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Medioriente, è scoccata l’ora della controrivoluzione

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    wheaton80
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    00 09/03/2014 03:57

    In Medio Oriente scocca l’ora della controrivoluzione, il cui leader è Fattah Abdel al-Sisi, il generale egiziano che ha rovesciato Mahmud Morsi e che ora punta alla presidenza. Il terreno su cui la controrivoluzione si manifesta sono i provvedimenti ostili ai Fratelli Musulmani ed ai loro alleati regionali. Il motivo ha a che vedere con la presidenza Morsi: fu espressione dei Fratelli Musulmani egiziani, rappresentò il successo più importante delle rivoluzioni arabe iniziate nel 2011 ed ebbe il sostegno di movimenti come Hamas e di Stati come il Qatar e la Turchia. Proprio Morsi aveva scelto Abdel Fattah al-Sisi come ministro della Difesa, ritenendolo un musulmano devoto, ma poiché si tratta anche di un generale che incarna il nazionalismo egiziano - di cui le forze armate sono l’espressione più diretta - ha prima rovesciato il presidente, giudicando inefficiente il suo esecutivo, ed ora ne sta cancellando ogni traccia. I processi a Morsi per “collaborazione con Hamas ed Hezbollah” e per “evasione dal carcere” sono la base legale sulla quale la magistratura egiziana ha costruito le accuse “terrorismo” ai Fratelli Musulmani, decretandoli fuori legge, mettendo poi al bando i palestinesi di Hamas “perché frutto della Fratellanza”. L’offensiva di al-Sisi in Egitto è sul piano del diritto: i Fratelli Musulmani hanno violato la legge, collaborato con gruppi terroristici e non possono essere un partito legittimo”. Ma poiché, durante la presidenza Morsi, Hamas addestrava gli islamici egiziani nel Sinai a compiere violenze, al-Sisi porta le resa dei conti fino a Gaza dichiarando il partito fondamentalista “fuori legge” con una stretta giuridica destinata ad accrescere il suo isolamento nel mondo arabo. L’altro fronte sono le pressioni su Doha,la capitale del Qatar che dall’epoca di Nasser ospita leader dei Fratelli Musulmani. Il casus belli in questo caso è la presenza in Qatar dell’imam fondamentalista Yusuf al-Qaradawi. Doha lo considera sotto la sua protezione ma Al-Sisi ne vuole la consegna e nel chiederla trova il fermo sostegno di Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrein. E’ una prova di forza da parte dei Paesi arabi sunniti anti-primavere arabe che per far valere l’azione in gruppo arrivano a ritirare i propri ambasciatori da Doha. L’intento è far pagare al Qatar la decisione di diventare un luogo di rifugio e protezione per islamici. E’ un messaggio che arriva fino ad Ankara, dove il premier Recep Tayyp Erdogan, indebolito dagli scandali interni che lo obbligano a difendersi dal sospetto di corruzione, non si era mai sentito tanto isolato dai sunniti. Israele intanto porta il suo sostegno al fronte di al-Sisi: con un blitz delle forze speciali cattura in Cisgiordania Ayoub al-Qawasmi, il capo dell’ala militare di Hamas considerato uno dei registi dei kamikaze nella Seconda Intifada e ricercato dal 1998. Ad Amman un diplomatico arabo commenta: “Al-Sisi ha fermato le primavere arabe, se Bashad Assad dovesse prevalere in Siria sarebbero annientate”. Ma poiché in Medio Oriente tutto può cambiare assai rapidamente, i Fratelli Musulmani non si sentono sconfitti e puntano ad un rapido riscatto: da Manama al Cairo.

    Maurizio Molinari
    07/03/2014
    www.lastampa.it/2014/03/07/blogs/caffe-mondo/medioriente-scoccata-lora-della-controrivoluzione-IallPfvvTW5w0fJxEtdbxH/pag...
    [Modificato da wheaton80 09/03/2014 03:59]
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    wheaton80
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    00 30/12/2017 21:04
    Si consolida l’Asse della Resistenza contro i piani di USA-Israele-Arabia Saudita

    I rappresentanti di Iran, Russia, Iraq e Siria si sono riunti a Teheran lo scorso mper mettere a punto una comune strategia di contrasto al terrorismo e ai suoi patrocinatori nella regione. La notizia è trapelata dall’agenzia iraniana IRNA, che ha informato circa l’oggetto della riunione, che è quello di bloccare le fonti finanziamento del terrorismo che, come noto, provengono da alcuni Paesi della regione (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait e Qatar); ma oltre a questo, a quante pare, si è discusso di un piano di coordinamento per combattere queste attività e la necessità di rafforzare la cooperazione multilaterle fra i quattro Paesi. Partecipavano alla riunione i loro massimi rappresentanti militari e diplomatici, che hanno steso un progetto comune che comprende un unico comando integrato per le operazioni militari, uno scambio di informazioni di Intelligence e un supporto logistico comune per i trasferimenti rapidi di contingenti di forze militari nelle aree di crisi.

    Sono state concordate le date delle successive riunioni, fra cui la prossima che si terrà a Baghdad. Il gruppo dei quattro Paesi intende peraltro contrastare l’ingerenza delle potenze esterne, in particolare degli USA, di Israele e dell’Arabia Saudita, i Paesi che continuano ad operare per destabilizzare la regione e patrocinare gruppi terroristi, nonostante la sconfitta dell’ISIS, come dimostrano i recenti avvenimenti del Libano (le dimissioni forzate del Premier Hariri da Riyad) e le operazioni condotte dagli USA nella basi illegali in Siria, dove Washington sta formando altri gruppi ribelli/terroristi per metter in difficoltà le forze siriane.

    Il progetto del “gruppo dei 4” non è nuovo ma risale alla fine del 2015 quando, con l’intervento russo in Siria, si era deciso di creare un centro di coordinamento antiterrorista con sede a Baghdad che aveva coinvolto i comandi militari dei quattro Paesi e che ha funzionato positivamente con le operazioni sul campo. In pratica con questa riunione si è ulteriormente consolidato l’Asse della Resistenza contro i piani del trio USA-Arabia Saudita-Israele, le tre potenze interessate a modificare gli equilibri costituitisi nella regione a seguito delle vittorie riportate sui gruppi terroristi. Si sapeva ed emergono sempre maggiori prove del fatto che i tre Paesi (USA-Arabia Saudita-Israele) siano stati i principali patrocinatori e responsabili degli attacchi scatenati dai gruppi di mercenari takfiri, assoldati dalle tre potenze per destabilizzare i Paesi della regione ed attuare il piano di divisione e rovesciamento dei governi, come predisposto da USA e Israele. Il piano USA è al momento fallito ma i quattro Paesi hanno concordato e deciso di non abbassare la guardia.

    Fonti
    - www.irna.ir/en/News/82769777
    - es.abna24.com/news/titulares/encuentro-cuatripartito-antiterrorista-en-teheran-iran-rusia-irak-y-siria-se-reunen-para-discutir-estrategias-para-combatir-las-fuentes-de-financiacion-de-%e2%80%9clos-terroristas%e2%80%9d_874...

    Traduzione e sintesi: Luciano Lago (rivista da Wheaton80)
    29 dicembre 2017
    www.controinformazione.info/si-consolida-lasse-della-resistenza-contro-i-piani-diusaisraele-arabia-...
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    wheaton80
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    00 07/10/2020 05:12
    Iran e Russia, tensione a distanza con la Turchia di Erdogan

    È quasi lo stesso schema: in Libia, il neo-sultano Erdogan ha lanciato insieme ai suoi amici israeliani ed emiratini una vera e propria falsa guerra, su richiesta degli Stati Uniti, una guerra che mirava meno al saccheggio di petrolio e gas, già in gran parte saccheggiati dalla Libia, rispetto al dispiegamento dell’asse USA/NATO ai confini con l’Algeria. Lo stesso neo-Sultano ha appena lanciato un’identica guerra sulla base di un conflitto secolare e che improvvisamente riaffiora, anche se gli USA, potenza in totale declino, stanno esaurendo il vapore nel Golfo Persico, spinti verso la porta da Iran e suoi alleati russi e cinesi. Tuttavia, questa guerra Armenia/Azerbaigian si sta svolgendo ai confini dell’Iran nordoccidentale e ha l’ovvio obiettivo di stabilire la Turchia e quindi la NATO ai confini iraniani. Nuovo errore di calcolo del Sultano e del suo entourage? Molto probabilmente. Se è vero che questa NATO, trainata da Ankara, avrà la missione di prolungare le molestie aeree e marittime già in corso contro la Russia nel Mar Nero, con un impatto negativo sulle esportazioni energetiche russe, mentre la Turchia sta lavorando per espandersi verso est, oltre il Mar Caspio, con l’obiettivo di collegare le fonti di gas in Turkmenistan e in altri Paesi dell’Asia Centrale con il vettore azero (e sappiamo che Israele ottiene il 40% del suo fabbisogno di petrolio da Baku, ndr), è anche vero che le basi militari della NATO dovrebbero in questa logica rappresentare una minaccia territoriale contro l’Iran. In vista delle conquiste territoriali che l’Esercito Azero sta per compiere, esercito posto direttamente sotto il comando turco e israeliano (come ai suoi tempi in Siria, ndr), l’asse USA/NATO/Israele sta addirittura lavorando per creare un corridoio al centro del territorio armeno che darebbe accesso ai confini con l’Iran. Una cosa è certa: se gli Stati Uniti stanno ora incendiando il Caucaso, è perché sono completamente in un vicolo cieco di fronte all’ascesa dell’asse Iran-Cina-Russia.

    In Siria e in Iraq il loro fallimento è totale; in Libano, lo stallo è completo e neanche la normalizzazione è servita adeguatamente ai loro scopi: la coalizione Abraham, composta da un’entità israeliana già con le spalle al muro e da 'Golfisti' perfettamente disarmati, non è altro che un insieme di figurine. Rimane una sorta di tacchino che continua a mangiare a tutte le mangiatoie senza capire che ci sono limiti a tutto. Sabato, le autorità iraniane hanno annunciato che un totale di 35 colpi di mortaio erano caduti sul territorio iraniano a seguito delle battaglie nella regione del Karabakh. Il governatore della città di confine iraniana di Khoda Afrin nell’Iran nordoccidentale, Ali Amiri Raad, ha detto che le due parti stavano abusando della neutralità dell’Iran e hanno continuato a sparare senza riguardo alla popolazione. Nel processo in corso, un severo monito, il secondo nello spazio di 3 giorni, è stato lanciato all’indirizzo di Baku e Yerevan da un portavoce della diplomazia iraniana, Khatib Zadeh, che ha affermato che l’Iran “non non tollererà alcuna provocazione”. L’Iran, infatti, sta seguendo da vicino le azioni di Ankara, il remake di ciò che la Turchia dei Fratelli Musulmani ha già realizzato in Siria e poi in Libia, ovvero il dispiegamento di terroristi takfiri nella Repubblica dell’Azerbaigian, e questo sotto il pretesto del conflitto del Nagorno-Karabakh. Secondo le prove, anche una cellula composta da 18 ufficiali sionisti sta monitorando i combattimenti. Secondo quanto riferito, circa 900 terroristi sono stati trasferiti negli ultimi giorni dalla Siria e dalla Libia ai confini nord-occidentali dell’Iran, appena a nord del fiume Aras, che separa l’Iran dalla Repubblica dell’Azerbaigian. Secondo fonti sul campo, i servizi segreti turchi hanno già trasferito più di 530 elementi terroristici in Azerbaigian; con ulteriori trasferimenti, il numero di terroristi in Azerbaigian è salito ad almeno 900 elementi e l’afflusso continua.

    Sono membri del gruppo terroristico della “Brigata del sultano Mourad”, fondato nel 2013 e composto principalmente da turkmeni dalla Siria, ma anche da Jaysh al-Sharqiya, al-Hamza, l’esercito di al-Nokhba, Jabhat al-Sham, la brigata al-Furqan, la brigata 51 e la brigata al-Moutasem. I leader dei gruppi terroristici nei territori occupati di Siria e Libia si sono uniti alla coalizione Turchia/Azerbaijan/Israele, nonostante abbiano già perso almeno 103 membri negli scontri nella regione del Nagorno-Karabakh. Ma la parte caucasica è ben lungi dall’essere una passeggiata nel parco per l’asse Turchia/Israele/USA: il campo antagonista ha già preparato delle belle sorprese contro di loro: proprio come in Siria e in Libia, la delusione rischia di essere monumentale. Sabato, la seconda città principale della Repubblica dell’Azerbaigian, Gandja, è stata presa di mira dai missili armeni di fabbricazione russa. Si tratta dell'aeroporto militare che attualmente ospita aerei da guerra turchi e NATO.


    Gandja, seconda città dell’Azerbaijan bomnbardata

    A una settimana dall’inizio del conflitto, l’Armenia si morde le mani per aver normalizzato i rapporti con Israele e ha già richiamato il suo ambasciatore. Quanto alla Russia di Putin, ha condizionato i suoi aiuti al ritorno di Yerevan, totalmente e interamente, nella sfera orientale. Fonti turche ammettono che l’attacco contro Gandja rischia di mandare in frantumi la superiorità aerea di Baku, che è in parte basata sui droni turchi e israeliani. “Circa 60 missili sarebbero stati lanciati contro il campo d’aviazione, che sarebbe stato ridotto in cenere con tutti i droni e i caccia che erano lì. Due giorni prima era stata attaccata anche la base aerea Dallar, base che ospita caccia F-16 turchi e caccia MiG-25 azeri”. In Nagorno-Karabakh, la Russia sta iniziando a colpire Israele, cosa che non ha fatto in Siria o in Libia. Per la prima volta, i missili israeliani sparati contro il Nagorno-Karabakh sono stati intercettati e distrutti dall’S-300… Le divisioni tendono a fissarsi… l’asse Iran-Russia-Cina si sta riattivando…

    Fonte: parstoday.com/fr/news/middle_east-i90329-iran_russie_le_s_300_a_ti...
    05 ottobre 2020

    Traduzione: Luciano Lago (rivista da Wheaton80)
    www.controinformazione.info/iran-e-russia-tensione-a-distanza-con-la-turchia-di-erdogan/?fbclid=IwAR3Nt8Teo05ns5kSV2UnWY1ObQljJ3zUioQUD5H1v0T0ajj-_8p...
    [Modificato da wheaton80 07/10/2020 05:19]
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    wheaton80
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    00 04/07/2021 19:19
    Soleimani assassinato: prime liquidazioni?

    Il Generale James Willis è morto e si dice che sia stato assassinato. Era uno dei comandanti principali dell’aeronautica statunitense con sede ad al-Udeid, in Qatar. La sua morte è stata annunciata nelle circostanze più incerte. Il Pentagono afferma che la morte dell’alto funzionario statunitense non è avvenuta in un incidente militare. L’Air Force Times sostiene da parte sua che il corpo di James C. Willis, Comandante in Capo della Squadriglia Red Horse, è stato trovato sabato nel suo hotel a sud di Doha intorno alle 7:30. Prima di comandare lo squadrone in questione, Willis era il capo dell’unità di ingegneria della Guardia Aerea del New Mexico. Da aprile, quando questo squadrone si è schierato in Qatar, questa unità è responsabile della revisione cacciabombardieri coinvolti nella cosiddetta campagna aerea anti-Daesh della US Air Force. Dall’inizio dell’anno, almeno tre ufficiali statunitensi sono stati uccisi, di cui due in Kuwait. Questo giovedì, Sputnik, riferendosi a fonti informate, ha affermato che Willis faceva parte della squadra che ha partecipato all’assassinio del Comandante in Capo della Forza Quds, il Generale del corpo armato Qassem Soleimani, il 3 gennaio 2020, vicino all’aeroporto di Baghdad. Nessuna conferma, però, da una fonte ufficiale. Questa informazione arriva inoltre lunedì 28 giugno, quando gruppi della Resistenza in Iraq hanno minacciato di rispondere alla morte di quattro combattenti della Resistenza durante gli attacchi alle posizioni di Hachd al-Chaabi nell’area di Abu Kamal e al-Qaem, al confine tra Siria e Iraq. Il 3 gennaio 2020, i terroristi americani avevano anche assassinato il Comandante in Capo di Hachd al Chaabi, Abou Mahdi Mohandes. La liquidazione delle forze armate statunitensi continua nella regione. In effetti, due soldati statunitensi sono stati recentemente annunciati morti; il primo in Kuwait, durante un incidente civile, e il secondo in Siria, morto per le ferite riportate nella base di al-Tanf. Un altro ufficiale americano, Jason Kiafan, è stato recentemente ucciso in Kuwait. Gli Stati Uniti hanno affermato all’epoca che l’uomo era stato ucciso mentre guidava un veicolo fuori dalla base aerea di al-Salem in Kuwait.

    Fonte: parstoday.com/fr/news/middle_east-i98650-soleimani_assassin%C3%A9_premi%C3%A8res_liqu...

    Traduzione: Luciano Lago
    02 luglio 2021
    www.controinformazione.info/soleimani-assassinato-prime-liquidazioni/?fbclid=IwAR01iWRQM7RkMTEgqJjOW25NtA1Vq4DB22CGj1nCY8NMfAhL0JX...
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    wheaton80
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    00 01/10/2021 18:28
    L’azione dell’Iran rompe l’assedio USA su Siria e Libano

    L’effetto a catena delle petroliere iraniane che trasportano petrolio in Libano attraverso la Siria ha influenzato e amplificato generosamente l’influenza di Hezbollah in Libano e ha raggiunto gli Stati Uniti, la Russia e diversi Stati arabi. Le conseguenze hanno accelerato importanti questioni regionali e internazionali, mettendole con forza sul tavolo della discussione e imponendo una revisione della politica statunitense in Asia occidentale, in particolare in Siria. I Paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti, hanno iniziato a ripensare e contemplare le attuali riserve sul rapporto con la Siria e il suo ritorno alla Lega Araba e alla comunità internazionale. L’obiettivo, o forse il desiderio, è offrire al Presidente Bashar al-Assad l’opportunità di ripensare alle sue relazioni globali e regionali e rimuovere i ruoli esclusivi dell’Iran e della Russia nel Levante. Molti eventi hanno avuto luogo in Asia occidentale e a New York negli ultimi mesi. Gli incontri non dichiarati a Baghdad tra l’Arabia Saudita e l’Iran, la Giordania e l’Egitto hanno contribuito a rompere il ghiaccio tra questi Paesi regionali e a discutere di importanti questioni di grande preoccupazione. Inoltre, il vertice iracheno ha permesso ad Arabia Saudita, Qatar, Iran, Kuwait, Egitto, Giordania e Francia di incontrarsi e riscaldare le loro relazioni, creando un maggiore riavvicinamento tra gli Stati regionali. L’Iraq sta svolgendo un ruolo positivo ma importante in cui tutti i Paesi possono riunirsi e discutere le proprie differenze. Inoltre, ci sono stati importanti incontri tra il re giordano Abdullah e il Presidente Joe Biden a Washington e il Presidente Vladimir Putin a Mosca, e l’incontro del Presidente siriano Bashar al-Assad con il Presidente Putin per parlare dell’unità del territorio siriano. Infine, l’attesa visita del Presidente turco Recep Tayyip Erdogan a Mosca e New York. Questi incontri aprono le porte alla fase successiva, che apre la strada al ritorno della Siria nella sfera regionale e internazionale. In effetti, lo sviluppo più importante è stata la dichiarazione del re giordano da Washington secondo cui “il Presidente Bashar al-Assad resta al potere e deve essere trovato un modo per riguadagnare il dialogo con lui”. Ciò non significa che la Giordania abbia cessato le sue relazioni con la Siria nell’ultimo decennio. L’ambasciata giordana non ha mai chiuso i battenti a Damasco né l’ambasciata siriana ad Amman, nonostante la Giordania ospitasse la sala del Military Operation Command (MOC). Il MOC ha ospitato comandanti militari arabi e occidentali, compresi gli Stati Uniti, per condurre operazioni di sabotaggio e attacco all’interno della Siria, con l’obiettivo di porre fine al governo del Presidente siriano e creare uno stato fallito in Siria. Ha sostenuto e formato militanti e jihadisti in Giordania, tra cui al-Qaeda, alla conoscenza degli apprendisti e dell’Amministrazione USA.

    Durante i decenni di guerra in Siria, i contatti tra Amman e Damasco a livello di sicurezza e politica non si sono fermati, sebbene abbiano variato di intensità. Le ultime comunicazioni ufficiali significative sono state duplici. Il primo è stato un appello tra il Ministro degli Interni giordano Mazen al-Faraya e il suo omologo siriano, Muhammad al-Rahmoun. I due ministri hanno affermato di aver concordato di coordinare il transito dei camion tra i due Paesi, il che significa che gli Stati Uniti devono escludere la Giordania e la Siria dalle sanzioni imposte attraverso il Cesar Civilian Protection Act. I camion siriani potranno attraversare i confini senza dover passare il carico ad altri camion sul lato giordano. Ciò ridurrà significativamente il costo siriano, aprirà la strada della merce siriana a molti Paesi e porterà la tanto necessaria valuta estera. Il secondo alto contatto ufficiale è stata la visita del Ministro della Difesa e vice Primo Ministro siriano Ali Ayoub ad Amman e l’incontro con il Capo di Stato Maggiore giordano, il Maggiore Generale Yousef Al-Hunaiti, il primo incontro ufficiale a questo livello dopo dieci anni di guerra in Siria. Non c’è dubbio che gli Stati Uniti abbiano aperto la porta al ritorno della Siria in Libano quando hanno accettato di rilanciare la linea del gas che trasportava il gas egiziano attraverso la Giordania in Libano. Questa linea di gas è stata offerta come alternativa nel disperato tentativo di limitare il flusso di gasolio e benzina iraniani in Libano attraverso Hezbollah. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Libano, Dorothy Shea, ha annunciato la decisione sulla fornitura di gas in reazione all’annuncio del Segretario Generale di Hezbollah Sayyed Hassan Nasrallah. Sayyed Nasrallah ha promesso di fornire al Paese petrolio iraniano attraverso la Siria per rompere il blocco non annunciato dagli Stati Uniti e soddisfare i bisogni del popolo libanese. Il Libano, assetato di forniture di petrolio (la cui perdita ha paralizzato il ciclo di vita del Paese, che sta attraversando una crisi economica senza precedenti), ha benedetto il petrolio iraniano mentre cadeva come manna sulla popolazione libanese. La popolarità dell’Iran e di Hezbollah è esplosa ed è stata acclamata da alleati, amici e (molti) nemici allo stesso modo. Tuttavia, il petrolio iraniano non è l’unico problema che gli Stati Uniti e i Paesi arabi devono affrontare. Sono infatti molto preoccupati che la Siria rimanga nella sfera di influenza iraniana. L’Iran ha guadagnato una popolarità senza precedenti in Siria a causa della politica di Washington, che voleva creare uno Stato fallito in Siria e rimuovere il Presidente Assad dal potere. Inoltre, l’Iran ha raccolto più lodi quando gli Stati Uniti non sono stati in grado di destabilizzare Siria, Iraq e Libano. L’amministrazione statunitense pensava che imponendo dure sanzioni alla Siria e impedendo qualsiasi riavvicinamento tra Damasco e altre capitali regionali e occidentali, avrebbe potuto far leva sul Presidente Assad e costringerlo a dettare le sue condizioni.

    Sembra che l’Amministrazione di Joe Biden stia iniziando a valutare le cose in modo più realistico, come espresso dal re giordano dopo aver incontrato Biden. Non è un caso che re Abdullah affermi da Washington che c’è la necessità del ritorno della Siria e dei rapporti con Assad, argomento tabù per le precedenti amministrazioni statunitensi. È davvero un passo piccolo ma significativo, anche se non significa che gli Stati Uniti riscalderanno presto le loro relazioni con la Siria. Invece, il ritorno del rapporto dei Paesi arabi e occidentali con Assad è una preparazione per l’opinione pubblica a riconoscere che il Presidente siriano è il leader eletto del suo Paese, cosa che i Paesi coinvolti nell’ultimo decennio di guerra non possono più ignorare. Il Presidente siriano ha detto ai suoi numerosi visitatori ufficiali regionali e occidentali che “gli Stati Uniti non hanno mai interrotto le loro relazioni di sicurezza con la Siria. Tuttavia, in Siria rifiutiamo qualsiasi dialogo politico a meno che le forze occupate dagli Stati Uniti non si ritirino dalla regione attiva del nord-est”. Gli Stati Uniti e molti Stati europei hanno mantenuto una relazione di sicurezza e antiterrorismo con la Siria (Francia, Italia, Germania e altri). Tuttavia, la Siria ha stabilito che tutte le delegazioni europee riaprano le porte delle loro ambasciate prima di impegnarsi in relazioni politiche. Il Governo di Damasco è più forte oggi che mai, in particolare quando il sud è tornato completamente sotto il controllo dell’Esercito Siriano. Infatti, in queste ultime settimane, la Siria ha liberato Daraa e Tafas, assicurando più di 328 chilometri a partire dalla Badia fino ad As-Suwayda e Daraa. Pochi giorni fa, tutte le città dell’area di Huran sono cadute sotto il controllo dell’Esercito Siriano. Gran parte del sud della Siria era sotto i ribelli, che coesistevano con l’Esercito Siriano, a seguito di un accordo stipulato dalla Russia nel 2018 . Questi militanti hanno creato una “zona cuscinetto”, controllando il valico di frontiera con la Giordania e proteggendo gli israeliani che occupano le alture del Golan siriano e i confini di Israele. Gli israeliani hanno ripetutamente affermato di temere la presenza di Hezbollah e dell’Iran ai confini siriani e non sono riusciti a imporre una zona libera dalla presenza iraniana ovunque la leadership siriana avesse deciso così. Tuttavia, il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha dichiarato:“La Russia non accetterà che la Siria venga utilizzata come piattaforma per operazioni contro Israele”. Pertanto, la Russia sta inviando il messaggio agli Stati Uniti e a Israele che le forze siriane ai confini siriani sono un garante della protezione di Israele e un’indicazione all’Iran che Mosca desidera che il fronte delle alture del Golan occupato rimanga freddo. Il Ministro russo Lavrov esprime senza dubbio la preoccupazione della Russia per l’incolumità e la sicurezza di Israele e offre la garanzia di Mosca per prevenire attacchi contro le alture del Golan occupate. Tuttavia, la Russia non ha impedito a Israele di violare la sovranità e il territorio siriano. Israele, infatti, ha compiuto più di mille attentati, violando la sovranità siriana, uccidendo molti civili e distruggendo molte postazioni e magazzini appartenenti allo Stato siriano.

    Mosca ha offerto all’Esercito Siriano missili terra-aria per intercettare gli attacchi aggressivi e ripetitivi israeliani, ma non è riuscito a fermare questi attacchi, anche quando Israele è stato responsabile dell’abbattimento dell’aereo Il-20 e dell’uccisione di 15 membri del servizio russo. La Russia è presente nel sud dal 2018, a seguito di un accordo tra militanti locali e Governo Siriano. Questo accordo non è più necessario perché le forze di Damasco hanno preso il controllo completo del sud della Siria. Inoltre, la Russia non può impedire alla Siria di liberare il suo territorio (le alture del Golan) quando il governo centrale deciderà di farlo in qualsiasi momento in futuro. Indubbiamente, l’influenza iraniana e la presenza militare in Siria sono state conseguenze della guerra globale contro la Siria e della sua richiesta di sostegno all’Iran. Anche se gli Stati Uniti stanno impedendo ai Paesi del Medio Oriente di ristabilire i legami con la Siria, Damasco mostra la volontà di aprire una nuova pagina con i Paesi occidentali e arabi. Pertanto, gli Stati Uniti sono il principale contributore alla crescente influenza iraniana nel Levante, quando la “Repubblica Islamica” è il principale sostenitore e fornitore di beni di prima necessità della Siria. Gli Stati Uniti potrebbero cercare di compensare rivedendo la propria posizione sulla Siria e la propria autoviolazione della “Legge di Cesare” per creare nuovi equilibri nella regione e consentire alla Lega Araba di includere nuovamente Damasco. Durante il recente vertice di Baghdad, il Presidente francese Emmanuel Macron ha promesso al Primo Ministro iracheno Mustafa Al-Kadhemi di esaminare le relazioni dell’UE con Assad. Al-Kadhemi ha informato il Presidente al-Assad in una conversazione telefonica privata di venti minuti subito dopo la fine della conferenza. Il ritorno delle relazioni ufficiali tra Giordania e Siria è legato alla sicurezza delle frontiere, alla prevenzione delle vecchie e nuove strade di contrabbando tra i due Paesi e alla lotta al terrorismo. La Giordania sta assumendo un ruolo guida come pioniere nell’aprire la porta ad altri Paesi del Medio Oriente per attraversarlo e consentire all’amministrazione statunitense di preparare la sua futura politica per consentire alla Siria di tornare alle piattaforme regionali e internazionali e di non essere più isolata. Questo non accadrà molto presto. Tuttavia, è l’inizio di un fondamentale spostamento di posizione verso la Siria.

    La comunità internazionale non avrà altra scelta che abbracciare la Siria; prima è, meglio è, prima che venga attuato l’accordo nucleare con l’Iran e quando tutte le sanzioni saranno revocate. Quando ciò accadrà nei prossimi mesi, l’Iran dovrebbe diventare molto più forte finanziariamente e godere di un potere economico e finanziario senza precedenti. Il suo sostegno alla Siria sarà molto più significativo, rendendo inutile e inefficace l’embargo USA-UE. La petroliera iraniana è attraccata in Siria e il gasolio è stato trasportato in Libano, proprio come lo è l’offerta di armi di Hezbollah. La presenza iraniana a Quneitra preoccupa anche Israele e gli Stati Uniti e sfida l’occupazione israeliana del Golan siriano. Inoltre, la guerra siriana sta volgendo al termine con la liberazione dei territori occupati da USA e Turchia nel nord. Le forze statunitensi se ne andranno prima o poi, causando grave preoccupazione alle forze curde in quella parte nord-orientale del Paese. Infatti, il rappresentante del Consiglio Democratico Siriano (la forza che protegge le forze di occupazione statunitensi) negli Stati Uniti, Bassam Saqr, ha affermato che “l’America dovrebbe avvertire i curdi siriani se venisse presa la decisione di ritirare tutte le forze. Il ritiro, ogni volta che avverrà, dovrà essere graduale, passo dopo passo”. È prevedibile un cambiamento nella politica degli Stati Uniti e una sua revisione del futuro delle sue forze che occupano il nord-est della Siria. Ciò che ha sollevato gravi allarmi negli Stati Uniti e in altri Paesi del Golfo è la forza che l’Iran ha raggiunto e il potere di cui gode come conseguenza involontaria della guerra siriana nel 2011. È giunto il momento di ammettere il fallimento degli obiettivi degli Stati Uniti e consentire al Governo Siriano di far rifiorire l’economia e il suo rapporto con il resto del mondo. Le relazioni siriano-iraniane sono strategiche e il loro legame forte è abbastanza solido da non essere a rischio nonostante il futuro sviluppo in Siria.

    Elijah J. Magnier
    28 settembre 2021

    Fonte: ejmagnier.com/2021/09/27/irans-action-is-pushing-syria-to-be-embraced-by-the-arab-and-international-co...

    Traduzione: Gerard Trousson
    Correzione: Maurice Brasher
    www.controinformazione.info/lazione-delliran-rompe-lassedio-usa-su-siria-e...
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    00 07/05/2022 02:40
    Iran-Arabia Saudita-Turchia: imprevedibile distensione in Asia Minore

    “Tra Iran e Arabia Saudita ‘si è stretto un accordo’, ha pronosticato il Primo Ministro iracheno, Mustafa al-Kazemi, in un’intervista pubblicata sabato dal quotidiano di Stato Al-Sabah. Le due potenze regionali rivali hanno ripreso i colloqui a Baghdad dopo un breve sospensione”. “Al termine di un quinto round di colloqui tenutosi il 21 aprile, al quale hanno partecipato alti funzionari della sicurezza iraniani e sauditi, le autorità irachene hanno moltiplicato le dichiarazioni ottimistiche, indicando che un sesto incontro dovrebbe aver luogo presto, arrivando al punto di sperare in una ripresa delle relazioni diplomatiche sospese nel 2016”. Così su al Manar:

    french.almanar.com.lb/2319374

    “Siamo convinti che l’accordo sia vicino”, ha affermato il Primo Ministro iracheno Mustafa al-Kazemi. “L’Iraq ha un interesse diretto a vedere concretizzata l’intesa tra i Paesi della regione per raggiungere la stabilità dell’area”. Le autorità di Baghdad si sono spese molto in questa mediazione, che ha visto impegnata anche la Turchia, come dimostra la sospensione del processo Khashoggi, avviato da Ankara e recentemente sospeso e trasferito in Arabia Saudita perché fosse insabbiato:

    www.aljazeera.com/news/2022/4/7/turkey-suspends-trial-of-saudi-suspects-in-khashoggi...

    La Turchia aveva brandito come un maglio il caso Khashoggi (il cronista saudita del Washington Post ucciso nel consolato di Riad a Istanbul perché dissidente) usandolo per attaccare il principe ereditario saudita Mohamed Bin Salman, che quell’omicidio aveva commissionato (anche se ovviamente ha sempre negato). Non solo la pace con Riad, in nome della quale ha deciso di lasciar correre i crimini del passato, Erdogan si è dato da fare anche per una distensione nel Caucaso, lo spazio post sovietico sul quale aveva dimostrato di avere mire, armando l’Azerbaijan contro l’Armenia in una guerra breve ma cruenta consumatasi due anni fa. A fine aprile due Paesi caucasici hanno, infatti, fatto la pace, dopo due anni di tensioni seguite all’armistizio che aveva posto fine al conflitto. Un passo che l’Azerbaijan non poteva fare senza il placet, o la pressione, turca, alla quale Baku è legata a filo doppio a causa di quel conflitto:

    www.youtube.com/watch?v=e-Xpo9Ytl88

    Evidentemente Erdogan si è impegnato in una distensione regionale, presumibilmente in accordo con la Russia, con la quale ha da tempo un’intesa, anche se sempre rimasta sospesa alle tante ambiguità del sultano di Istanbul. Ambiguità che sono evidentemente svaporate, come dimostra anche l’impegno diplomatico che Ankara ha dispiegato nel conflitto ucraino, anche in questo caso in evidente contrasto con l’America, che quel conflitto non vuole terminare:

    www.dagospia.com/rubrica-3/politica/washington-non-vuole-pace-vuole-vincere-guerra-nostra-pelle-30...

    Un impegno diplomatico dispiegato con il tacito placet di Mosca. Così in Medioriente e nel Caucaso si sta registrando un processo distensivo di ampio respiro che sembrava impensabile, dal momento che sta riavvicinando le due potenze regionali, Iran e Arabia Saudita, da decenni divise da un’ostilità irriducibile complicata dalle diatribe religiose (sciiti contro sunniti). Il punto è che tale ostilità era alimentata dall’esterno, dal momento che l’Iran è da anni nel mirino di Washington, con un riavvicinamento degli ultimi mesi che però resta a rischio rottura, non riuscendo a trovare uno sbocco l’accordo sul nucleare di Teheran, sul quale pure la nuova Amministrazione USA si è impegnata. I negoziati sul nucleare, che sembravano giunti a un approdo felice, si sono incagliati all’inizio della guerra ucraina, con una tempistica che non è certo casuale (la guerra ha infatti ridato forza e spazi di manovra ai neocon, avversi a tale intesa). Le pressioni esterne che alimentavano la conflittualità mediorientale si sono attenuate negli ultimi tempi, perché l’America deve gioco-forza concentrarsi sull’Ucraina. Non solo, sia Erdogan che il Regno Saudita temono che i nuovi inquilini del Dipartimento di Stato prendano iniziative contro di essi. Erdogan ci è già passato col regime-change tentato e non riuscito al tempo di Obama, mentre i reali sauditi temono, con certo realismo, che gli USA possano fare qualche manovra contro di essi per avere facce nuove a Riad. Il punto è che la campagna per la difesa dei diritti civili nel mondo brandita dalla Casa Bianca mal si addice con l’alleanza con un regime che ha lo scheletro di Khassogghi nel suo armadio. D’altronde, fin dal febbraio dello scorso anno, il Capo del Dipartimento di Stato Anthony Blinken aveva rilanciato il rapporto dell’Intelligence USA che accusava direttamente il principe ereditario saudita, Mohamed bin Salman, di essere il mandante dell’omicidio. Per il redde rationem era solo una questione di tempo, da cui l’allontanamento progressivo di Riad da Washington e la nuova disposizione del reame verso i suoi antagonisti, regionali e non. Si tratta di un riposizionamento geopolitico di notevole importanza per il pianeta, che però può avvenire solo per la distrazione dei padroni del mondo, i quali contano di vincere la guerra ucraina per riprendersi l’egemonia globale e porre fine alla ricreazione. Intanto, però, non si può non registrare come positivo tale processo distensivo che interessa tanta parte di mondo, pur se i suoi protagonisti non sono certo dei figli di Maria, e sperare che vada in porto. Ma le manovre ostative sono sempre possibili, con conseguenze sullo spazio di manovra concesso (o strappato) finora.

    05 maggio 2022
    piccolenote.ilgiornale.it/55710/iran-arabia-saudita-turchia-imprevedibile-distensione-in-asi...
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    wheaton80
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    00 20/03/2023 15:31
    L'accordo Iran-Arabia Saudita a Pechino e la distensione mediorientale

    L’Arabia Saudita e l’Iran hanno concordato di riaprire le rispettive ambasciate, chiuse da quando le relazioni tra i due Paesi sono collassate, rottura che ha innescato un periodo burrascoso non solo tra i due Stati, ma anche a livello globale, dal momento che i rapporti tra sciiti e sunniti, che hanno in Teheran e Riad i loro punti di riferimento spirituali, sono diventati conflittuali. Una conflittualità feroce, che ha visto i movimenti jihadisti più radicali, che hanno in al Qaeda e nell’ISIS le punte estreme, imperversare contro le comunità sciite sparse nel mondo arabo, dalla Siria all’Iraq, dallo Yemen all’Afghanistan, in un crescendo di Terrore. Uno scontro alimentato, se non generato, dai neocon USA, che hanno usato i movimenti jihadisti come forza-lavoro (anche) per contrastare l’influenza di Teheran nel mondo arabo, nulla importando (a pensar bene) che il mostro del Terrore aveva nel mirino anche l’Occidente, con il corollario di attentati e morti innocenti del quale occorre conservare memoria. Ci vorrà tempo per porre fine definitivamente a tale conflittualità, proprio perché torna utile alle strategie neocon, ma è certo che il passo compiuto dai due Paesi arabi favorirà tale sviluppo e forse riuscirà anche a porre fine al conflitto yemenita, che vede i sauditi imperversare contro le milizie houthi sostenute da Teheran.

    La malcelata irritazione dell’Occidente
    A porre il sigillo all’intesa tra Riad e Teheran è stata la Cina, che ha spinto in tal senso e portato a compimento un lungo negoziato intrapreso da anni dai duellanti. Apparentemente tutto il mondo è felice per quanto avvenuto, come da dichiarazioni ufficiali, ma in realtà non è proprio così. “Alcuni osservatori internazionali hanno visto l’inclusione della Cina nell’accordo come un palese affronto” agli Stati Uniti, scrive il Washington Post, che riporta anche il commento di Suzanne Maloney, vicepresidente della Brookings Institution e direttrice del settore politica estera dell’Istituto in questione: “Ciò che è importante in quanto avvenuto, è la decisione [di Riad] di consegnare ai cinesi un’enorme vittoria nell’ambito delle pubbliche relazioni, un servizio fotografico che ha lo scopo di dimostrare la nuova statura della Cina nella regione”. E, si potrebbe aggiungere, nel mondo, anche perché, secondo i cinesi e altri osservatori internazionali, l’intesa Riad-Teheran rappresenta un ulteriore passo verso un nuovo ordine mondiale multipolare. Quest’ultimo aspetto dell’accordo rappresenta un ulteriore affronto per Washington, che non riesce a liberarsi dall’ossessione di guardare il mondo come fosse il proprio giardino di casa, in una perversa estensione della più ristretta dottrina Monroe (per il quale il giardino in questione si limitava all’intero continente americano). D’altronde che Pechino fosse la Nazione più deputata a benedire tale accordo era nei fatti, dal momento che al lungo e solido rapporto con l’Iran, rilanciato con forza negli ultimi anni con accordi commerciali e politici sempre più stretti, associa un nuovo e sorprendente rapporto con Riad, che nell’ultimo anno è riuscita a uscire dall’angolo in cui era costretta dalla subordinazione all’alleato americano per accostarsi a Pechino e Mosca e al più ampio ambito dei BRICS.

    L’accordo di Pechino e Israele
    A rimanere interdetta dall’intesa di Pechino anche Israele, che in tal modo vede incrinarsi il sogno di ergersi a dominus assoluto del Medio Oriente, sogno che aveva nella conflittualità tra sciiti e sunniti una base portante, dal momento che tale scontro gli permetteva di porsi alla guida della crociata sunnita contro il comune nemico iraniano. Un sogno al quale Netanyahu aveva tentato di dare una forma più strutturata con il lancio degli Accordi di Abraham, con i Paesi sunniti invitati ad allacciare rapporti formali politici e commerciali con Israele (informali ci sono sempre stati), ponendo fine alle distanze decennali e riponendo nel cassetto la richiesta della nascita di uno Stato palestinese. Tali Accordi, nella mente del suo ideatore, avrebbero dovuto portare a una vera e propria alleanza, anche sul piano militare, con la nascita di una NATO sunnita pronta a lanciarsi in uno scontro aperto con Teheran. Così, se per l’establishment israeliano tale sviluppo rappresenta una pietra di inciampo, per Netanyahu è un vero e proprio schiaffo, tanto è vero che si è lanciato in un’improvvida intemerata contro Biden, al quale ha addossato la “colpa” dell’intesa. Resta che su tale accordo, oltre ai tanti imprevisti del caso, pende anche la spada di Damocle di una possibile guerra contro l’Iran, più probabile se i negoziati sul nucleare iraniano tra Washington e Teheran dovessero fallire in via definitiva. A oggi tale fallimento non è ancora stato ufficializzato e resta qualche residua speranza. Vedremo.

    Altri passi distensivi in Medio Oriente

    La nostra nota potrebbe finire qui, se non che c’è da segnalare che l’accordo di Pechino si inserisce in un quadro più ampio, che vede il moltiplicarsi di passi distensivi nel sempre malmostoso Medio Oriente. Da questo punto di vista va segnalata come della massima importanza la recente visita di Abdullah Bin Zayed, Ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, a Damasco, e quella parallela del suo omologo giordano Ayman Hussein Abdullah Al Safadi. Recatisi in Siria per portare la loro solidarietà e promettere aiuti alle popolazioni colpite dal sisma, i due ministri hanno incontrato Assad, rompendo così il muro di ostilità creato attorno al Presidente siriano per portare a compimento il regime-change. Non solo, in una recente intervista, il Ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan Al Saud, si è detto favorevole a una reintegrazione della Siria nella Lega Araba, sorprendendo (e irritando) anche in questo caso l’Occidente. A questo fermento si aggiunge il lavorio intrapreso da tempo da Mosca per riconciliare Damasco e Ankara, nemici da quando la Turchia si è associata al tentativo di regime-change siriano. A breve si terrà un incontro dei Ministri degli Esteri di Iran, Turchia e Siria in Russia. In un mondo scosso da potenti spinte destabilizzanti, notizie in controtendenza come queste passano quasi inosservate, ma non per questo sono meno rilevanti.

    11 marzo 2023
    piccolenote.ilgiornale.it/mondo/laccordo-iran-arabia-saudita-a-pechino-e-la-distensione-medio...
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    00 13/05/2023 16:47
    Dopo che la Cina ha fatto la pace tra Iran e Arabia Saudita, la Russia fa la pace tra Turchia e Siria

    Turchia, Siria, Iran e Russia hanno concordato di sviluppare una tabella di marcia per ricostruire i legami tra Ankara e Damasco, che si sono deteriorati durante il conflitto siriano, ha affermato il Ministro degli Esteri russo. L’annuncio è stato dato dopo i colloqui tra i massimi diplomatici dei quattro Paesi (Mevlut Cavusoglu per la Turchia, Faisal Mekdad per la Siria, Hossein Amir-Abdollahian per l’Iran e Sergey Lavrov della Russia), che si sono conclusi mercoledì a Mosca. Durante i negoziati, i ministri degli esteri “hanno discusso le questioni del ripristino delle relazioni interstatali siro-turche sotto vari aspetti in modo sostanziale e franco”, ha affermato il ministero in una nota. ”I partecipanti hanno anche concordato di incaricare i loro vice ministri degli esteri di preparare una tabella di marcia per far progredire le relazioni tra Turchia e Siria in coordinamento con i ministeri della difesa e i servizi speciali dei quattro paesi “, ha aggiunto. Tutte le parti hanno sottolineato il loro impegno a preservare la sovranità e l’integrità territoriale della Siria e hanno concordato di continuare i contatti in formati bilaterali e quadrupli, secondo Mosca. L’FM turco Cavusoglu ha scritto su Facebook che nella capitale russa sono state discusse questioni come la cooperazione nella lotta al terrorismo, il lavoro congiunto per creare le condizioni per il ritorno dei rifugiati siriani, l’avanzamento del processo politico in Siria e la protezione dell’integrità territoriale del Paese. Il Ministero degli Esteri siriano ha confermato i resoconti di Mosca e Ankara nella sua dichiarazione. Damasco ha aggiunto che le parti hanno anche sottolineato la necessità di aumentare l’assistenza internazionale alla Siria per la ricostruzione del Paese dopo una battaglia contro il terrorismo internazionale durata oltre un decennio. Il mondo sta guarendo. Gli Stati Uniti volevano che tutti questi Paesi fossero in guerra tra loro per sempre, e per molto tempo è sembrato che questo disegno avrebbe avuto successo indefinitamente. Tuttavia gli Stati Uniti si sono alienati dal mondo con la loro bizzarra guerra in Ucraina, i loro insondabili attacchi economici alla Russia e la loro inutile e folle escalation di tensioni con la Cina. Le persone sono anche molto, molto stanche di sentirsi dire che devono fare sesso anale gay l’una con l’altra (per essere moderni e progressisti). Ora, il mondo sta cominciando a funzionare senza la loro influenza, o operando con il fingere che la loro influenza non esista. E cosa succede? La pace sta scoppiando in tutto il mondo. Quando finalmente l’impero ZOG finirà, la pace scoppierà anche in America.

    Andrew Anglin (ripubblicato da The Daily Stormer con il permesso dell’autore o del rappresentante)

    Traduzione: Luciano Lago
    12 maggio 2023
    www.controinformazione.info/dopo-che-la-cina-ha-fatto-la-pace-tra-iran-e-arabia-saudita-la-russia-fa-la-pace-tra-turchia-...
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    00 06/02/2024 11:57
    Fonti di Al-Mayadeen: La maggior parte dei siti presi di mira dall’aggressione americana erano stati evacuati in precedenza

    Fonti di Al-Mayadeen hanno rivelato che la maggior parte dei siti presi di mira dalle forze americane erano stati completamente evacuati prima che l’aggressione fosse lanciata, spiegando che l’aggressione ha colpito le città di Deir ez-Zor, Al-Mayadeen e Al-Bukamal, e le loro città affiliate, nella Siria orientale. Le fonti hanno riferito che l’aggressione americana si è concentrata sul Governatorato di Deir ez-Zor nella Siria orientale e ha colpito siti su Port Said Street nella città di Deir ez-Zor, oltre a Hawija Sakr, Ayyash, Harabesh e Al-Jufra nel campagna della città. L’aggressione americana includeva siti nella città di Al-Hari, i valichi di Al-Sikka e Al-Hajjana nella città di Al-Bukamal, vicino al confine siriano con l’Iraq, e gli obiettivi includevano il quartiere di Al-Hamdaniya, i silos di grano e, secondo le nostre fonti, nelle vicinanze del santuario di Ain Ali, nella città di Al-Mayadeen. Il corrispondente di Al-Mayadeen a Damasco ha riferito di nuovi raid all’ingresso orientale di Deir ez-Zor, confermando un raid americano che aveva preso di mira il quartiere di Harabesh. Da parte sua, il nostro corrispondente ad Aleppo ha confermato che a Deir ez-Zor è avvenuta un’interruzione totale della corrente elettrica a causa dell’aggressione americana e ha riferito che è stata presa di mira la base militare americana nel giacimento di gas di Koniko, nella Siria orientale, come ha confermato vedendo pennacchi di fumo salire dall’interno della base. Dall’Iraq, il corrispondente di Al-Mayadeen a Baghdad ha confermato che l’aggressione americana ha preso di mira anche siti nelle città di Al-Qaim e Akashat vicino al confine siriano, sottolineando la presenza di due martiri civili come risultato iniziale dell’aggressione americana.

    A sua volta, il portavoce del Comandante in Capo delle Forze Armate irachene ha dichiarato che la città di Al-Qaim e le zone di confine irachene sono sottoposte ad “attacchi” americani, aggiungendo che questi “attacchi” sono una violazione della sovranità dell’Iraq e un indebolimento degli sforzi del governo iracheno. Ciò avviene dopo che le forze americane hanno lanciato un’aggressione contro le città in Iraq e Siria su entrambi i lati del confine tra i due Paesi, mentre il Comando Centrale degli Stati Uniti ha annunciato di prendere di mira “siti appartenenti alla Guardia Rivoluzionaria Iraniana e ai suoi alleati, in Iraq e Siria”. In un comunicato diffuso ieri sera, venerdì, si legge che “ha colpito più di 85 obiettivi, utilizzando aerei che includevano bombardieri a lungo raggio lanciati dagli Stati Uniti”. La dichiarazione afferma che le forze statunitensi “hanno utilizzato più di 125 munizioni di precisione negli attacchi aerei. Le strutture colpite includevano operazioni di comando e controllo, centri di intelligence, missili, magazzini di droni, strutture logistiche e la catena di approvvigionamento di munizioni”. In un primo commento su questi attacchi, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato:“Questa sera, sulla base delle mie direttive, le forze americane hanno effettuato attacchi su strutture in Iraq e Siria”, aggiungendo: “Abbiamo preso di mira strutture utilizzate dalla Guardia rivoluzionaria e dai suoi alleati per attaccare le forze americane”. Mentre Biden ha indicato che la risposta degli Stati Uniti d’America “è iniziata oggi e continuerà nei tempi e nei luoghi da noi stabiliti”, ha sottolineato che “l’America non cerca un conflitto in Medio Oriente, o in qualsiasi altra parte del mondo“. D’altro canto, il massimo esponente repubblicano della Commissione per le Forze Armate del Senato degli Stati Uniti, Roger Wicker, ha affermato che l’Amministrazione Biden “ha passato quasi una settimana a inviare stupidamente segnali ai nostri avversari sulle intenzioni degli Stati Uniti, dando loro il tempo di muoversi e nascondersi”, con un chiaro riferimento. I siti presi di mira dall’aggressione statunitense erano vuoti.

    Fonte: www.almayadeen.net/news/politics/مصادر-للميادين--معظم-المواقع-التي-استهدفها-العدوان-...

    Traduzione: Fadi Haddad
    03 febbraio 2024
    www.controinformazione.info/fonti-di-al-mayadeen-la-maggior-parte-dei-siti-presi-di-mira-dallaggressione-americana-erano-stati-evacuati-in-pre...
    [Modificato da wheaton80 06/02/2024 11:57]
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    00 06/02/2024 11:58
    Le forze irachene attaccano la base americana nel giacimento petrolifero siriano

    Le forze popolari di resistenza irachene hanno attaccato una base militare americana in Siria con droni, in risposta al sostegno degli Stati Uniti al genocidio israeliano a Gaza. “I combattenti della Resistenza Islamica in Iraq hanno attaccato domenica (…) la base di occupazione americana nel giacimento petrolifero di Al-Omar” nella provincia siriana di Deir Ezzor (est), ha riferito in un comunicato la Resistenza Islamica in Iraq. Inoltre, essa ha assicurato che i combattenti iracheni continueranno a “distruggere le roccaforti nemiche” in risposta ai massacri commessi da Israele contro i civili palestinesi, compresi bambini, donne e anziani, nella Striscia di Gaza. Dal 7 ottobre, le forze della Resistenza Irachena hanno effettuato numerosi attacchi contro installazioni militari sotto il controllo americano, sia in Iraq che in Siria. Queste azioni sono avvenute in un contesto di crescenti sentimenti antiamericani nella regione, motivati dal sostegno di Washington all’indiscriminata aggressione militare israeliana a Gaza.

    Nota
    Gli Stati Uniti si illudono di fermare l’attacco alle loro basi di occupazione con i bombardamenti sul territorio di Iraq e Siria ma, al contrario, le loro azioni aggressive stanno creando un fronte di resistenza ancora più allargato e compatto che vuole il ritiro della forze di occupazione americane e non darà tregua fino a che l’ultimo soldato USA non avrà abbandonato la regione, questo il messaggio di un portavoce del movimento Kata’ib Hezbollah dell’Iraq.

    Fonte: www.hispantv.com/noticias/irak/579313/atacan-base-eeuu-campo-petrolife...

    Traduzione: Luciano Lago
    05 febbraio 2024
    www.controinformazione.info/le-forze-irachene-attaccano-la-base-americana-nel-giacimento-petrolifero-...