Olio di palma addio. Gli italiani non lo vogliono e le aziende cambiano le ricette
Plasmon dice addio. Mulino Bianco continua la sostituzione. Silenzio dalle istituzioni
In Italia non c’è futuro per l’olio di palma. Questo concetto, ormai chiaro anche agli studenti di economia dopo il primo esame di marketing, non piace all’industria alimentare, che cerca disperatamente di arginare la fuga delle aziende dall’olio tropicale. L’operazione viene portata avanti con argomentazioni inconsistenti e prive di fondamento scientifico. Il lavoro della lobby è cominciato un anno fa con 55mila euro destinati da AIDEPI (associazione che raggruppa marchi come Barilla, Ferrero, Bauli…) a una campagna di informazione per indottrinare i media, dicendo che l’olio tropicale è buono, fa bene alla salute e non distrugge le foreste dove vivono gli oranghi. A questa prima fase è seguito un viaggio premio in Malesia per un gruppo di giornalisti selezionati. Poi nei mesi di settembre 2015 e febbraio 2016, dopo avere capito che la petizione promossa da Il Fatto Alimentare e Great Italian Food Trade aveva convinto migliaia di persone a modificare i loro acquisti, partono due campagne pubblicitarie su quotidiani, riviste, TV e blog con un investimento superiore ai dieci milioni di euro. Il peggio arriva quando AIDEPI e le aziende sostenitrici del sito
www.oliodipalmasostenibile.it “ritoccano” il parere negativo sull’olio tropicale espresso dall’Istituto Superiore di Sanità. Per rendersene conto, basta leggere il titolo dell’articolo“Bene parere dell’Istituto Superiore di Sanità, sfatati finalmente gli inutili allarmismi nutrizionali. Concentriamoci ora sul problema della sostenibilità”. Purtroppo, questa “assoluzione” viene ripresa da buona parte della stampa nazionale. La realtà è diversa e lo scrive lo stesso Istituto Superiore di Sanità in un articolo pubblicato sul proprio sito:“Il consumo di olio di palma va ridotto soprattutto nei bambini tra i tre e i 10 anni e negli adulti con fattori di rischio cardiovascolare” (vedi sotto). Si tratta di una parere in linea con altri documenti pubblicati dall’ANSES, l’autorità francese della sicurezza alimentare, da quella belga e persino dalla FDA in USA, che troppi giornali hanno stravolto.
Il parere critico dell’Istituto Superiore di Sanità verso il palma è stato stravolto dai media. Questo è quanto riportato sul sito dell’istituto
Nel mese di maggio 2016 arriva il dossier dell’Agenzia per la Sicurezza Alimentare (EFSA), che accusa il palma di contenere tre sostanze tossiche e nocive per l’organismo, di cui una genotossica. Questo parere, che sancisce ufficialmente la fine dell’olio come ingrediente di biscotti e merendine, non piace ad AIDEPI e ad alcune aziende che, anziché cominciare a modificare le ricette, cercano disperatamente qualche nutrizionista per recuperare la situazione. L’operazione non riesce. I vari Andrea Ghiselli del Crea Nut, per anni consulente di AIDEPI, Giorgio Calabrese, ospite fisso nel salotto di Vespa e ora scelto come testimonial per una campagna sul latte fresco, il ben noto Eugenio del Toma, con altri esperti che spesso hanno tessuto le lodi dell’olio tropicale, non rilasciano più interviste. Anche Elena Fattore del Mario Negri, che ha pubblicato un’analisi sul palma, finanziata dalle industrie alimentari, in cui si ribadiva la non pericolosità, non ha commentato il lavoro dell’EFSA né quello dell’ISS. Dov’è finito il gruppo di scienziati e nutrizionisti che per mesi si è affannato a difendere il palma in TV e sui giornali? Lo stesso CREA-Alimenti e Nutrizione (ex INRAN), che ha sempre difeso il palma attraverso interviste rilasciate dai suoi ricercatori, un mese fa, per bocca di Elisabetta Lupotto, rispondendo a una domanda de Il Fatto Alimentare, diceva di non avere sottovalutato il problema del palma da un punto di vista nutrizionale, ma di avere fatto valutazioni derivanti “dalla presenza e dalla accurata analisi dei dati disponibili nonché dalle conoscenza del settore” e rilanciava accusando noi di avere diffuso notizie allarmistiche. Alla luce di quanto abbiamo scritto, rivelando che da dieci anni si conosceva la tossicità di certi contaminanti dell’olio, c’è da chiedersi come sono state fatte le valutazioni del Crea. Forse è giunto il momento di un chiarimento con una dichiarazione agli italiani.
Andrea Ghiselli, Eugenio del Toma e Giorgio Calabrese
Se sul fronte scientifico il panorama è disastroso, le cose non vanno meglio a livello mediatico, dove la telenovela di AIDEPI registra un nuovo grave episodio. Pochi giorni fa il Direttore di AIDEPI, Mario Piccialuti, ha rilasciato un’intervista al quotidiano L’Avvenire in cui sosteneva che secondo Marco Silano dell’ISS il documento dell’EFSA non riporta “indicazioni ai consumatori di modificare le loro abitudini alimentari né alle aziende di utilizzare un olio vegetale piuttosto che un altro”. Questa interpretazione non è piaciuta all’ISS, che in un comunicato stampa ha censurato pesantemente il rappresentante delle aziende. La risposta dell’ISS è molto chiara:“La posizione del dottor Marco Silano, riportata da Piccialuti, è stata estrapolata da diversi articoli nei quali l’intero contesto ne garantiva la piena comprensione… Si ribadisce inoltre, a tale proposito, che il dottor Silano, nelle interviste rilasciate alla stampa, ha sempre sottolineato, in linea con quanto espresso dal parere dell’Istituto, di ridurre il consumo di alimenti maggiormente apportatori di acidi grassi saturi nei quali è incluso l’olio di palma. Tutto questo, inoltre, fa parte di una strategia di comunicazione di raccomandazioni nazionale e internazionale di riduzione del consumo di acidi grassi saturi che l’Istituto ha sempre perseguito a tutela della salute pubblica”.
Mulino Bianco lancia Buongrano, il primo biscotto senza olio di palma, nel classico sacchetto giallo
Non tutte le imprese alimentari sono così miopi da seguire la politica di AIDEPI. Molte hanno da tempo intrapreso percorsi diversi. Anche Guido Barilla, pur essendo presidente di AIDEPI, nell’ottobre 2015 in una conferenza stampa (https://www.youtube.com/watch?v=mV0kuFc5FCk) spiegava come già diverse realtà industriali avessero iniziato a togliere il palma dai prodotti, sollecitati anche dalla nostra petizione che aveva già raccolto oltre 120mila firme. D’altro canto la stessa Barilla, considerata una delle aziende che impiega grandi quantità di palma (39mila tonnellate l’anno pari al 71% degli oli vegetali impiegati), sta cambiando politica. La società da qualche tempo ha ridotto la presenza del grasso tropicale in molti prodotti e ha inserito ben 25 referenze palm free. Abbiamo chiesto a Barilla se è vero che entro sei mesi una parte rilevante di biscotti e merendine Mulino Bianco abbandonerà il palma. Un primo segnale però esiste. Da pochi giorni sugli scaffali dei supermercati è in vendita il biscotto Buongrano integrale. Si tratta del primo biscotto della linea Mulino Bianco in confezione gialla che non ha olio di palma.
COOP Firenze all’inizio di giugno 2016 ha ritirato dagli scaffali dei punti vendita i biscotti e i prodotti con olio di palma in attesa di sostituirli
La scelta più eclatante è stata però quella di COOP Italia, che da un giorno all’altro ha interrotto la produzione di 120 biscotti, merendine, snack salati e dolci che contenevano olio tropicale e ha richiesto ai fornitori di modificare immediatamente le ricette. Ci vorranno mesi per trovare sugli scaffali i nuovi biscotti, ma la decisione è stata presa. Anche Conad, che finora era rimasta a guardare, ha cominciato a valutare l’idea della riconversione. L’ultima notizia giunta in redazione in queste ore riguarda Plasmon che, dopo avere tolto il palma dai biscotti, ha deciso di sostituirlo in tutti i prodotti. Sarebbe lungo elencare le altre aziende e catene di supermercati che hanno deciso di avviare la sostituzione del grasso nei prodotti a marchio. L’unica cosa certa è che ormai difficilmente si tornerà indietro. In questa storia ci sono tanti aspetti critici: le aziende rappresentate da AIDEPI che hanno portato avanti una politica miope e senza sbocchi; i giornali e i produttori che hanno raccontato molte storielle sulla difficoltà di sostituire il palma e sulla facilità di irrancidimento dei prodotti preparati con altri oli; le aziende che hanno tessuto le lodi di un olio certificato che in realtà si è scoperto non rispettare l’ambiente, gli animali e le persone; i consumatori che sono stati bombardati di false notizie orientate da interessi economici strepitosi. Resta l’amaro in bocca per avere visto e ascoltato nutrizionisti, ricercatori, istituzioni ed esperti di alimentazione schierarsi senza il minimo senso critico a fianco delle imprese e poi dileguarsi quando è arrivato il momento di chiarire la situazione. Il risultato finale è positivo perché la scelta di milioni di italiani di non comprare prodotti con olio di palma è una certezza, e pochi marchi potranno sottrarsi al cambiamento delle ricette. Chissà se anche Ferrero ha in mente un piano per sostituire il grasso tropicale presente nei vasetti di Nutella?
Roberto La Pira
30 maggio 2016
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