Francia: idea uscita euro contagia le istituzioni

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: [1], 2
wheaton80
00venerdì 25 ottobre 2013 01:26
Tornare al franco ora, per poi rilanciare progetto tra 10 anni, dopo che l'Europa avrà costruito un'Unione Federale


François Heisbourg è professore dell'establishment, europeo convinto di origine lussemburgo-francese, contrario all'euro così com'è strutturato

PARIGI (WSI) - La rottura di un tabù non vuol dire necessariamente che un'azione radicale è alle porte. Ma il fatto che all'Eliseo francese abbiano iniziato a discutere dell'ipotesi di abbandonare l'area della moneta unica è sicuramente un fatto sorprendente. In particolare di questi giorni in cui assistiamo all'ascesa nei sondaggi e nelle elezioni amministrative del candidato terzo incomodo alla presidenza nel 2017, Marine Le Pen, convinta anti europeista e protezionista, leader del Fronte Nazionale di estrema destra. Il partito considera l'euro un esperimento fallimentare e ha pronto un piano dettagliato per mettere in pratica l'uscita dal blocco a 17 e il ritorno al Franco francese.

La verità è che le richieste di imposizione di una rottura del castello di sabbia dell'Eurozona hanno raggiunto anche i piani alti dell'establishment politico, toccando il cuore delle autorità filo europeiste. Da europeo convinto lussemburgo-francese, che rinnega l'eurofobia dilagante di estrema destra, l'autore del libro "La Fin du Rêve Européen" (La fine del sogno europeo), il professor François Heisbourg, sostiene che il "cancro dell'euro" deve essere asportato dal corpo per salvare il resto del progetto dell'Unione Europea, prima che sia troppo tardi. "Il sogno è diventato un incubo - scrive il partigiano di un'Europa federale. Dobbiamo accettare la realtà che l'esistenza dell'UE da sola è minacciata dall'euro. Gli sforzi compiuti per salvare la moneta unica stanno mettendo in pericolo l'Unione ancora di più", se possibile.

"Non c'è niente di peggio - si legge nelle pagine del testo - che dover confrontarsi tutti i giorni con le mattine senza sole ("matins blêmes") di una crisi senza fine, ma non faremo più finta di niente negando la realtà e solo Dio sa per quanto tempo le autorità Ue in carica hanno evitato, per default, di affrontare il problema". Questo "rifiuto ha condannato le nostre risposte all'eterna insufficienza davanti alla crisi", si legge nell'introduzione del libro. "Accoglieremo la fine del sogno e il ritorno al reale, non come un disastro, ma come una sfida da superare".

Prima o poi, scrive Heisbourg, i leader europei dovranno rilanciare il progetto dell'euro, probabilmente tra 10 anni, ma solo dopo aver stabilito le fondazioni federaliste necessarie e solo tra chi sarà disposto ad accettare tutte le implicazioni che si porta con sè la costituzione di una moneta federale. Il difficile però sarà convincere i cittadini a credere in un'iniziativa che, anche se con condizioni diverse, la prima volta si è rivelata fallimentare.

Adesso, complice anche la crisi del debito, le istituzioni e nazioni non sono pronte. C'è un motivo per non sottovalutare il fatto che la Francia incominci a parlare di un'ipotesi simile: è un segnale di un discontento crescente nei confronti delle politiche messe in moto dalla Germania. L'alleanza franco tedesca è la colonna portante dell'Eurozona. Se dovesse venire meno, l'euro non avrebbe un futuro. Il professor Heisbourg è un insider dell'Eliseo, un prodotto del Quai d'Orsay e un federalista europeo, da tempo immemore favorevole al progetto di un'area della moneta unica. Al momento presiede il seguito e rinomato Istituto Internazionale per gli Studi Strategici (IISS).

24 ottobre 2013
www.wallstreetitalia.com/article/1636292/eurozona/francia-idea-uscita-euro-contagia-le-istituzi...
wheaton80
00giovedì 28 novembre 2013 00:29
wheaton80
00domenica 23 marzo 2014 22:22
Amministrative Francia, stravince l’estrema destra di Marine Le Pen

Il Fronte nazionale di Marine Le Pen conquista la Francia, ancora prima delle europee alle quali l’estrema destra euroscettica viene data addirittura come probabile primo partito. Il Fronte Nazionale dilaga nel sud, conquista il primo posto in città impreviste. Per la sinistra di governo di Francois Hollande, che temeva di essere punita dagli elettori, la disfatta è totale, con i candidati dell’Ump (destra moderata) in testa nelle prime due città, Parigi e Marsiglia. I due partiti principali e “classici” della politica francese, escono comunque entrambi clamorosamente sconfitti nei numeri e nella sostanza da questo primo turno delle amministrative. Nei numeri di città come Fréjus, Hénin-Beaumont, Béziers, Perpignan, dove il candidato del Fronte finisce nettamente in testa o persino eletto al primo turno. Nella politica svolta finora, perché l’astensionismo record (fra il 35 e il 38%) dimostra la disaffezione dei francesi verso l’establishment e, in particolare nella gauche, la delusione per i due anni di mandato presidenziale di Hollande. Ancora peggio i progetti per il futuro, anche quello prossimo: mentre la portavoce del governo socialista, Najat Vallaut-Belkacem, senza consultarsi con nessuno, si affrettava ad annunciare negli studi di France 2 che, visti i risultati, il Partito socialista farà appello al Fronte repubblicano (la tradizionale alleanza destra-sinistra contro la minaccia di vittoria del Fronte nazionale), il centro-destra si è ben guardato dal seguirla. Prima il presidente dell’Ump, Jean-Francois Copé, si è limitato a definire “capitale” che gli elettori Fn facciano confluire i voti del ballottaggio sul suo partito. Poi, a sgomberare il campo dai dubbi, ci ha pensato Francois Fillon, l’ex premier: “Nessuna desistenza, nessun accordo” nei casi in cui un candidato Fn si trova in testa. La settimana che aspetta la politica francese si annuncia bollente. Saltando da uno studio tv all’altro, la bionda Marine Le Pen, sorridente, sfoggia invece serenità, mettendo spesso a tacere gli avversari: “E’ una vittoria straordinaria – ha detto – oggi i francesi si sono ripresi la loro libertà. Socialisti e destra UMP? Per noi non cambia niente, non ci alleiamo con nessuno. L’uno e l’altro fanno la stessa politica, le stesse cose”. Da Parigi e Marsiglia, le due principali città di Francia, quelle in cui l’elezione del sindaco è più emblematica, la disfatta assume dimensioni disastrose per la gauche: nella capitale, la favoritissima socialista Anne Hidalgo è in svantaggio di un punto abbondante contro la candidata Ump, Nathalie Kosciusko-Morizet, con la quale andrà al ballottaggio. E peggio ancora va a Marsiglia, dove Patrick Mennucci, il socialista che voleva scalzare il sindaco Ump Jean-Claude Gaudin, precipita al terzo posto, a vantaggio del candidato del Fronte Nazionale. Il risultato francese viene visto con entusiasmo anche in Italia in vista delle elezioni europee del 25 maggio. L’eurodeputato della Lega Nord, partito alleato del Fronte nazionale in Europa, Mario Borghezio commenta: “Lo straordinario boom elettorale del Front National di Marine Le Pen in Francia è solo l’assaggio di quello che sarà lo tsunami delle europee. La Lega Nord – continua Borghezio -, che sarà alleata della Le Pen nel nuovo Parlamento Europeo, sarà coprotagonista della grande novità rappresentata dall’irrompere in massa nel nuovo Parlamento Europeo di almeno 80-100 eurodeputati pronti ad opporsi e a bloccare su immigrazione, euro, identità e diritti dei popoli la deriva antidemocratica del super Stato dei burocrati di Bruxelles”.

23 marzo 2014
www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/23/amministrative-francia-stravince-lestrema-destra-di-marine-le-pen...
wheaton80
00lunedì 21 aprile 2014 00:18
Lilli Gruber intervista Marine Le Pen

wheaton80
00martedì 10 giugno 2014 03:35
Straordinaria intervista a tutto campo a Marine Le Pen di Der Spiegel: la Germania ha capito che sarà presidente

Eccezionale intervista a Marine Le Pen realizata da Der Spiegel, il più diffuso settimanale della Germania.

SPIEGEL: Signora Le Pen, avendo preso il 25 percento dei voti francesi il suo Front National si colloca tra i principali vincitori delle elezioni europee del 25 maggio. Com’è potuto succedere?

Marine Le Pen: I francesi vogliono riprendere il controllo del proprio paese. Vogliono determinare il corso delle proprie politiche economiche e sull’immigrazione. Vogliono che le proprie leggi abbiano la precedenza rispetto a quelle dell’Unione Europea. I francesi hanno capito che l’UE non è all’altezza di quell’utopia che ci era stata venduta. Si è significativamente allontanata da una modalità di funzionamento democratica.

SPIEGEL: Tuttavia, prima delle elezioni, era stato detto che individuare dei candidati leader per i due gruppi principali – Jean-Claude Juncker per il centrodestra e Martin Schulz per il centrosinistra – avrebbe rafforzato la democrazia dell’UE.
Marine Le Pen: È totalmente falso. Tutti sapevano che non sarebbe stato il Parlamento Europeo a prendere la decisione finale sul prossimo presidente della Commissione Europea.

SPIEGEL: Lei vuole distruggere l’Europa?

Marine Le Pen: Io voglio distruggere l’UE, non l’Europa! Io credo in un’Europa di Stati-nazione. Io credo in Airbus e Ariane [gruppi europei multinazionali per l’aeronautica e la navigazione spaziale, ndt], credo in un’Europa fondata sulla cooperazione. Ma non voglio questa Unione Sovietica Europea.

SPIEGEL: L’UE è un grande progetto per la pace. Ha contribuito ad assicurare 70 anni senza guerre nel continente.
Marine Le Pen: No. L’Europa è la guerra. Guerra economica. È l’aumento delle ostilità tra i paesi. I tedeschi vengono disprezzati come crudeli, i greci come truffatori, i francesi come pigri. La signora Merkel non può viaggiare in alcun paese europeo senza essere scortata da centinaia di agenti di polizia. Questa non è fratellanza.

SPIEGEL: Lei intende ora andare a Bruxelles solo per combattere il sistema.
Marine Le Pen: E perché no? L’UE è profondamente dannosa, è un mostro anti-democratico. Voglio impedire che diventi ancora più grosso, che continui a respirare, che continui ad afferrare tutto tra le sue grinfie e che continui ad estendere i suoi tentacoli in tutte le aree della legislazione. Nella nostra storia gloriosa, milioni di persone sono morte per assicurare che il nostro paese rimanesse libero. Oggi stiamo semplicemente lasciando che il nostro diritto all’auto-determinazione ci venga rubato.

SPIEGEL: In realtà, però, lei non ha vinto le elezioni a causa dell’UE, ma a causa del fatto che i francesi sono furiosi per la situazione economica e sono contro il presidente François Hollande. Lo ha ringraziato?

Marine Le Pen: No. Allora avrei dovuto ringraziare anche Nicolas Sarkozy. La Francia è in questa situazione perché l’Unione conservatrice per un Movimento Popolare (il partito di Sarkozy) e i Socialisti (il partito di Hollande) si sono sottomessi ai trattati europei. Questi trattati funzionano piuttosto bene nel favorire gli interessi tedeschi, e piuttosto male nel difendere gli interessi francesi.

SPIEGEL: Bisogna dare la colpa alla Germania per le sofferenze della Francia?
Marine Le Pen: Ogni volta che sento qualcuno esprimere dei sentimenti anti-tedeschi dico: Non puoi prendertela con la Germania se questa difende i propri interessi. Io non posso dare la colpa alla signora Merkel se lei dice di volere un euro forte. Al contrario, dò la colpa ai nostri leader perché non stanno difendendo i nostri interessi. L’euro forte sta rovinando la nostra economia.

SPIEGEL: Perché dice che l’euro sta aiutando solo la Germania?
Marine Le Pen: Per un motivo molto semplice: è stato creato dalla Germania, per la Germania.

SPIEGEL: Fu François Mitterand a volere l’euro per poter contenere la Germania. In realtà fu difficile per i tedeschi accettare di rinunciare al loro amato marco tedesco.
Marine Le Pen: Questa è un’altra storia. Mitterand voleva spingere avanti l’integrazione attraverso l’euro. Ma da un punto di vista economico l’euro è tedesco. Se dovessimo tornare alle nostre valute nazionali, il D-Mark sarebbe l’unico a rivalutarsi, il che sarebbe uno svantaggio competitivo per la Germania. La nostra valuta, al contrario, si svaluterebbe, e questo ci darebbe spazio per respirare.

SPIEGEL: In altre parole, i voti agli euro-scettici sono voti contro la Germania?

Marine Le Pen: Non c’è dubbio che il modello che stiamo sostenendo sia meno favorevole alla Germania rispetto al modello attuale. La Germania è diventata il cuore economico dell’Europa perché i nostri leader sono deboli. Ma la Germania non dovrebbe mai dimenticare che la Francia è il cuore politico dell’Europa. Ciò che sta succedendo qui oggi prefigura ciò che accadrà nel resto dell’Europa nei prossimi anni: il grande ritorno allo Stato-nazione, che stanno tentando di annientare.

SPIEGEL: Vede Angela Merkel come un nemico?
Marine Le Pen: Io ho rispetto per i leader che difendono gli interessi dei propri paesi. Le sue politiche sono favorevoli alla Germania, ma sfortunatamente sono dannose per tutti gli altri paesi. Il mio avvertimento è: stia attenta signora Merkel. Se non vedete le sofferenze che sono state imposte al resto degli europei, alla fine i tedeschi si faranno odiare. La Merkel crede che sia possibile perseguire delle politiche, negli altri paesi, anche quando sono contrarie alla volontà del popolo. Non lo farebbe mai in Germania, dove i risultati delle elezioni vengono rispettati. Ma vuole imporre le sue politiche agli altri. Questo porterà ad una esplosione dell’Unione Europea.

SPIEGEL: Vuole veramente che la Francia lasci l’euro?
Marine Le Pen: L’ho detto fin dalla campagna per le elezioni presidenziali. È una questione difficile e ho assunto un grosso rischio. So molto bene che la classe politica ha sparso il terrore nell’elettorato: Senza l’euro il sole smetterà di sorgere, i fiumi smetteranno di scorrere, entreremo nell’era glaciale...

SPIEGEL: La fine dell’euro condurrebbe sicuramente ad un disastro economico.
Marine Le Pen: Non ci credo minimamente. Sarebbe invece un’incredibile opportunità. Se non ci lasceremo tutti quanti l’euro alle spalle, esso esploderà. Potrebbe essere per una rivolta del popolo che non vuole più farsi dissanguare. Oppure i tedeschi potrebbero dire: Stop, non pagheremo più per i poveri.

SPIEGEL: Ora lei andrà a Bruxelles portando con sé 24 rappresentanti...
Marine Le Pen: ...e siamo il quarto maggiore partito dopo i Cristiano-democratici tedeschi, il Partito Democratico italiano, e i Social-Democratici tedeschi.

SPIEGEL: Ma per costruire un gruppo parlamentare vi servono rappresentanti di almeno sette paesi diversi. Avete un accordo con il partito della destra populista olandese, Geert Wilders, il FPÖ austriaco, la Lega Nord italiana e il Vlaams Belang belga, ma non è abbastanza.
Marine Le Pen: Sono ottimista sul fatto che riusciremo a costruire un gruppo parlamentare. Ho una serie di incontri in programma.

SPIEGEL: Il Partito Indipendentista del Regno Unito (UKIP), sebbene scettico sull’UE, ha rifiutato di cooperare con voi. Il leader Nigel Farage ha detto che il Front National è anti-semita.
Marine Le Pen: E David Cameron dice che i membri dell’UKIP sono pazzi e razzisti. Penso sia una buona cosa che l’UKIP sia diventato così forte. Ma loro hanno già un gruppo parlamentare e ci vedono come la concorrenza, da qui queste accuse ingiuriose.

SPIEGEL: Lei vorrebbe lavorare assieme all’UKIP?
Marine Le Pen: Potrebbe certamente essere una possibilità. Abbiamo fondamentalmente lo stesso approccio verso l'Europa.

SPIEGEL: Voi e i vostri potenziali alleati siete tutti contro l’Unione Europea. Ma, a parte questo, che cosa avete in comune, per esempio, con qualcuno come Geert Wilders?
Marine Le Pen: Ma questo è sufficiente!

SPIEGEL: Lui è favorevole ai diritti dei gay, mentre voi vi opponete ai matrimoni gay.

Marine Le Pen: Perché dovrebbe importarmi di questo? Per me la lotta per la sovranità delle nazioni è sufficiente. Ciascuno dovrebbe avere la possibilità di scegliere secondo i propri valori e la propria storia, all’interno di una civiltà europea a cui noi tutti apparteniamo.

SPIEGEL: Lei ha escluso la possibilità di cooperare con gli estremisti di destra come il partito greco di Alba Dorata e il partito neo-nazista tedesco NPD. Invece cosa dice a riguardo del partito tedesco euro-scettico Alternative für Deutschland?
Marine Le Pen: Loro per ora non sono interessati ad una tale cooperazione. Condividiamo certi punti di vista con AfD, ma non sono un partito del popolo. Sono piuttosto un partito elitista con una struttura diversa dalla nostra.

SPIEGEL: La Francia sta davvero soffrendo una sorta di depressione?
Marine Le Pen: C’è qualcosa del genere. Eravamo uno dei paesi più ricchi del mondo, ma ora siamo sulla strada del sottosviluppo. Questa austerità che è stata imposta alla gente non funziona. Le persone non accetteranno di essere strozzate senza ribellarsi.

SPIEGEL: Tuttavia il debito sovrano francese è enorme.

Marine Le Pen: Il debito sovrano francese continuerà ad essere enorme. Più austerità si impone, più la crescita ne soffre, tanto minore sarà il gettito fiscale e tanto più alto il deficit di bilancio. Inoltre il governo ha cercato di risparmiare tagliando spese utili anzichè spese dannose. I risparmi dovrebbero farsi su un sistema sociale troppo generoso che offre agli immigrati clandestini le stesse protezioni che offre ai propri cittadini, e sulle truffe al welfare, e sui contributi all’UE, che crescono di anno in anno.

SPIEGEL: Il Front National vuole che la Francia ritorni agli inizi degli anni '60: Uno Stato protezionista che guida l'economia, un capo di Stato autoritario e meno immigrazione?

Marine Le Pen: È innegabile che la Francia fosse allora in una situazione migliore di quella in cui è oggi. Non guardo nello specchietto retrovisore. Ma non c'era alcun bisogno per noi di sperimentare la fine del progresso sociale ottenuto da allora. Non ha senso avere accolto 10 milioni di stranieri in un periodo di 30 anni.

SPIEGEL: Pensa davvero che la Francia possa nascondersi dal mondo?

Marine Le Pen: Non sto parlando di autarchia. Non sono folle. Abbiamo bisogno di un protezionismo intelligente. Abbiamo ancora bisogno di barriere doganali - sebbene non verso i paesi che hanno gli stessi livelli di sicurezza sociale che abbiamo noi. È giusta competizione. Il problema è la totale apertura delle frontiere e aver permesso che la legge della giungla prevalesse: Più un'azienda oggi si spinge a cercare schiavi, che tratta come animali e paga una miseria, senza riguardo per le leggi ambientali, e più guadagna.

SPIEGEL: Il libero commercio è davvero una cosa così orribile?

Marine Le Pen: Il commercio è sempre esistito, ma una volta difendevamo i nostri interessi strategici. Riuscireste a immaginare gli Stati Uniti che permettono al gigante francese dell'ingegneria Alstom di acquisire la General Electric? Non credo. E non voglio che la tedesca Siemens acquisisca Alstom. Voglio che Alstom rimanga francese. È strategicamente importante per l'indipendenza del mio paese.

SPIEGEL: Ma Alstom ha dei grossi problemi.
Marine Le Pen: Uno può nazionalizzare l'azienda, anche temporaneamente, per stabilizzarne le condizioni.

SPIEGEL: Quando lei ha preso le redini di Front National in condizioni desolanti, da suo padre, nel 2011, pensava davvero che sarebbe potuto diventare il partito francese più forte?

Marine Le Pen: Certamente, altrimenti non avrei fatto tutto questo. Se non avessi creduto che avessimo una possibilità di arrivare al potere, allora mi sarei occupata di badare i miei tre figli o al giardino.

SPIEGEL: Da quando ha preso la leadership del partito, lei ha lavorato alla "de-demonizzazione" del Front National. Ha finalmente raggiunto questo obiettivo, con i risultati di queste elezioni?
Marine Le Pen: Certamente tra la gente. Ma l'élite, certo, continua a difendere i propri interessi. Siamo trattati come tutti gli altri partiti? No. Non dalla stampa e certamente non dalla classe politica.

SPIEGEL: Cos'è veramente il Front National? Da una parte ha il suo giovane deputato Florian Philippot, uno che si definisce gollista. Dall'altra, c'è suo padre, che recentemente ha detto che il "Signor Ebola" potrebbe risolvere il problema dell'esplosione della popolazione globale in tre mesi.
Marine Le Pen: Non ha detto "potrebbe". E poi non era il suo desiderio, ha solamente espresso una preoccupazione. Sa, il gollismo viene descritto come "la folla nella metropolitana nell'ora di punta". È dove trovi Jean-Marie Le Pen e Florian Philippot, trovi gli artigiani, i direttori d'azienda e i funzionari pubblici. Noi vogliamo rappresentare tutto il popolo francese con idee che non sono né di destra né di sinistra: il patriottismo, la difesa dell'identità e la sovranità del popolo. Se una persona come me viene descritta allo stesso tempo come di estrema sinistra e di estrema destra, si è fuori strada.

SPIEGEL: Il Front National è un partito anti-immigrazione. I sondaggi mostrano che l'immigrazione è il problema di maggiore preoccupazione per l'elettorato.

Marine Le Pen: Sì, noi vogliamo mettere un freno all'immigrazione.

SPIEGEL: Perché questa xenofobia?

Marine Le Pen: La xenophobia è l'odio per gli stranieri. Io non odio nessuno.

SPIEGEL: In Germania oggi c'è molta più immigrazione che in Francia. Nonostante questo, non ci sono partiti come il suo.
Marine Le Pen: Noi abbiamo milioni di disoccupati e non possiamo permetterci altra immigrazione. Dove dovrebbero vivere? Non è fattibile.

SPIEGEL: Il vostro successo è forse il prodotto del fallimento delle élite? Il politico socialista Sami Ghali suggerisce che i francesi vogliano qualcuno che parli al loro cuore e che lei, sfortunatamente, sia l'unica che finora lo ha fatto.
Marine Le Pen: La nostra classe politica non ha più alcuna convinzione. Si possono trasmettere solo le cose in cui si crede. Loro non credono più nella Francia - hanno una visione del mondo post-nazionale. Io li chiamo franco-scettici. Questo è il motivo per cui la democrazia sta collassando qui in Francia.

SPIEGEL: Il Primo Ministro Manuel Valls ha ancora delle convinzioni. Solo che non sono le stesse che ha lei.

Marine Le Pen: Io non credo. È un uomo senza alcuna convinzione, proprio come Nicolas Sarkozy. Queste sono persone che vi diranno qualsiasi cosa solo per mandare avanti le loro piccole carriere.

SPIEGEL: Forse lei sta dicendo questo solo perché Valls, che fu ministro dell'Interno prima di diventare premier, è l'unico membro del governo che attualmente è ancora popolare tra gli elettori.

Marine Le Pen: Lui è popolare perché gli altri nel governo sono impopolari. I ministri dell'Interno sono sempre popolari perché danno alla gente la sensazione che si stanno prendendo cura della loro sicurezza, anche quando sono solo persone dalle parole forti e dalle mani deboli.

SPIEGEL: Pensa di potercela fare a vincere al secondo turno delle elezioni presidenziali del 2017?
Marine Le Pen: Sì, penso sia un'ipotesi credibile. Oggi tutti lo ammettono. Se guarda ai sondaggi vede che abbiamo tra i non-elettori almeno tanti potenziali voti quanti ne abbiamo tra gli elettori. Come ho detto, e lo credo ancora, arriveremo al potere entro i prossimi 10 anni. Potrebbe accadere più rapidamente di quanto ci si immagini.

SPIEGEL: Hollande è meno popolare di qualsiasi altro presidente lo abbia preceduto. Sta già focalizzando la sua campagna presidenziale interamente per opporsi a Nicolas Sarkozy?
Marine Le Pen: Non sparo sulle ambulanze. Sarkozy è già finito come candidato.

SPIEGEL: Intende per via del suo coinvolgimento nello scandalo finanziari sull'UMP, che ha già costretto il capo del partito, Jean-François Copé, a dimettersi?

Marine Le Pen: Sì. Ora è finito. Ha imbrogliato. Ha violato la legge della Repubblica e ha speso più del doppio di quanto consentito dalla legge per la sua campagna elettorale. Facendo così si è totalmente squalificato. Tra l'altro mi dispiace, perché avrei voluto avere lui come oppositore.

SPIEGEL: Perché?
Marine Le Pen: Perché lui è quello che è.

SPIEGEL: Perché lei sta sostenendo il presidente russo Vladimir Putin nelle sue posizioni contro l'Europa nella crisi ucraina?
Marine Le Pen: Io non sostengo Putin contro l'Europa. Questa è una caricatura. Io sostengo un'Ucraina federalista. L'UE ha gettato benzina sul fuoco proponendo un accordo economico ad un paese che si sa essere diviso a metà tra Est ed Ovest.

SPIEGEL: Lei ammira Putin?
Marine Le Pen: Ho una certa ammirazione per Vladimir Putin in quanto non permette che altri paesi gli impongano delle decisione. Penso che egli si preoccupi per prima cosa e soprattutto del bene della Russia e dei russi. In questo senso ho per Putin lo stesso rispetto che ho per la signora Merkel.

SPIEGEL: Putin non è democratico.

Marine Le Pen: Oh davvero? Non è democratico? Non ci sono le elezioni in Russia?

SPIEGEL: Non c'è libertà di stampa, per esempio.
Marine Le Pen: Ma lei pensa che ci sia vera libertà di stampa in Francia? Il novanta percento dei giornalisti sono di sinistra!

SPIEGEL: Questo lo crede lei. Ma i giornalisti non vengono uccisi e non vengono incarcerati.

Marine Le Pen: Ad essere onesti, ci sono molte cose da dire riguardo la Russia, perché è stata demonizzata per anni per volere degli USA. Fa parte della grandezza di un paese europeo riuscire a sviluppare una propria opinione e non vedere tutto attraverso le lenti degli USA. Non abbiamo nessuna lezione da insegnare alla Russia se poi allo stesso tempo srotoliamo il tappeto rosso al Qatar, all'Arabia Saudita o alla Cina.

SPIEGEL: Quindi lei è avversa agli USA più che essere a favore della Russia?
Marine Le Pen: Gli americani stanno cercando di espandere la propria influenza nel mondo, specialmente in Europa. Stanno difendendo i loro interessi, non i nostri. Io sono a favore di un mondo multi-polare in cui la Francia ancora una volta possa prendere la posizione di leader dei paesi non-allineati, non con gli USA, non con la Russia, e non con la Germania. Uno dovrebbe cercare di non essere né padrone né schiavo.

SPIEGEL: Signora Le Pen, la ringraziamo per questa intervista.


L'intervista a Marine le Pen realizzata e pubblicata da Der Spiegel è stata tradotta da Voci dall'Estero - che ringraziamo.

9 giugno 2014
www.ilnord.it/index.php?id_articolo=3097#.U5V8k0WG7WI....
wheaton80
00mercoledì 18 giugno 2014 04:00
Francia: vincono i fralibiens. Battere le multinazionali e le delocalizzazioni si può

Nella Francia conquistata dal Front National è accaduto qualcosa di significativo, non solo dal punto di vista simbolico ma persino materiale: dopo 1.336 giorni di lotta, Davide, vale a dire 76 lavoratori della Fralib di Géménos, in Provenza, ha sconfitto fragorosamente Golia, cioè la multinazionale anglo-olandese dell’alimentazione Unilever. La big company, che aveva deciso da un giorno all’altro di delocalizzare la produzione del tè Lipton e delle tisane con il marchio Elephant in Polonia, ha dovuto infatti arrendersi alla resistenza operaia: pagherà 19,1 milioni di euro per i danni causati dallo stop all’azienda, mentre i terreni e i macchinari, già bloccati dalla municipalità di Marsiglia (un equivalente delle nostre province, a guida socialista) al prezzo simbolico di un euro e valutati altri sette milioni, saranno trasferiti alla nuova cooperativa, messa in piedi dai lavoratori. In totale fanno oltre 26 milioni di euro, ai quali andrà sommato il sostegno della multinazionale alla vendita dei prodotti della Fralib, almeno nella prima fase.

Una notizia a dir poco inconsueta, di questi tempi in Europa. È figlia di una lotta iniziata nel 2011, quando la Unilever, proprietaria del marchio Lipton e di quello Elephant (brand molto conosciuto Oltralpe), aveva deciso di chiudere lo stabilimento francese e di trasferirsi armi e bagagli in Polonia. I dipendenti avevano però occupato la fabbrica, impedendo che i macchinari fossero smontati e che i locali fossero venduti o, peggio, abbandonati. La lotta dell’«elefantino» aveva immediatamente trovato il sostegno «militante» dei lavoratori delle fabbriche dell’area industriale di Géménos, un comune di seimila abitanti della Provenza. Si erano mobilitati in centinaia, da venticinque aziende di settori diversi, ottenendo l’appoggio del sindacato Cgt, nonché di associazioni e movimenti locali. Tutti insieme avevano partecipato a scioperi e picchetti, e avevano contribuito anche a presidiare lo stabilimento durante l’occupazione. Anche la politica era stata costretta a muoversi: prima che diventasse Presidente della Repubblica, Francois Hollande era venuto alla Fralib a promettere che, in casi estremi, la fabbrica sarebbe stata requisita dallo Stato. La battaglia dell’elefantino (gli abbiamo dedicato una copertina di Alias) è proseguita per tre anni e mezzo, tra minacce aziendali, tentativi di sgombero con contractors privati addestrati nelle guerre balcaniche e allettanti offerte economiche individuali per rompere il fronte della protesta. La resistenza della Fralib ha fatto il giro del mondo, al punto che, alla fine di gennaio, nelle campagne provenzali sono arrivati lavoratori recuperati da tutta Europa per organizzare una rete fra loro. L’ultima arma nelle mani degli operai è stata la campagna di boicottaggio dei prodotti della Unilever, che ha preso piede in men che non si dica. Probabilmente è stata quest’ultima a convincere la multinazionale che il danno d’immagine rischiava di essere più pesante della resa a Géménos.

«Tutti ci dicevano che eravamo pazzi a scagliarci contro dei miliardari, ma la nostra follia alla fine ha pagato», ha commentato un lavoratore. Già si pensa a come ripartire. Gli operai hanno costituito una cooperativa che si chiama Thé et infuses e stretto accordi con produttori locali di erbe biologiche. Non si useranno più aromi artificiali e additivi chimici con i quali l’azienda aveva sostituito i prodotti locali naturali per risparmiare sui costi e che alla Fralib conservano ancora in un capannone, ma la produzione sarà di grande qualità: le tisane al tiglio, gli infusi alla lavanda provenzale, il mate. Gli operai ricapitalizzeranno la società investendo parte della liquidazione, mentre i soldi della Unilever serviranno a finanziare la formazione dei lavoratori e una ricerca di mercato. La multinazionale aiuterà anche la nuova società a muovere i primi passi sul mercato. È una vittoria su tutta la linea, per l’elefantino imbizzarrito della Provenza, in cui ognuno ha fatto la sua parte: la solidarietà operaia innanzitutto (estesa anche al di fuori della Fralib, come abbiamo visto), le organizzazioni che hanno aderito alla campagna di boicottaggio (in primis l’Associazione per l’autogestione che ha organizzato il meeting delle fabbriche recuperate), il sindacato Cgt e il Front de Gauche. Infine, le istituzioni: per costringere la Unilever all’accordo sono dovuti scendere in campo Hollande e il ministro del Lavoro Arnauld Montebourg.

Rimane ancora aperta la questione del logo: i lavoratori Unilever vorrebbero che l’elefantino rimanesse di loro proprietà, perché «marchio regionale tipico» e in quanto tale non delocalizzabile. Una faccenda di non poco conto, sia per la nuova impresa, che potrebbe appoggiarsi a un brand riconosciuto, che dal punto di vista giuridico: se i giudici dovessero riconsegnare l’elefantino ai lavoratori la vittoria sarebbe totale e cambierebbe lo statuto giuridico della proprietà privata nel continente. Ma l’impressione è che su questo punto i lavoratori della Fralib siano stati costretti a cedere. Ora i «fralibiens», come vengono definiti in Francia, annunciano che a fine giugno a Géménos ci sarà una grande festa per celebrare l’inizio di una nuova storia. Poi dedicheranno una giornata alla presentazione dei nuovi prodotti. Non più «da fabbrica in lotta», come recitava il logo provvisorio che si erano inventati durante l’occupazione, ma stavolta «da fabbrica recuperata».

Angelo Mastrandrea, Manifesto del 16 giugno 2014
www.senzasoste.it/economia/francia-vincono-i-fralibiens-battere-le-multinazionali-e-le-delocalizzazion...
wheaton80
00martedì 1 luglio 2014 13:47
Corruzione, mazzette, finanziamenti illeciti al suo partito: Sarkozy arrestato (strada spianata per Marine Le Pen)

PARIGI - Nicolas Sarkozy è il primo ex presidente della Repubblica ad essere sottoposto in Francia a un provvedimento di fermo giudiziario. Durante la carica, il capo dello stato è protetto da un' ampia immunità. "La giustizia deve andare fino in fondo - è stato il primo commento del governo, attraverso il portavoce Stephane Le Foll - Davanti ai giudici Nicolas Sarkozy è un cittadino uguale agli altri". L' ex presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, è stato interrogato stamane dalla polizia e messo in stato di fermo, secondo una fonte giudiziaria dell'agenzia Afp. Dal 26 febbraio, Sarkozy è al centro di un' inchiesta giudiziaria che si occupa di intercettazioni e violazione del segreto istruttorio. Sarkozy era arrivato stamane presso l'ufficio centrale di lotta contro la corruzione e le infrazioni finanziarie e fiscali della polizia giudiziaria di Nanterre per essere interrogato. Il fermo, il cosiddetto regime di 'garde a vue', è una misura assolutamente inedita contro un ex inquilino dell'Eliseo. Gli inquirenti possono trattenere Sarkozy per 24 ore, con la possibilità eventuale di estendere il fermo per un' altra giornata. La polizia giudiziaria sta cercando di capire se l'ex capo di Stato e il suo entourage crearono una 'rete' di informatori per essere aggiornati sull' evoluzione dei processi giudiziari che minacciavano Sarkò, nell' epoca in cui fu capo di Stato tra il 2007 e il 2012. Sarkozy, che si è presentato volontariamente negli uffici giudiziari, è arrivato nella sede della polizia poco dopo le 8, ora locale. Ieri, i magistrati avevano fermato il suo avvocato, Thierry Herzog, e due alti magistrati di Cassazione, Gilbert Azibert e Patrick Sassoust, che rimangono tutti in stato di fermo provvisorio. Il sospetto è che Azibert, vicino all'entourage dell'ex presidente, ricevesse 'soffiate' da parte di informatori nel Tribunale Supremo sull' andamento dell' inchiesta riguardante il presunto finanziamento illegale della campagna elettorale che portò Sarkozy al palazzo dell' Eliseo, nel 2007. L'ipotesi degli inquirenti è che l'avvocato di Sarkozy avesse promesso in cambio al magistrato l' aiuto per un posto nell' amministrazione a cui lui teneva. Sarkozy sarebbe stato anche informato che il suo cellulare era stato messo sotto controllo dai giudici. L'inchiesta cosiddetta 'des écoutes', delle intercettazioni, è quella che cerca di chiarire se l'allora capo dell'UMP ricevette finanziamenti illegali durante la campagna presidenziale da parte della milionaria ereditiera dell'impero della cosmesi L' Oreal, Liliane Bettencourt, e da parte dell' allora dittatore libico, Muammar Gheddafi. La vicenda potrebbe essere devastante per le speranze di Sarkozy di tornare sulla scena politica in tempo per la prossima campagna elettorale presidenziale nel 2017.

1 luglio 2014
www.ilnord.it/c3212_CORRUZIONE_MAZZETTE_FINANZIAMENTI_ILLECITI_AL_SUO_PARTITO_SARKOZY_ARRESTATO_STRADA_SPIANATA_PER_MARIN...
wheaton80
00martedì 8 luglio 2014 01:18
Transazioni internazionali: Francia spara a zero su egemonia dollaro

NEW YORK (WSI) - L'Establishment politico e finanziario francese spara a zero sull'egemonia del dollaro nelle transazioni internazionali, dopo che le autorità statunitensi hanno multato con 9 miliardi di dollari la BNP Paribas per aver aiutato alcuni paesi ad evitare sanzioni. Michel Sapin, il ministro delle Finanze francese, ha chiesto un "riequilibrio" delle valute utilizzate per i pagamenti globali, dicendo che il caso BNP Paribas dovrebbe "farci capire la necessità di utilizzare una varietà di monete". La notizia è stata ripresa dal Financial Times che ha anche riportato le sue parole: "Noi (europei) commerciamo con noi stessi in dollari, per esempio quando vendiamo aeroplani. È necessario? Io non la penso così. Penso che sia importante, e possibile, un riequilibrio, non solo per quanto riguarda l'euro, ma anche per le grandi valute dei paesi emergenti, che rappresentano sempre di più il commercio mondiale". Christophe de Margerie, amministratore delegato della Total, la più grande società per capitalizzazione di mercato in Francia, ha dichiarato che non vede alcun motivo per cui gli acquisti di petrolio debbano essere effettuati in dollari, anche se il prezzo di riferimento (in dollari) è destinato a rimanere: "Il prezzo di un barile di petrolio è quotato in dollari," ha detto, "Una raffineria potrebbe prendere tale prezzo e, utilizzando il tasso di cambio euro-dollaro in un dato giorno, accettare di effettuare il pagamento in euro". Anche l'amministratore delegato del gruppo industriale CAC 40 è della stessa idea: "Le aziende come la nostra sono in un vicolo cieco perché vendono in dollari, ma non vogliamo avere sempre a che fare con tutte le norme e i regolamenti degli Stati Uniti". In conclusione Sapin ha quindi sottolineato la necessità di un'alternativa, anche se ha rifiutato di entrare nel dettaglio su quali misure concrete potrebbero emergere. Nonostante gli sforzi per diversificare, molte banche centrali però dicono che ancora non vedono alternative reali per la sicurezza e la liquidità del mercato dei titoli del Tesoro USA, e inoltre detengono oltre il 60% delle loro riserve in dollari. Un alto funzionario francese ha infine messo in dubbio la capacità del governo per stimolare l'ulteriore utilizzo dell'euro nel commercio internazionale:"Alla fine è difficile sapere cosa può accade e quali benefici possa portare. È il mercato a decidere queste cose".

07 luglio 2014
www.wallstreetitalia.com/article/1708953/transazioni-internazionali-francia-spara-a-zero-su-egemonia-doll...
wheaton80
00domenica 3 agosto 2014 03:27
Sondaggio elezioni presidenziali in Francia: se si votasse oggi, Marine Le Pen vincerebbe il primo turno nettamente

PARIGI - L'autorevole società di sondaggi francese IFOP pubblica sul proprio sito web questo articolo:"Se le prossime elezioni presidenziali si tenessero oggi, con l'offerta elettorale che è stata proposta nel 2012 (Hollande contro Sarkozy - ndr), il Fronte Nazionale di Marine Le Pen sarebbe in grado di raggiungere la vittoria già la sera del primo turno. Sfruttando il suo successo alle elezioni europee dello scorso maggio, Marine Le Pen riuscirebbe a raccogliere il 26% dei voti, davanti a Nicolas Sarkozy (25%) e significativamente superando François Hollande (17%). Anche se funziona meglio rispetto al Presidente della Repubblica nei sondaggi di popolarità, il primo ministro Manuel Valls, se fosse il candidato del Partito socialista, riuscirebbe a raccogliere solo il 17% dei voti, lasciando sempre Nicolas Sarkozy al 25% e Marine Le Pen al 26% per competere nel secondo turno delle elezioni presidenziali. Supponendo invece Arnaud Montebourg come candidato del PS, lo stesso non riescirebbe a sua volta a raccogliere più del 10% dei voti, sette punti in meno rispetto agli altri due casi, senza che questo cambi significativamente il rapporto di forza degli altri candidati al primo turno. Nel dettaglio dei risultati del sondaggio, qualunque sia il candidato designato dal partito socialista, vediamo che Marine Le Pen, come nelle elezioni europee, ha una forte base elettorale, tra il 37 e il 40%, fra i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi. François Hollande è in grado intanto di mobilitare il 45% dei sostenitori di sinistra, contro il solo 38% nel caso in cui Manuel Valls fosse il candidato nelle elezioni presidenziali. Resta quindi il fatto che Marine Le Pen vincerebbe il primo turno, ipotecando decisamente la vittoria finale nel secondo turno.

1 agosto 2014
www.ilnord.it/index.php?id_articolo=3367#.U9u2DEbvSYA....
nwoitaly
00lunedì 4 agosto 2014 08:27
Wheaton, grazie x gli aggiornamenti e buon Ferragosto!!!
Victor
wheaton80
00lunedì 4 agosto 2014 14:03
Di nulla :)

Grazie mille, anche a te!
wheaton80
00mercoledì 27 agosto 2014 02:20
Il Guardian:”La rivolta contro la (folle) politica dell’austerità fa cadere il governo francese. Adesso il crollo UE?”

LONDRA – Se c’erano ancora dubbi sulla gravità della crisi che minaccia il futuro dell’euro – e potenzialmente della stessa Unione Europea – l’annuncio shock della crisi di governo in Francia dovrebbe metterli a tacere. Le tensioni all’interno del governo socialista francese sono andate crescendo per mesi, mentre l’economia minacciava una doppia recessione. Ma è stata la critica pubblica da parte del ministro dell’economia francese, Arnaud Montebourg, sull’accettazione da parte di Parigi dell’austerità imposta dall’eurozona, che ha portato il presidente Hollande a chiedere la formazione di un nuovo governo. L’ironia è che alcuni dei timori espressi da Montebourg circa l’economia francese che si avvia alla deflazione sono stati espressi anche dal presidente della Banca centrale europea (BCE), Mario Draghi, in un importante ma poco noto discorso tenuto venerdì sera negli Stati Uniti. Draghi non ha nascosto la sua crescente preoccupazione per la stagnazione dell’economia dell’eurozona e il mancato stimolo alla domanda da parte dei paesi in grado di farlo. Questo è un messaggio abbastanza ovvio per la Germania. Si può presumere che – sotto le direttive del presidente Hollande – il primo ministro francese, Manuel Valls, proporrà debitamente un nuovo governo, depurato dai dissidenti. Ma sarebbe molto sorprendente se lo stesso dibattito innescato da Montebourg non tornasse molto presto a perseguitare i responsabili politici francesi. Ma quel che è nuovo, e potenzialmente molto preoccupante, è la prospettiva che il tempo a disposizione del governo francese per evitare il disastro – e il tempo di tutta l’eurozona nel suo insieme – si stia rapidamente esaurendo. Draghi e la BCE vogliono chiaramente agire rapidamente per ammorbidire ulteriormente la politica monetaria, possibilmente includendo gli acquisti su larga scala di debito pubblico e privato. Ma tempi per farlo non sono interamente nelle mani della BCE, ed è ancora possibile che il governo di Berlino – sotto la pressione della Bundesbank – punti i piedi. Né vi è molto entusiasmo a Berlino sull’adozione di misure fiscali per stimolare la domanda in tutta l’eurozona. Il pericolo è che se la zona euro dovesse scivolare sempre più in una deflazione vera e propria, diventerà ancora più difficile invertire la tendenza economica. Sotto la superficie, tuttavia, il dibattito potrebbe centrarsi sulla scala dell’azione da intraprendere, per timore che la scelta possa diventare o salvare l’euro o salvare la stessa UE. All’interno della coalizione della Merkel, aumentano le pressioni per un cambio di direzione economica al fine di evitare una catastrofe, non solo economica, ma anche politica, sull’integrazione europea. Questa presunta “nuova direzione” non solo deve includere un QE di emergenza da parte della BCE, ma anche uno stimolo alla domanda da parte dei governi, eventualmente accompagnato dalla parziale temporanea sospensione di alcune delle regole della zona euro su deficit e inflazione. Ma è pure essenziale il massimo dispiegamento delle capacità complessive della UE di finanziare una sorta di “New Deal”, guidato da un massiccio aumento degli investimenti sull’energia, i trasporti, l’ambiente e le infrastrutture sociali. E’ una direzione che lo stesso presidente Hollande sarebbe ben felice di sostenere, se solo potesse mantenere la facciata di un’incontrastata autorità di governo e di continuità della strategia di Parigi. Sarà un trucco difficile da attuare, per lui. Anche il governo italiano guidato da Matteo Renzi è consapevole del fatto che la sua luna di miele politica sta volgendo al termine, e sta conducendo una campagna, appena dissimulata, per un cambio di strategia nell’eurozona. Quando il gioco si fa duro, nei conclavi delle riunioni ministeriali dell’eurozona potrebbe formarsi una chiara maggioranza favorevole a politiche nuove da realizzare con urgenza. Perfino in Finlandia, tradizionale alleato della Germania sulla linea dura dell’austerità, si sentono nuove voci che mettono in guardia sull’imminente catastrofe economica. La Merkel cederà alle pressioni per una nuova iniziativa nell’eurozona? Sarebbe sorprendente se non lo facesse. Più di ogni altro governo dell’UE, la Germania sa fin troppo bene quello che potrebbe seguire alla disintegrazione dell’euro. La sopravvivenza dell’integrazione europea potrebbe essere in gioco. Gli eventi in Ucraina e altrove mostrano un promemoria riguardo il prezzo che un’Europa debole e disunita potrebbe ora pagare per un errore di calcolo economico.

John Palmer
Traduzione: Voci dall’Estero
Fonte: www.theguardian.com/commentisfree/2014/aug/25/objections-austerity-french-government-france-eur...

www.ilnord.it/c3434_IL_GUARDIAN_LA_RIVOLTA_CONTRO_LA_FOLLE_POLITICA_DELLAUSTERITA_FA_CADERE_IL_GOVERNO_FRANCESE_ADESSO_IL_C...
wheaton80
00giovedì 28 agosto 2014 17:36
La Lagarde (Presidente FMI) incriminata in Francia per frode (400 milioni a Tapie quando lei era Ministro delle Finanze)

La vicenda Tapie-Credit Lyonnais, che torna oggi agli onori della cronaca e che coinvolge la presidente del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde, attraversa la storia politica, economica e giudiziaria della Francia per oltre un ventennio. Protagonista è appunto Bernard Tapie, già patron dell'Olympique Marsiglia campione d'Europa, deputato socialista, uomo vicino a François Mitterand, che lo volle ministro agli inizi degli anni '90, convertito al 'sarkozysmo' nel decennio successivo e una delle figure più controverse della scena politico-imprenditoriale d' Oltralpe. L'affaire inizia nel 1991, quando Tapie compra la quota di maggioranza, l'80%, del prestigioso marchio Adidas facendosi finanziare dall' istituto francese Credit Lyonnais, banca partecipata dallo Stato francese. Passano meno di due anni e Tapie decide di vendere, affidando il mandato alla Societé de Banque Occidentale, filiale del Credit Lyonnais, che mette sul mercato Adidas per conto di Tapie. Ma un anno più tardi lo stesso Tapie contesta l' operazione e si rivolge alla magistratura. Si scoprirà in seguito che l' istituto lionese aveva venduto e ricomprato parte delle quote di Adidas attraverso un' operazione condotta da società con sede in un paradiso fiscale, lucrandoci su alcuni milioni di franchi. Nel frattempo, è il 1995, il Credit fallisce e viene creata una struttura incaricata della liquidazione delle passività della banca francese. La battaglia legale inizia ufficialmente nel 1996 e ci vogliono ben nove anni prima che una prima sentenza venga emessa: la Corte d'Appello di Parigi decide che Tapie deve essere risarcito per danni e l' ex patron dell' Olympique ottiene 135 milioni di euro. Ma l'anno successivo la Corte di Cassazione ribalta la sentenza, finché nel 2007 Tapie chiede di affidare l'affaire a un collegio arbitrale privato. La richiesta dell' imprenditore ottiene il benestare del Tesoro francese, all' epoca guidato dalla Lagarde, ministro nel governo di François Fillon, mentre all' Eliseo siede Nicolas Sarkozy. E' in questo passaggio che la posizione della Lagarde viene contestata, perché in molti si chiedono il motivo per cui l' attuale presidente del Fondo Monetario decida di affidare la questione a un arbitrato, come chiesto da Tapie, anziché consentire alla giustizia ordinaria di fare il suo corso. Il collegio dà ragione all' uomo d'affari e il 'marsigliese' ottiene un risarcimento di circa 400 milioni di euro. Socialisti e centristi insorgono e chiedono alla Lagarde di presentare un ricorso contro la decisione arbitrale. Ma la Lagarde si rifiuta di farlo. Nel maggio del 2011 la Corte di Cassazione apre un' indagine sull' attuale numero uno del FMI, con la pesante ipotesi di reato di abuso d' ufficio. Secondo il procuratore generale Jean Louis Nadal, l' attuale presidente del Fondo avrebbe favorito la decisione arbitrale a favore dell' uomo d' affari francese. La Lagarde viene convocata e interrogata anche di recente, nel maggio scorso, dalla Corte di Giustizia della Repubblica, una sorta di tribunale dei ministri cui spetta di verificare se i membri dell' esecutivo abbiano commesso crimini o reati nell' esercizio delle loro funzioni. La Corte decide però di non indagarla ma di considerarla 'testimone assistito', "una posizione - scrive il quotidiano Le Monde - intermedia fra quella del testimone semplice e quella dell' indagato". L' epilogo è cronaca. Ascoltata martedì scorso, per la quarta volta per oltre quindici ore, dai magistrati della Corte di Giustizia della Repubblica, la Lagarde è ora ufficialmente indagata.

27 agosto 2014
www.ilnord.it/c3438_LA_LAGARDE_PRESIDENTE_FMI_INCRIMINATA_IN_FRANCIA_PER_FRODE_400_MILIONI_A_TAPIE_QUANDO_LEI_ERA_MINISTRO_DELLE...
wheaton80
00mercoledì 1 ottobre 2014 23:28
Schiaffo di Parigi a Bruxelles: basta con l'austerità

Il governo di Parigi rifiuta di adottare nuove misure di austerità e prevede, nella legge di bilancio per il 2015, un deficit che quest’anno si attesta al 4,4% del Pil, l’anno prossimo si ridurrà al 4,3%, nel 2016 scenderà al 3,8% e solo nel 2017 andrà al 2,8%, cioè sotto il tetto previsto del 3%. In precedenza il governo francese si era impegnato a scendere sotto il 3% fin da quest’anno. "Abbiamo preso la decisione di adattare il passo di riduzione del Pil - spiega il ministro delle Finanze, Michel Sapin - alla situazione economica del paese. La nostra politica economica - aggiunge - non sta cambiando, ma il deficit sarà ridotto più lentamente del previsto a causa delle circostanze economiche". "Nessun ulteriore sforzo - si legge in un comunicato che accompagna i numeri della legge di bilancio - sarà richiesto alla Francia, perché il governo - assumendosi la responsabilità di bilancio di rimettere sulla giusta strada il paese - respinge l’austerità". Come si può capire, dunque, è una piena assunzione di responsabilità politica, motivata e ben ponderata. Sapin aveva già preannunciato che i target di deficit per il 2015 erano inattuabili e ribadisce che la Francia l’anno prossimo crescerà solo dell’1 e del’1,9% nel 2017. Inoltre definisce "senza precedenti" lo sforzo del governo di tagliare di 50 miliardi di euro i volumi della spesa pubblica entro il 2017, pur riconoscendo che il totale della spesa pubblica in questo periodo registrerà un rialzo dello 0,2%. Questo significa che il debito pubblico toccherà nel 2016 un picco del 98% del Pil, iniziando una lieve discesa nel 2017.

Merkel: Paesi facciano i compiti

"Non siamo ancora al punto in cui si possa dire che la crisi è alle nostre spalle", afferma la cancelliera tedesca Angela Merkel. "I Paesi devono fare i loro compiti per il loro benessere", ha aggiunto, ricordando che il patto di stabilità e crescita "si chiama così perchè non può esserci crescita sostenibile senza finanze solide".

Raffaello Binelli
01/10/2014
www.ilgiornale.it/news/mondo/schiaffo-parigi-bruxelles-basta-lausterit-1056...
wheaton80
00martedì 11 novembre 2014 02:21
Il quotidiano Le Monde svela i giochi sporchi di Hollande contro Sarkozy: il Presidente francese pronto a dimettersi?

PARIGI - L'ex primo ministro di destra François Fillon ha davvero sollecitato il governo di sinistra ad accelerare le procedure giudiziarie contro l'ex presidente Nicolas Sarkozy? Le rivelazioni di due giornalisti del quotidiano "Le Monde", Gerard Davet e Fabrice Lhomme, nel loro libro "Sarko s'est tuer" ("Sarkozy deve essere ucciso"), uscito martedì scorso in libreria, precipitano nell'imbarazzo l'intero mondo politico che ruota attorno al già screditatissimo Hollande e da sabato scorso dominano le pagine di tutti i giornali. "Le Monde", come del resto altri quotidiani e giornali, riassume la complicata vicenda che si è dipanata nel corso di tutta la scorsa settimana ma che ieri ha visto una svolta clamorosa: Jean-Pierre Jouyet, segretario generale dell'Eliseo e amico del presidente socialista Hollande, ma che in passato ha anche ricoperto la carica di sottosegretario di Fillon, ha ammesso che quest'ultimo aveva sollecitato l'esecutivo in carica ad accelerare le procedure giudiziarie contro Sakozy. "Colpitelo duro, colpitelo presto prima che ritorni in campo", gli ha chiesto l'ex premier, che era stato nominato da Sarkozy ma attualmente è suo avversario nella corsa alla presidenza del partito di destra UMP. Il fatto è avvenuto nel giugno scorso, nel corso di un pranzo appunto tra Fillon e Jouyet, di cui i due giornalisti hanno riferito nel loro libro. Ora Fillon accusa Jouyet di aver mentito e minaccia querele a "Le Monde". Ma intanto l'opposizione di destra dell'UMP è più divisa che mai, a tutto vantaggio di Marine Le Pen, mentre l'ombra del sospetto di aver pilotato le inchieste giudiziarie contro un avversario temibile in vista delle elezioni del 2017 si allunga sul presidente socialista Hollande - che se fosse provato produrrebbe la sua cacciata dall'Eliseo - e lambisce la stessa magistratura francese. Sul quotidiano francese di sinistra "Libération" l'editorialista Eric Decouty scrive che l'ex presidente Nicolas Sarkozy, inseguito dagli scandali e da sondaggi mediocri e contestato nel suo stesso campo politico di destra, non avrebbe sognato un colpo di fortuna migliore della vicenda Jouyet-Fillon: ora può nuovamente ergersi a vittima di un complotto. Tra contraddizioni e menzogne, il duo François Fillon - Jean-Pierre Jouyet sta provocando uno scandalo che getta ulteriore discredito sull'intera classe politica socialista francese ed indebolisce ancor di più la presidenza Hollande. "Ma la vicenda, scrive Decouty, non deve mascherare la questione essenziale: cioé quella che vuole che negli ultimi anni la magistratura francese con le sue inchieste abbia dimostrato di essere indipendente come non mai dai partiti politici al potere. E che è davanti a questa magistratura indipendente che Sarkozy sarà presto chiamato a rispondere". Solo che queste parole suonano stonate, come l'ultimo disperato tentativo di salvare Hollande a qualsiasi costo, da parte della sinistra, ben sapendo che se la sua fine porterebbe al trionfo Marine Le Pen prima ancora del 2017.

10 novembre 2014
www.ilnord.it/c3750_IL_QUOTIDIANO_LE_MONDE_SVELA_I_GIOCHI_SPORCHI_DI_HOLLANDE_CONTRO_SARKOZY_IL_PRESIDENTE_FRANCESE_PRONTO_A_DI...
wheaton80
00mercoledì 26 novembre 2014 02:05
Marine Le Pen chiede rimpatrio urgente dell' oro francese

PARIGI (WSI) - Prendendo spunto dal referendum che si terrà in Svizzera, la leader del partito di estrema destra francese Front National ha lanciato un appello alla Banca nazionale per il rimpatrio urgente di tutte le riserve auree depositate all'estero. Il voto elvetico - che porta il titolo "Salvate l'oro della Svizzera" - rischia di innescare un effetto domino in Europa. Dopo che l'Olanda ha deciso di fare rientrare i lingotti depositati nei forzieri Usa, anche la Francia si potrebbe un giorno muovere in tal senso. "Secondo la nostra visione strategica e sovrana, l'oro non appartiene allo Stato o alla banca centrale di Francia ma al popolo francese e di riflesso serve come garanzia ultima del debito pubblico e della nostra moneta", scrive la politica numero uno del partito euroscettico nella lettera indirizzata al governatore della banca nazionale francese. A Christian Noyer Le Pen chiede il "rimpatrio urgente sul suolo francese della totalità delle nostre riserve auree che si trovano all'estero" e "l'interruzione immediata dei programmi di cessione dell'oro". Il Front National, in crescita nei sondaggi, vorrebbe anche vedere "una ricollocazione progressiva delle riserve valutarie a bilancio della Banca di Francia per acquistare invece oro, in ogni momento di ribasso significativo dei corsi dell'oncia (20% è il calo raccomandato". Inoltre "la sospensione di tutti i contratti relativi a impegni finanziari o prestiti che vedono impegnate le nostre riserve auree" e "il bilancio patrimoniale e finanziario delle operazioni di cessione dell'oro" stabiliti nel 2004 da Nicolas Sarkozy. "Il varo di tali misure è decisivo per il futuro della Francia, viste le crisi socio-economiche che rischiano di prodursi". Citando gli "eroici predecessori del 1939 e del 1940" che hanno roganizzato l'evacuazione dell'oro francese, la figlia ed erede politica di Jean-Marie chiede "una vasta operazione che metta al sicuro il tesoro nazionale", un atto patriottico che sarà accolto con favore dall'opinione pubblica. Le Pen chiede a Noyer di "fare prova del coraggio e della lucidità necessaria per difendere l'interesse generale del nostro paese". "La posta in palio è enorme, si tratta del futuro della Francia". Approfittando del calo di popolarità progressivo dei socialisti al governo e della crisi interna all' UMP - centro destra - il Front National è risultato la prima forza in Francia alle ultime europee. Il referendum sull'oro elvetico è una delle iniziative popolari del 30 novembre - che in un paese a democrazia diretta come la Svizzera sono all'ordine del giorno - ed è stata promossa dal partito di destra UDC. In essa viene proposto il rimpatrio di tutto l'oro depositato all'estero.

25 novembre 2014
www.wallstreetitalia.com/article/1780466/marine-le-pen-chiede-rimpatrio-urgente-dell-oro-franc...
wheaton80
00giovedì 23 luglio 2015 18:16
Rivolta popolare in Francia: tutto il nord occupato da allevatori e agricoltori contro Hollande e le politiche UE

PARIGI - La rivolta di piazza degli allevatori francesi ha costretto il governo Hollande a rivedere il suo calendario dei lavori: partita dalla Normandia domenica scorsa, dove gli allevatori hanno posto "sotto assedio" la città di Caen, la protesta si è man mano estesa a luoghi simbolici della Francia, come la Grotta Lascaux II in Dordogna (famosissima per i suoi dipinti preistorici, ndr), la città corsara di Saint Malo e Mont Saint Michel nella Manica. Blocchi stradali ovunque, circolazione bloccata, polizia impotente e comunque solidale con i rivoltosi, questa è la situazione in tutto il Nord della Francia. E così il Primo Ministro, Manuel Valls, martedì si è visto costretto a convocare a Palazzo Matignon una "riunione sulla filiera dell'allevamento" a cui hanno partecipato il Ministro dell'Economia Emmanuel Macron, del Bilancio Christian Eckert, del Commercio estero Matthias Fekl e dell'Agricoltura Stephane Le Foll. Al termine della riunione, solo il ministro Le Foll ha parlato ai giornalisti: per annunciare che presenterà in Consiglio dei Ministri un "piano d'urgenza" composto da 16-17 proposte e spunti di discussione. Il Ministro dell'Agricoltura, che aveva rifiutato di recarsi ad incontrare a Caen gli allevatori, si è visto costretto a fare marcia indietro ed a smentirsi: ieri pomeriggio il governo lo ha spedito in Normandia ad illustrare il piano predisposto per risollevare le sorti dell'industria agroalimentare francese e, questa è la speranza, far calare la tensione e convincere gli allevatori a togliere i blocchi stradali. Arrivato in elicottero, perché ogni altro percorso via terra era ed è bloccato da barricate fatte con trattori, carri, balle di fieno e altro, Le Foll ha incontrato sul campo i principali esponenti della Federazione Dipartimentale dei Sindacati Agricoli (FDSEA) e dei Giovani Agricoltori (JA), con cui si è intrattenuto un paio d'ore. Al termine dell'incontro, si è persino "scusato con gli agricoltori" per aver "preso tempo". Ciononostante gli allevatori non abbassano la guardia ed aspettano di vederci chiaro su cosa preveda il piano del governo in materia di prezzi dei prodotti agricoli e di debiti delle imprese, per decidere se e quando togliere i blocchi stradali. Ovviamente di queste notizie sulla stampa italiana non c'è traccia, dato che la rivolta delle campagne francesi non è contro singoli provvedimenti dell'incapace Hollande, ma contro l'intera politica agricola imposta alla Francia dalla UE, penalizzandola e gettando nella disperazione milioni di lavoratori del settore, il secondo più produttivo della nazione.

23 luglio 2015
www.ilnord.it/c4345_RIVOLTA_POPOLARE_IN_FRANCIA_TUTTO_IL_NORD_OCCUPATO_DA_ALLEVATORI_E_AGRICOLTORI_CONTRO_HOLLANDE_E_LE_POLI...
wheaton80
00mercoledì 18 novembre 2015 19:28
La Repubblica Francese presa in ostaggio

DAMASCO - Da cinque anni i francesi sentono parlare di guerre lontane senza capire di cosa si tratta. La stampa li ha informati dell'impegno del loro esercito in Libia, ma mai della presenza di truppe francesi in missione nel Levante. I miei articoli al riguardo sono molto letti, ma percepiti come stravaganze orientali. Nonostante la mia storia personale, va di moda definirmi «estremista» o «complottista» e sottolineare che i miei articoli sono riprodotti da siti web di tutte le convinzioni, compresi gli estremisti o i complottisti, quelli veri. Eppure nessuno trova niente da obiettare in ciò che scrivo. Tuttavia nessuno ascolta i miei avvertimenti sulle alleanze che la Francia stringe. Improvvisamente, la verità ignorata è venuta a galla. Nella notte di venerdì 13 novembre 2015 la Francia è stata attaccata da alcuni commando che hanno ucciso almeno 130 persone in cinque luoghi diversi in Parigi. È stato dichiarato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale per 12 giorni e il parlamento potrebbe rinnovarlo.

Nessun legame diretto con il caso Charlie Hebdo
La stampa francese interpreta questo atto di guerra collegandolo all'attentato di Charlie Hebdo, nonostante le modalità operative siano completamente differenti. A gennaio si trattava di uccidere persone precise, mentre qui si tratta di un attacco coordinato contro un gran numero di persone a caso. Oggi sappiamo che il direttore di Charlie Hebdo aveva appena ricevuto un "dono" di 200.000 euro dal Vicino Oriente per condurre la sua campagna anti-islamica [1]; che gli assassini erano legati ai servizi segreti francesi [2]; che la provenienza delle loro armi è coperta dal segreto militare [3]. Ho già dimostrato che questo attacco non era un'operazione islamista [4], che era stato fatto oggetto di un'appropriazione statale immediata [5] e che quest'appropriazione aveva avuto un riscontro presso la popolazione ostile alla Repubblica [6], un'idea brillantemente sviluppata qualche mese dopo dal demografo Emmanuel Todd [7]. Se torniamo alla guerra appena arrivata a Parigi, costituisce una sorpresa in Europa occidentale. Non possiamo paragonarla con gli attentati di Madrid del 2004: in Spagna non c'erano né killer né kamikaze, ma dieci bombe piazzate in quattro luoghi distinti [8]. Il tipo di scena che ha appena avuto luogo in Francia è dal 2001 la sorte quotidiana di molte popolazioni del Medio Oriente allargato. E troviamo eventi simili anche altrove, come i tre giorni di attentati in sei posti diversi a Bombay nel 2008 [9]. Anche se gli aggressori erano musulmani e se alcuni di loro hanno gridato «Allah Akbar!» uccidendo i passanti, non c'è alcun legame tra questi attacchi, l'Islam e una eventuale "guerra di civiltà". Così, questi commando avevano istruzione di uccidere a caso, senza prima informarsi sulla religione delle loro vittime. Allo stesso modo, è assurdo prendere per buono il richiamato movente dell'ISIS contro la Francia, sebbene non ci sia alcun dubbio sul suo coinvolgimento in questo attacco: infatti, se l'organizzazione terroristica avesse voluto "vendicarsi", è a Mosca che avrebbe colpito.

La Francia è uno stato terrorista almeno dal 2011
La lettura di questi eventi è confusa perché dietro i gruppi non statali si nascondono sempre degli Stati che li finanziano. Negli anni Settanta, il venezuelano Ilich Ramírez Sánchez, detto «Carlos» o «lo Sciacallo», per convinzione si era messo al servizio della causa palestinese e della Rivoluzione con il silenzioso appoggio dell'URSS. Negli anni Ottanta, l'esempio di Carlos è stato preso da mercenari che lavoravano per il miglior offerente come Sabri al Banna detto «Abu Nidal», che ha compiuto attentati sia per conto di Libia e Siria sia per conto di Israele. Oggi c'è una nebulosa del terrorismo e di operazioni segrete che coinvolge un gran numero di Stati. Di norma, gli Stati negano sempre il loro coinvolgimento in gruppi terroristici. Tuttavia, nel dicembre 2012, in occasione della conferenza degli "Amici della Siria" a Marrakech, il Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha detto che Al-Nusra, il ramo siriano di Al-Qa'ida, «ha fatto un buon lavoro» [10]. Tenuto conto del suo ruolo, l'on. Fabius sapeva che non sarebbe stato perseguito per il suo sostegno a un'organizzazione classificata come terroristica dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma ha fatto correre un grave rischio al suo Paese, che si immergeva così nel calderone del terrorismo. In realtà, la Francia è coinvolta almeno dall'inizio del 2011 al fianco di Al-Qa'ida. A quel tempo, il Regno Unito e la Francia si erano uniti al progetto americano della «Primavera araba». Si trattava di rovesciare tutti i regimi laici arabi e sostituirli con dittature dei Fratelli Musulmani. Quando Londra e Parigi svelarono questa operazione in corso in Tunisia e in Egitto, il loro intervento era stato in precedenza richiesto in Libia e in Siria [11]. In Libia, con la collaborazione delle forze speciali italiane, hanno organizzato i massacri di Bengasi e poi − con l'aiuto di Al-Qa'ida − la presa degli arsenali. Posso testimoniare che nell'agosto 2011, quando ero protetto da Khamis Gheddafi, mentre la NATO attaccava la capitale, l'hotel Rixos dove ci trovavamo fu assediato da un'unità di Al-Qa'ida, la Brigata Tripoli, comandata dal Mahdi al-Harati al grido di «Allah Akbar!» e inquadrata da ufficiali francesi in missione. Lo stesso Mahdi al-Harati era col suo capo Abdelhakim Belhaj, il fondatore del cosiddetto Esercito Siriano Libero, in realtà un gruppo di Al-Qa'ida che porta la bandiera della colonizzazione francese. In Siria, la presenza di ufficiali francesi che inquadrano gruppi armati mentre perpetrano crimini contro l'umanità è ampiamente attestata. Da allora in poi la Francia ha giocato un gioco estremamente complesso e pericoloso. Così, nel gennaio 2013, cioè un mese dopo il sostegno pubblico di Fabius ad Al-Qa'ida in Siria, ha intrapreso un'operazione in Mali contro la stessa Al-Qa'ida, provocando un primo contraccolpo contro i suoi agenti infiltrati in Siria.

Di tutto ciò non avete mai sentito parlare. Perché, anche se la Francia ha istituzioni democratiche, la sua attuale politica nel mondo arabo non è mai stata dibattuta pubblicamente. Al massimo ci si è limitati − in violazione dell'articolo 35 della Costituzione − ad entrare in guerra contro la Libia e contro la Siria dopo alcune ore di dibattiti parlamentari superficiali, senza voto. I parlamentari francesi hanno rinunciato a esercitare il loro mandato di controllo dell'esecutivo in materia di politica estera, pensando che si trattasse di un'area riservata al Presidente, senza conseguenze nella vita quotidiana. Al contrario, oggi tutti possono constatare che la pace e la sicurezza, uno dei quattro «diritti dell'uomo e del cittadino» del 1789 (articolo 2), ne dipendono direttamente. Il peggio deve ancora venire. All'inizio del 2014, quando i falchi liberali americani mettevano a punto il loro piano di trasformazione dell'Emirato Islamico in Iraq e Sham (Terra di Sham, dal nome usato un tempo per indicare la città di Damasco, ndt) in quello che sarebbe divenuto Daesh (ossia l'ISIS), Francia e Turchia hanno inviato munizioni ad Al-Qa'ida perché combattesse l'Emirato Islamico, e questo punto è attestato da un documento presentato al Consiglio di Sicurezza il 14 luglio 2014 [12]. Tuttavia, in seguito, la Francia si è unita all'operazione segreta e ha partecipato alla coalizione internazionale anti-Daesh, della quale è ormai noto che, contrariamente al suo nome, non ha bombardato Daesh ma gli ha fornito armi per un anno [13]. Le cose si sono evolute ulteriormente dopo la firma dell'accordo 5+1 con l'Iran. Gli Stati Uniti sono tornati improvvisamente in campo contro l'organizzazione terroristica e l'hanno respinta ad Al-Hasaka [14]. Ma è stato solo verso la metà di ottobre 2015, un mese fa, che la Francia ha ricominciato a combattere l'Isis-Daesh. Non per fermare i suoi massacri, ma per conquistare una parte del territorio che occupa in Siria e in Iraq e instaurarvi un nuovo Stato coloniale che si chiamerebbe "Kurdistan", anche se la sua popolazione curda sarà in partenza largamente minoritaria [15]. In questa prospettiva, la Francia ha inviato la sua portaerei, non ancora in zona, per sostenere i marxisti-leninisti del partito curdo YPG − ma che senso ha questo riferimento politico quando si pianifica di creare uno Stato coloniale? − contro il suo ex alleato Daesh. Stiamo oramai assistendo al secondo contraccolpo. Non da parte di Al-Qa'ida in Siria ma da parte di Daesh in Francia, su istruzioni degli alleati inconfessabili della Francia.

Chi guida Daesh
L'ISIS è una creazione artificiale. È solo lo strumento della politica di vari Stati e multinazionali. Le sue principali risorse finanziarie sono il petrolio, le droghe afgane - di cui i francesi non hanno ancora colto le conseguenze sul loro territorio − e i reperti antichi levantini. Tutti concordano sul fatto che il petrolio rubato passa liberamente attraverso la Turchia prima di essere venduto in Europa occidentale. Considerate le quantità, non c'è alcun possibile dubbio sul sostegno dello Stato turco a Daesh [16]. Tre settimane fa, il portavoce dell'Esercito Arabo Siriano ha rivelato che tre aerei, noleggiati rispettivamente da Turchia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, avevano appena fatto fuoriuscire combattenti dell'ISIS dalla Siria per trasportarli nello Yemen. Anche in questo caso non c'è alcun possibile dubbio circa i legami tra questi tre Stati con l'ISIS, in violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza in materia. Ho spiegato a lungo, fin dalla prima conferenza di Ginevra nel giugno 2012, che una fazione all'interno dell'apparato statale statunitense conduceva una sua politica distinta contro quella della Casa Bianca. Inizialmente questo complotto era guidato dal direttore della CIA e cofondatore di Daesh nel 2007 («The Surge») [17], il generale David Petraeus, fino al suo arresto all'indomani della rielezione di Barack Obama. Poi è stata la volta del Segretario di Stato Hillary Clinton, che non ha potuto portare a termine il suo mandato nel periodo di transizione presidenziale a causa di uno sfortunato "incidente". Infine, questa battaglia è stata portata avanti dall'ambasciatore Jeffrey Feltman dagli uffici dell'ONU e dal generale John Allen a capo della presunta Coalizione anti-Daesh. Questo gruppo − parte dello "Stato profondo" statunitense, che non ha smesso di opporsi all'accordo 5+1 con l'Iran e di combattere contro la Repubblica Araba Siriana − mantiene dei membri in seno all'amministrazione Obama. Soprattutto, può contare sull'aiuto di società multinazionali i cui bilanci sono più grandi di quelli degli Stati e possono finanziare le loro operazioni segrete. È il caso della compagnia petrolifera Exxon-Mobil (il vero proprietario del Qatar), dei fondi di investimento KKR e dell'esercito privato Academi (ex Blackwater). È per conto di questi Stati e di queste multinazionali che la Francia è diventata un Paese mercenario.

La Francia ricattata
L'11 novembre 2015, il Primo Ministro Manuel Valls ha assicurato che la Francia era impegnata contro il terrorismo [18]. Il 12 novembre, l'Osservatorio nazionale della delinquenza e delle risposte penali − dipendente dal Ministero degli Interni − ha pubblicato un rapporto secondo cui il terrorismo sarebbe diventato la seconda preoccupazione dei francesi dopo la disoccupazione [19]. La stessa mattina del 13 novembre, il Ministro degli Interni Bernard Cazeneuve ha presentato a Nanterre un piano di venti misure per la lotta contro il traffico di armi [20]. Evidentemente il governo si aspettava il peggio, il che comporta che stava negoziando con chi lo ha attaccato. La Francia ha preso impegni che non ha mantenuto ed è sicuramente vittima di un ricatto da parte dei signori che ha tradito. Un'esercitazione di attentati simulati è stata fatta la stessa mattina dell'attacco da parte dei servizi di emergenza ospedalieri [21]. Una coincidenza che avevamo già notato negli attentati dell'11 settembre 2001 a New York e Washington, in quelli dell'11 marzo 2004 a Madrid e anche in quelli del 7 luglio 2005 a Londra.

Conclusione provvisoria
I governi francesi che si sono succeduti hanno stretto alleanze con Stati i cui valori sono opposti a quelli della Repubblica. Si sono progressivamente impegnati a combattere guerre segrete per loro, prima di ritirarsi. Il presidente Hollande, il suo Capo di Stato Maggiore particolare, il Generale Benoit Puga, il suo Ministro degli Esteri Laurent Fabius e il suo predecessore Alain Juppé sono ora oggetto di ricatto al quale non si possono sottrarre se non rivelando in cosa hanno invischiato il Paese, anche se ciò li espone all'Alta Corte (nel parlamento francese riunito in Alta Corte è il giudice competente a ordinare la destituzione del Presidente della Repubblica, ndt). Il 28 settembre, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, rivolgendosi agli Stati Uniti e alla Francia, il Presidente Putin ha dichiarato:«Vorrei chiedere ai responsabili di questa situazione: avete almeno coscienza di ciò che avete fatto? Ma temo che la domanda rimanga in sospeso, giacché costoro non hanno rinunciato alla loro politica basata su un'eccessiva fiducia in sé e nella convinzione della propria eccezionalità e impunità». [22] Né gli americani né i francesi l'hanno ascoltato. Ora è troppo tardi.

Da ricordare
- Il governo francese si è progressivamente allontanato dalla legalità internazionale. Commette omicidi politici e coordina militarmente azioni terroristiche almeno dal 2011
- Il governo francese ha stretto alleanze contro natura con le dittature petrolifere del Golfo Persico. Collabora con un gruppo di personalità americane e di compagnie multinazionali per sabotare la politica di distensione dei presidenti Obama e Putin
- Il governo francese è entrato in conflitto con questi alleati poco raccomandabili. Qualcuno di loro ha finanziato gli attacchi di Parigi

Note
[1] www.leparisien.fr/charlie-hebdo/la-verite-sur-l-attentat-de-charlie-est-encore-loin-18-10-2015-5196355.php#xtref=https%3A%2F%2Fwww.goog...
[2] www.voltairenet.org/article186427.html
[3] www.voltairenet.org/article188735.html
[4] www.voltairenet.org/article186431.html
[5] www.voltairenet.org/article186495.html
[6] www.voltairenet.org/article186577.html
[7] www.amazon.fr/Qui-est-Charlie-Sociologie-religieuse/dp/20...
[8] www.voltairenet.org/article162436.html; www.voltairenet.org/article162977.html
[9] The Siege, Adrian Levy & Cathy Scott-Clark, Penguin, 2013
[10] www.lemonde.fr/proche-orient/article/2012/12/13/syrie-pression-militaire-et-succes-diplomatique-pour-les-rebelles_1805889_3...
[11] Si veda la testimonianza dell'ex presidente del Consiglio costituzionale Roland Dumas su LCP: www.youtube.com/watch?v=HI23UkYl3Eo&feature=youtu.be
[12] Si legga l'intervento del rappresentante siriano «Résolution 2165 et débats (aide humanitaire en Syrie)»: www.voltairenet.org/article184899.html
[13] Questo punto è ignorato dalla stampa occidentale, ma è stato largamente discusso per un anno dalla stampa araba e persiana. La verità è venuta alla luce quando cinquanta analisti del CentCom hanno denunciato le menzogne dei rapporti sulla Coalizione, mentre un'inchiesta interna è stata scatenata, finché finalmente il generale Allen è stato costretto a dimettersi. Si veda in particolare: www.voltairenet.org/article188669.html e www.voltairenet.org/article188789.html
[14] www.voltairenet.org/article188616.html
[15] www.voltairenet.org/article189153.html
[16] www.voltairenet.org/article188368.html
[17] Daesh fu originariamente formata in Iraq come parte di un piano volto a porre fine alla resistenza all'occupazione statunitense. Per fare questo, gli USA hanno creato delle milizie anti-sciite, tra cui l'Emirato Islamico in Iraq, il futuro "Daesh" - e poi delle milizie anti-sunnite. In definitiva, i due gruppi di popolazione si sono scordati dell'esercito occupante e si sono combattuti fra di loro
[18] www.lefigaro.fr/flash-actu/2015/11/11/97001-20151111FILWWW00076-valls-la-france-engagee-contre-le-terror...
[19] www.leparisien.fr/societe/la-grande-peur-du-terrorisme-13-11-2015-527...
[20] www.lesechos.fr/politique-societe/societe/021476106687-bernard-cazeneuve-presente-un-plan-contre-le-trafic-darmes-117...
[21] Cfr. L'intervento del Dr Patrice Pelloux, presidente dell'Associazione medici di emergenza francesi, su France Info alle 10h26 (https://www.youtube.com/watch?v=hyyQjEUVi3U) e sul notiziario serale di France2, il 14 novembre 2015 (http://www.challenges.fr/france/20151115.CHA1650/comment-le-samu-s-est-prepare-aux-attentats-simultanes-de-paris.html)
[22] www.pandoratv.it/?p=4158&doing_wp_cron=1447871048.43439197540283...

Thierry Meyssan
16 novembre 2015
Fonte: www.voltairenet.org/article189275.html

Traduzione: Emilio Marco Piano
megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=124671&typeb=0&la-repubblica-francese-presa-in-...
wheaton80
00giovedì 26 novembre 2015 19:33
Associazione (socialista) dei sindaci di Francia prova a vietare il presepe, scoppia la rivolta e il Front National vola

Continua a provocare fortissime polemiche in Francia la pubblicazione della "guida di buona condotta laica" da parte dell'Associazione dei Sindaci Francesi, l'AMF,che è monopolizzata dal Partito Socialista di Hollande e Valls e che, tra le altre cose, prescrive in particolare di "non esporre presepi nelle sale comunali". E allora ieri, mercoledì 25 novembre, i sindaci dei comuni di Cogolin, di Frèjus e di Luc-en-Provence, tutti e tre del Front National, hanno annunciato la loro fuoriuscita dall'AMF. Marc-Etienne Lansade, David Rachline e Patricia Zirilli intendono così protestare "contro l'abbandono di tutte le nostre tradizioni e contro il taglio delle nostre radici culturali". I tre sindaci FN affermano in un comunicato di "non voler più far parte di un’associazione che, con il pretesto del rispetto della laicità, snobba la cultura e le tradizioni" della Francia. Il sindaco di Morlaix e vice presidente dell'AMF, Agnès Lebrun, che è tra le ispiratrici di questa "regoletta", si è dovuta difendere sulla rete TV "Europe 1" facendo una rapidissima retromarcia: il vademecum "non è un diktat, ma una sintesi di lunghi dibattiti". Ovvero, i sindaci possono decidere quel che vogliono.

Dopo aver ricordato che la giurisprudenza è stata finora assai contraddittoria sull'applicazione nei dettagli della legge del 1905 sulla laicità dello Stato francese, la vice presidente dell'AMF ha spiegato:"Dobbiamo adottare la neutralità ed essere prudenti per non essere attaccati nei tribunali" dalle numerose iniziative giudiziarie che continuamente sorgono contro le manifestazioni cristiane nel Paese", costretta poi ad aggiungere che chi attacca nei tribunali sono sempre le associazioni islamiche e non certo quelle cattoliche o cristiane. Ma la ritirata, vista come una figuraccia da molti commentatori, non è bastata ai tre sindaci ribelli che non se ne danno per inteso:"Si arriverà a vietare anche le processioni votive nelle strade?", domandano polemicamente e aggiungono:"Noi difendiamo con fermezza il principio di laicità, ma non possiamo neppure ignorare la storia, ed è incontestabile che il cristianesimo sia un’espressione della cultura francese". Questa polemica sta influendo pesantemente sull'esito - già dato per catastrofico per le sinistre di Francia - delle prossime elezioni regionali che si terranno a dicembre. L'ultimo sondaggio dà il Front National di Marine Le Pen al 40%; adesso, con l'insulto al presepe, ancor di più.

26 novembre 2015
www.ilnord.it/c4576_ASSOCIAZIONE_SOCIALISTA_DEI_SINDACI_DI_FRANCIA_PROVA_A_VIETARE_IL_PRESEPE_SCOPPIA_LA_RIVOLTA_E_IL_FRONT_NATIO...
wheaton80
00lunedì 7 dicembre 2015 14:27
La sinistra mondialista europea fortemente preoccupata per la probabile vittoria di Marine Le Pen in Francia

La prossima annunciata vittoria del Front National della Marine Le Pen, nelle elezioni regionali francesi di oggi, turba il sonno dei principali esponenti della sinistra mondialista europea, da Buxelles a Berlino, da Stoccolma a Parigi, si susseguono le dichiarazioni preoccupate, i moniti e gli scongiuri dei principali esponenti politici euroservi e sostenitori dell’Europa multiculturale, globalizzata ed al servizio degli interessi americani. I sondaggi danno vincente il Front National in 6 delle 12 regioni in cui si andrà a votare in Francia e tutte le indicazioni preannunciano che il partito della Marine Le Pen potrebbe raccogliere un 40% circa dei voti. Da qui la reazione di panico dei politici della sinistra francese al governo, che sentono tremare la proria seggiola sotto le terga. In particolare si distingue il Primo Ministro Manuel Valls il quale, a sprezzo del ridicolo, ha dichiarato due giorni fa: “Il Front National non ama la Francia”, ed ha invocato una forte mobilitazione contro il partito che, secondo lui, “inganna i francesi ed è una minaccia economica”. Dal canto suo, la Le Pen tocca le corde sensibili dei francesi e non tralascia dichiarazioni forti, come in una delle sue ultime, quando ha dichiarato:“Se falliamo – ha avvertito da Nimes – il totalitarismo islamico prenderà il potere in Francia, come lo ha preso in Libia, con l’aiuto di Nicolas Sarkozy, come tenta di farlo in Siria, in Egitto, in Tunisia. La sharia sostituirà la nostra Costituzione, l’Islam radicale prenderà il posto delle nostre leggi, il burqa verrà imposto a tutte le donne», aggiungendo che «il fondamentalismo islamico pullula nei nostri quartieri». Naturalmente i grandi media, quelli che orientano l’opinione pubblica e che sono nelle mani dei grandi gruppi finanziari ed industriali, non trascurano di attaccare frontalmente la Le Pen di alimentare le paure dell’opinione pubblica moderata francese.

Ad esempio, anche il quotidiano Le Monde, tra i più importanti del Paese, prende posizione contro il Front National di Marine Le Pen. “Questo partito costituisce una grave minaccia per il Paese”, scrive il giornale parigino, mettendo in guardia gli elettori. “La sua ideologia, le sue proposte, sono contrarie ai valori repubblicani, all’interesse nazionale e all’immagine della Francia nel mondo”. L’interesse nazionale, secondo Le Monde ed i grandi media, sarebbe invece molto meglio tutelato da personaggi come Hollande, Valls e dal Ministro degli Esteri, l’israelita Laurent Fabius, i quali non hanno esitato a mettere la Francia al servizio degli interessi del dominio americano sull’Europa e a prostituirsi ai Monarchi dell’Arabia Saudita, di cui la Francia è il migliore alleato, cliente e fornitore di armamenti. Per Valls e la sua cricca la”minaccia economica” è rappresentata dalla Le Pen proprio nel momento in cui il governo francese si appresta a firmare, riservatamente e senza clamori assieme agli altri, il TTIP, il trattato che affida alle multinazionali USA la preminenza degli affari e della gestione dei più importanti settori economici in Europa a scapito degli interessi dei produttori nazionali e delle economie locali. Non sappiamo se la Le Pen andrà fino in fondo con il suo programma, che prevede, fra l’altro, l’affrancamento del Paese dalle grandi corporazioni finanziarie, l’uscita dall’euro-sistema, la protezione delle economie locali, la rescissione dei trattati europei, la fine delle sanzioni americane alla Russia, la chiusura all’immigrazione incontrollata ed all’imposizione del multiculturalismo, che è il vero mantra delle sinistre. In ogni caso i francesi che andranno alle urne avranno la possibilità di dare un importante segnale a tutta l’Europa, in contrasto con le direttive del “pensiero unico” dei sostenitori del mondialismo, della fine degli Stati Nazionali e della multiculturalità ad ogni costo.

Luciano Lago
6 dicembre, 2015
www.controinformazione.info/la-sinistra-mondialista-europea-fortemente-preoccupata-per-la-probabile-vittoria-di-marine-le-pen-in-...
wheaton80
00lunedì 14 dicembre 2015 23:02
Un'alba nuova per una Corsica libera



35,35% dei consensi: questo il dato della storica vittoria al secondo turno delle regionali di ieri (13 dicembre) della lista nazionalista-indipendentista unitaria Pe’ a Corsica (Per la Corsica). Questa è nata dalla fusione, dopo il primo turno, degli indipendentisti di Corsica Libera con gli autonomisti di Femu a Corsica. Ciò si traduce in 24 rappresentati nel Consiglio Regionale, due in meno per la maggioranza assoluta. Per il quotidiano francese Le Monde, nulla sembrava presagire un “simile maremoto” e questo esito segna una “nuova tappa nella storia politica dell’isola”. La vittoria è storica, attesa fin dagli albori del moderno movimento nazionalista isolano negli anni ’70. Festeggiamenti in tutta l'isola. Manifestazioni di esultanza a Bastia (il corteo ha raggiunto l’antico edificio del Comune) e ad Ajaccio (il corteo è giunto davanti alla sede dell’Assemblea di Corsica, nonostante l'imponente presenza della polizia in tenuta anti-sommossa). Intonati canti patriottici e sventolio della bandiera indipendentista raffigurante la testa di Moro. Al secondo posto si è attestato il partito di Paul Giacobbi, Prima a Corsica, con il 28,49% (12 seggi). I conservatori di José Rossi hanno ottenuto il 27,07% (11 seggi). Un'alleanza tra queste due formazioni, come già accaduto più volte in passato, per sbarrare la strada agli indipendentisti e agli autonomisti, stavolta non ha i numeri. Il Fronte Nazionale di Marine Le Pen ha ottenuto 4 seggi, il che non accadeva da 17 anni. La prossima Assemblea di Corsica resterà in carica fino al dicembre 2017, quando si dovrà votare per la nuova Collettività unica che la sostituirà.

Francesco Cartolini
14 dicembre 2015
www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1584216151799023&id=1000063...
wheaton80
00mercoledì 16 dicembre 2015 13:37
Francia: Front National ko, Fais:“Il trend elettorale resta favorevole a Marine Le Pen”

Riassumiamo la situazione di ieri: l’elettorato francese ancora una volta ha obbedito alla logica del “fronte repubblicano”, qualcosa di simile al vecchio “arco costituzionale” della Prima Repubblica, qui dalle nostre parti. Il Front National, dopo la quasi schiacciante vittoria al primo turno, ha subito un “ribaltone”, restando con un pugno di mosche in mano. Cinque regioni sono andate al PS di Hollande e sette sono andate a un rinato Sarkozy con i suoi Repubblicani, eredi dell’UMP. I socialisti pur di fermare la Le Pen hanno dato nuovo slancio a Sarkozy, ma a parte ostacolare l’ascesa della Le Pen, non si comprende la ratio di un comportamento come quello di Valls e della sinistra, tranne quello di avvantaggiare i neogollisti. Abbiamo chiesto un parere sulla situazione politica francese ad un esperto di politica internazionale come Andrea Fais, direttore della rivista ‘Scenari Internazionali’.

Allora, caro Andrea, come vanno letti i ballottaggi di ieri?

Beh, sul paragone con la Prima Repubblica italiana ci andrei cauto. In quella fase storica, da noi c’era un sistema proporzionale puro, la situazione interna era molto più complessa e condizionata dal terrorismo politico, e le varie conventiones ad excludendum ai danni del PCI e dell’MSI nascevano dalla volontà, di alcune componenti politiche ed industriali dell’Italia di allora, di evitare scivoloni tanto all’estrema destra quanto all’estrema sinistra anche per mantenere discreti spazi di autonomia in politica estera rispetto ai due blocchi e per non restare, dunque, schiacciati dal peso e dalla rigidità della Guerra Fredda. La situazione odierna è completamente diversa, anche in Francia. Il sistema europeo ha cercato negli ultimi trenta anni di ricalcare il modello bipartitico anglo-americano nel Continente, dove quasi mai aveva trovato spazio per ragioni sociali, culturali e storiche. Di fronte all’esplosione delle contraddizioni economiche e politiche, l’alternanza democratica tra due poli principali, ritenuta per anni il “sale della democrazia” dai leader politici europei, è venuta meno. Appena l’elettorato ha dato fiducia in massa ad una terza forza, i due blocchi di centro-destra e centro-sinistra hanno pensato non a combattere con le armi della politica e dei contenuti ma a congelare lo status-quo, aiutandosi reciprocamente. Qualcosa di simile è avvenuto due anni e mezzo fa in Italia dopo il successo elettorale del Movimento 5 Stelle. Allora, di fronte alla stasi politica si preferì agire per via parlamentare, attraverso il Quirinale, senza tornare al voto. Così, nei fatti, oggi abbiamo un partito di centro-sinistra che ha acquisto una maggioranza fittizia, imbarcando parlamentari eletti nel 2013 col centro-destra (NCD e ALA), e che legittima il suo ruolo di governo in base ai risultati di elezioni estranee alle politiche, come le europee, le regionali e addirittura le sue stesse primarie interne. Ormai i partiti tradizionali di destra e sinistra, accomunati da una forte matrice liberale che viene soltanto corredata di contenuti e linguaggi più conservatori o più progressisti, sono costretti a cristallizzare la situazione vigente per impedire di crollare sotto i colpi di un elettorato fortemente deluso dall’integrazione europea e dall’incapacità dell’UE di affrontare seriamente i problemi economici e internazionali. Io non ho particolari simpatie né per la Le Pen né per Beppe Grillo, ma è evidente che la democrazia liberale europea sia ormai giunta ad un punto di saturazione. Per affermare se stessa, è nei fatti costretta a negare i propri principi.

I francesi hanno risposto in massa alla chiamata alle armi, l’affluenza tra il primo e il secondo turno è aumentata di oltre il 10%. Cosa spinge un Paese che non torna a crescere se non nel tasso di disoccupazione, che presenta da anni numerosi problemi sociali come quello etnico ed immigratorio, a riconfermare il proprio voto alla disastrosa sinistra di Hollande o alla destra sarkoziana responsabile del disastro libico a pochi chilometri da casa?
Senz’altro, la paura. Il Front National resta nell’immaginario collettivo un partito di “destra sociale” o di “estrema destra”, con contenuti di forte presa sui ceti bianchi medio-bassi, ma anche con alcune simpatie di chi, tra le comunità di origine araba, stimava Jean-Marie Le Pen per le sue posizioni filo-palestinesi e anti-sioniste. La figlia Marine ha modernizzato l’atteggiamento, l’iconografia ed il linguaggio del partito, eliminando alcune pregiudiziali del passato, adeguandone maggiormente il programma alla Costituzione e cancellando le uscite estremiste e radicali che avevano reso celebre il padre con l’appellativo dispregiativo di “super-facho” (“super-fascista”) assegnatogli dagli oppositori. Nonostante questo cambiamento, per molti francesi evidentemente il Front rimane il Front ed evoca ancora le vecchie paure di un tempo. In Francia, nella partita elettorale giocano un ruolo fondamentale i cosiddetti “valori repubblicani”. Destra e sinistra si sono accordati contro il FN, appellandosi ai “valori repubblicani”, di cui, da par suo, il FN si è detto unico depositario ed alfiere. Chiaramente, questi valori sono declinati in modo diverso da tutti i partiti. Il FN ha la particolarità di andare molto più indietro nel processo di ricostruzione dell’identità nazionale francese, senza fermarsi alla Rivoluzione del 1789, come quasi tutti gli altri, ma tornando addirittura a rievocare lo spirito della Pulzella d’Orléans e di altri eroi medievali. Questa sfumatura, giudicata da parecchi francesi come réactionnaire, è forse stata decisiva. Ad ogni modo, più che della spada di Carlo Martello o della lancia di Giovanna d’Arco i socialisti francesi dovrebbero preoccuparsi dei gravi problemi che affliggono il Paese, della disoccupazione, ferma al 10,5% quest’anno (23,8% quella giovanile), della vulnerabilità della rete di sicurezza, emersa in tutta la sua evidenza durante gli attentati del mese scorso, e di una politica estera che, tra Sarkozy e Hollande, ha fatto acqua da tutte le parti e che al confronto con quelle di Mitterrand e Chirac somiglia veramente ad una barzelletta.

Nonostante lo scippo delle regioni al FN, quella del “fronte repubblicano” è un pò una vittoria di Pirro. Il dato assoluto ci dà un FN primo partito e con ulteriori margini di crescita. Secondo alcuni sondaggi, a delle ipotetiche presidenziali, che si svolgessero adesso, Marine Le Pen arriverebbe almeno al ballottaggio. Quale può essere lo scenario politico francese da ora al 2017? I francesi alla lunga si ricorderanno dei fallimenti economici (stagnazione e mancata crescita, malgrado la ripresa europea) e in termini di sicurezza (polizia apparsa impreparata durante i due attentati) dei socialisti?
Per quanto riguarda gli attentati, comunque, credo che le responsabilità di Hollande e del governo siano limitate. Le ragioni di un’impreparazione del genere, soprattutto per quanto riguarda l’attentato allo Stade de France, vanno ricercate non tanto nell’apparato politico quanto piuttosto tra i servizi di intelligence e le forze di sicurezza, dove evidentemente qualcosa non ha funzionato nel migliore dei modi. Sul piano politico, invece, le responsabilità di Hollande sulla questione siriana pesano molto. La sua insistenza ad interferire negli affari interni del Paese e il sostegno che egli ha garantito per lungo tempo ai ribelli anti-Assad hanno contribuito a rafforzare l’instabilità in Medio Oriente e nel Mediterraneo, con le conseguenze che conosciamo. Analoga bocciatura per la questione economica, dove il Partito Socialista Francese è stato incapace di risollevare le sorti del Paese. Nelle presidenziali del 2002, il controverso Jean-Marie Le Pen arrivò al ballottaggio contro il gollista Jacques Chirac, scalzando la sinistra. Allora, gli avversari di Le Pen innalzarono una barricata “democratica” molto più alta dei giorni scorsi. Persino gli elettori di estrema sinistra, turandosi il naso, al secondo turno andarono a votare per il conservatore Chirac pur di impedire che un “fascista” salisse all’Eliseo. Furono giorni traumatici per la Francia, che si scoprì debole e instabile. Al primo turno, il margine di vantaggio dell’ex presidente francese era di appena 3 punti percentuali sul suo più diretto avversario: 20% a Chirac e 17% a Le Pen. Al ballottaggio, finì 82 a 18. La Francia quella volta si mobilitò in massa contro il leader nazionalista. La mobilitazione “anti-lepenista” di queste elezioni regionali, ad occhio, mi è sembrata molto meno forte e massiccia. L’affluenza tra primo e secondo turno è aumentata solo del 10% ed il FN ha ottenuto quasi 6,7 milioni di voti in tutto il Paese. È pur vero che si trattava di elezioni regionali, tuttavia laddove erano più attese, cioè nella regione di Nord-Passo-di-Calais-Picardia, dove era candidata Marine Le Pen, e nella regione di Provenza-Alpi-Costa Azzurra, dove era candidata la giovanissima nipote Marion Maréchal-Le Pen, il partito ha ottenuto rispettivamente il 42,23% e il 45,22%. In una regione ad alta concentrazione industriale come l’Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorena, il FN ha perso il duello con la destra repubblicana, ma ha ottenuto il 36,08% dei consensi contro il 15,51% del centro-sinistra. Nelle regioni conquistate dai socialisti, la situazione è stata addirittura più incerta. Ad esempio, in Borgogna-Francia-Contea e in Centro-Valle della Loira, le tre forze principali sono tutte rimaste racchiuse in una forbice compresa tra il 30 e il 36%. Questo potrebbe dimostrare che una parte non trascurabile dell’elettorato socialista o comunista ha scelto di non votare per i suoi partiti di riferimento o addirittura di votare per il Front National. Se il trend fosse confermato, il carattere popolare del partito della Le Pen potrebbe rafforzarsi ancora di più. Di certo, le prossime presidenziali saranno molto più incerte di quelle del 2002.

A poche ore dalla sconfitta Marine Le Pen ha dichiarato che l’ammucchiata tra socialisti e repubblicani ha mostrato il vero volto di coloro che sono pronti a tutto per mantenere la poltrona piuttosto che risolvere i problemi, e che ormai “lo scontro non è più tra destra e sinistra, ma tra ‘patrioti’ e ‘mondialisti’ ”, il Front, secondo te, è in grado di trovare sulla propria strada nuovi ed inediti “patrioti” o è destinato a subire anche in futuro il solito ostracismo “repubblicano”?

Prima ho messo in evidenza come la democrazia liberale europea sia sempre più costretta a negare se stessa per affermarsi. Questa frase, che può apparire contraddittoria, è in realtà la descrizione per me più calzante per qualsiasi fenomeno che abbia svolto una determinata funzione storica, magari anche importante e positiva, per un dato periodo di tempo ed in un particolare contesto geografico, ma che ad un certo punto si avvii all’esaurimento naturale. Ne deriva che, in questo quadro di grandi cambiamenti internazionali, il rientro nel comando generale della NATO, voluto da Sarkozy sei anni e mezzo fa, ha rappresentato una mossa anti-storica. Nel momento di massima crisi dell’Occidente, cioè nel biennio 2008-2009, l’ex presidente ha rinunciato alla tradizionale autonomia nazionale, gelosamente custodita da De Gaulle per gran parte della Guerra Fredda, per rientrare a pieno titolo nell’Alleanza Atlantica. Da quel momento, la politica estera francese sembra aver abbandonato persino le migliori intenzioni dell’assertività di Mitterrand o del neutralismo realista di Chirac, ed è rientrata prepotentemente in Africa e in Medio Oriente in un ruolo subordinato a Washington, che con AFRICOM esercita ormai un controllo molto forte sul Continente Nero. Il fatto che il Front National sembrerebbe aver trasformato il vecchio nazionalismo ottocentesco, imbevuto di retorica coloniale, in un nazionalismo moderno, non aggressivo e capace di guardare oltre l’Europa e, nel caso specifico, alla Russia in particolare, porterà sicuramente lo scontro ad un livello più alto sul piano del significato politico. La nuova dottrina globale di Putin sta conquistando molti consensi in Europa. Ovviamente, si deve distinguere tra il Putin reale, autorevole e capace statista russo con pregi e difetti, e il Putin immaginario, cioè quell’incrocio tra Rambo e Commando dipinto da certi giornali o certe pagine Facebook per esaltarsi sulla tastiera. Credo che Marine Le Pen sia assolutamente in grado di cogliere ed apprezzare il Putin reale, quello che cerca sempre di agire nei limiti del diritto internazionale e che rifiuta la logica dello scontro di civiltà.

Le definizioni di “patrioti” e “mondialisti” sono categorie ideologiche, nate proprio tra Italia e Francia nel corso degli ultimi venticinque anni negli ambienti intellettuali di una certa destra antagonista, riutilizzati da Jean-Marie Le Pen e riproposti oggi dalla figlia Marine. Se per “mondialisti” si intendono quei settori politici europei che sono legati ai falchi della politica americana e ai loro disegni egemonici, allora sicuramente la Le Pen può rappresentare un punto di rottura “patriottico” per impedire che la Francia si presti ad un simile folle gioco, ma non basterà questo. Chiaramente, rifiutare in blocco la globalizzazione o le dinamiche di internazionalizzazione economica sarebbe altrettanto anti-storico. Comprendo la paura che questi processi possano distruggere le culture nazionali, ma questo è un problema tutto europeo. In Asia e in America Latina, ad esempio, non è così. Le potenze emergenti, sebbene pienamente inserite nel mercato mondiale, stanno vivendo una forte fase di riscoperta della propria identità e di riaffermazione della propria sovranità. Basti pensare alla Cina, dove il Partito Comunista si definisce “guardiano di cinquemila anni di civiltà”, all’India, dove è al potere il partito nazionalista hindu di Modi, o al Brasile, dove la presidentessa Dilma Rousseff ha recentemente definito la difesa della sovranità nazionale e il rispetto della sovranità popolare come le “due dimensioni essenziali della democrazia”. La Francia, dopo anni di incertezza, dovrà ritrovare se stessa come Nazione, prima di tutto, per poi ridefinire il suo ruolo internazionale nel XXI secolo. Il primo leader politico che saprà farlo, governerà il Paese.

Vladimir Putin dopo gli attentati è diventato il primo alleato di Hollande sul fronte dell’anti-terrorismo. Nonostante ciò, possono pesare su Marine Le Pen i rapporti più che ottimi con il Presidente russo?
C’è stato un primo contatto tra i due comandi e credo sia tutt’ora in corso un iter diplomatico-militare per giungere ad un coordinamento vero e proprio tra Mosca e Parigi. Ci sono legami storici tra i due Paesi e Putin ha subito invocato la creazione di una coalizione internazionale anti-ISIS “come fu nella Seconda Guerra Mondiale contro Hitler”. Come dicevo prima, dal 2009 la Francia è tornata a pieno titolo nella NATO e dunque non può decidere in piena autonomia su questioni così delicate come i rapporti con la Russia – sui quali pesano anche le sanzioni dell’Unione Europea, di cui la Francia è parte integrante – e le operazioni contro l’ISIS. L’ONU ha dato il via libera a chiunque voglia intraprendere azioni militari contro il sedicente Stato Islamico, ma la Francia fa già parte della coalizione internazionale a guida statunitense impegnata tra Siria e Iraq. Non è da escludere un possibile smarcamento, ma non sarà per niente semplice. Ci sono impegni già presi con il Comando Generale dell’Alleanza Atlantica e ovvie pressioni politiche sull’Eliseo. Marine Le Pen, invece, è politicamente “vergine”. Il partito non ha mai governato ad alti livelli e, dunque, non ha nemmeno imbastito rapporti politici o istituzionali con gli ambienti che contano degli Esteri e della Difesa. Questa sua condizione lo rende una tabula rasa su cui qualsiasi partner estero può lavorare, e non è un caso che la Russia ne abbia colto le potenzialità. Questo aspetto non è affatto secondario, soprattutto perché, in caso di affermazione di Marine Le Pen alle presidenziali 2017, il Paese potrebbe uscire non solo e non tanto dall’Eurozona ma anche e soprattutto dalla NATO. A quel punto, anche in una Germania in crisi potrebbero cambiare le cose con un possibile effetto domino sul resto del Continente, dove già diversi Paesi mitteleuropei come Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno manifestato la propria contrarietà alle sanzioni contro la Russia. In questa problematica situazione tra Europa e Russia, è evidente che una leader come la Le Pen paghi l’ostracismo dei falchi europei e americani.

Grazie e alla prossima!

Grazie a voi.

Mirco Coppola
14 dicembre, 2015
www.opinione-pubblica.com/front-national-ko-fais-trend-favorevole-a-marine...
wheaton80
00sabato 19 dicembre 2015 19:52
Lodo Adidas, Christine Lagarde rinviata a giudizio

MILANO - La Corte di Giustizia francese ha deciso di rinviare a giudizio il Direttore Generale del FMI, Christine Lagarde, per l'accusa di negligenza nel caso dell'arbitrato che ha chiuso il lungo contenzioso tra l'uomo d'affari Bernard Tapie e la banca Credit Lyonnais per l'acquisizione di Adidas. Lo rivela il sito Internet Mediapart. All'epoca dei fatti Lagarde - che annunciò di essere indagata ad agosto dello scorso anno - era Ministro dell'Economia, ma escluse ogni ipotesi di dimissioni dal FMI, che ha rinnovato la piena fiducia al proprio Direttore. Tra l'altro poche settimane fa il Pubblico Ministero aveva chiesto di prosciogliere Lagarde, ma i giudici hanno deciso diversamente. La vicenda giudiziaria riguarda l'arbitrato che nel 2008 chiuse la battaglia giudiziaria tra Tapie e l'istituto di credito per la consulenza nella cessione del marchio sportivo avvenuta nel 1993. Lagarde è sospettata di essere andata al di là del proprio ruolo di Ministro nel decidere di affidare la questione a un arbitrato, invece che alla giustizia ordinaria. Anche perché l'arbitrato si chiuse con il riconoscimento a Tapie di un indennizzo da 400 milioni di euro per il comportamento scorretto della banca. Nel mirino dei giudici c'è anche la decisione del Ministero - parte in causa in quanto proprietario della società che raggruppò i debiti del Credit Lyonnais dopo la sua nazionalizzazione - di non fare ricorso contro l'onerosa sentenza. Di certo il ruolo di Direttore Generale del FMI non porta fortuna ai francesi: dopo le vicende di Dominique Strauss-Kahn tocca adesso a Lagarde affrontare i giudici. Tra l'altro, già nel 2013 la sua abitazione parigina era stata sottoposta a una perquisizione da parte della polizia, ma in quel caso i legali dell'economista dissero che "madame Lagarde non ha nulla da nascondere". I giudici, però, adesso vogliono capire se la vicinanza di Tapie all'ex Presidente francese, Nicolas Sarkozy, abbia potuto influenzare le decisioni del Ministro delle Finanze Lagarde. Nel frattempo, come detto, il FMI conferma la propria fiducia al Direttore Generale, ma il suo futuro al vertice del Fondo Monetario Internazionale è sempre più fosco. Il mandato quinquiennale di Lagarde, 59 anni, scade a luglio dell'anno prossimo, ma nell'ultimo meeting di Lima la francese si era detta disponibile a ricevere un nuovo incarico: una strada che oggi pare tutta in salita.

17 dicembre 2015
www.repubblica.it/economia/2015/12/17/news/lodo_adidas_christine_lagarde_rinviata_a_giudizio-129686985/?re...
wheaton80
00sabato 21 maggio 2016 01:02
Francia: l'Assemblea Nazionale sostiene revoca delle sanzioni antirusse

Deputati della camera bassa del Parlamento francese hanno votato a favore della revoca delle sanzioni contro la Russia. L'Assemblea Nazionale francese sostiene il progetto di risoluzione del deputato Thierry Mariani riguardo la revoca delle sanzioni economiche imposte dall'Unione Europea contro Mosca. E' la prima volta che l'Assemblea Nazionale si esprime in merito al problema.

28.04.2016
it.sputniknews.com/politica/20160428/2567776/francia-russia-sanzioni-rev...
wheaton80
00martedì 31 maggio 2016 00:49
Il nuovo maggio francese

In Francia si respira “un climat de crispation”, un clima di nervosismo, d’inquietudine. La protesta indetta dei sindacati contro la riforma del mercato del lavoro sta mettendo in ginocchio il Paese, rischiando di travolgere il Premier Manuel Valls ed assestare il colpo di grazia a François Hollande: dopo qualche mese di relativa calma, la mobilitazione è riesplosa dopo che l’esecutivo ne ha sottratto l’esame all’Assemblea Nazionale e si è allargata a centri nevralgici dell’economia, come la produzione di carburanti ed i trasporti. Nonostante lo stato d’emergenza in vigore da novembre ed il sostegno incondizionato di Bruxelles, la Francia va verso la paralisi, confermandosi la più grande minaccia politica per la tenuta dell”Unione Europea, seconda solo al Brexit.

Un Paese in stato d’emergenza
Cominciamo il racconto da metà: il 18 maggio l’Assemblea Nazionale conferma, dopo il Senato, il prolungamento dello stato d’emergenza fino a luglio inoltrato, con la scusante ufficiale di garantire la sicurezza degli Europei di calcio e del Tour de France. Qualche esponente politico chiede che le restrizioni in materia di sicurezza siano impiegate anche per proibire le manifestazioni, talvolta violente e sempre più frequenti, che agitano la Francia da settimane: si tratterebbe, però, di una palese forzatura costituzionale, perché la giustizia amministrativa si è già espressa sull’intangibilità del diritto a manifestare1. Lo stato d’emergenza, insomma, avrebbe dovuto agire a livello psicologico più che normativo, inibendo più che proibendo, così da scongiurare quelle tensioni sociali che stanno paralizzando oggi il Paese. Facciamo ora un passo indietro: è metà febbraio, e lo stato d’emergenza in vigore dalla strage del 13/11 è appena stato prorogato una prima volta, quando appare sui radar della politica francese la riforma del mercato del lavoro, un argomento tabù in Francia, persino più scottante della riforma pensionistica. In ossequio al principio per cui le riforme contestate hanno sempre un volto femminile (vedi il caso Maria Elena Boschi in Italia), meglio ancora se “multietnico”, così da blindarsi contro qualsiasi attacco, è il ministro Myriam El Khomri a dare il nome al disegno di legge, studiato per restituire “compétitivité” alle imprese ed alla Francia. Che si fossero attese le stragi “dell’ISIS” e la promulgazione dello stato d’emergenza per affrontare il dossier, aveva fatto sorgere il dubbio che, così facendo, il governo socialista sperasse di soffocare i tumulti sociali sotto la cappa del terrorismo. Il dubbio si è poi dissolto quando è emerso il contenuto della legge El Khomri e si è appurata la reazione, furibonda, delle parti sociali. La riforma è la semplice traduzione in francese delle politiche di svalutazione interna tanto care alla Troika: comprimendo i salari, attraverso la facilitazione dei licenziamenti e del precariato, si cerca di restituire competitività al Paese in alternativa alla svalutazione del cambio (resa impossibile dall’euro) e, soprattutto, si sposta la forza contrattuale dal lavoro al capitale (la classica politica “lato offerta” tanto cara ai neoliberisti).

La legge El Khomri, infatti, disciplina ed allarga i licenziamenti economici e, col contestatissimo articolo 2, subordina il contrattato nazionale a quello aziendale per quanto riguarda gli orari di lavoro2: si tratta, in sostanza, di abolire la settimana lavorativa di 35 ore, additata come un lusso insostenibile in epoca di austerità. Per il partito socialista, che una quindicina d’anni prima introdusse la settimana di 35 ore sotto il premierato di Lionel Jospin, è un vero e proprio trauma: François Hollande, salutato all’insediamento all’Eliseo come l’alternativa di sinistra all’Europa dell’austerità, si dimostra all’atto pratico un inflessibile seguace dell’ortodossia economica di Bruxelles, spingendosi là dove neppure Nicolas Sarkozy aveva osato, temendo la reazione dei sindacati (l’innalzamento dell’età pensionabile da 60 a 62 anni, varato nel 2010, provocò a suo tempo agitazioni che impallidiscono di fronte a quelle odierne). Quando il testo della riforma arriva all’Assemblea Nazionale (l’equivalente della Camera italiana) si forma quindi una “minorité de blocage”, una coriacea opposizione formata da una “alliance des contraires et des conservatismes”, per superare la quale il Premier Manuel Valls (cui appartengono i virgolettati) ricorre all’articolo 49.3 della Costituzione francese: il voto all’Assemblea è saltato a piè pari ed il testo della riforma, come uscito dal Consiglio dei Ministri, passa direttamente all’esame del Senato. È il 10 maggio3: l’inizio del nuovo “maggio francese”, che ricorda per certi aspetti, dall’occupazione delle fabbriche al coinvolgimento degli studenti, dal ricorso massiccio agli scioperi al ruolo della Confédération générale du travail (CGT), la famosa primavera del 1968. Il racconto arriva così alla cronaca odierna: l’uso dell’articolo 49.3 per l’approvazione della legge El Khomri, “una véritable honte”4 secondo la CGT, galvanizza le sigle sindacali di sinistra e riaccende le proteste che, dopo la grande prova di forza del 31 marzo, si erano progressivamente sopite: il 17 maggio ha inizio una massiccia ondata di scioperi che, con perizia quasi militare, mira ai centri nervosi dell’economia, così da obbligare lo Stato a scendere a compromessi.

Sei delle otto raffinerie presenti sul territorio francese sono bloccate, scatenando l’immediata corsa degli automobilisti alle pompe di benzina, tanto che tra il 20% ed il 30% dei distributori è costretto alla chiusura nel volgere di 48 ore. C’è, certo, il precedente del 2010, quando Nicolas Sarkozy, davanti al prolungato blocco dei petrolchimici, aveva precettato i lavoratori e sgomberato i blocchi con la forza, ma per Hollande emulare il predecessore sarebbe il colpo di grazia: il governo decide perciò di attingere il carburante dalle riserve strategiche, capaci di soddisfare la domanda per circa tre mesi:“il n’y aura pas de pénurie”, non ci sarà scarsità di carburante, rassicura il sito del governo, riciclando i vecchi slogan dello choc petrolifero del 1973. La protesta si allarga a macchia d’olio: centrali nucleari, fabbriche, aeroporti, metropolitane ed autostrade subiscono pesanti ripercussioni, da estendere, nell’ottica degli organizzatori, fino alla resa del governo ed al ritiro della legge El Khomri. Il 26 maggio è il giorno della grandi manifestazioni, che degenerano in violenze a Parigi, Nantes e Bordeaux: l’usura cui sono sottoposte le forze dell’ordine in questo periodo, tra stato d’emergenza e scioperi, lotta al terrorismo e scontri di piazza, è tale che i poliziotti hanno a loro volta incrociato le braccia, denunciando la “haine anti-flics”, ossia l’odio anti-sbirri che si respira nel Paese5. Un quadro sociale così esplosivo, completato dalla cifra record di 3,5 milioni di disoccupati, farebbe tremare i polsi anche al più solido dei governi: a maggior ragione vacilla il Premier Manuel Valls, stabilmente in fondo alla classifica di gradimento insieme al presidente Hollande (rispettivamente 22% e 18% di giudizi positivi6).

L’esecutivo socialista si dimostra tutto fuorché monolitico di fronte alla sfida lanciata dai sindacati e, nonostante in patria (la Medef, la Confindustria francese) come all’estero (il Ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble) non manchino le esortazioni a tirare dritto, appaiono presto le prime incrinature: Valls ed il Ministro dell’Economia Michel Sapin si contraddicono a vicenda, l’uno negando e l’altro aprendo alla possibile modifica del contestato articolo 2 della legge El Khomri, che abolisce de facto le 35 ore settimanali. Intanto gli automobilisti osservano preoccupati le tacche della benzina scendere chilometro dopo chilometro, domandandosi se e dove riusciranno a rifornirsi: più della metà dei distributori è già a secco, con punte dell’80% nell’Île-de-France7. Il rischio ormai non troppo remoto è che la Francia, tra penuria di carburanti e blocco ad oltranza dei trasporti, scivoli in una condizione di semi-paralisi, rendendo problematico anche lo svolgimento degli Europei di calcio in programma dal 10 giugno.

Francia, l’ostacolo insormontabile per l’unione fiscale
L’Europa della primavera 2016 è una pentola a pressione vicina allo scoppio: anni di depressione o stagnazione economica, di austerità e deflazione, cui vanno sommate le recenti ondate migratorie indiscriminate dall’Africa e dal Medio Oriente, hanno a tal punto deteriorato il quadro politico che qualsiasi evento può assestare il colpo di grazia alla traballante Unione Europea. L’establishment euro-atlantico, spaesato dalla piega che hanno assunto gli eventi, diretti verso il collasso degli organismi sovranazionali europei più che verso gli auspicati Stati Uniti d’Europa, è sostanzialmente impotente e privo di qualsiasi strategia di medio periodo: si vive giorno per giorno, bloccando con i brogli elettorali l’elezione di un presidente austriaco euro-scettico, o sfilando stancamente sulla passerella di un G7, svuotato di qualsiasi significato. Una delle ultime tattiche adottate a livello mediatico per frenare il contagio “euroscettico” è quella dei compartimenti stagni: qualsiasi notizia che può turbare il già pericolante equilibrio europeo difficilmente esce dai confini nazionali, così da impedire qualsiasi empatia tra le diverse opinione pubbliche, sempre più ostili a Bruxelles. È il caso delle sullodate proteste francesi che hanno avuto modestissima copertura all’estero, del referendum olandese che ha bocciato l’accordo di associazione tra l’Ucraina e la UE, della prematura fine della legislatura spagnola, sciolta dopo sei, inutili, mesi di mandati esplorativi, delle violente manifestazioni a Bruxelles contro l’austerità e la riforma del mercato del lavoro, ricalcata, ovviamente, sulla legge El Khomri e sul “Jobs Act” renziano. L’altra tendenza in atto è di allentare l’austerità, evitando di chiedere aggiustamenti di bilancio che, visti i crescenti dubbi sulla tenuta della moneta unica, rischiano di essere non solo controproducenti, ma addirittura inutili: in quest’ottica deve essere inquadrato il nulla osta al maggiore deficit italiano, in cambio di una stretta sui conti nel 2017 (ci sarà ancora il governo Renzi e l’euro?), e l’apertura ad un possibile alleggerimento del debito pubblico greco, ora al 180% del PIL. È inutile impuntarsi sul rigore dei conti, quando l’imminente referendum inglese sulla permanenza nella UE rischia di scatenare un tempesta continentale.

Di fronte a questo scenario a tinte fosche si registrano due tipi di reazione, quella degli esponenti tecnocratici, i cui destini sono indissolubilmente legati all’euro ed alla UE, e quella degli esponenti più vicini agli establishment nazionali. I primi, tra cui si possono annoverare i membri della Commissione Europea e della BCE, Mario Draghi in testa, auspicano di portare alle estreme conseguenze la strategia del “più crisi per più Europa”, finora dimostratasi fallimentare, e di sfruttare gli attuali spasmi dell’Unione Europea per strappare l’unione fiscale e politica: si tratterebbe del classico colpo di mano, cui sono molto affezionate le oligarchie massonico-finanziarie. I secondi, più realistici, hanno realizzato che, nell’attuale contesto, qualsiasi maggiore integrazione europea sul versante politico e fiscale, rischia di avere effetti incontrollabili sull’elettorato, sempre più schierato su posizioni euroscettiche. A questo proposito sono significative le recenti affermazioni del governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, ospite dell’ambasciata tedesca a Roma8:“L’unione fiscale sarebbe il passo più grande nel processo di integrazione. Ma questo richiederebbe solidità e solidarietà nell’Unione monetaria, ampie modifiche ai Trattati europei e successivi referendum confermativi nei vari Paesi. Ostacoli enormi. Al momento non vedo la volontà di superare questi limiti, né in Italia, né in Germania, né in altri Paesi (…). Se si ha timore della rinuncia alla sovranità nazionale, il rafforzamento del quadro esistente rimane l’unica alternativa per rendere l’Unione monetaria più stabile.

Una prospettiva comunque tutta in salita, dal momento che da quando esiste l’Unione monetaria le regole del patto di stabilità e crescita sono state violate da alcuni Stati, fra i quali anche l’Italia, più spesso di quanto siano state osservate”. Se l’unione fiscale, ossia il trasferimento di gettito dalla Germania verso il resto dell’eurozona, sfuma e gli aggiustamenti all’interno dell’eurozona continuano a basarsi sul rigore fiscale e sulla svalutazione interna, non solo l’Italia (che inanella nuovi record di debito pubblico mese dopo mese, complice anche il contesto deflazionistico) ma anche la Francia, sarà presto o tardi (ma più presto che tardi) costretta a gettare la spugna “svalutando”, ossia uscendo dalla moneta unica. Sull’argomento già ci soffermammo nell’articolo “Turbolences en France: danger mortel pour l’euró!” (http://federicodezzani.altervista.org/turbolences-en-france-danger-mortel-pour-leuro/), pubblicato nell’ottobre 2015 dove, tra l’altro, sottolineavamo la funzione della strategia della tensione, che di lì a poco più di un mese sarebbe culminata nella mattanza del 13/11, nel dirottare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle criticità dell’economia verso le tematiche della sicurezza. Che la riforma del mercato del lavoro sia sta messa in cantiere in pieno stato d’emergenza, è tutto fuorché casuale. Gli scioperi e le proteste di questi giorni confermano l’inconciliabilità di fondo tra il “Liberté, Égalité, Fraternité” su cui è fondata la Repubblica francese ed il rispetto del patto di stabilità di cui parla Jens Weidmann: laute retribuzioni a fronte di una settimana lavorativa di 35 ore, un’età pensionabile tra le più basse d’Europa ed un generoso Stato sociale che persegue ancora l’incremento demografico come fattore di potenza nazionale, sono lussi che Parigi non si può permettere restando nell’euro.

Si noti che, similmente a quanto è avvenuto in Italia dopo l’adozione dell’austerità, anche la Francia ha sperimentato nel corso del 2015 una netta caduta delle nascite (-2,3% rispetto all’anno precedente, al minimo dal 19999) ed una parallela diminuzione dell’aspettativa di vita, col risultato finale che il saldo naturale è stato il peggiore dal 1976. Se gli altri Paesi dell’europeriferia hanno però ingerito, a colpi di governi tecnici e commissariamenti della Troika più o meno velati, dosi d’austerità un tempo impensabili, la Francia si conferma allergica a qualsiasi ulteriore inasprimento del rigore (“Non vogliamo fare la fine dell’Italia” dicono gli operai francesi che picchettano gli ingressi delle raffinerie10) e, in ultima analisi, rappresenta una minaccia politica per il futuro della UE, prima ancora che finanziaria, seconda solo al Brexit. Tra scioperi selvaggi, deflazione e referendum inglese, si è così entrati nell’ultimo miglio dell’eurozona. All’appello manca solo l’ISIS ma, come ha recentemente rassicurato il direttore di Europol, l’inglese Rob Wainwright11:“La minaccia terroristica è ancora molto alta, la più grave dai tempi dell’11 settembre e temo sia probabile un nuovo attacco in Europa in futuro”. Obbiettivo Francia, Euro 2016?

Fonti
1 www.huffingtonpost.fr/2016/05/19/prolongation-etat-urgence-interdire-manifestations-difficile_n_10019...
2 www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2016/05/10/loi-travail-quelle-est-cette-inversion-de-la-hierarchie-des-normes-qui-fait-debat_4916497_4355...
3 www.lemonde.fr/politique/article/2016/05/10/loi-travail-l-hypothese-d-un-49-3-se-renforce_4916365_823...
4 www.liberation.fr/france/2016/05/10/loi-travail-le-recours-au-493-est-une-veritable-honte-s-insurge-la-cgt...
5 www.leparisien.fr/paris-75/manifestation-inedite-de-policiers-contre-la-haine-anti-flics-18-05-2016-580...
6 www.lepoint.fr/politique/la-cote-de-popularite-de-valls-s-effondre-07-04-2016-203073...
7 www.huffingtonpost.fr/2016/05/26/carte-essence-penurie-carburant-station-ouverte_n_10138...
8 www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-04-26/weidmann-bundesbank-roma-parla-solidita-e-solidarieta-unione-monetaria-183327.shtml?uuid=...
9 www.lefigaro.fr/actualite-france/2016/01/18/01016-20160118ARTFIG00330-naissances-mortalite-esperance-de-vie8230-le-bilan-demographique-morose-de-...
10 www.lastampa.it/2016/05/25/esteri/tra-gli-operai-che-bloccano-le-raffinerie-non-vogliamo-fare-la-fine-dellitalia-uQLgdpy71br8oST2r8GH9M/pag...
11 www.rainews.it/dl/rainews/articoli/europol-allarme-terrorismo-europa-1ebb21a9-b30a-4cb4-8e8f-34226cbf4...

Federico Dezzani
27 maggio 2016
federicodezzani.altervista.org/il-nuovo-maggio-francese/#sdfootn...
wheaton80
00venerdì 10 giugno 2016 15:58
Francia: anche il senato è contro le sanzioni alla Russia

Il senato francese ha approvato con la maggioranza dei voti la risoluzione per la mitigazione delle sanzioni contro la Russia. Lo ha riferito il corrispondente a Parigi di RIA Novosti. La mozione è passata con 302 voti a favore; i contrari sono stati 16. Il documento ha carattere esclusivamente indicativo. I suoi autori invitano l'esecutivo francese ad intercedere a Bruxelles per l'introduzione di un graduale alleggerimento del regime sanzionatorio contro la Russia in relazione all'adempimento in corso degli accordi di Minsk. La risoluzione invita inoltre ad abolire le sanzioni individuali contro i parlamentari russi per facilitare il dialogo tra i due Paesi. I senatori francesi si aspettano dalla Russia l'abrogazione delle misure restrittive sulle forniture di prodotti alimentari e agricoli.

09.06.2016
it.sputniknews.com/mondo/20160609/2853334/franciasenatosanzioni.html?utm_source=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com&utm_medium=short_url&utm_content=bzA6&utm_campaign=URL_sh...
wheaton80
00sabato 22 ottobre 2016 13:18
Francia - Ormai è guerra civile, ma la stampa renziana censura tutto


La protesta dei poliziotti a Parigi

Voi non lo sapete perché la stampa renziana censura tutto, ma la Francia è sull'orlo del caos. Tra martedì 18 e mercoledì 19 ottobre, per la seconda notte consecutiva, centinaia di poliziotti, esasperati dagli ordini suicidi e genocidi della sinistra di governo, sono scesi in strada in varie città, a cominciare da Parigi, dove hanno bloccato il traffico della zona dei Campi Elisi e accanto alle loro auto coi lampeggianti accesi hanno cantato quell'inno nazionale che la "gauche" vorrebbe cambiare perché "troppo di destra". Il governo e il Direttore della Polizia Nazionale avevano minacciato gli agenti e spiegato nel pomeriggio di martedì che tali azioni dimostrative erano "inaccettabili" e comportavano gravissime punizioni, ma i poliziotti hanno risposto che inaccettabile è fare da passivi testimoni all'eliminazione del proprio popolo. "A questo punto - scrive Le Figaro - al Ministero dell'Interno si è diffuso il panico e si è dato ordine di rafforzare la guardia alle entrate del palazzo presidenziale". Agenti "fedeli" al Presidente schierati contro la massa "ribelle". Scene che sembrano uscire dalla Bucarest assediata del tiranno comunista Ceaușescu (peraltro compagno di merende della sinistra-champagne europea che poi lo ha rinnegato). Ma cosa sta succedendo? Si avvicinano le elezioni e la sinistra ha bisogno di vincere ancora grazie al voto dei "migranti" e così non solo si impennano le naturalizzazioni d'ufficio con cui si regala la cittadinanza (soprattutto - secondo i dati - a magrebini e subsahariani) ma si alza la soglia delle "marachelle" tollerate. Le bande di "nuovi francesi" che ormai da anni controllano tutte le periferie francesi e che dieci anni fa scatenarono quella che Le Pen definì la "prova generale della guerra civile", negli ultimi mesi hanno fatto una escalation incredibile.

Non passa giorno senza che nelle scuole e negli ospedali professori e medici vengano aggrediti da gruppi di fanatici che li accusano di razzismo o scarso rispetto delle loro leggi che sono diverse da quella "infedele" francese. L'elenco delle botte ai "formaggini bianchi" lo si trova su alcuni giornali ed è infinito ma l'ultimo episodio di "colore" riguarda un professore massacrato di botte per aver ricordato agli alunni di essere lui il maestro: offesa intollerabile visto che, come gli è stato ricordato, l'unico maestro è Allah, e non parliamo poi della "offesa" rappresentata dalla presenza di insegnanti donne e dalla "intollerabile offesa" degli "Asterix bianchi" che vorrebbero insegnare a scuola la storia e la cultura "degenerata" francese. Dalle sberle però si è passati in questi giorni alle molotov contro le scuole e persino la Ministra dell'Istruzione, di origine magrebina, ha dovuto ammettere che i funzionari pubblici sono ormai nel mirino e che la situazione è grave. Se ne erano accorti per primi i poliziotti, che da un lato sono in prima linea sul fronte del terrorismo vero e proprio e dall'altro fronteggiano quotidianamente le periferie, che sono zone dove spesso i fanatici si formano e si nascondono trovando collusioni e simpatie. Stati nello Stato, territori perduti della Repubblica dove dalle sassate alle poche auto di pattuglia si è passati alle bottiglie incendiarie di tre settimane fa, che hanno ferito gravemente due agenti e hanno fatto traboccare il vaso. Da lì in avanti poliziotti e uomini delle squadre speciali hanno raccontato ai giornali che la sicurezza di Stato era una farsa costruita su pochi agenti mandati allo sbando di fronte a gruppi di delinquenti, con l'ordine di non infastidirli. "Evitiamo di intervenire, evitiamo di raccogliere le denunce, evitiamo di scendere dall'auto per non scatenare reazioni – raccontavano - in pratica facciamo finta di agire, ma così si va al massacro della gente onesta e poi nostro". Esagerazioni le ha definite la sinistra al governo, ma persino la comunità cinese che non si fa mai sentire, nell'ultimo mese ha portato in piazza due volte migliaia di persone con le bandiere francesi per denunciare la violenza incontrollata delle bande magrebine nei quartieri e per chiedere al governo di far lavorare gli agenti per riportare la legge e frenare gli episodi di impunito razzismo contro i bianchi e gli asiatici.

Naturalmente non hanno ottenuto nulla se non la solidarietà del Fronte Nazionale e del centrodestra di Sarkozy che però poi, nelle urne, fa comunella con la sinistra contro la Le Pen. Una situazione di disastro anche morale, con una classe media bianca-cristiana impoverita e abbandonata e con casi incredibili come quelli delle vittime dell'attentato di Nizza private dei sussidi sociali e messe alla fame, mentre gli stessi assegni vengono distribuiti con generosità alle persone schedate per terrorismo. Nel 2006 il Generale Pierre Marie Gallois, autorità assoluta nel mondo militare, ci disse (vedi "la Padania" di allora) che nel 2016 ci sarebbe stato l'inizio di una guerra civile francese che gli islamisti con la complicità della sinistra avrebbero rischiato di vincere. Beh, pare che ormai ci siamo se persino seri giornali inglesi scrivono che fonti qualificate avvertono che da "quartieri fuori controllo" potrebbero essere sparati missili terra-aria sui velivoli in atterraggio a Parigi. Tutto questo però non smuove la cattosinistra italiana, che verso il "modello francese", verso il caos francese, corre alla velocità della luce e sui suoi mass-media censura ogni cattiva notizia dalla Francia ma si inquieta per le cupole della cattedrale ortodossa russa che "rovinano" il profilo di Parigi, mentre le decine di moschee paiono abbellirlo vieppiù. E la chiesa di Francia? Risponde il filosofo francese di origine ebraica Alain Finkielkraut, che ha detto:"Apprendiamo con sgomento che per la Chiesa francese è sempre l'aggredito ad essere colpevole dell'aggressione di cui è vittima, e che quello che viene definito dialogo con gli islamici non è altro che totale sottomissione con il plauso della chiesa mediatica". Il KO è davvero vicino.

Max Ferrari
19 Ottobre 2016
www.ilpopulista.it/news/19-Ottobre-2016/6126/francia-ormai-e-guerra-civile-ma-la-stampa-renziana-censura-tu...
wheaton80
00mercoledì 23 novembre 2016 22:52
Francia. Sarkozy, sconfitto nelle primarie, si ritira dalla politica



Nicolas Sarkozy perde al primo turno delle primarie del centro-destra in Francia ed evoca il proprio ritiro dalla vita politica. Nella giornata che ha portato alle urne 3,7 milioni di persone, l’ex-Presidente della Repubblica ha ottenuto il 20,7% delle preferenze. I sondaggi lo avevano dato come rivale di Alain Juppé al secondo turno. Invece ha così dovuto salutare i suoi sostenitori:“Dunque è arrivato per me il momento di intraprendere una vita più ricca di passioni private e meno passioni pubbliche. Buona fortuna alla Francia” ha detto. Ad uscire a testa alta dal confronto è François Fillon, ex-Primo Ministro durante il mandato presidenziale di Sarkozy: il 44% degli elettori hanno votato per lui. Ed è per lui che Sarkozy ha invitato a votare domenica prossima per il ballottaggio. Secondo turno che lo opporrà ad un veterano della politica, il sindaco di Bordeaux Alain Juppé, entrato nell’arena come collaboratore di Jacques Chirac a partire dal 1976. I sondaggi lo avevano dato come favorito. Le primarie erano aperte a chiunque, contro un contributo simbolico di 2 euro, dichiarasse la propria adesione ai valori della destra. Le presidenziali si terranno ad aprile 2017.

20/11/2016
it.euronews.com/2016/11/20/francia-fillon-e-juppe-vanno-al-ballottaggio-delle-primarie-del-centrodestra-sarkozy-annuncia-il-ritiro-dalla-...
wheaton80
00lunedì 9 gennaio 2017 00:50
FMI: Lagarde condannata

PARIGI - La Direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde è stata ritenuta colpevole di negligenza nell'esercizio delle sue funzioni nel contenzioso con l'impresario Bernard Tapie quando era Ministra sotto il governo di Nicolas Sarkozy. Il Tribunale di Giustizia della Repubblica ha deciso di dispensare la Direttrice dalla pena, ma è stata comunque condannata. Si tratta di un arbitrato privato che Lagarde decise quando era Ministra delle Finanze (tra il 2007 e il 2011) per porre fine al contenzioso che lo Stato aveva con Bernard Tapie, il quale richiedeva un risarcimento per la vendita nel 1994 di Adidas da parte dell'allora banca pubblica Crédit Lyonnais, dopo aver perso la proprietà del marchio sportivo. In virtù di questo arbitrato, lo Stato ha dovuto risarcire l'imprenditore, di cui era molto conosciuta la sua vicinanza con Sarkozy, con 404 milioni di euro di denaro pubblico. La sentenza fu annullata l'anno scorso e l'uomo d'affari è stato obbligato a rimborsare la cifra. Lagarde ha sempre respinto ogni accusa e il suo legale ha fatto sapere di voler ricorrere in appello. I vertici esecutivi del Fondo Monetario Internazionale si riuniranno presto per discutere degli ultimi sviluppi legati alle vicende giudiziarie che riguardano il Direttore Generale dell'Istituto di Washington, Christine Lagarde. Lo ha detto Gerry Rice, portavoce dell'FMI, che ha aggiunto:''Il board esecutivo si è riunito in precedenza per valutare gli sviluppi legati alle vicende giudiziarie in Francia. E' previsto che il Board si riunisca di nuovo a breve per valutare gli sviluppi più recenti''.

19 dicembre 2016
www.ilnord.it/i-5165_FMI_LAGARDE_CONDANNATA
wheaton80
00martedì 31 gennaio 2017 13:56
La fine dell’era Valls



E dopo Sarkozy, è la volta di Manuel Valls a lasciarci le penne. I dioscuri neocon in salsa francese sono fuori dalla politica. Questo il verdetto delle primarie del partito socialista francese, che ha consegnato la vittoria a Benoît Hamon, il quale incarna una posizione più ortodossa rispetto al socialismo francese. Dopo Sarkozy, Valls ha incarnato la figura dell’uomo forte nella Francia di questi anni, gestendo di fatto la Presidenza del povero Hollande, il Presidente più inadeguato della storia della Francia moderna. E ricalcando da sinistra le orme del suo più illustre omologo, quel Sarkozy uscito di scena con le primarie della destra. In particolare in questi anni, nei quali l’ISIS ha richiesto un altissimo tributo di sangue alla sua patria, Valls ha assunto il ruolo di principale antagonista del Terrore. Sue le dichiarazioni più infuocate all’indomani degli efferati attentati, suoi gli allarmi più drammatici (più di una volta ha dichiarato che altri attacchi sul suolo francese erano sicuri quanto inevitabili). Insomma, negli anni del Terrore si è ritagliato il ruolo di professionista dell’anti-Terrore, anche se in realtà sul piano della sicurezza ha fatto poco o nulla di concreto, a parte spingere per la promulgazione dello stato di emergenza che pure non ha impedito altri crimini di stampo terrorista. Uomo forte, almeno a parole, fautore di un socialismo cui non interessava più il dialogo con i lavoratori, egli non è riuscito a entrare in empatia con i suoi concittadini, come dimostra il risultato delle primarie di ieri. Anzi, più accentuava la sua postura anti-terrore, più sembrava perdere appeal. Emblematica in tal senso la durissima contestazione che ebbe a subire alla cerimonia ufficiale per le vittime dell’attentato di Nizza, quando la folla inferocita lo subissò di fischi, al grido:«Assassino!». La fine della sua ascesa politica segna una svolta per la Francia, dal momento che i neocon transalpini perdono i loro più insigni rappresentanti. E come accaduto per Sarkozy, anche la perdita di Valls non susciterà eccessivi rimpianti.

30 gennaio 2017
piccolenote.ilgiornale.it/31116/hdfkojlfkaola
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 16:05.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com