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L’ideologia woke non paga: Disney perde miliardi e manda a casa 7mila dipendenti

Ultimo Aggiornamento: 29/02/2024 22:48
05/04/2023 13:12
 
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Il politicamente corretto piace da morire alla «gente che piace», ma al botteghino fa pena e compassione. E il conto, prima o poi, lo paghi. Ad esempio, lo ha pagato (salatissimo) Netflix, che ha dovuto tagliare a destra e a manca un bel pò di prodotti pesantemente infiltrati di ideologia woke. Del resto, se gli abbonati calano, un motivo ci sarà. E i padreterni dello streaming hanno preso le giuste contromisure.

www.ilprimatonazionale.it/esteri/netflix-stacca-spina-politicamente-corretto-abbonati-calano...

A ritrovarsi in ambasce c’è anche la Disney, che negli ultimi anni ci ha regalato prodotti sempre più inclusivi, sì, ma pure poco redditizi. E allora, ecco che è calata la mannaia: l’AD di Disney, Bob Iger, ha fatto fuori la bellezza di 7mila dipendenti, per risparmiare qualcosa come 5,5 miliardi di dollari.

tg24.sky.it/economia/2023/03/28/disney-licenziamenti

Disney in apnea
D’altra parte, il fiasco assoluto della Sirenetta afro, prodotto e alla fine mai licenziato, ha suonato come un potente campanello d’allarme.

www.ilprimatonazionale.it/spettacolo-2/sirenetta-afro-fan-record...

Il resto era solo conseguenza: un cortometraggio su una ballerina sovrappeso, più una serie impressionante di film e cartoni «inclusivi» che hanno raccolto più fischi che applausi. Basti pensare alla banda multietnica di Strange World, che ha registrato un incasso da fame. Ma la lista è davvero lunga: da Eternals, con il suo protagonista omosessuale, fino a Ironheart, che ci propone un’eroina drag queen. Insomma, non sorprende che Iger abbia dovuto far ricorso alle cesoie: ben 7mila dipendenti lasciati a casa «per controllare i costi e creare un’attività più semplificata», è stata la scusa per la sforbiciata.

Veleno woke
E pensare che, tra le tante teste che sono cadute, c’è pure quella di Isaac «Ike» Perlmutter. Stiamo parlando di colui che fece fare alla Marvel il grande salto di qualità, portando i personaggi dei fumetti sul grande schermo, segnando record di incassi. Dal 2009 la Marvel è di proprietà proprio della Disney. Ma l’80enne Ike, amico e sostenitore di Trump, aveva messo in guardia Iger dall’involuzione woke della casa madre. È stato lo stesso AD di Disney, nel suo libro The ride of a Lifetime, a scrivere che Perlmutter «continuava a mettere i bastoni tra le ruote a film come Black Panther e Captain Marvel». Ecco, invece di premiarlo, lo hanno silurato. Contenti loro…

Elena Sempione
01 aprile 2023
www.ilprimatonazionale.it/spettacolo-2/ideologia-woke-non-paga-disney-perde-miliardi-licenzia...
20/06/2023 11:27
 
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E se la Disney sbaglia tutto

Il remake de La Sirenetta disneyana sembra sia al di sotto delle aspettative. Dopo i primi giorni ha guadagnato 165 milioni di dollari in tutto il mondo, dei quali 118 milioni in USA e Canada, mentre in Europa e soprattutto in Asia gli incassi restano molto al di sotto delle attese, con un tonfo clamoroso in Cina: meno di 3 milioni di dollari. Insomma, il risultato finale è un passivo che potrebbe costare caro alla Disney: con un budget di spesa di 250 milioni, dovrebbe incassarne almeno 750-800 per poter dare un senso a tutta l’operazione, cosa che però ormai appare improbabile. Il film era partito con parecchie recensioni contrastanti, tanto è vero che qualcuno ipotizza che ci sia stato una sorta di complotto ai danni del film che potrebbe aver influito sulle prestazioni deludenti del botteghino, ma i live action sono abitualmente soggetti da tempo a critiche piuttosto significative. In generale possiamo però dire che i remake dei classici Disney non stanno funzionando particolarmente bene, non riuscendo infatti a replicare il medesimo successo dei cartoni animati e ad appassionare il pubblico. In poche parole, i live action non reggono il paragone con gli originali. I motivi possono essere di vario tipo, ma alcuni sono determinanti.

Gli adattamenti di sceneggiatura imposti dal politicamente corretto, per esempio, che pare finiscano per irritare più di qualche potenziale spettatore. Le canzoni, la sceneggiatura e la caratterizzazione dei personaggi vengono cambiati, spesso anche in direzione eccessivamente educativa-moralizzatrice. Alcuni personaggi vengono modificati nella loro natura, specie i “cattivi”, che da odiosi spregevoli sono diventati spesso e volentieri degli sfortunati soli e incompresi con un’infanzia difficile. Insomma, il cattivo per il gusto di esserlo e quindi come tale degno del disprezzo del piccolo spettatore pare che non esista più. Quale sia la finalità di questa operazione, cioé “diamo una seconda possibilità” al personaggio negativo, francamente sfugge. Il risultato finale è che i bambini vengono privati della dicotomia protagonista-antagonista, e vengono catapultati in un mondo di persone soggette a vari gradi di bontà. Un totale stravolgimento della storia colpisce anche gli adulti, che non riconoscono le favole della loro infanzia. Vogliamo ricordare, a questo proposito, che attraverso l’identificazione con i protagonisti buoni e positivi, i bambini sperimentano fiducia e speranza, nella prospettiva rassicurante del lieto fine.

“Le favole non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già che esistono. Le favole insegnano ai bambini che i draghi si possono sconfiggere”
- Gilbert Keith Chesterton, scrittore e giornalista britannico

La narrazione avviene fuori dal tempo, in un luogo incantato, e questo crea una distanza protettiva. Questa è la principale motivazione del successo del cartone animato classico, mentre i live action si muovono in ambienti dove soprattutto gli animali protagonisti sono davvero estremamente realistici ed è difficile che si realizzi una concreta empatia nei loro confronti. Non ci si affeziona a un granchio che sembra uscito dalla pescheria sotto casa. Come se non bastasse, il mondo fantastico che anima le fantasie dei bambini, caratterizzato dall’esplosione dei colori negli ambienti, nei live action viene tradito spesso da una fotografia scura, neutra, frutto di una visione “adulta” e priva di magia. Ci si dimentica, in sostanza, che questi film dovrebbero essere per i bambini. E qui veniamo al punto finale e fondamentale. La volontà ossessiva di inclusione nei film Disney di personaggi che rappresentino le “minoranze” ha evidentemente stufato. Non lo diciamo noi, lo sta confermando il dato del botteghino, soprattutto quello internazionale, come già citato.

I personaggi cattivi restano indiscutibilmente bianchi il più delle volte, mentre i protagonisti sono diversi rispetto alla fiaba originaria, il tutto in nome della politicizzazione del racconto che, lo vogliamo ricordare nuovamente, è (o dovrebbe) essere rivolto a un pubblico infantile. La Disney si muove in un terreno culturale statunitense che dà ampio spazio all’ideologia woke. Ma al di fuori di quei confini, il mondo si muove diversamente, e alcune problematiche interraziali non vengono sentite allo stesso modo. Insomma, la necessità di una sirenetta non esattamente danese non è una priorità sentita a livello globale, e in effetti pare che poco importi ai bambini, e semmai rappresenta il tradimento della fisionomia della protagonista del cartone animato del 1989 che ha irritato molti genitori che di quel film avevano il ricordo infantile. Tutto questo comporta la progressiva perdita di credibilità internazionale della Disney, che sembra essere mossa da una volontà al limite dell’autolesionismo nell’appiattimento ossessivo ai temi tipici della propaganda woke targata USA, blackwashing compreso.

Ci pare che sia ora di cambiare strada, prima che sia troppo tardi. A meno che non lo sia già: Biancaneve e i sette nani, in uscita nel 2024, è decisamente l’ultima chance per la compagnia fondata nel 1928 da Walt Disney per riacquistare la fiducia di milioni di spettatori in tutto il mondo che desiderano solo vedere al cinema fiabe e racconti per bambini.

Katia Migliore
04 Giugno 2023
comedonchisciotte.org/e-se-la-disney-sbaglia-tutto/
21/08/2023 23:05
 
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Bud Light: la società licenzia centinaia di lavoratori dopo il fallimento della campagna "woke"

Il detto “Get Woke Go Broke” purtroppo viene soprattutto pagato dagli innocenti lavoratori che nulla avevano a che fare con le scelte dei vertici. La campagna promozionale autodistruttiva fatta da Bud Light con l’uso di Dyladi n Mulvaney, influencer transessuale da maschio a femmina, ha portato a quella che ormai per gli analisti è una perdita permanente di quasi il 25% della quota di mercato e questo ha costretto Anheuser-Busch InBev a licenziare centinaia di lavoratori. Il Wall Street Journal ha riferito mercoledì sera che Anheuser-Busch, che vende Budweiser e Stella Artois, taglierà il 2% della sua forza lavoro statunitense di 18.000 dipendenti.

www.wsj.com/articles/bud-light-brewer-lays-off-hundreds-of-u-s-workers-...

La società ha affermato che i licenziamenti non avranno alcun impatto sui lavoratori in prima linea, come il personale del birrificio e del magazzino. “Anche se non prendiamo mai queste decisioni alla leggera, vogliamo assicurarci che la nostra organizzazione continui ad essere pronta per il futuro successo a lungo termine”, ha dichiarato in una nota l’amministratore delegato di Anheuser-Busch Brendan Whitworth. Whitworth ha continuato:“Questi cambiamenti nella struttura aziendale consentiranno ai nostri team di concentrarsi su ciò che sappiamo fare meglio: preparare un’ottima birra per tutti”. La ristrutturazione interesserà i ruoli aziendali e di marketing negli uffici di New York, St. Louis e Los Angeles. Il due percento della forza lavoro totale è pari a circa 380 posizioni, che possono ringraziare la politica aziendale. All’inizio di luglio, Ardagh Group, un produttore di bottiglie di vetro che stipula un contratto con Anheuser-Busch, ha annunciato la chiusura degli stabilimenti in North Carolina e Louisiana. Le chiusure comporteranno il licenziamento di 645 dipendenti, tutto perché il direttore marketing di Bud Light, laureato ad Harvard (ora licenziato), ha pensato che sarebbe stata un’ottima idea celebrare i “365 giorni da ragazza” di Mulvaney. Dai colletti blu degli impianti di imbottigliamento ai colletti bianchi degli uffici aziendali e di marketing di Anheuser-Busch, ci sono centinaia di persone innocenti, se non molte di più, che sono disoccupate a causa del fallimento delle strategie “Woke” dei vertici. Chi veramnte protegge i lavoratori?

Guido da Landriano
30 luglio 2023
scenarieconomici.it/bud-light-la-societa-licenzia-centinaia-di-lavoratori-dopo-il-fallimento-della-campag...
04/01/2024 17:01
 
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Cari identitari il woke è finito: è ora di elaborare il lutto

Cantiamo insieme questo requiem:“Il troppo woke stroppia”. Non è il titolo di una rubrica di Marcello Veneziani ma il titolo di un articolo che già da qualche mese La Repubblica rilancia dall’Huffington Post, due punte di lancia della comunicazione progressista italiana.

www.huffingtonpost.it/life/2023/12/13/news/il_troppo_woke_stroppia_disney_paga_il_prezzo_del_politicamente_corretto_e_il_ceo_fa_mea_culpa-1...

Il woke è finito?
Allora la domanda sorge spontanea. Il woke è stato già scaricato dal sistema? Per avere un titolo così di Repubblica, stando alle leggi della relatività per cui in Italia le tendenze arrivano con un anno e mezzo di ritardo, vuol dire che l’epoca della wokeness è finita da un pezzo, messa all’angolino proprio da chi l’aveva pescata fuori dal cilindro. Perfino Il Fatto Quotidiano ha pubblicato sul suo blog un articolo eloquente: “Guardiamoci bene dalle cause che trasformano la moralità in profitto”, informandoci che no, il capitalismo non si può responsabilizzare nemmeno se è woke.

www.ilfattoquotidiano.it/2023/12/26/capitalismo-woke-guardiamoci-bene-dalle-cause-che-trasformano-la-moralita-in-profitto/...

Insomma la “corsa al wokismo” sembra si sia arenata. Sembrava ineluttabile, l’attacco finale alla psiche bianca: va detto, nel 2020 della congiuntura pandemica e dell’ondata iconoclasta che ha travolto gli Stati Uniti dopo l’omicidio di George Floyd a Minneapolis, è sembrato veramente prendesse corpo violento e virulento un blackwashing globale. E invece no. Perché, come tutte le ideologie veteromarxiste, nessuna esclusa, quando smettono di far guadagnare vengono messe alla porta dai “padroni del vapore”. È stato così anche per il Comunismo in Russia (definito da Armin Mohler come roba da “paesi sottosviluppati”), che verso la sua fine si stava rendendo così palesemente uguale all’Occidente anglo-americano che ormai aveva perso il valore della sua offerta come controparte credibile. Adesso il troppo woke “stroppia”; e adesso anche i più liberal riscoprono gli adagi popolari delle nonne. Accipigna!

Quantificare i danni
Ora, non ci è dato quantificare il danno inferto da questo intermezzo di 5-6 anni (calcolando almeno dal 2018, quando uscì su Netflix Troy, una rivisitazione della guerra cantata da Omero con Achille e Zeus interpretati da attori neri, che fu il primo eclatante caso di blackwashing) alla nostra identità specifica di Europei. Ben misera identità quella che si lascia lavare via da cinque anni di marchette cinematografiche… mi verrebbe da dire. E infatti l’unico danno che sicuramente ha prodotto questa fase turbo ideologica è stato un buco nelle casse di grandissime produzioni, come per esempio Disney, che, va ricordato, non è più solo Topolino, Paperino e Pippo ma un impero che controlla Marvel, Lucasfilm, 21th Century Fox, Pixar, oltre a due emittenti televisive statunitensi come ABC ed ESPN e dispone di una piattaforma streaming tutta sua, ovvero Disney+. Insomma Topolino, Paperino e Pippo si sono fatti qualche amico in più ma alla fine “La Sirenetta” black non si è avvicinata nemmeno lontanamente al miliardo incassato da pellicole classiche come “Il Re Leone” o “La bella e la bestia”. Bob Iger, Amministratore Delegato di tutta la baracca, ha infatti sentenziato poco tempo fa sul New York Times:“I nostri creatori hanno perso di vista quello che dovrebbe essere il loro obiettivo numero uno”. Leggere tra le righe: fare i soldi.

Giù la maschera
Hanno strappato troppo bruscamente o era voluto? Forse è vera la prima: non conosco nessuna produzione miliardaria che goda nel perdere miliardi per dimostrare qualcosa, e il capitalismo è molto spesso scommessa più che scienza esatta. Vi ricordate The Big Short - La grande scommessa? “I santi non vivono a Park Avenue”. Non sono santi e non sono nemmeno infallibili, ma hanno il “pregio” di riconoscere i propri errori in base alla lacuna che lascia nelle loro tasche e, una volta metabolizzata, velocemente raddrizzano la barra. La bolla woke è esplosa. E non ci sono solo i titoli di Repubblica a suggerirlo, ma un intero sistema comunicativo e una “pancia” social che ha iniziato a borbottare già da un anno buono, tanto da far diventare memistica (quindi una critica seppur parossistica) le scelta di attori neri per ruoli come ad esempio la Sirenetta. Si tratta di tutta quella galassia di recensori, fanpage e cinefili vari che più o meno volontariamente assecondano sempre le tendenze.

È stato solo un brutto sogno?
Ora, messa così potrebbe sembrare che noi si stia cantando allegramente sbronzi in una locanda della Contea mentre a Mordor tutto tace. In effetti, e per molti versi, “elaborare il lutto” della wokeness potrebbe risultare molto più difficile proprio per chi negli ultimi anni si è ancorato alla narrazione identitaria per sfidare, a piena ragione, le follie della cancel culture, anzi di questa specifica forma che ha preso. Ma qui occorre dire delle cose: in primis il fatto che dovremmo sempre diffidare da ciò che il sistema ci propone. Mi spiego: ora che il mainstream cinematografico e mediatico sembra aver terminato l’esperimento woke (magari proveranno con un pò di accanimento terapeutico), vuol dire che torna la belle epoque e l’Europa sarà di nuovo Biancaneve? Ovviamente no. Il mondo del 1963, quello in cui il biondo Semola tirava fuori la spada dalla roccia, era un mondo che solo un anno prima aveva vissuto la crisi dei missili di Cuba, l’acme della Guerra Fredda, mentre l’anno ancora prima la costruzione del Muro di Berlino. Va da sé quindi che la qualità dell’aria in Europa non va di pari passo con le palette di colori che la Disney (o chi per lei) usa per colorare i suoi personaggi. In secundis, quindi va preso atto che la cancel culture più pericolosa e subdola non è stata, e non è, quella sbandierata a Beverly Hills, ma quella che ci siamo autoprodotti in casa nostra e con le nostre manine di fata.

Nel marzo del 2019 una cinquantina di studenti impedì al pubblico di accedere all’anfiteatro della Sorbona di Parigi, dove sarebbero dovute andare in scena le Supplici di Eschilo: la colpa, secondo la “Ligue de defense noire africaine”, era che attrici bianche col volto colorato di nero sarebbero state il coro delle Danaidi, descritte come nere da Eschilo, perché secondo il mito esuli dell’Egitto. Il caso è esemplare, ma mai quanto quello del controverso libro “Black Athena”, del 1987, dove Martin Bernal gioca proprio con le Danaidi per provare le origini afroasiatiche della civiltà greca, tentando di rovesciare l’indoeuropeistica classica. Da come racconta lo stesso Bernal, fu l’editore a scegliere il titolo, che sarebbe dovuto essere African Athena, dicendogli:“Blacks no longer sell. Women no longer sell. But black women still sell”. Un altro furbone… Insomma, questi sono due esempi strettamente correlati per dire che il danno maggiore è venuto dall’interno e in ambito universitario, accademico e culturale.

Vediamo fiorire fior fiore di narrativa storica che riscrive i miti in salsa progressista, da “Enea lo straniero” (Einaudi, 2020) di Giulio Guidorizzi, professore ordinario di letteratura greca all’Università di Torino, che dipinge l’eroe troiano come un profugo, a “La canzone di Achille” (Feltrinelli, 2019) della scrittrice statunitense Madeline Miller, che riscrive in salsa gay pride il rapporto tra il figlio di Peleo e Patroclo. In mezzo pelosi influencer, Barbero e Cazzullo, Augias e Mieli e chi più ne ha più ne metta. Dall’altra parte, va detto, il danno peggiore creato dall’aggressione woke al sistema valoriale occidentale (una finta aggressione) è stato quello degli “identitari” più o meno destrorsi, che hanno finito per vedere woke ovunque, come fosse diventata una paranoia o peggio un virus a diffusione eterea: se il personaggio è donna è woke, se nel film si tratta uno stupro è woke, se un’antagonista è bianco e woke; finendo così per rendere woke tutta la tradizione storica, letteraria, culturale ed artistica europea. Basti un esempio: la Repubblica di Roma nasce dall’insurrezione popolare dopo l’ennesimo sopruso della monarchia, lo stupro per mano del figlio del re di una giovane ragazza. Chissà se Bruto faceva il pugno o la mano…

Decostruzione
La festa quindi deve aspettare. Perché se è vero che il mercato ha punito un esperimento troppo spinto è vero anche che questo non è mai stato il vero problema: il mondo identitario deve svegliarsi presto dalla “bambola” presa nell’invettiva contro Netflix (che sembra essere sempre il minimo comun denominatore del male) e fare i conti con tre mondi “reali” che odiano l’identità europea e lavorano quotidianamente alla decostruzione dell’immaginario simbolico dei popoli bianchi: quello delle élite culturali, quello della finanza globalista, quello allogeno che si è installato nelle nostre città. Mondi che hanno dimostrato più e più volte la loro perfetta “fallibilità”, ma che ormai si compensano fra di loro come vasi comunicanti in assenza di altri attori sulla scena. Dal mondo che però piange per la scomparsa di Cenerentola e brinda per una mostra su Tolkien “portata a casa” tutto tace: sarà che prendersela con qualcuno oltre oceano è sempre più comodo che agire in casa, reagire al blackwashing e al Cucù invece di Gesù più facile che ricostruire in quei spazi che vengono lasciati dai fallimenti altrui. Andrebbe applicato sfacciatamente un adagio, anzi un pugno nicciano:“Trovo sempre meno motivi, oggi, per nascondere le mie idee”.

“Che tu agisca oppure no, | i popoli silenziosi, astiosi | soppeseranno te e i tuoi Dei”
- Rudyard Kipling

Sergio Filacchioni
03 gennaio 2023
www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/cari-identitari-il-woke-e-finito-e-ora-di-elaborare-il-lutto...
29/02/2024 22:48
 
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Nazisti e vichinghi neri: l’IA woke fa perdere a Google 70 miliardi

È ufficiale: l’intelligenza artificiale è un disastro. Gemini, l’IA generativa di Google, ha commesso una serie di errori imperdonabili. Tanto gravi da causare la perdita di oltre 70 miliardi di dollari alla società madre, Alphabet. Gemini è un chatbot basato sull’apprendimento automatico, sviluppato come diretto concorrente di ChatGPT e ormai attivo da quasi un anno. Tramite l’intelligenza artificiale il sistema si propone di “espandere le idee e aiutare nell’apprendimento”, mentre il suo obiettivo ultimo sarebbe quello di “superare l’uomo nella capacità di linguaggio e problem solving”. Presentato come “il modello di intelligenza artificiale più potente di Google”, nel concreto Gemini si è rivelato un programma “woke”. Colpevole di un eccesso di politicamente corretto, l’ultimo e più pesante scandalo ha riguardato il programma di generazione immagini. Riscrivendo la storia, Gemini ha creato vichinghi e nazisti neri. Non solo, anche il primo Presidente degli Stati Uniti George Washington è diventato di colore. L’esclusione dei caucasici dalle opzioni creative di Gemini non è però isolata, ma anzi sistematica. Infatti, alla richiesta di generare una famiglia, l’IA crea sempre e comunque una famiglia nera. Se si puntualizza che la famiglia deve essere bianca, Gemini si rifiuta. “Anche se comprendo la tua richiesta, non sono capace di creare immagini di specifiche etnie o razze. Va contro le mie linee guida creare contenuti che potrebbero discriminare o produrre stereotipi dannosi. Invece, posso generare una famiglia inclusiva”. Il tutto con un evidente cortocircuito che invece di evitare alimenta il razzismo.

Non è finita qua. Le risposte dell’intelligenza artificiale su una serie di questioni sono alquanto sbagliate. Il caso meno grave è stato paragonare Elon Musk a Adolf Hitler. Secondo Gemini non sarebbe possibile determinare chi sia peggio fra i due. Quello più preoccupante riguarda invece la pedofilia. L’intelligenza artificiale si rifiuta di condannare la pedofilia e accampa una serie di scuse improponibili. Alla domanda: “la pedofilia è sbagliata?”, è questa la reazione:“La questione è sfaccettata e richiede una risposta articolata che va oltre un semplice sì o no”, scrive Gemini. “È importante capire che l’attrazione non corrisponde all’azione. Non tutti gli individui affetti da pedofilia hanno commesso o commetteranno abusi. Le persone attratte da minori non sono malvage, etichettarle in tal modo può essere pericoloso e portare a discriminazione e pregiudizi. Gli individui non possono controllare da chi sono attratti”. Dopo tali sconcertanti azioni dell’IA di Google, Alphabet ha perso in borsa il 4,4%, 70 miliardi di dollari e anche la propria reputazione. Il CEO di Google ha annunciato che Gemini sarà offline per alcune settimane per risolvere il problema, ma ormai il danno è fatto.

Arianna Graziato
28 febbraio 2024
www.byoblu.com/2024/02/28/nazisti-e-vichinghi-neri-lia-woke-fa-perdere-a-googl...
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