonda frattura tra le élite e coloro che si sentono messi da parte, la complessità di un mondo così rapidamente cambiato”. La questione sociale era già emersa prima della turnata elettorale attraverso cui il leader di En Marche! ha sgominato i suoi avversari.

Il successo dei lepenisti e dei socialisti di Mélenchon, però, lasciava presagire l’insorgere della tanto chiacchierata contrapposizione tra il ceto medio e l’establishment finanziario. Alain de Benoist lo aveva pronosticato in un’intervista rilasciataci per Gli Occhi della Guerra (http://www.occhidellaguerra.it/populismo-non-morto-nuovi-successi-arrivo/):“Non si può valutare un fenomeno politico che sulla lunga durata”, aveva detto in relazione al sovranismo francese. E ancora:“I movimenti populisti registrano sia successi che sconfitte, ma globalmente parlando il fenomeno si accentua più che marcare il passo…”. Il caos sociale, se vogliamo definirlo così, potrebbe essere appena all’inizio. Sembra pensarla allo stesso modo pure l’arcivescovo di Parigi. Monsignor Aupetit, che è stato incaricato un pò a sorpresa da papa Bergoglio, considerata la distanza dottrinale che li separa, ha scandito che “le emergenze nazionali, le grandi cause sociali, possono legittimamente essere quelle delle rivendicazioni del comunitarismo o categoriali. Il dovere primario dello Stato è di garantire tutti i mezzi per mantenere la sua famiglia e vivere in una pace sociale”.

Gli ha fatto eco il vescovo di Montauban, quando ha attaccato Macron asserendo che “i poveri sono colpiti dalle attuali politiche”. La Chiesa francese, insomma, sa che i gilet gialli sono mossi da ragioni che non possono non essere prese seriamente in considerazione. Dalle parti nostre, invece, l’episcopato sembra orientarsi verso altri lidi. La Conferenza Episcopale Italiana sta ragionando su un progetto partitico tramite cui fare opposizione a Matteo Salvini. Nel Belpaese non ci sono i gilet gialli. Il governo attualmente in carica, specie dal lato della Lega, ha incanalato le battaglie promosse dalle proteste francesi all’interno di un percorso istituzionale. Ma le alte sfere vaticane prediligono modalità differenti e ricette più aperturiste per affrontare i dossier economico-sociali. Gli ecclesiastici francesi, prendendo per buona la teoria che ha interpretato il populismo come una reazione del popolo al tradimento dell’élite, hanno scelto di non soprassedere sulle rivendicazioni di chi è in difficoltà. La “nuova Vandea”, quella dei gilet, sembra poter contare su un alleato inaspettato.

Francesco Boezi
14 dicembre 2018
www.occhidellaguerra.it/la-chiesa-francese-scarica-macron-si-schiera-al-fianco-deigile...
wheaton80
00lunedì 11 febbraio 2019 01:13
Il nervosismo di Macron? La più grande banca francese è andata…

Se andate a Parigi, non scordatevi di fare un giro anche alla Défense, il quartiere coi grattacieli che sembra Manhattan. Vi sembrerà di stare in Europa, ma al contempo anche in America e potrete ammirare i manager in completo Armani che fanno su e giù con le loro valigette 24ore. Lì ha anche sede Société Générale, il gruppo francese che sta crollando mentre tutti in Europa parlano di Maduro e dei gilet gialli (quando va bene) e di egiziani canterini (quando va male). Che gli sciagurati dell’austerity abbiano mandato tutta l’Europa a gambe all’aria oramai è agli atti. Ma ora si esagera, i francesi con Société Générale rischiano davvero grosso e fanno correre gravi pericoli anche a noi italiani tramite la Banca Nazionale del Lavoro, che ormai è BNP Paribas, controllata dall’istituto francese. Ma andiamo con ordine.

Breve premessa
Secondo Reuters, per fronteggiare la crisi del 2008, Société Générale ha ricevuto un prestito dallo Stato di 1,7 miliardi di euro. Ha successivamente ricevuto nel 2009 un altro finanziamento di simile importo. Alla fine dello stesso anno, peraltro, Société Générale ha rimborsato l’intero montante di questi prestiti, ovvero 3,4 miliardi di euro più interessi:

www.bloomberg.com/news/articles/2019-02-07/gundlach-says-socgen-ceo-has-no-idea-what-he-...

Già indebolita dalla crisi dei subprimes, Société Générale nel 2008 ha annunciato di essere rimasta vittima di una frode sul mercato dei contratti a termine messa in atto da uno dei suoi operatori sul mercato, Jérôme Kerviel. La liquidazione delle posizioni gestite da Kerviel ha generato 4,9 miliardi di perdite. Se si imputa a Jérôme Kerviel la responsabilità di tale perdita, si tratterebbe della più grossa truffa di tutti i tempi che sia stata messa in atto da un rogue trader, dipendente di un’istituzione finanziaria. Al termine dei vari gradi di giudizio, nel 2016, Jérôme Kerviel è stato riconosciuto unico colpevole dei fatti ed è stato condannato a cinque anni di carcere nonché al risarcimento dei danni alla banca, quantificati in un “solo” milione di euro:

it.wikipedia.org/wiki/Soci%C3%A9t%C3%A9_g%C3%A9n%C3%A9rale

Venendo ai giorni nostri, Société Générale è crollata del 12 per cento in borsa in un solo mese, mentre il resto del mercato ha tenuto. Anzi, il CAC 40, cioè l’indice borsistico francese, è cresciuto bene, ma la loro banca principale crolla vistosamente. Tutti lo vedono, tranne ovviamente i tifosi proUE e i declinisti italiani del gruppo +Europa, che continuano a criticare il governo e l’euroscetticismo fingendo di non vedere le vere cause del declino.


Trend mensile CAC40


Trend mensile Soc.Générale

L’Amministratore Delegato di DoubleLine Capital, Jeffrey Gundlach, ha usato parole molto dure per il capo della Société Générale di Parigi dopo che le sue azioni sono scese giovedì al minimo da cinque anni. La banca francese ha detto che sta riducendo le sue attività di mercato e tagliando ulteriori 500 milioni di euro di costi per combattere una rotta che ha fatto crollare le entrate commerciali. Oudea (CEO di SocGen) continua a non avere idea di cosa sta facendo tranne che affossare la banca. Con queste inequivocabili parole su Twitter, riprese anche da Bloomberg, il guru finanziario Gundlach mette il dito nella piaga della Francia. Il richio di un crollo serio è imminente e tutte le azioni di Macron sono tentativi di distrarre l’opinione pubblica, non ultima la bagatella con l’Italia. E’ una strategia che sembra funzionare. Il ragionamento di alcuni francesi è questo:“Macron non sarà un granché, ed i gilet gialli lo stanno contenstando, ma è pur sempre il nostro Capo e gli italiani lo stanno attaccando, dunque sosteniamolo”. Poveretti, non hanno idea di quanti soldi dovranno sborsare per salvare la loro decrepita banca principale. Nostro dovere urlarlo, prima che finiscano per travolgere anche noi.

Massimo Bordin
10/02/2019
micidial.it/2019/02/il-nervosismo-di-macron-la-piu-grande-banca-francese-e-andata/?fbclid=IwAR2RacFhV1Kqr-TxDsbVxkM5ZwISPYBYdMYOfuiRJdmZLVv658a...
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