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libertà

Ultimo Aggiornamento: 29/03/2023 08:26
05/03/2007 18:27
 
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Raziocinio aut/alias limite
È una subordinazione e sarebbe sufficiente sbloccare le aperture che conducono o condurrebbero alla visione di spazi illimitati.
Ad un ragionamento sovrumano è utile la sospensione di ogni attività materialistica o comunque tendente ad essa (alla ripetitività uniforme), senza confondere queste attività con azioni basilari invece favorevoli, per lo più dimenticate e non praticate oggi, accompagnata da una disposizione all’accoglienza di fattori comportamentali umani, che, nella semplicità dei risultati procurati con un esame realizzato in tal maniera, forniscono quella possibilità allo sblocco.
Potremmo soffermarci con un primo esempio, come per fare un resoconto, e considerare numericamente la quantità di persone che oggidì ha sicuramente assunto un gran volume di lettura.
Applicando una formula matematica, cioè usando il metodo più in voga tra l’uomo succube del binario, si potrebbe affermare serenamente, oltre che “scientificamente”, come sapienza e saggezza siano oggi sfavorevolmente sproporzionate considerando numericamente le persone che nelle epoche trascorse hanno avuto possibilità tangibili o facoltà attitudinali ad assumere lettura.
Potremmo portare un secondo esempio in questi termini: esiste un’infinità di ricette culinarie. Ci son libri, scuole, programmi televisivi, documentari e tutto un mondo che gira intorno a tal settore. Secondo quanto prefisso all’inizio, non giungeremo ad uno studio approfondito del tema, ci limiteremo anche qui ad analizzare, con formula concettualmente matematica, come i frutti che scuaturiscono dall’umano, benché sottoposto a medesime regolamentazioni, non restituiscano mai risultati inopinabili.
Dunque consideriamo che in una ricetta si hanno ben definiti ingredienti e dosaggi, quindi tempi di cottura e così via nei minimi particolari. È scontato che il risultato della stessa varierebbe infinitamente se fosse eseguita da una massaia esperta in cucina, da un cuoco tecnicamente preparato o da una persona completamente estranea ai fornelli.
In realtà le differenze di un dato piatto varieranno, anche se impercettibilmente, sempre, per quanto ci sforzassimo in una ricerca meticolosa di chef ed esperti da sottoporre all’esame.
Terzo ed ultimo esempio è il viaggiare.
Rilevando immediatamente la ricchezza che deriva dal viaggiare, qui si intende avanzare riserve da opporre, come per il caso della lettura o dello svolgimento di una ricetta, alla concezione di raggiungere risultati non calcolabili mediante una sommatoria di fattori non calcolabili.
Nel contemporaneo, le distanze spaziali si son ridotte grazie alla efficienza ed alla varietà dei mezzi di trasporto ed inoltre, grazie alle telecomunicazioni, esse si son ridotte anche ad un livello virtuale, ciò che è accresciuta però è la repulsione, il rigetto e la ripugnanza a ciò che il viaggio donava e per cui arricchiva: l’esplorazione (non solo su un piano puramente geografico) .
Oggi, di fatto, è aumentata la quantità di persone che può annoverare al suo attivo un gran numero di viaggi rispetto alla stessa quantità che si poteva contare nelle suddette epoche, in cui quelle possibilità materiali o le facoltà attitudinali, filtravano in maniera evidente e consistente la quantità. Di fatto è così ma l’agenzia di viaggio, l’all inclusive, il villaggio appartato, l’aereo etc... hanno assunto una importanza tanto eccessiva da esser gli strumenti preservativi all’esplorazione.
Tre esempi che dovrebbero esser in grado di liberare il campo verso visioni di spazi utili, verso l’acquisizione di verità essenziali. In grado di offrire possibilità immense per il superamento della materialità, intesa come limitazione.
Essi costituiscono tre casi di comportamenti correntemente diffusi nel mondo dei valori umanitari, della glorificazione della democrazia e della esaltazione dei diritti di voto, di pensiero, di stampa etc… nonché della rimozione dell’incalcolabile e dell’indefinibile dell’esistenza.
Riproponendo i tre casi in termini matematici di vero/falso, si potrebbe dire che stando alla qualità delle “produzioni”(ovvero stando ai risultati) nella vita non è sufficiente immagazzinare maggior numero di titoli o maggior volume di qualifiche o ancora possedere il più lungo elenco di istruzioni all’uso, al fine di realizzare e colmare l’essere.
In conclusione, domande che possiamo liberamente porci vengono via via rimosse per via di esigenze pratiche, causando quel blocco alle vie conduttrici a conoscenze sperimentali ed innalzanti.
Fondando, viceversa, la concezione ingannevole di una vita calcolabile e controllabile.

Stef – gennaio 2007 – relpubblic@yahoo.it
“Il modello” fa di ognuno il tiranno di se stesso...
20/03/2007 06:50
 
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trucchi_riflex
È un trucco, non può esser reputata una cosa normale o sensata.
Ad un certo punto è normale chiedersi come può accadere che esattamente sul mezzo di formazione più usato dal sistema, vi siano i più disparati programmi (dedicati ai vari target) che denunciano apertamente, sfacciatamente ed arrogantemente lo sfascio della stessa società in una grande parte dei settori di cui è composta (per non dire totale).
La televisione, mezzo d’informazione, è ora impiegata come potente mezzo formativo ed è difficile non osservare come siano inversamente proporzionali il perbenismo trasmesso da quei programmi ed il crescente squasso di tutte le entità formative tradizionali (famiglia, scuola, religione, quartieri abitativi…). In poche parole, se si individua nella televisione il mezzo che il sistema usa per educare, si assiste alla denuncia del sistema da parte del sistema… (!)
Spiegandomi meglio, direi che deve pur giungere un momento in cui uno si chieda il perché di tanta ripetitività, camuffata in diverse forme, di tanta insistenza rabbiosa nel volere assediare ed incastrare le potenzialità psichiche delle masse.
Ed è proprio considerando tali denuncie come assedi che si giunge ad intravedere il trucco.
Infatti per poter reputare la televisione un potente mezzo che fa formazione non è sufficiente scegliere tra una infinità di campi in cui essa condiziona palesemente il comportamento umano, per esempio con esplicite pubblicità o con manifesti inviti a compiere o comprare cose, è indispensabile decifrare dove agisce, quando nelle distinzioni che contraddistinguono politicamente i canali, quando nelle distinzioni che esistono nell’immaginario collettivo tra personalità popolari, quando nelle distinzioni tra cosiddetti movimenti ed organizzazioni, detta formazione porta univocamente ed uniformemente all’establishment più potente (e “volendo” evidente), tra quelli fin’ora esistiti, tra l’umano essere.
Establishment che trova presupposto in un assedio portato tra le genti, quindi, in maniera che in esse si instauri un sistema inquisitorio ed ostile, tanto da agire come un programma di controllo reciproco.
Un programma ben progettato, (auto running) che deve la sua funzionalità propriamente all’auto – denigrazione, nel senso che, se si guarda senza riserve al quadro della attuale situazione sociale risalta la semplicità con cui il sistema irretisce, sputtanando malfunzionamenti, inefficienze, immoralità, sprechi, corruzione, ingiustizie, soprusi etc…, i suoi stessi interpreti, che in questo modo subiscono man mano una specie di anestesia totale, costringendoli in gran parte ad una sudditanza tale che i loro comportamenti siano in verità estremamente meccanici.
Da questa grande parte che marcia in massa, si distaccano per propria ferma volontà o per incontrollate nevrosi, in maniera episodica, sporadica e soprattutto disordinata, un gran numero di singoli elementi che non suscitano un mutamento significativo nella marcia del sistema. (o a volte si e così si fanno i personaggi).
Al contrario, nella gran parte che si diceva, quei comportamenti meccanici provocati appunto dalla mediatica educazione all’odio, conducono le maggioranze ad impersonare incoscientemente gli emblemi di quegli esseri che essi stessi additano.
Le conducono a trasformarsi nei programmi e nei giocatori che attuano costantemente immoralità e che bizzarramente intendono perseguire la moralità in un assetto il quale, fisiologicamente, non è in grado di concepirla.
Un assetto che è stato edificato con il precipuo compito di sconfessare la morale, di dichiararla inadeguata al progresso ed appartenente a condizioni conservatrici e tradizionaliste e dunque per distruggerla.


Stef – 14/02/2007 – relpubblic@yahoo.it
“Il modello” fa di ognuno il tiranno di se stesso...
17/04/2007 21:21
 
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Alterazioni 5 (Confusioni)
Così, guardando quel costume di vita, mi si schiariva come qualcuno, che aveva inneggiato ad una idea di tolleranza, avrebbe potuto cambiare idea.
L’avrebbe potuta cambiare semplicemente perché aveva distorto il significato originario della parola.
In pratica non cambiava un bel niente, o meglio, l’eventuale cambiamento sarebbe stato una rivisitazione di un precedente cambio delle cose e quindi una opportuna inversione di marcia verso ciò che erano le fondamenta.
Se non altro, si sarebbero riottenute le posizioni dalle quali ritentare delle scelte di evoluzione e di sviluppo.
Quindi, quel qualcuno, sarebbe cambiato nel suo modo di pensare, sol perché, non appena avesse tentato di far notare come apparisse almeno inadeguato ad una misura minima di decenza, applicabile ad un essere che si voglia definire umano, ogni ordine “modernizzato” gli si sarebbe rivoltato contro definendolo fascista, retrogrado e reazionario, prepotente ed arrogante…. Intollerante.
Dunque poteva cambiare idea ma non avrebbe avuto alcuna possibilità di esprimerla e, figuriamoci, di dimostrare le sue ragioni.
Così, guardando quel costume di vita, mi si schiariva come sempre qualcuno in più, inneggiasse ad una tolleranza che, a causa di una resa ad impossibili giustificazioni, via via si confondeva con la sopportazione.
L’alterazione, alla maniera di guardare le cose nei fatti, privava l’uomo del coraggio di definirle per ciò che erano.
Ecco come si sterilizzavano pian pianino le carni dallo spirito.
Ecco come la fonte di infinita emancipazione dall’insulso spirito, nei fatti, estirpava ciò che aveva prodotto la pluralità delle culture: lo stesso spirito nelle sue più disparate espressioni.
Ecco come si nascondeva la bruttura della monocultura crescente dietro il fascino di una moribonda multietnia.
Ecco come si trascurava l’eccezionale paradosso dell’amore per il villaggio globale e l’odio per il villaggio globalizzato.
Ecco come si ammutoliva automaticamente la rivendicazione.
Ecco come far dire ad ogni elemento del grande popolo solo concetti sdoganati.
Ecco come elargire libertà di protesta senza pericolo di destabilizzazione alcuno.
Ecco come ingannare le masse mediante la concessione di proteste preconfezionate, figlie di una libertà di pensiero manipolata.
Ogni ragione ed ogni rivendicazione perdevano definitivamente ogni carattere di genuinità, esse venivano inserite ed aggiornate costantemente in elenchi che avrebbero contenuto esclusivamente quelle autorizzate… quelle preconfezionate.
Tutte le omissioni non erano dimenticanze, erano le preclusioni.

La strada alla dimostrazione di una ragione si faceva sempre più sconnessa e difficile…

Tutto ciò lo constatavo ogni giorno ma stamani lo avevo notato in maniera evidente, perché, proprio in una terra e tra un popolo proverbialmente sensibile all’idea che un tal principio, la tolleranza, fosse sufficiente al funzionamento di un sistema democratico, si distinguevano molte alterazioni significative.

Stef 09 apr –2007– relpubblic@yahoo.it
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09/05/2007 22:26
 
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memoria
seguito memoria in : freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=24938&idd=2384

Insistendo sull’argomento “equilibrio”, del quale ultimamente si ribadiva la sua importanza, in considerazione del fatto che senza di esso può diventare improduttivo o deleterio anche un principio positivo, desidero porre qui all’attenzione due termini di uso moderno, che calzano direi perfettamente come metro di verifica circa l’assuefazione, con la conseguenza all’abitudine ed alla livellazione, alla massima per la quale sarebbe fondamentale la prova dell’esperienza e del tutto superfluo l’insegnamento.
I termini sono: reset o restart.
Dunque: questa maniera di pensare e di comportarsi secondo la estremizzazione della prova e della cancellazione del racconto, ha soppiantato quella tradizionalista, anch’essa estremizzata, che pretendeva di escludere esperienze in base a prove già effettuate e proponeva, o imponeva, per questo, condotte prestabilite.
Quindi nel progressismo si è raggiunta prima l’inclinazione e poi la regola per la quale il giovane ha via via preteso ed ottenuto di non tener conto dell’anziano.
Di conseguenza, il giovane ultimo ha dell’anziano una figura distaccata ed indipendente dall’umano, quasi che esso non sia una parte del percorso di ogni uomo. Quasi che ci si sia persuasi del cambiamento di cose sulle quali l’uomo non può, ma soprattutto non deve, nulla.
Terminava così l’insegnamento dell’umano che tramandava ad ogni umano.
Cosa che si considera terminata per la sua mancanza nella civiltà che stiamo discutendo (la quale conta per la sua influenza in termini di dimensioni) ma che continua ad esistere in angoli reconditi di civiltà ormai distrutte, le quali, al contrario, fecero di tale insegnamento il loro compito. Fecero del tramandare il loro scopo tanto che giunse a costituirne l’essenza stessa.
Il tramandare, che era inteso come ciò che resta e si implementa nello scorrere delle vite, quindi usato come una sicura passerella dalla quale proiettarsi in ulteriori scandagli, veniva così travisato e combattuto per giungere infine al suo annullamento.
In ogni caso, tale radicalismo andava a privare di saldi moli, andava a demolire trampolini verificati… insieme ad ogni struttura malandata che incontrava.
Bene. Senza dilungarmi troppo in una premessa che mi sembra già abbastanza chiara per chi voglia intendere (e non dico condividere), passo direttamente alla presentazione dell’immaginazione che mi ha condotto alla presente riflessione.
D’un tratto mi son ricordato quando in gioventù, smanettando sui giochi elettronici da bar, ci si prendeva cura delle “vite” che si avevano a disposizione per giocare una partita.
Ogni volta che la macchina sopraffaceva una “vita”, si reiniziava daccapo e perciò si doveva far tesoro e si cercava di sfruttare nella prossima “vita”, ciò che si era sperimentato nella “vita” precedente.
Così facendo, si ottenevano sempre più lunghi percorsi, si raggiungevano nuovi traguardi dai quali ripartire con la prossima “vita”.
Ogni “vita” diveniva utile per spingersi più profondamente, con la prossima, nella conoscenza di quel determinato gioco.
Nondimeno tutto questo, che era valido nella stessa partita tra le diverse “vite”, valeva naturalmente come conoscenza proficua ed opportuna per governare e manovrare al meglio la navigazione nelle prossime partite.
In pratica, quell’immaginazione proponeva il moderno giocatore elettronico come il vecchio burattinaio, cioè come quel qualcosa di superiore alla meccanicità del gioco. Egli era ed è lo spirito di intenti che muove i corpi agli obbiettivi.
Una allegoria che sembrava materializzare la visione della ineluttabilità dello spirito e della conoscenza nella vita fisica.
Forse può apparire folle paragonare le“vite” delle partite elettroniche con le vite reali, ma questo accostamento mi portava ad accettare un ragionamento scaturito da una fantasia, come una assennata possibilità, mi induceva a prendere seriamente in considerazione delle irrazionalità, mi trascinava a ponderar su verosimiglianze prodotte da un insano modo di riflettere.
In poche parole mi appariva sciocco estremizzare il rifiuto netto e totale della tradizione, in base a situazioni che possono esser state negative, perché nella pratica questo esclude in maniera definitiva ogni esperienza ottenuta da una civiltà e conduce ogni generazione, o ancor peggio ogni singola vita, al reset o restart incosciente, causando così ogni volta un automatico arresto dell’esplorazione.
(che l’arresto e la ripartenza dell’esplorazione avvenisse come un ottuso rewind e che essa fosse stata sostituita da paliativi e surrogati, in considerazione del fatto che è un bisogno effettivo del vero essere umano, è discorso di cui potremmo occuparci in una riflessione dedicata).
In questo continuo reinizio, dunque, l’umano viene trattenuto in superficie dalle conquiste esteriori e costretto a mancare sempre più di conquiste interiori, ossia tale giuoco consegue che egli perda sempre più i caratteri umani e diversificatori nel regno di cui fa parte.
Semplificando, con riguardo alla civiltà occidentale ultima, si può tristemente osservare come l’uomo più moderno consideri virtù lasciare inesplorati, e quindi trascurarne le conquiste, ambiti e sfere che di questo gioco fanno parte.

p.s. l’edificazione di qualcosa di super umano, il quale non è possibile vedere o toccare, fu lo scopo di diverse grandi civiltà, che mediante una saggezza, frutto di pensiero, meditazione, contemplazione e sconosciuta allo zelo, poteva infine accettare e toccare i suoi frutti fino a rendere credibile la sua realtà per quanto produceva di duraturo.
Si prefiggevano una sopravvivenza metafisica, una sopravvivenza al tempo, una forma, l’unica di infinito, per l’umano essere.

Stef 16 mar 2007– relpubblic@yahoo.it
“Il modello” fa di ognuno il tiranno di se stesso...
13/05/2007 22:28
 
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Condivido pienamente cio che scrivi...non si potrebbe "descrivere" meglio. [SM=g27823]

Gli anziani....io ho sempre avuto un profondo rispetto per gli anziani...un sentimento innato..ed allora non ne comprendevo il perché,oggi,forse,so di piu il perché di cio.

Tempo fá,quando potevo,mi fermavo a parlare con loro...e loro hanno un qualcosa...chiamala saggezza,chiamala "la vita vissuta" veramente.
26/08/2007 22:12
 
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Prima o poi bisogna arrivare a convogliare lo sparpagliamento interiore in canali ben definiti…
mia assoluta convinzione è diventata quella di rendere valido l’impegno di lavorare mentalmente ogni giorno su indizi o segnali che dietro la loro semplicità o innocuità interessano invece profondamente l’evoluzione dell’essere umano.
Render valido tale impegno, significa trasformare quei momenti sporadici, in cui si può notare questo o quel comportamento in altri o in noi stessi, oppure l’interessamento occasionale di maniere e costumi di vita quando persone ci interessano particolarmente, in una analisi continua. In compito di vita.

Ricordando ancora una volta “l’equilibrio” voglio indicare aspetti sfavorevoli causati dall’esasperazione di comportamenti normalmente considerati perbene.
Niente di iperbolico, niente di eccessivo, bisogna restare nella semplicità. Di qui bisogna far attenzione però a non degradare questa a qualcosa di indecoroso o di triviale.
Nella semplicità può muoversi bene l’essere che ha maturato i frutti necessari per riuscire naturalmente a non ricorrere a codici e ad imposizioni esterne, fino a discernervi numerose falsità.

Bene, volevo indicare quindi che esasperando nella loro mole e nel loro numero tutti quegli orpelli che contornando, anche e soprattutto, le azioni più banali ed inutili di cui sono piene le nostre vite moderne, creano intorno a noi gabbie in grado di limitarci e rovinarci.
A causa di queste tessiture sempre più fitte, si celano i momenti che la vita mette a nostra disposizione per godere.
Momenti uguali a nettare dolcissimo eppure difficili da identificare. La miriade di orpelli giusti e senza i quali non possiamo fare a meno per le nostre abitudini, è esattamente la gabbia inespugnabile che ordiamo intorno a noi stessi.
L’evasione può invece far assaporare la bellezza del viaggio.

Vi è una certezza nella vita che non ha possibilità di scelta, vivere momenti tristi non è possibile evitarlo.
Quando quei momenti giungono presso di noi, nella misura in cui ci toccano, travolgono qualsiasi orpello e qualsiasi artificio, fino a lasciarci privi di sensi ma non svenuti.
Tutte le imposizioni, anche le più corrette divengono senza senso.
Sono i momenti lieti che invece ci lasciano liberi di accettarli o meno; riconoscerli dipende dalle nostre capacità di liberarci.
Queste capacità costituiscono in ognuno un grado diverso di felicità e di saggezza mentre, come dicevo qualche tempo fa, il modello fa di ognuno il tiranno di se stesso.


Stef 24/08/2007 – relpubblic@yahoo.it
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09/09/2007 10:43
 
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integraz.
scelta

"...numerose falsità".

è molto probabile invece che l’essere che non ha maturato tali frutti, non solo nutre un semplice attaccamento ai codici ma è morboso nel cercarli.
Questo avviene proprio perché non può orizzontarsi autonomamente e finisce per abbisognare di manuali senza processarli più.
Se ci si fermasse un momento a pensare a quanto ora detto, dovrebbe essere anche ovvio quanto la conseguenza si crei naturalmente.
In poche parole a causa di affidarsi sempre più a codici, proporzionalmente si diminuisce le proprie potenzialità ad una indipendenza.
Nei due casi, quello del tipo maturo e quello del tipo immaturo, nelle diverse varietà in cui essi stessi possono presentarsi, cercando in ogni maniera di non condizionare noi stessi con ogni idea personale sulla libertà, possiamo scorgere il fatto che il tipo cosciente ed il tipo incosciente non sono convenzionalmente rapportati come si dovrebbe.
Nelle normalità delle vicende quotidiane, quando si è dinanzi ad episodi che richiedono la valutazione del comportamento di individui rispettosi tout court delle codificazioni, si è impossibilitati a definirli incoscienti anche nel momento in cui essi le applicano in situazioni completamente senza senso ed irreali.
Mentre è frequente trovarsi difronte l’esatto opposto in cui per la impossibile applicazione nella realtà di codici e manuali, casi di buon senso non possono essere definiti coscienti.

Stef 26/08/2007 – relpubblic@yahoo.it
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20/09/2007 20:46
 
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[C]Il passato fu futuro

Asciugando i suoi giovani capelli, la vidi volare senza di me
e vidi il volo delle sue discendenze, senza di lei.

Così vidi tutti quanti volarono nelle cose piccole
e tutti quanti non videro le piccole cose di chi li precedette.

Vidi quanti si persero nei loro futuri,
ignorando il futuro che li avrebbe guardati come passato.

Ignari dei volti delle emancipazioni future,
osservai gli altri volare ed ignorare emancipazioni sorpassate.

Volai contro me stesso, guardando risultanti
del tutto autonome e sorprendenti.

Voli e voli s’intrecciarono,
semplici e complessi s’intrecceranno ancora.
Quanto ancora? Fin dove?

… e tu, ogni volta, ultimo e grande eppur primordiale e piccolo… chi sei?

Stef – 20/08/2007 – relpubblic@yahoo.it
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27/09/2007 20:54
 
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assenza_presenza_riflex
Non è una critica negativa e comunque non dovrebbe suscitare nessuna forma d’intolleranza lo scritto che segue.
Provare impulso al rifiuto o qualche moto di disagio, credo che rappresenti un attaccamento sproporzionato e non un più un adeguamento consapevole alla pressione inesorabile della realtà edificata.
Quella forza risultante dalle infinite forze che il cosmo produce in continuazione ma che potrebbe non calzare neanche ad uno solo di quegli esseri umani che la vivono e, per la loro parte, ne sono forze contributrici.

A volte mi vedo una persona comune di vent’anni fa. Un adulto preso dalle cose della vita. Considero la normalità di uscire di casa per recarsi al lavoro. Considero la normalità di dover uscire improvvisamente. Considero la normalità di partire per un viaggio e così via per tutte le altre possibili normalità che riguardano il lasciare un luogo per raggiungerne un altro.
L’evenienza dell’assenza.
È necessario attenersi all’era della telecomunicazione per trovare un senso a quanto dirò perché non consiste nello scorgere il famoso cambiamento epocale conseguente all’invenzione di qualcosa. Quel che invece vorrebbe indicare è un cambiamento importante ma che consegue ad una evoluzione significativa di qualcosa che già fu escogitato.
Un cambiamento epocale nel contesto di una stessa epoca di cui precisamente non si ha idea del destino a cui condurrà.
Infatti, tale cambiamento sta avvenendo nelle coscienze più profonde delle persone, senza la scoperta di qualcosa di tangibilmente nuovo ma grazie ad una fondamentale evoluzione della telecomunicazione, la quale già visse la celebrazione dell’invenzione e tuttavia determinando novità radicali nell’essere umano.
Creando così prototipi del tutto nuovi e incoscienti di una loro ulteriore sofisticazione. Immemori. Il cambiamento nasce quindi all’interno di questa invenzione ma assume una rilevanza pari a quella che ha rappresentato ogni nuova scoperta nella storia.

Vent’anni fa avrei potuto uscire improvvisamente di casa per il bisogno di una passeggiata e valutare l’opportunità di lasciare un biglietto che avvertisse del motivo della mia assenza.
Avrei potuto esser raggiunto al lavoro per telefono, secondo una serie di priorità che permettessero la chiamata ed avrei chiamato o meno, dopo o durante un viaggio, solo quando la situazione me lo avrebbe permesso.
Nessuno però, avrebbe potuto in alcun modo raggiungermi direttamente durante la passeggiata, sull’autobus o in auto, nel tragitto verso il lavoro, o sul treno ed in aereo mentre viaggiavo.
Quanto appena detto non è poco, pur tuttavia, le nuove condizionanti sono talmente dentro le nostre menti che l’impressione che ne deriva sia di totale normalità ed in ogni caso rivestano prevalentemente positività.
Infatti, dal momento che la telecomunicazione a livello capillare, nella popolazione, ha risolto effettivamente tanti casi di diverse difficoltà, essa è praticamente inattaccabile e mediante questo fortissimo alibi ha invaso la vita delle genti procurandosi effettivamente il possesso di intimità individuali.
È chiaro che questa potenzialità è oltretutto stata sfruttata dai mercanti ma non è utile qui sconfinare verso questo tema.
Quindi, quel che inizialmente era influenza da parte di tali mezzi tecnologici, si è trasformata in vincolo e questo è vero malgrado quasi ognuno si ribelli o cerchi di giustificare questo moderno costume umano.
Frequentemente, anzi, ordinariamente, accorgendosi di aver dimenticato il cellulare, si prova un fastidio, una seccatura però è difficile identificare in questa sensazione, una particolare ansia.
Quella di una nostra improvvisa “assenza”.

Gradualmente, la allettante possibilità di una costante e comoda presenza virtuale, come di una assenza virtuale, genera la difficoltà ad un’assenza reale.
Così, verosimilmente invece, la presenza reale, quella fisica, a cui non si può fuggire, si arrende ormai senza condizioni a questa novità.
Queste protesi tecnologiche, pertanto, vanno a stravolgere il significato dell’assenza e della presenza.

Chi può negare, senza dubbi, l’assenza di quegli interlocutori nel momento in cui lo squillo del telefono cellulare invade e tronca una discussione?
Non è forse comune trovarsi dinanzi a più persone le quali, pur fisicamente presenti, sono simultaneamente prese ognuna dal suo display ed assorte in raffiche di digitazioni?
Si può forse negare facilmente l’osservazione abituale di persone che ingannano la loro obbligata presenza fisica su autovetture o motoveicoli, presenziando altrove mediante il loro ordigno telecomunicante?
Persone che disertano il luogo fisico in cui si trovano, per presenziare luoghi in cui non dimorano.

E nel caso si possa condividere la tale stato effettivo delle cose, chi può decisamente negare che questo moderno mezzo sia l’ultimo poderoso ritrovato, utile ad appagare il bisogno della mente di essere impegnata?

Stef 25 settembre 2007 – relpubblic@yahoo.it
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28/09/2007 00:08
 
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Re: assenza_presenza_riflex
è una bella analisi psicologica e anche sociologica, comlimenti per il post, il disagio esiste quando non si riesce ad imboccare la via mediana, perchè si è sempre su estremi opposti, questo è frustrante per chiunque voglia imparare a mediare tra attività uliti e dilettevoli e la libertà in essi è sempre condizionata dai mass media, pessimi mediatori culturali oggi, se vogliamo sentirle tutte le campane!

mediare in se stessi tra realtà che ci costringono ad uscire sempre da noi per prender parte militando politicamente o religiosamente, e qui comunque volendo sempre camminare per la via di mezzo pur di non lasciarci condizionare dagli opposti estremi, in cui è facile sbandare idealmente o ideologicmente.

mi spiego: vi sono persone che vogliono comunque dialogare per sentirsi liberi dagli schemi rigidi in cui la società vive, come in una rigione, quindi, un po' di disagio nel cercare di stare tra fuochi diversi ed essere super partes neutrali e mediatori o moderatori esiste, ma è superabile se si insiste nel voler trovare un clima in cui altri vogliono essere liberi dai condizionamenti,

insieme si può capire meglio come può funzionare questa via di mezzo e generare un clima di pace e di riconciliazione tra eleenti di disagio diversi tra loro ma con radici pressoché simili, poichè si vive ancora in un mondo vecchio che deve morire e risorgere sulle prorie ceneri.

le cause di disagio sembrano diverse per ogni persona ma la mente degli uomini e la sua idealità sono più o meno simili, come per esempio l'idea di giustizia che è relativa è comunque un esigenza di tutti, così è per la pace e per l'eguaglianza dei diritti.

non sottovalutiamo che l'ideale dell'umanismo contemporaneo non è l'antipolitica o l'anti religione ma una profonda pace che si vuole costruire sforzandosi di tener conto delle diversità, la serenità di tutti è il clima per imboccare la via di mezzo che sta tra tutti gli opposti estremi di tutto e di tutti.

il vero disagio è sentire che il nostro rapporto di simbiosi con l'umanità si è rotto e ci sentimao sdoppiati ed extracorporei con tutti, mentre la nostra ricerca di approfondimento verte verso una riconciliazione con tutti, purtroppo io stesso come altri siamo responsabili di ciò che accade, ne sentiamo la responsabilità e il peso ma non demordiamo, ci miglioriamo e ci rinnoviamo anche con, e non solo, le autocritiche che non siano tuttavia una lista di peccat da confessare superficialmente al prete, ci vuole o meglio si deve aprofondire il nostro legame di simbiosi con l'umanità!

buona notte!

relpubblic, 27/09/2007 20.54:

Non è una critica negativa e comunque non dovrebbe suscitare nessuna forma d’intolleranza lo scritto che segue.
Provare impulso al rifiuto o qualche moto di disagio, credo che rappresenti un attaccamento sproporzionato e non un più un adeguamento consapevole alla pressione inesorabile della realtà edificata.
Quella forza risultante dalle infinite forze che il cosmo produce in continuazione ma che potrebbe non calzare neanche ad uno solo di quegli esseri umani che la vivono e, per la loro parte, ne sono forze contributrici.

A volte mi vedo una persona comune di vent’anni fa. Un adulto preso dalle cose della vita. Considero la normalità di uscire di casa per recarsi al lavoro. Considero la normalità di dover uscire improvvisamente. Considero la normalità di partire per un viaggio e così via per tutte le altre possibili normalità che riguardano il lasciare un luogo per raggiungerne un altro.
L’evenienza dell’assenza.
È necessario attenersi all’era della telecomunicazione per trovare un senso a quanto dirò perché non consiste nello scorgere il famoso cambiamento epocale conseguente all’invenzione di qualcosa. Quel che invece vorrebbe indicare è un cambiamento importante ma che consegue ad una evoluzione significativa di qualcosa che già fu escogitato.
Un cambiamento epocale nel contesto di una stessa epoca di cui precisamente non si ha idea del destino a cui condurrà.
Infatti, tale cambiamento sta avvenendo nelle coscienze più profonde delle persone, senza la scoperta di qualcosa di tangibilmente nuovo ma grazie ad una fondamentale evoluzione della telecomunicazione, la quale già visse la celebrazione dell’invenzione e tuttavia determinando novità radicali nell’essere umano.
Creando così prototipi del tutto nuovi e incoscienti di una loro ulteriore sofisticazione. Immemori. Il cambiamento nasce quindi all’interno di questa invenzione ma assume una rilevanza pari a quella che ha rappresentato ogni nuova scoperta nella storia.

Vent’anni fa avrei potuto uscire improvvisamente di casa per il bisogno di una passeggiata e valutare l’opportunità di lasciare un biglietto che avvertisse del motivo della mia assenza.
Avrei potuto esser raggiunto al lavoro per telefono, secondo una serie di priorità che permettessero la chiamata ed avrei chiamato o meno, dopo o durante un viaggio, solo quando la situazione me lo avrebbe permesso.
Nessuno però, avrebbe potuto in alcun modo raggiungermi direttamente durante la passeggiata, sull’autobus o in auto, nel tragitto verso il lavoro, o sul treno ed in aereo mentre viaggiavo.
Quanto appena detto non è poco, pur tuttavia, le nuove condizionanti sono talmente dentro le nostre menti che l’impressione che ne deriva sia di totale normalità ed in ogni caso rivestano prevalentemente positività.
Infatti, dal momento che la telecomunicazione a livello capillare, nella popolazione, ha risolto effettivamente tanti casi di diverse difficoltà, essa è praticamente inattaccabile e mediante questo fortissimo alibi ha invaso la vita delle genti procurandosi effettivamente il possesso di intimità individuali.
È chiaro che questa potenzialità è oltretutto stata sfruttata dai mercanti ma non è utile qui sconfinare verso questo tema.
Quindi, quel che inizialmente era influenza da parte di tali mezzi tecnologici, si è trasformata in vincolo e questo è vero malgrado quasi ognuno si ribelli o cerchi di giustificare questo moderno costume umano.
Frequentemente, anzi, ordinariamente, accorgendosi di aver dimenticato il cellulare, si prova un fastidio, una seccatura però è difficile identificare in questa sensazione, una particolare ansia.
Quella di una nostra improvvisa “assenza”.

Gradualmente, la allettante possibilità di una costante e comoda presenza virtuale, come di una assenza virtuale, genera la difficoltà ad un’assenza reale.
Così, verosimilmente invece, la presenza reale, quella fisica, a cui non si può fuggire, si arrende ormai senza condizioni a questa novità.
Queste protesi tecnologiche, pertanto, vanno a stravolgere il significato dell’assenza e della presenza.

Chi può negare, senza dubbi, l’assenza di quegli interlocutori nel momento in cui lo squillo del telefono cellulare invade e tronca una discussione?
Non è forse comune trovarsi dinanzi a più persone le quali, pur fisicamente presenti, sono simultaneamente prese ognuna dal suo display ed assorte in raffiche di digitazioni?
Si può forse negare facilmente l’osservazione abituale di persone che ingannano la loro obbligata presenza fisica su autovetture o motoveicoli, presenziando altrove mediante il loro ordigno telecomunicante?
Persone che disertano il luogo fisico in cui si trovano, per presenziare luoghi in cui non dimorano.

E nel caso si possa condividere la tale stato effettivo delle cose, chi può decisamente negare che questo moderno mezzo sia l’ultimo poderoso ritrovato, utile ad appagare il bisogno della mente di essere impegnata?

Stef 25 settembre 2007 – relpubblic@yahoo.it




04/10/2007 18:35
 
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assenze_presenze_2

Era pieno di se.
Non finiva mai di apprendere la quantità immensa di funzionalità alle quali i suoi apparati potevano assolvere.
Egli aveva finalmente a disposizione tutte quelle possibilità per essere corretto, presente… per essere… e non fallire mai.
Se fosse riuscito a fallire con tutte queste possibilità, dunque era irrimediabilmente per causa sua.
All’inizio, in occasione delle feste maggiori, mandava degli sms ad una lunga lista di nomi che normalmente erano spariti da anni.
Non era fantastico? Scriveva un solo pensiero e ripeteva solo l’operazione di cambiare l’indirizzo.
In seguito fu ancora più agevole: un pensiero da inviare ad un solo indirizzo. La lista.
Col tempo, un’altra funzione gli aveva permesso di non dimenticarsi e di non essere dimenticato, quella del promemoria elettronico.
Cosicché aveva iniziato ad intercalare, nelle settimane e nei mesi a venire, delle piccole liste di persone alle quali spediva periodicamente un piccolo messaggio di “saluti a presto”.
Però ultimamente l’apoteosi! L’apice! L’ultimo ritrovato! Ancora un prodigioso aggiornamento!
La gioia lo assaliva perché aveva scoperto altre eccezionali funzioni tecnologiche!
Mediante un opportuno impegno bastava eseguire delle operazioni una volta per tutte.
Forse tali impostazioni gli sarebbero addirittura sopravvissute. Certo, in maniera prettamente meccanica, ma cosa importava?
Cosa c’era di negativo se tutto questo rappresentava il senso, la vita ultima, l’essenza dell’uomo moderno e il significato della civiltà più sviluppata che fosse mai esistita su questa terra?
Quindi: poteva aumentare la funzione del promemoria in modo che i messaggi potessero partire nelle date e negli orari che prestabiliva ed inoltre poteva scegliere in un archivio di frasi da dedicare!
Il gestore gli aveva proposto questo meraviglioso servizio con la sola aggiunta di un piccolo credito.
La sola cosa da fare ora era fornire al gestore dei nomi ai quali inviare messaggi di buon compleanno a date associate e quindi scegliere a quali feste inviare gli auguri all’intera rubrica… era davvero pieno di se. Che meraviglia…
Era sempre meno impegnativo non dimenticarsi e non essere dimenticato. Egli poteva seriamente contare sul promemoria elettronico.
Eppoi, poteva star tranquillo che anche per lui, senza impegno, sarebbero stati sempre più puntuali gli auguri di tanti amici e di tanti parenti.

Stef – 29 luglio 2007 relpubblic@yahoo.it
“Il modello” fa di ognuno il tiranno di se stesso...
11/10/2007 21:54
 
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24/10/2007 16:17
 
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Re: sfumature
relpubblic, 23.10.2007 20:38:

http://beppegrillo.meetup.com/2/files/





Ciao! [SM=g27823]

Ho provato ad entrare nel forum...ma forse bisogna iscriversi???

Affettuoso saluto!

23/11/2007 22:40
 
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Ruoli reflex

È impossibile per l’umano restare avulso. L’umano assume e ripropone in una ineluttabilità che si chiama vita.
Nel percorso accetta e respinge ruoli ed alla fine sarà, egli, ciò che prevarrà dalle sue accettazioni, dai suoi consensi e dai suoi rifiuti.
La impossibilità alla estraneità dal mondo non è però la semplice ostruzione alla felicità di questo umano essere.
Essa è invece esattamente il mezzo(il veicolo) per la realizzazione.
Tale condizione, in ogni ordine di distinzione, dovrebbe essere identificata ed accettata come concetto ed infine assunta come principio fondatore per conseguire l’essere.
Un principio che, calato interiormente oltre i confini della sua nozione, oltrepassato il limite del suo aspetto informativo, deve accompagnare tanto l’azione volontaria, quanto quella involontaria.
È un livello dal quale egli, ora, riconosce tutti i ruoli. Compresi e soprattutto i propri.

Come un corpo galleggiante, sulle acque correnti di un fiume, attraversa tratti quieti e tratti turbinanti, egli viene trasportato nelle diverse accelerazioni del flusso della vita.
Ineluttabile trasporto di corpi che non occulta la qualità incomparabile di quelli umani: l’animazione.
Ogni umano ha un peso ed una situazione distinta dalla quale inizia il suo percorso ma nessuno può trascurare la volontà che lo anima e che lo distingue anche nel suo regno animato.
Il suo massimo abbaglio consiste nella persecuzione di obbiettivi utili a liberarlo delle sue peggiori condizioni esteriori.
Il comportamento più ingannevole per se stesso. Un gioco fatale che lo avviluppa nella perdizione delle cose terrestri, le quali finiscono così per stringerlo ed invischiarlo quanto più egli ci si abbandona.
Nessuno può controllare la corrente che trascina il proprio corpo nel cammino però quella speciale caratteristica, che è solo umana, consente la correzione delle rotte, procurando così navigazioni in acque più placide o provocando naufragio.
La balìa delle acque è per corpi inanimati.
Quando il ruolo assunto apparirà all’umano come ciò che meglio si addice a quel che crede di essere, come il miglior scivolare sulle acque inarrestabili, egli sentirà il ruolo che ha adottato come il suo essere.
Così nel panorama di questo totale incedere, corpi si impegnano in tormentose acque, corpi si trascinano in acque calme e corpi si posano in acque stagnanti.

Eppure pochissimi raggiungeranno vette da cui osservare lo scorrere materiale delle acque.
Luoghi liberi dal trasporto fisico dai quali risalire la corrente al contrario fino a guardare la fonte.
Tale grado dell’essere supera l’accettazione dei ruoli, riconoscendo il “tutto”.
Il conseguimento di questo grado, presuppone la suprema consapevolezza che il corpo ha un fatale vincolo fisico a scorrere sulle acque materiali.
In quei pochi, la nascita animale è seguita dalla nascita umana.
Così essi risalgono al contrario, fino alla sorgente, attraverso la conquista di quella nascita, la quale libera dal rapporto fisico la caratteristica eccezionale che appartiene a ciascun umano; mediante la comprensione e la lode dell’ anima.

in ognuno c’è il tutto, il tutto è ognuno

Stef 05 agosto 2007 – relpubblic@yahoo.it
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28/11/2007 21:32
 
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Globalizzazione
www.nwo.it/progetto_disordine.html

Non riesco a guardare alla polemica del gruppo o corrente dei no-global, senza percorrere delle considerazioni che non possono e non devono cadere nei buchi della memoria.
È molto probabile che dette considerazioni siano mal accettate però se così fosse, sono convinto che dipenderebbe esclusivamente da quelle idee, da quella formazione, da quelle fantasiose utopie, che non permettono una depurata revisione del passato con la quale l’inconciliabilità delle stesse sarebbe palese e limpida.
Gli attuali dimostranti contro un mondo globalizzato, protestano contro l’attuale stato delle cose e lo fanno con un costume che desidera il riconoscimento della loro identità come rappresentante lo stato di difficoltà in questo ordine mondiale.
Personalmente, non mi è difficile essere un no-global, e invece nasce proprio da questa apparente concordanza di fondo la mia perplessità.
No, no, non consiste affatto nel discutere la distruzione di automobili, di un paio di bancomat o di un rivenditore di hamburger.
Per altro azioni ormai simili al timbro di un cartellino.
Inizio direttamente dalla incongruità, che c’è nelle stesse individualità della corrente succitata, e che ho rilevato in altre riflessioni, la quale si materializza in un fantasioso fascino per il villaggio globale.
Tale villaggio è una realtà che riveste il carattere della società occidentale contemporanea e si infila, con i suoi mezzi multimediali nelle altre società o civiltà.
La limpidezza della contraddizione delle correnti di “pensiero”, tra un amore per la società multi-etnica e l’avversione per la globalizzazione è, secondo me, identica a quella che le individualità non riescono e non possono accettare nelle idee e nelle azioni fautrici della globalizzazione stessa.
Soffermarsi a pensare come e chi sostenne il nazionalismo e le differenze, provoca immediatamente il rigetto di tutta una icona rappresentante fascismo, totalitarismo, destra etc… per finire nell’occultare la riflessione solo per il motivo che ammette un certo tipo di revisione richiamata sopra.
Capisco perfettamente che spesso l’individualità nella corrente dei no-global appartiene a generazioni giovani, ma è vero che c’è una gran quantità di generazioni più vecchie e comunque è la nostra epoca e la nostra civiltà, che si basa su cataloghi storici per la discussione degli eventi prodotti nelle società.
Quindi è d’uopo domandarsi:
1. chi fu il difensore estremo della no-globalizzazione?
2. quali furono le entità che lavorarono le genti ad assumere la mentalità fordista-socialista?
3. perché “lavorarono” a questo tipo di assetto?
4. come può un uomo essere oggi no-global e anche sostenitore del villaggio-globale?
5. come può lo stesso non realizzare che nella propria posizione socio-politica c’è esattamente quella parte che servì, a quelle entità, per denigrare la stessa parola nazionalismo.
6. come si è raggiunto il totalitarismo della uguaglianza che ti vuole uguale a me? E della doppia verità? E dell’accaparramento delle idee altrui per renderle pulite e distinte?
7. cosa ha di dignitoso la libertà di vivere in un mondo apparente e l’occultazione delle più semplici realtà? È dignitoso studiare e ripetere ogni concetto sdoganato dal collettivo e disprezzabile ogni visione individuale? Quindi, prima ancora che per un suo significato, una visione è deplorabile perché è individuale?
8. chi combatté realmente il mercante e chi lo aiutò nel suo maestoso intento?

Stef 03/04/2006 relpubblic@yahoo.it
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30/11/2007 23:31
 
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NWO
www.nwo.it/spirito_anticristiano.html

Purtroppo non posso evitare di premettere tutto il mio peccato commesso (e che commetto) quand’anche io non sentissi una collocazione cattolica e cristiana.
Il mio peccato è tale, per il semplice fatto che spesso sono caduto, e cado ancora, in quei piaceri che, malgrado mi ci abbandoni, riconosco nelle vie che conducono o condurrebbero alla rovina.
Anzi, piaceri che individuati sapientemente come attrezzi, oggi sono usati per la indispensabilità della produzione.
Questa indispensabilità è il risultato che l’attuale ordine mondiale deve costantemente conseguire e per far ciò si serve sapientemente di tal genere di attrezzi.
Ma quali sono questi piaceri? Perché sono attrezzi? E davvero si sta trattando di rovine?
Ebbene, ripetendo la mia convinzione che una visione non deve restare ignava in quanto consapevole di mancanze e colpe ma, al contrario, si può e si deve assaporare tale consapevolezza solo attraverso la visione della verità superiore, e che questa, in quanto superiore al particolare è liberatrice, potremmo esprimere quanto seguirà.
La visione è libera quando si distinguono chiaramente i compromessi, i cedimenti ed ogni implicazione in cui è invischiata questa esperienza (la vita) mentre si è in grado di dominare l’alterazione della verità, in primo luogo, in se stessi.
Riprendendo, quindi, dalle domande poc’anzi formulate, vi è la possibilità di focalizzare la situazione generale e definire la indispensabilità della produzione, contrapponendo due immagini.
Pertanto, figurandosi l’uomo che, instradato dalla impostazione della società, fosse abituato alla valutazione delle diversità che rappresenta l’interiore, si potrebbe immaginare una civiltà contenente un numero sufficientemente maggiore del presente, di esseri in grado di giudicare il superfluo come sconvenienza. Non come mera inutilità ma proprio come negatività.
Di contro, guardando all’uomo odierno, il quale non solo non è educato a questa valutazione ma ne è miratamene allontanato mediante tutte quelle frenesie seducenti e terrestri che lo schiavizzano, ne deriva l’immagine di questa civiltà, formata in massima parte da individui abituati a perseguire uguaglianze nelle esteriorità ed impossibilitati a stabilire la sconvenienza del superfluo.
Appare, di conseguenza, abbastanza visualizzabile che la persecuzione dell’obbiettivo, indicato sopra, necessita l’istituzione del concetto secondo cui l’uomo collettivo abbia ogni ragione ad essere innalzato al ruolo di onnipotente e, nondimeno, egli, in quanto individuo pensante, debba essere annichilito e distrutto.
Ovvero che il pubblico esista e l’intimo no.
In definitiva i piaceri prettamente terrestri, che in seno non hanno mai cambiato la loro natura, si sono svelati come attrezzi utilizzabili alla realizzazione di un sistema effimero.
Tale è la definizione delle rovine che si presentano esteriormente come un perfetto ordine.
Se il NWO permettesse la scelta fra le frenesie che offre e impassibilità ed equilibri, considerando l’attuale stato di assuefazione alle strutture, nel breve tempo si assisterebbe a disastri dovuti alla perdita del senso per le moltitudini; mentre alla distanza, si avrebbe la visione reale e consapevole di ciò che è fuggevole e di ciò che è immutabile.

Stef –28-30nov2007 – relpubblic@yahoo.it


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31/12/2007 15:48
 
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Nozionismo (differenza) riflex
L’elemento che distingue il sapere dalla conoscenza è qualcosa che si manifesta solo quando dal puro ripetere ciò che si è letto, visto o saputo, si passa a sentire il concetto e quindi si è in grado di farlo proprio.
L’elemento, dunque, consiste in un passaggio mediante il quale il sapere muta da meccanico in creativo e cosciente.
Diviene vivo. Ma può definirsi vivo il sapere? E cosa vorrebbe dire?
Intanto è bene accennare al fatto che qualsiasi sapere appartenente alla meccanicità di un immagazzinamento dati, andrebbe indicato con un articolo indeterminativo, in quanto abbisognando del dato in luogo della cognizione, esso non potrà mai compiersi in una unicità. Non potrà mai aspirare ad una qualche atipicità. Non avrà caratteristiche né singolarità.
Dall’altra parte invece si potrebbe indicare la sapienza cosciente e creativa con l’articolo determinativo, non per il fatto che snobba i dati, ma giacché, prediligendo la cognizione piuttosto che l’accumulo delle nozioni, essa diviene unica per la sua superiorità alle nozioni.
Riassumendo si può dire che la questione appartiene alla priorità per la quale si preferisce tenere in vista la cognizione, mediante l’ausilio della nozione, o viceversa ci si rivolge al raccoglimento dei dati, ed alla loro ripetizione, in vista del vantaggio offerto dal concetto e non per la sua sostanza.
Adesso è possibile azzardare dire che il sapere si vivifica quando, attraverso detto varco, esso si libera dalla dipendenza dal titolo.
Nel caso non si fosse semplificato abbastanza quanto espresso sopra è bene precisare che non è deprecabile, naturalmente, il conseguimento di titoli, nelle varie forme della istruzione istituzionale, ma lo diventa senz’altro, quando il titolo costituisce un mezzo.
Pertanto, cogliere il manifestarsi del passaggio ed il varcarlo, concretizzando una visione del tutto nuova, oltre che immensa e pura, del sapere, determina una nascita interiore; nasce, vive, si anima il sapere meccanico e assurge a conoscenza.

Una digressione è necessaria poiché si potrebbe far confusione tra il far proprio un concetto e la indebita appropriazione.
Questo è un errore che può commettere tanto chi esprime un sapere, quanto chi sta cercando di apprenderlo, poiché bisogna considerare che il passaggio può o meno esser colto o accolto già nell’apprendimento.
Da ciò deriva esattamente la inevitabile alterazione del risultato che si provoca equivocando il fine del desiderio di conoscenza.
Un tale comportamento, estremamente diffuso nella nostra progredita epoca, certo non preclude l’ottenimento del sapere ma, realizzandosi così, in una sapienza corrotta da un rapporto di dipendenza dalla vantaggiosità, questo viene danneggiato quantunque procuri vantaggi personali, nelle strutture di questa realtà.
Da ciò si può costatare in maniera evidente come la produzione di un titolo, e quindi di un insegnante, si può ottenere anche senza aver colto o accolto l’elemento vivificatore.
In altre parole, privando il sapere di quella spontanea organicità, che sboccia esclusivamente quando il desiderio del sapere ha per fine l’amore di esso stesso, si abortisce quella nascita e quella vita alla conoscenza.
In questa maniera diffusa, quindi, per la quale maestri inconsci di possedere concetti alla stregua di un attrezzo, spingono schiere di discepoli a desiderare un utensile che chiamano conoscenza, si assiste alla confusione tra una alta concezione di sentir proprio un sapere ed una bassa di appropriarsene.

Stef – 26/12/2007 – relpubblic@yahoo.it


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24/01/2008 22:27
 
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semplicità
semplicità_riflex

La semplicità, quando si sceglie di stabilircisi, è un luogo irto di difficoltà.
Difficoltà che deve al sacrificio continuo da spendersi su due fronti. Fronti rappresentati da caratteri umani.
Se si sceglie di stabilire il percorso della propria vita nella semplicità, si deve lottare contro lo stereotipo che, spesso, si nasconde proprio dietro i caratteri di una originalità e di una singolarità troppo ricercate.
Caratteri che, ricercati e forzati, divengono prodotti surrogati e non manifestano nulla di genuinamente atipico. In questa falsità, essi finiscono inconsapevolmente materializzando e sostenendo proprio ciò che non desideravano: lo stereotipo.
Contro questi caratteri deve misurarsi una vita che desidera raggiungere la semplicità.
Quindi, se si sceglie, vuol dire che si ama realmente, perché amarla vuol dire assumersi il compito di dimostrarla senza tregua.
Non ci può esser tregua nell’abbattere continuamente quelle pareti che i caratteri si affrettano a riparare o ad erigere rapidamente intorno ad essa, ogni qual volta lo standard della semplicità cade o inizia a sgretolarsi, per catalogarla immediatamente nel successivo significato conveniente.
Dimostrarla senza tregua è questione ardua perché contro gli stereotipi bisogna combattere. (il modello)
Destreggiarsi in una navigazione tra le tempeste portate dal fronte alterato della sofisticazione e della pudicizia e quelle causate dal fronte alterato della trivialità e della indecenza.
Il primo fronte, giudica la semplicità una ignoranza che genera sciocchezza e volgarità; il secondo, la giudica una ignoranza che salva da sofisticazioni inutili. Così, per il fatto stesso di costringerla in una convenzione, entrambi i fronti conseguono il risultato di allontanarsene definitivamente.
È la loro convinzione di conoscerla ciò che non gli permetterà mai di scoprirla.
La brama di attribuire uno standard alla semplicità deriva da un bisogno a cui l’uomo si abbandona anche quando non dovrebbe. Il bisogno del calcolo, del vantaggio, dell’interesse, infatti, se non valutato obiettivamente ed anteponendo senza accortezza un tornaconto personale, occulta la visione delle essenze con cui la semplicità può manifestarsi.
Così ambedue i fronti passano rapidamente dinanzi alla semplicità, che non possono notare, per profondere il loro impegno nella costruzione e la manutenzione del suo falso.
La brama è quindi la traduzione di quel bisogno in una resa inconscia alle difficoltà che l’umano incontra quando scopre di non risiedere né in un fronte né nel suo opposto. Risiedere in un gruppo è un bisogno. Vuol dire non sentirsi soli. Risulta più facile. Il che non sarebbe di per se fatto negativo ma giungere a non ascoltare mai se stessi, a causa di ordini del giorno, lo è senz’altro.
Ammettere di non essere necessariamente parte di una schiera, provoca la fatica di una dimostrazione dei propri moti interiori. Grazie alla rinuncia di tale fatica, si ingrossano le file dei fronti.
Una fatica da spendere, ora contro un fronte ora contro l’altro, quando le loro difese si fanno aggressive per soddisfare il bisogno dello stereotipo. Quando essi arrivano a volere, ad esigere, a necessitare della bugia piuttosto che della verità.

Stef 14/18 gennaio 2008 – relpubblic@yahoo.it
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27/01/2008 12:03
 
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FORMAZIONE DELLA NAZIONE MONDIALE
--
“La formazione della Nazione Mondiale” stef 27 gennaio 2008 (Automobili_mercato_riflex)

Era parso a tutti che la Fiat sarebbe collassata. Era parso a tutti che l’invasione del mercato automobilistico da parte delle giapponesi avrebbe messo in crisi sicuramente quello italiano e probabilmente quello europeo.
A livello europeo le grandi case tedesche o francesi avrebbero dovuto attuare strategie particolari per fronteggiare quella invasione.
Bene, la situazione attuale pare invece che sia radicalmente diversa nella realtà.
Certo che, proprio qui, non si useranno numeri o statistiche “ufficiali”…
Il numero di autovetture in circolazione è cresciuto a dismisura, a dispetto dell’allarmismo (quello del blocco del mercato e non quello dell’inquinamento) la quantità di auto risulta in continuo aumento. Questa situazione deriva, in maniera indiscutibile, da una compravendita di nuovi modelli.
In giro continua la presenza massiccia di Fiat ma anche marche italiane, che potevano apparire minori, presenziano le strade con i loro modelli. La prima, non solo non è collassata ma è passata a dominare la percentuale di proprietà delle minori, cosicché, nei fatti si è ingrandita. Essa domina addirittura la marca d’auto per eccellenza, la Ferrari.
Se si guarda il flusso di automobili per strada, si può vedere che quanto prospettato, dalle competenti autorità, circa il mercato automobilistico non si è verificato neanche in parte. Ciò che si è verificato è invece il proliferare di un unico grande mercato in cui le marche italiane coesistono con quelle giapponesi e pure quelle coreane. Nemmeno hanno cessato di vendere le importanti marche tedesche, francesi ed inglesi con la ricomparsa di alcune altre già quasi assenti da tempo. Anzi, al mercato si sono pure aggiunte marche minori dell’est europeo e spagnole, che si sono sostenute proprio grazie al loro acquisto da parte di quelle fabbriche che avrebbero dovuto soffrire una crisi.
Inoltre non bisogna trascurare che l’infoltimento, della varietà automobilistica, oggi include concretamente marche del nord america, che qui non avevano mai attecchito (a parte la Ford).

Beh, potremmo essere scontenti di un mercato che invece di una crisi ha conosciuto una propulsione positiva? Ognuno la pensi come vuole, io non ne sono contento.

Mi infastidisce pensare che per mantenere il grafico della vendita, vengano cambiati, anche solo in un dettaglio, i modelli ogni due o tre anni. Mi infastidisce che vengano costruite con molta velocità auto sempre più scadenti. Mi infastidisce che pur di intensificare le vendite, un’auto venga truccata con miriadi di stupidaggini “innovative”. Mi infastidisce che gli stessi governi che fingono di crucciarsi dell’inquinamento poi esortino il popolo ad una spesa necessaria anche se inquinante.

M’infastidisce che non ci sia una pubblicità progresso, a contrastare l’idea che un’auto rappresenti l’essere. Che proprio chi idealizza il progressismo non individui la sua vera identità. M’infastidisce che interventi come la pubblicità progresso, vengano intesi come emancipazione.

Però quel che più mi infastidisce, è la facilità con cui le persone aderiscono a questo scopo. Questa maniera di sentire l’acquisto di un’auto come un dovere. Il dovere che realizza l’uomo. La pochezza di un uomo che rinnova il suo mezzo di trasporto, benché esso risponda ancora egregiamente ai requisiti per chiamarsi così. Anzi, spesso il mezzo è oltremodo moderno e sofisticato, ma la bugia della sua vetustà è una necessità per la giustificazione al nuovo acquisto. M’infastidisce che tale bugia sia denominata “benessere” e che l’incessante nuovo acquisto sia scambiato con “qualità della vita”.
Mi infastidisce che l’allarme sia usato come metodo per l’impulso economico. In me produce ritegno, che il governo di un Paese sia ormai inteso come ciò che cura esclusivamente l’aspetto economico. M’infastidisce che quando al paventare di un terrore segue una realtà diametralmente opposta, questa non venga rimarcata a dovere dalla prodigiosa telecomunicazione.
Sarebbe sufficiente guardare le cose per quello che sono e poi, magari abbandonarvisi. Andrebbe anche bene permettere che ci travolgano, se consapevolmente.
Ma vedere le cose e chiamarle con un altro nome, mi infastidisce.

“La formazione della Nazione Mondiale” stef 27 gennaio 2008

Stef gennaio 2008 – relpubblic@yahoo.it
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“Il modello” fa di ognuno il tiranno di se stesso...
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