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IL SORGERE DI UN MOVIMENTO MONDIALE

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2007 01:01
21/03/2007 17:29
 
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IL SORGERE DI UN MOVIMENTO MONDIALE





«Ognuno di questi volumi (Daniele e Apocalisse) illumina l’altro. Come due specchi concavi messi parallelamente di fronte l’uno all’altro, con una fiamma nel centro, si gettano e si rigettano reciprocamente dei fasci potenti di luce, così i nostri due profeti (Daniele e Giovanni) posti di fronte l’uno all’altro, reciprocamente a gara si inviano dei fasci di luci» Louis Gaussen.[1]





Introduzione



Come tra il sesto e il settimo sigillo Giovanni ha una visione di incoraggiamento,[2] così accade tra la sesta e la settima tromba.

«Il decimo capitolo è stato trattato in fretta dai commentatori, come una semplice introduzione alla successiva rivelazione che concerne i due testimoni. È certamente una introduzione, ma non di secondaria importanza. Molto dipende dalla interpretazione data al piccolo libro nella mano dell’angelo».[3]

Abbiamo motivo di credere che questo capitolo X sia un simbolico quadro della proclamazione finale dell’evangelo a tutto il mondo, come nella seconda parte del capitolo XIV dell’Apocalisse viene più ampiamente presentato. Una decina sono le motivazioni che sostengono questa convinzione:

1. L’insieme della visione fa capire, come nel discorso di Gesù sul monte degli Ulivi, che la fine di tutte le cose è preceduta dall’universale predicazione dell’evangelo.[4]

2. La visione si colloca in un tempo particolare della storia. La predicazione dell’evangelo e l’annuncio del regno, se per secoli sono stati circoscritti a dei continenti, ora acquistano una dimensione planetaria. Ciò è raffigurato dall’angelo che prende possesso del mondo posando i suoi piedi sia sul mare sia sulla terra; allo stesso modo l’annuncio che verrà fatto coinvolgerà tutti i popoli precisa la conclusione del versetto 11.

3. Si giunge nell’epoca in cui, a compimento dei periodi profetici, viene detto: «Non c’è più tempo».

4. Sebbene il tema dell’annuncio della Parola lo si trovi anche in altri capitoli precedenti dello scritto di Giovanni, nei quali la Chiesa è rappresentata da candelabri d’oro, forse anche da un potente destriero bianco che attraversa tutta la terra, il suggellamento dei santi, ora è raffigurato da una figura che viene dal cielo e prende possesso della terra e del mare, come realizzazione della sua opera.

5. Si annuncia che il mistero di Dio sta per finire. Questo mistero è il vangelo del regno, il riscatto della terra realizzato dal Cristo alla prima venuta, ma portato a compimento con il suo ritorno.[5]

6. Il libro aperto sottintende che ciò che poteva essere stato non capito, perché chiuso, sigillato[6] per le generazioni passate, ora, che si è giunti nel tempo che precede il ritorno di Gesù, può essere interamente compreso.

7. Il libro che l’angelo ha in mano è in relazione con la sua predicazione. Mentre nel capitolo V solo il Cristo poteva prendere il libro dalla mano del Padre, ora è Giovanni, quale rappresentante della Chiesa, a prenderlo, per poi darne il nutrimento al mondo.

8. Le colonne di fuoco, l’arcobaleno, i tuoni, le voci, sono allusioni alla proclamazione del patto al Sinai, alla presenza di Dio in mezzo al suo popolo, alla testimonianza d’Israele, alla sua chiamata al sacerdozio. Tale funzione fa dei fedeli degli ambasciatori dell’evangelo sulla terra. [7]

9. Nell’invito rivolto a Giovanni a profetizzare, viene usata l’espressione che il Nuovo Testamento frequentemente utilizza per la predicazione dell’evangelo.[8]

10. Quanto viene detto all’Apostolo: «Profetizza di nuovo sopra molti popoli» corrisponde a quanto Giovanni scrive nel capitolo XIV:6,7. È l’evangelo escatologico annunciato dopo i secoli di persecuzione e di apostasia della Chiesa che prepara l’umanità alla venuta del Signore.

Riepilogando, possiamo dire che il personaggio celeste esprime la promessa del Signore: «Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente», affinché la Chiesa del tempo della fine possa raggiungere tutte le nazioni con l’ultimo messaggio del cielo al mondo. Il quadro della visione rassicura la Chiesa nella sua opera di testimonianza espressa da Matteo XXIV:15 e Marco XIII:10, e il parallelo di Apocalisse XIV:6-12; XVIII:1-4.





Un personaggio potente scende dal cielo


Con la visione di Apocalisse X Giovanni ci porta nel tempo della fine, nel tempo in cui i lunghi periodi profetici, indicati da Daniele nel suo libro, e quelli dello scritto dell’apostolo sono giunti al loro compimento.



«Poi vidi un altro angelo potente che scendeva dal cielo, avvolto in una nuvola; sopra il suo capo era l’arcobaleno; la sua faccia era come il sole, e i suoi piedi come colonne di fuoco; e aveva in mano un libretto aperto; ed egli posò il suo piè destro sul mare e il sinistro sulla terra; e gridò con gran voce, nel modo che rugge il leone; e quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire le loro voci. E quando i sette tuoni ebbero fatto udire le loro voci, io stavo per scrivere; ma udii una voce dal cielo che mi disse: “Suggella le cose che i sette tuoni hanno proferite, e non le scrivere”. E l’angelo che io avevo veduto stare in piè sul mare e sulla terra, levò la man destra al cielo e giurò per Colui che vive nei secoli de’ secoli, il quale ha creato il cielo e le cose che sono in esso e il mare e le cose che sono in esso, che non ci sarebbe più tempo; ma che nei giorni della voce del settimo angelo, quand’egli suonerebbe, si compirebbe il mistero di Dio, secondo ch’Egli ha annunciato ai suoi servitori, i profeti».[9]



Chi è questo angelo che scende dal cielo?

Il suo aspetto ricorda quello del Figlio dell’uomo e alcuni tratti di Gesù in occasione della trasfigurazione;[10] la sua faccia è come il sole, ed irradia luce vivissima dalla testa ai piedi; le sue gambe (letteralmente piedi) sono come colonne di fuoco, «da qui diversi commentatori vedono in questo angelo il Signore stesso».[11]

Chi non accetta questa identificazione fa notare che il testo precisa: «Un altro angelo potente», e lo scritto non dice che questo personaggio è “come un angelo”, ma specifica che è un «altro angelo».[12]

Scrive A. Romeo: «Diverso dagli angeli delle trombe e forse identico a quello che invita ad aprire il libro dei sette sigilli, questo misterioso forte delle schiere celesti è un messo di Dio per le rivelazioni fondamentali. Presentato come importantissimo rappresentante di Dio, è forse Gabriele (= forza di Dio), che in Daniele VIII:16-26 e IX:21-27 è il messaggero “per il tempo della fine”».[13]

«Questo angelo non è Gesù, poiché il Signore non è da nessuna parte nel Nuovo Testamento messo nel numero degli angeli[14]; e l’epistola agli Ebrei[15] stabilisce un contrasto assoluto tra questi esseri celesti e il creatore di tutte le cose, tra Colui che gli angeli di Dio adorano e coloro che si prostrano davanti a lui. Ma se non è il Signore in persona, è il suo messaggero speciale, il precursore del Messia, un nuovo Elia che cammina davanti a lui, portando sulla sua persona il riflesso della gloria del Figlio. Le immagini sotto le quali appare a san Giovanni simboleggiano il doppio carattere del suo messaggio, che è contemporaneamente grazia e giustizia, annunciando per gli uni il giudizio definitivo e per gli altri il trionfo finale».[16]

«Fiera prestanza quella dell’angelo: la sua discesa dal cielo, in una nuvola, manifesta un glorioso intervento divino. L’arcobaleno (segno dell’alleanza di Dio con ogni carne[17], e che aureola il trono divino[18]), caratterizza il messaggio della grazia. Al servizio di Gesù Cristo l’angelo risplende di alcune sue caratteristiche, notate nella prima visione».[19]

L’angelo era avvolto in una “nuvola”, la quale è l’emblema della gloria e della potenza di Dio.[20] «Dio è contemporaneamente luce e oscurità. Si rivela all’uomo pur rimanendo velato di mistero. Così è della sua parola, contemporaneamente chiara e profonda, e delle sue vie nei confronti del suo popolo, luminose per gli uni ed incomprensibili per gli altri».[21] Ma la nuvola richiama quella del capitolo I:7 che presenta la venuta di Cristo per giudicare. L’opera di questo angelo sarebbe quindi in relazione con questo avvenimento ultimo.

Al di sopra della sua testa, l’arcobaleno, che circonda il trono di Dio nella visione del capitolo IV, è il segno dell’alleanza di pace, simbolo del patto e ricorda la grazia, e qui in questo interludio delle trombe esprime l’offerta dell’evangelo a tutti i peccatori affinché siano salvati. L’arcobaleno attenua ciò che di terribile c’è nel suo volto che risplende come «il sole e nei suoi piedi come delle colonne di fuoco», e fa di lui il rappresentante della santità. È ciò che in effetti è il suo messaggio, messaggio contemporaneamente di giustizia e di grazia; di giustizia per il mondo, di cui annuncia la rovina finale, e di grazia per la Chiesa di Dio, alla quale annuncia l’ultimo trionfo. Il suo viso è come il sole perché questo messaggio è tratto dalle Sacre Scritture e risplende della gloria del Cristo, il «sole di giustizia», la luce del mondo. Questo messaggio si basa su dei fatti inattaccabili e su delle prove incrollabili, come delle colonne di fuoco, che sono la cronologia profetico-biblica confermata dalla storia. «Proclama il compimento del “mistero di Dio” e confida al veggente una rinnovata missione profetica».[22]

D. Ford rileva che diversi commentatori chiamano l’angelo di Apocalisse X “l’angelo del patto” perché il suo presentarsi ricorda il Sinai con tuoni, lampi e voci. Viene come dominando l’intero mondo. Presentando un messaggio del cielo e, come Israele al Sinai, riceve l’ordine di essere il sacerdote dell’Eterno, il suo rappresentante davanti all’umanità, così a Giovanni, quale raffigurazione della Chiesa, viene rivolta la stessa missione.[23] J.M. Ford dice che probabilmente questa figura dell’Esodo permette di identificare questo personaggio con «l’Angelo del Patto, che qualche volta viene identificato con Yhavé».

Per la sua somiglianza pensiamo si debba identificare questo personaggio con il Signore di Apocalisse I che si muove tra i candelabri. Daniele X:6 lo definisce il capo principale dell’esercito di Dio e lo descrive nel capitolo XII:7 come figura divina più esaltata rispetto a quella degli altri angeli. Ezechiele I lo identifica con Yahvé. La descrizione delle sue gambe e piedi come colonne di fuoco; il suo essere avvolto dalle nuvole; la gloria che irradia dal suo volto e l’arcobaleno sopra la sua testa sono tutte espressioni e particolari che ricordano le teofanie di Dio nell’Antico Testamento. L’insieme di questi particolari e caratteristiche di Dio ci obbligano a credere che abbiamo qui una descrizione della manifestazione del Signore che il Pentateuco e i libri profetici presentano come l’angelo del patto. Tutte queste caratteristiche enfatizzano il carattere divino e «questi confronti suggeriscono che la figura descritta sia Cristo e non un angelo… È una angelica presentazione di Dio, più precisamente di Cristo».[24]

E.B. Elliott notava che in Apocalisse X «l’Angelo-Patto, Yhavé Gesù, ora porta con sé, come sua propria investitura, la stessa gloria dell’uomo-Dio della precedente visione di Daniele».[25]

Il Signore manifesta la sua influenza su questo mondo ponendo un piede sulla terra e l’altro nel mare, «cioè sulle nazioni del mondo, sui popoli agitati dalla tormenta delle loro passioni e su quelli che, grazie alla civiltà, sono arrivati a uno stato di stabilità, di equilibrio; afferma con questa posa solenne la presa di possesso di questi due domini che, malgrado le apparenze contrarie, gli appartengono in proprio».[26] Quanto questo angelo proclama e compie si estende alla terra e al mare[27], cioè «il dominio di Dio che egli rappresenta si estende all’universo intero».[28]




Il libro in mano all’angelo


Il messaggero celeste ha in mano un piccolo libro aperto. Cosa rappresenta questo libro? In esso si è visto il resto del messaggio dell’Apocalisse; una ripetizione del piano di Dio per la fine; un riassunto della volontà di Dio; la storia compiuta d’Israele; il registro delle azioni umane; Cristo Gesù stesso che è il libro di Dio; il Nuovo Testamento, che è piccolo rispetto alle numerose pagine dell’Antico Testamento o di tutta la Bibbia.

Si è pensato che fosse il rotolo sigillato visto nella seconda visione in cielo, ma la parola greca usata per rotolo nel nostro capitolo è diversa da quella utilizzata nel capitolo V:1 e in altre parti dell’Apocalisse. Quindi il rotolo in Apocalisse X dovrebbe essere considerato diverso da quello degli altri rotoli. Questa differenza di termine ci permette però di dire ciò che il rotolo non è, ma non precisa ancora quello che è.

Pensare che si tratti del libro del profeta Daniele crediamo corrisponda all’insegnamento del testo.

Daniele XII e Apocalisse X sono gli unici passi della Bibbia che riferiscono di un angelo che giura. Questi testi hanno una differenza: in Daniele l’angelo è tra il Tigri e l’Eufrate, in Apocalisse è tra il mare e la terra ed entrambi giurano con le mani alzate al cielo. Il personaggio di Daniele giura con le due mani alzate, mentre quello di Giovanni solo con la mano destra levata in alto. La differenza di queste due descrizioni è data dal fatto che l’angelo dell’Apocalisse ha un rotolo nella mano sinistra e quindi può alzare solo la destra.

Il libro di Daniele viene sigillato, non nel senso di chiuderne l’apertura ed impedire che sia letto, o per autenticare quanto è stato scritto, ma per indicare che solo nel tempo della fine il suo messaggio profetico sarebbe stato compreso. A Daniele è stato detto: «Tu Daniele, tieni nascoste queste parole, e sigilla il libro sino al tempo della fine; molti lo studieranno con cura, e la conoscenza aumenterà».[29]

Per tutti questi motivi, questa visione di Giovanni non può non richiamare alla mente quella del capitolo XII di Daniele.

Daniele
«L’uomo vestito di lino, che stava sopra le acque del fiume, il quale, alzata la man destra e la man sinistra al cielo, giurò per colui che vive in eterno, che ciò sarà per un tempo, per dei tempi e per la metà d’un tempo; e quando la forza del popolo santo sarà interamente infranta, allora tutte queste cose si compiranno. Alla domanda di Daniele: “Signore mio, qual sarà la fine di queste cose?” Viene risposto: “Va’, Daniele; perché queste parole sono nascoste e sigillate fino al tempo della fine. Molti saranno purificati, imbian-cati, affinati; ma gli empi agiranno empiamente, e nessuno degli empi capirà, ma capiranno i savi. E dal tempo che sarà soppresso il sacrificio continuo e sarà rizzata l’abominazione, vi saranno milleduecentonovanta gior-ni. Beato chi aspetta e giunge a mille-trecentotrentacinque giorni”».
Giovanni
«Un angelo potente che scendeva dal cielo e aveva in mano un libretto aperto e l’angelo levò la sua man destra al cielo e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli, il quale ha creato il cielo, la terra e il mare e le cose che sono in essi che non ci sarebbe stato più tempo».




Felice quindi chi sarà testimone della realizzazione storica di queste parole.

Entrambi i giuramenti iniziano identificando Dio come l’Eterno, ma il giuramento dell’Apocalisse aggiunge il riconoscimento di Dio come creatore. Questa aggiunta ha fatto collegare questo testo con altri dell’Apocalisse e più esplicitamente col messaggio del primo angelo del capitolo XIV:6. Il primo è un inno al Creatore, il secondo è in relazione ad un opera che viene compiuta e corrisponde meglio al contesto del nostro capitolo. J.M. Ford sottolinea che in questo giuramento c’è un richiamo al IV comandamento di Esodo XX.[30]



La voce dell’angelo è potente come quella di un leone
e i sette tuoni fanno udire la loro voce



Analizzando il testo si nota che i tuoni sono la risposta al grido del potente angelo, la cui voce è come quella di un leone ruggente. La figura del leone che ruggisce è usata nell’Antico Testamento per trasmettere l’idea di un giudizio immediato. Amos avvisò Israele dei giudizi imminenti con questo tipo di linguaggio: «Il leone rugge nella foresta se non ha una preda?». «Il leone ruggisce chi non temerà? Il Signore, l’Eterno, parla…».[31]

Confrontando questo testo con il linguaggio che si trova in altri parti della Bibbia, è ragionevole pensare che il grido dell’angelo abbia qui una connotazione di giudizio.[32]

In Apocalisse Giovanni presenta il tuono in relazione alla voce forte dell’angelo, al suono di una voce dal cielo e all’Alleluia degli esseri celesti.[33] Per quattro volte l’apostolo presenta il tuono in relazione al santuario celeste nel quale «dal trono procedevano lampi e voci e tuoni» i quali introducono il suono delle trombe e sono messi in relazione con la settima ultima piaga.[34] I tuoni sono accompagnati da lampi e dal terremoto. Presentano una teofania di Dio. Sono in relazione col suo trono del cielo, col suo tempio. Sono anche in relazione con la persona di Dio e sono sotto il suo controllo. I tuoni annunciano i giudizi di ravvedimento che si hanno con le trombe, il giudizio dell’ultima piaga e dell’ultima tromba che inaugura il giudizio che precede il ritorno di Gesù.[35] Quest’ultimo tuono di Apocalisse XI:19 introduce le visioni della seconda parte dello scritto dell’apostolo che presentano il giudizio di Dio sul dragone, sulle due bestie, sulla donna del capitolo XVII che è stato annunciato nel capitolo XIV, realizzato sia nell’ultima parte del capitolo XIV, sia nel capitolo XVI, sia nella seconda parte del capitolo XIX e nel capitolo XX.[36]

È conseguente pensare che la pienezza dei tuoni (7), del nostro capitolo, sia in relazione al giudizio che in questo nostro tempo, nel quale la visione colloca gli avvenimenti che presenta, si compie nel cielo.[37]

Considerando che l’essere che viene dal cielo esprime grande autorità sull’intera terra come se ne prendesse possesso, che il suo grido, di cui non si riporta il contenuto ma provoca come risposta «il rombo dei sette tuoni», che come spiegheremo più sotto, la visione ci pone in un’epoca in cui si possa dire: «non c’è più tempo», crediamo sia corretto pensare che quanto l’apostolo Giovanni vede ci ponga al tempo dell’inaugurazione del giudizio preliminare che si svolge in cielo, prima del ritorno di Gesù, ben descritto in Daniele VII e che il profeta colloca dopo la supremazia papale, prima della realizzazione del Regno di Dio, e che ha come conseguenza le ultime sette piaghe su una umanità che ha rifiutato la grazia di Dio.

Con quanto detto dai sette tuoni, Dio ha fatto intendere qualcosa a Giovanni. Che cosa? «Tu tieni segrete le cose e non le scrivere». «Non lo sappiamo - diceva il maestro Vaucher - Ci è quindi impossibile fare delle congetture a meno che Dio non conceda di nuovo una rivelazione quando lo riterrà opportuno». Ma con E.W. Hengstenberg «possiamo pensare che non si tratti di un segreto assoluto e perpetuo. Sostanzialmente, quanto viene scritto dopo dischiude quello che non si è conosciuto fino a quel momento».[38]

Rifacendoci alle parole di Davide,[39] come hanno fatto numerosi commentatori, possiamo vedere simboleggiata nei sette tuoni «la voce dell’Eterno» nella sua grandezza e potenza.

I tuoni richiamano quanto avvenne a Gerusalemme quando i Greci volevano incontrare Gesù.[40] La voce dal cielo, udita come un tuono dalla folla, segna la più grande crisi nel tempo e nell’eternità. La crocifissione di Gesù, che seguì questo tuono, ha come conseguenza la sua elevazione alla gloria. Possiamo affermare che i tuoni possono indicare il passaggio da un’epoca all’altra nella storia del regno di Dio sulla terra e che la storia della salvezza sia giunta, in Apocalisse X, in un momento in cui ha inizio una sua fase particolare. Noi crediamo che ciò si riferisca al giudizio che si compie nel cielo che implica sulla terra la predicazione dell’evangelo nella sua veridicità. Le voci dei 7 tuoni annunciano la manifestazione terrificante del «grande e terribile giorno dell’Eterno». Annunciano la fine della storia.

Il sigillo della voce dei sette tuoni rievoca Daniele XII quando al profeta viene detto: «Tieni nascoste queste parole, e sigilla il libro».





«Non c’è più tempo» - 1844 l’importante data profetica[41]



«E l’angelo che io avevo veduto stare in piè sul mare e sulla terra, levò la man destra al cielo e giurò per Colui che vive nei secoli de’ secoli, il quale ha creato il cielo e le cose che sono in esso e il mare e le cose che sono in esso, che non ci sarebbe più tempo; ma che nei giorni della voce del settimo angelo, quand’egli suonerebbe, si compirebbe il mistero di Dio, secondo ch’Egli ha annunciato ai suoi servitori, i profeti».[42]



L’angelo, alzando la mano al cielo, giura nel nome del Creatore. Soltanto in due occasioni troviamo nella Scrittura questa forma così solenne di impegno da parte di Dio: quando l’Eterno promette ad Abramo il Salvatore e in Daniele al capitolo XII, quando indica il tempo della fine.[43] Qui in Apocalisse, riprendendo quanto annunciato da Daniele, l’angelo giurando ricorda che il Dio creatore dell’universo non lascerà che la storia dell’umanità continui senza fine. Dice: «Non c’è più tempo».

La parola chronos in italiano e in altre lingue, anche in Bibbie e commentari recenti, viene tradotta con “tempo” e “indugio”, “ritardo”. G.E. Ladd crede che «non ci sarà più tempo prima della venuta della fine. La consumazione non è ancora per molto procrastinata». «La consumazione non sarà più ritardata». D.G. Barnhouse aggiunge l’idea che non ci sarà ritardo per il suono della settima tromba.[44]

In Apocalisse chronos lo si trova in tre testi.

- Capitolo II:21 dove si parla del tempo dato a Jezebel per pentirsi.

- Capitolo VI:11 si riferisce al poco tempo che i martiri devono ancora attendere prima che abbiano il premio. D.G. Barnhouse suggerisce che i martiri hanno qui la risposta temporale alla loro domanda: «Fino a quando…?». Lo stesso pensiero è espresso anche da G.E. Ladd che, analogamente, pensa che «la preghiera dei santi sta per essere esaudita».[45] Va osservato che l’era di persecuzione dei martiri si chiude alla fine del XVIII secolo.

- Capitolo XX:3 indica il breve tempo che Satana avrà ancora da operare, dopo di che sarà sciolto alla fine del millennio.

In nessun testo c’è però il significato di indugio, ritardo. Elliott già nel secolo scorso faceva notare che il verbo chronizo può anche significare “ritardare”, “indugiare”, ma il sostantivo chronos non è mai usato con questo valore.[46]

Il libro dell’Apocalisse presenta quattro periodi di tempo nei quali si compiono degli avvenimenti.

- Il primo è nel capitolo IX:15, in occasione della sesta tromba. Rimandiamo il lettore all’Appendice n. 10 che affronta questo argomento con le problematiche del testo.

- Il secondo ed il terzo lo abbiamo nel capitolo XI:2,3,9,11. Dove l’apostolo prende in considerazione la storia della Chiesa per un tempo di 42 mesi, 1260 giorni e, alla fine di questo periodo, si menzionano avvenimenti che si compiranno in tre giorni e mezzo.

- Il quarto nel capitolo XII. È detto che la donna fuggì nel deserto per 1260 giorni e vi fu soccorsa per tre tempi e mezzo.

- Il quinto nel capitolo XIII nel quale si presenta la supremazia del potere che ha dominato per 42 mesi.

- Inoltre, nel capitolo XII di Daniele, il giuramento dell’angelo è in un contesto nel quale si annunciano avvenimenti che si realizzeranno dopo «un tempo dei tempi e la metà di un tempo», espressione già presentata nel capitolo VII:25, e 1290, 1335 giorni. Lo scadere di questi ultimi corrisponde anche alla fine delle 2300 sere e mattine.

Il prof. W.H. Shea osserva che la relazione tra il testo di Daniele e quello di Giovanni è stata rilevata da numerosi commentatori. Tra questi, M. Habershon scrisse nel 1841: «Vorrei esprimere la mia convinzione che l’affermazione presentata si riferisce alle stesse cose. La sola differenza risiede nel fatto che il primo (Daniele) esprime il periodo riguardo i 1260 anni come futuro: “sarà per un tempo dei tempi e la metà di un tempo”, mentre il secondo (Giovanni) l’esprime come se questo tempo fosse passato: “Non c’è più tempo”».[47] Nel 1854 P.C.S. Desprez notò: «Entrambe le predizioni si riferiscono allo stesso tempo. L’una non è altro che l’eco dell’altra».[48] Nel 1884 P.W. Grant scrisse: «Il primo giuramento (quello presentato in Daniele) si riferisce all’intero tempo dell’oppressione dell’Anticristo, mentre l’altro (quello descritto da Giovanni) si riferisce alla fine del triste periodo».[49] Più recentemente, 1940, abbiamo il commento di M. Kiddle che dice: «In realtà l’angelo sta parlando esattamente dello stesso periodo menzionato in Daniele».[50]

W.H. Shea conclude le sue osservazioni dicendo: «I commentatori moderni continuano a rilevare la relazione tra queste due affermazioni».[51]

A questi tre periodi di tempo presentati dal glorioso angelo di Daniele XII, di cui storicamente due finiscono nel 1798 e uno nel 1844, riteniamo evidente che il riferimento al chronos del potente angelo di Giovanni debba essere in relazione con queste tre profezie. Come abbiamo detto sopra, il Signore viene identificato con questo angelo ed è anche la persona divina che si presenta a Daniele. Abbiamo così, come è stato fatto notare nel secolo scorso da M. Habershon, il Signore che annuncia qualcosa che si deve compiere in Daniele e ancora il Signore stesso che si presenta, a Giovanni, per dire che quanto da lui annunciato si è compiuto.

«Non c’è più tempo». «Questa parola è il perno del messaggio dell’angelo».[52]

Se con il 1798 è iniziato «il tempo della fine», perché sono scaduti i 1260 e 1290 giorni/anni profetici, la cronologia biblica profetica fa scadere nel 1844 i periodi profetici dei 1335 giorni e il più lungo, quello delle 2300 sere e mattine del capitolo VIII di Daniele, che annuncia il ristabilimento del santuario celeste, il risorgere della verità e l’opera di purificazione e di giudizio che è descritto nel capitolo VII.[53]

Con questa dichiarazione, «non c’è più tempo», l’angelo vuole dire che non c’è più tempo cronologico, non ci sono più periodi profetici, come i 1260, 1290, 1335, 2300 giorni, che si devono realizzare, cioè dopo il 1844 non ci sarà più nessuna data profetico-storica che si dovrà ancora compiere. Come abbiamo spiegato nell’Appendice n. 12, i periodi profetici 1260, 1290 e 1335 giorni/anni sono inclusi nelle 2300 sere e mattine/anno e abbiamo così:

- Dopo i 1260 giorni (Apocalisse XI:13) Finiti nel 1798

- Dopo i 1290 giorni (Daniele XII:11) Finiti nel 1798

- Dopo i 1335 giorni (Daniele XII:12) Finiti nel 1844

- Dopo le 2300 sere e mattine (Daniele VIII:14) Finite nel 1844

L’espressione greca che Giovanni usa è chronos, dalla quale deriva cronologia, il tempo nella sua durata, periodo. Questo tempo è formato da più momenti, date, kairos.[54]

Daniele nel suo libro aveva indicato a più riprese che le sue profezie erano per un kairos - tempo, momento lontano.[55]

Quando il kairos indicato dai profeti trovò il suo compimento, allora il susseguirsi del tempo (crhonos) giunse alla sua pienezza, alla fine, Dio si fece uomo nascendo da Maria. Lo stesso Gesù, vedendo l’incalzare dei momenti (kairos), sentì vicino il compimento della sua opera e disse che lo scadere della durata del suo tempo (chronos) era vicino.[56]

Nel 1844 si compì la cronologia annunciata da Daniele e iniziò in cielo l’opera di giudizio da parte degli angeli, con la quale si comprende chi sono le persone che vivranno l’eternità con Dio. L’angelo invita a non avere più indugio, ma a prendere nettamente posizione pro o contro la verità, poiché Dio sta per agire. Dopo il 1844 non c’è più tempo cronologico che si debba realizzare.





Realizzazione storica di Apocalisse X

Un grande risveglio religioso


Il piccolo libro in mano all’angelo è quello delle profezie di Daniele che riguarda il tempo della fine. La comprensione di quelle profezie hanno suscitato un grande risveglio religioso che è sfociato in una predicazione fatta in tutto il mondo.

Un fatto importante da rilevare è che i capitoli profetici di Daniele II, VII, IX, X e XI fino ai versetti 39 sono stati compresi fin dal primo momento, menzionati dagli apostoli e dai Padri della Chiesa, spiegati attraverso i secoli bui del Medio Evo e dai Riformatori, ma i capitoli VIII, XI:40-45 e XII e i periodi profetici, anche del capitolo VII, sono rimasti adombrati nella loro comprensione. Il piccolo libro doveva rimanere sigillato sino al «tempo della fine».[57] A partire dagli ultimi anni del XVIII secolo, con lo scadere dei 1260 anni di predominio del piccolo corno, si entra nel «tempo della fine» e un gran numero di persone, ereditando quanto già era stato spiegato, studiano e insegnano le profezie di Daniele e una gran luce si irradia nel mondo.

La forza di questa luce, che diede origine a un gran risveglio, fu «quella del prossimo ritorno del Signore».[58]

Si constatò in effetti, nei primi trenta anni del XIX secolo, sia in Europa che nelle Americhe, l’apparizione di un singolare e potente risveglio nello studio delle questioni finali.

In Inghilterra degli scritti che proclamano l’avvicinarsi del ritorno del Signore apparvero sotto la penna di Thomas Newton, vescovo di Bristol, di Masso, d’Elliott, di Keith, George Muller.[59]

In Inghilterra e in Scozia, Edouard Irving[60], pastore presbiteriano di rara eloquenza, predicava davanti a degli auditori che si elevavano a 6.000 e a 12.000 persone, portando così delle decine e delle migliaia d’anime ad attendere gioiosamente il ritorno e il regno di Gesù Cristo. Scrisse inoltre una dozzina di opere su questo importante insegnamento.

In Irlanda un centinaio e in Inghilterra diverse centinaia di predicatori seguivano il suo esempio.

In Olanda, il responsabile del Museo Reale di La Haye, Hentzepeter attirò l’attenzione sugli eventi escatologici, pubblicando anche un trattato nel 1830.

In Svizzera e in Francia una opera considerevole fu realizzata da L. Gaussen, Émile Guers, Henri Pyt,[61] Frédérich de Rougemont. Una influenza importante ebbe anche il pensiero del gesuita Manuel Lacunza.[62]

In Germania agli scritti si aggiunge la predicazione orale di numerosi ecclesiastici, animati da un grande fervore. Nel Sud della Germania, il prete evangelico Gosznes, recandosi da Monaco a Düsseldorf, si rivolgeva a degli auditori di 15.000 anime. «Dappertutto, dice un autore, lo si interrogava sul soggetto del prossimo ritorno del Signore».

In Scandinavia (Svezia, Norvegia, Danimarca), particolarmente in Svezia, fatto inaudito, ma perfettamente autentico, essendo state proibite queste predicazioni a coloro che non facevano parte del clero, si videro salire sui tavoli dei bambini e adolescenti, di dieci e quattordici anni, che, ispirati, predicavano le stesse cose!

Dal 1821 al 1825, viaggiatore infaticabile, Joseph Wolff[63] seminò la buona notizia del secondo avvento in un gran numero di paesi orientali, dalla Grecia all’Industan e dal Tibet all’Arabia; in Palestina, in Persia, in Bulgaria, in America.

Questo risveglio si manifestava in un momento particolare della storia: si miglioravano le possibilità economiche e di sviluppo sociale, «ai secoli di persecuzione e di lotte succedeva un’era di pace»[64], si costituivano numerose organizzazioni per la diffusione della Parola di Dio: una quindicina in quarantacinque anni tra Europa: Francia, Inghilterra, Scozia, Svizzera e Stati Uniti.[65]

Però quel «“Risveglio, disse Adolphe Monod, non è stato un risveglio perfetto, né un risveglio che abbia detto la sua ultima parola”. In ogni caso ciò che noi possiamo affermare è che nel 1850 l’era del Risveglio è ben chiusa».[66]

Se questo è valido per la vecchia Europa, il Risveglio prodottosi negli Stati Uniti ha avuto un seguito.

«Negli Stati Uniti la predicazione dell’avvento ebbe un carattere accentuato che prese presto delle proporzioni considerevoli. Alla sua testa, dall’inizio del movimento, si trovava il vecchio fattore e capitano di fanteria, William Miller, portato alla fede cristiana dallo studio personale e solitario della Bibbia. Fu assecondato dal dottore Josiah Litch, di Filadelfia, dal capitano di vascello Joseph Bates e dai pastori Charles Litch e Josué V. Himes, di Boston. Quest’ultimo fu incaricato di dirigere la pubblicazione di un giornale settimanale: The Signs of the Times, come pure di numerosi opuscoli che furono sparsi dappertutto, fino nelle missioni. D.T. Taylor riporta: “Centinaia di pastori furono guadagnati alla fede dell’avvento premillenario imminente. Diversi giornali settimanali furono fondati e, nello spazio di qualche anno, si videro negli Stati Uniti e in Canada millecinquecento predicatori e conferenzieri prestare la loro penna e la loro voce alla predicazione di questa speranza. Alle loro predicazioni sobrie, calme, ma solenni, accorrevano delle folle che se ne ritornavano stupefatte per quanto udivano. L’immagine espressiva della visione (di Giovanni) - “E gridò con gran voce, nel modo che ruggisce il leone” - corrisponde perfettamente alla potenza del messaggio annunciato, come alle sante emozioni e ai salutari timori di coloro che, sera dopo sera, ascoltavano le dimostrazioni e gli appelli vibranti dei predicatori».[67] La voce del leone ricorda che la parola del Signore conforta gli afflitti, ma distrugge gli oppositori, gli arroganti e coloro che si considerano potenti.

I seguaci di W. Miller, nella terra della bandiera a stelle e strisce, avevano due punti di riferimento certi, sicuri nella loro predicazione:

- l’insegnamento del ritorno di Gesù;

- 1844: fine dei 2300 anni profetici.

La purificazione del santuario, allo scadere delle 2300 sere e mattine, a che cosa si riferiva? Considerando che:

- il tempio di Gerusalemme era stato distrutto nel 70 d.C. e che quindi non c’era un altro tabernacolo sulla terra;

- Cristo Gesù sarebbe ritornato per realizzare il suo Regno, dare origine a nuovi cieli e nuova terra;

- non avendo compreso la realtà del santuario celeste, si identificava il santuario con la terra che veniva purificazione con il ritorno di Gesù;

era quindi naturale credere che allo scadere dei 2300 anni il Signore sarebbe ritornato a dividere i salvati da coloro che non lo sarebbero stati.

L’attesa del ritorno di Gesù per il 1844 si fondava su una data storica alla quale erano pervenuti studiosi di varie chiese sia d’Europa sia d’America. Come abbiamo scritto nel nostro capitolo XIII, una sessantina sono stati gli autori che hanno prodotto opere sostenendo la biblicità dello scadere dei 2300 anni per la fine della prima metà del XIX secolo, creando un movimento di pensiero non indifferente, notevole.

Dal momento che Gesù non ritornò per quella data, coloro che lo credettero ebbero una grande delusione.

Il pastore battista americano Walter R. Martin, scriveva: «In tanto che movimento religioso, l’Avventismo è sorto dal grande “risveglio” relativo al secondo avvento (del Cristo) che è apparso nel mondo religioso verso la metà del XIX secolo. Durante questo periodo particolare di sviluppo teologico, delle speculazioni sulla seconda venuta di Gesù Cristo erano abbastanza sparse in Europa, e i loro schemi di interpretazione profetica non tardarono a superare l’Atlantico e a penetrare negli ambienti teologici americani».[68]





La delusione predetta


«E la voce che io avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo e mi disse: “Vai a prendere il libro che è aperto in mano all’angelo che sta in piedi sul mare e sulla terra”. E io andai dall’angelo, dicendogli di darmi il libretto. Ed egli mi disse: “Prendilo e divoralo: esso sarà amaro alle tue viscere, ma in bocca ti sarà dolce come miele”. Presi il libretto di mano all’angelo e lo divorai; e mi fu dolce in bocca, come miele; ma quando l’ebbi divorato, le mie viscere sentirono amarezza».[69]



A. Barnes interpreta l’espressione «mangiare il rotolo» nel modo seguente: «Il significato qui è chiaro. Egli stava per impossessarsi del contenuto del libro e stava per riceverlo nella sua mente come noi facciamo per il cibo e per il nutrimento spirituale…».[70]

Ci sono diversi passi biblici citati dai contemporanei come parallelismi dell’esperienza del profeta. La dolcezza della parola di Dio è espressa nei Salmi XIX:10; CXIX:103. Nel mezzo della sua esperienza profetica Geremia esclama: «Appena ho trovato le tue parole, io le ho divorate e le tue parole sono state la gioia, l’allegrezza del mio cuore, perché il tuo nome è invocato su di me, o Eterno, Dio degli eserciti». Naturalmente la sua esperienza si è trasformata in amarezza quando ha trovato il rifiuto del popolo e la sua persecuzione.[71] Il parallelismo più diretto e citato viene dall’esperienza di Ezechiele,[72] simile a quella di Giovanni. Il profeta udì una voce che lo invitava a mangiare quello che gli era stato dato e vide una mano che gli porgeva un rotolo che fu aperto davanti a lui e vi lesse parole di lamento, di rammarico e guai. Rappresentavano il destino che il popolo avrebbe subito. Fu detto ad Ezechiele di mangiare il rotolo e di parlare alla casa d’Israele. Egli lo mangiò ed esso era dolce nella bocca. Ma se questa esperienza di Ezechiele fornisce il modello biblico più diretto per Apocalisse X, si deve tuttavia riconoscere una differenza in un particolare. Anche per Giovanni il rotolo è dolce in bocca, ma è amaro nelle viscere. J.M. Ford vede l’amarezza di Ezechiele nel fatto che «Israele non lo ascolterà».[73] R.H. Mounce dice che l’immagine «il dolce rotolo diventa amaro nello stomaco è un messaggio per la Chiesa. Prima del trionfo finale dei credenti deve passare attraverso un terribile travaglio».[74] Dovere ingerire un libro è una metafora che vorrebbe dire assimilare con delizia il contenuto.[75] Ora l’Apostolo rappresenta gli araldi del messaggio di Dio che vivono un momento dolce e glorioso, per poi passare all’amarezza crudele della delusione.

La differenza tra l’esperienza del mangiare la Parola dell’Antico Testamento e quella dell’Apocalisse consiste nel fatto che nell’Antico Testamento l’amarezza esprime il sentimento che hanno avuto coloro che hanno annunciato: «Così ha detto l’Eterno» e hanno avuto una reazione di indifferenza e di rigetto da parte di coloro che l’hanno ascoltata; il bruciore che sente Giovanni è quello che i credenti hanno avuto nel loro animo quale delusione tra la loro speranza di vedere il ritorno del Signore e la constatazione che la storia continuava.

In effetti, più la presenza e la potenza di Dio erano state sentite durante la predicazione del ritorno di Gesù e più i suoi risultati furono magnifici, più anche fu dolorosa e sconvolgente la prova che attendeva i fedeli, il giorno seguente il martedì 22 ottobre 1844.[76] Tristi, inconsolabili, dovettero riprendere le occupazioni e le abitudini quotidiane alle quali credevano avere detto un eterno addio.[77] La delusione tra gli avventisti americani fece sparire la maggioranza di coloro che credettero. Coloro che rimasero si divisero in tre gruppi. Il più numeroso rigettò tutto ciò che aveva sperato, creduto e professato; il secondo gruppo si mise a fare nuovi calcoli, costantemente smentiti dagli avvenimenti; il terzo, restando fedele sia all’attesa del Maestro sia alla data, rimasta inalterata del 1844, sottomise a uno studio approfondito la questione della “purificazione del santuario”.

L’epistola agli Ebrei riservava a loro una luce inattesa. Il “santuario” che doveva essere purificato alla fine dei tempi non era la nostra terra, ma il “santuario celeste”. La purificazione del santuario celeste, prefigurata dai riti e cerimonie della purificazione del santuario levitico corrispondeva a una fase del giorno del giudizio chiamata: l’ora del giudizio. È questa fase del giudizio che doveva essere conosciuta e proclamata al mondo intero, e non la data della sua chiusura e del ritorno del Signore.[78]

Riteniamo che la prima comprensione storica di questo testo di Apocalisse X in questa prospettiva sia avvenuta all’indomani delle grande delusione. H. Edson così scriveva: «Dopo colazione dissi ad uno dei miei fratelli: “Andiamo a vedere di incoraggiare qualcuno dei nostri fratelli”. Partimmo e, mentre attraversavamo un grande campo, mi fermai quasi a metà. Il cielo parve aprirsi davanti a me ed io vidi in modo chiaro e distinto che il nostro Sommo Sacerdote, anziché lasciare il luogo santissimo del santuario celeste per venire su questa terra il decimo giorno del settimo mese, alla fine dei 2300 giorni, entrò in quel giorno nella seconda stanza del santuario, dove aveva un’opera da compiere nel luogo santissimo di esso, prima di ritornare… La mia mente fu rivolta al capitolo X del libro dell’Apocalisse e potei vedere la visione che aveva parlato e che non mentiva. Il settimo angelo aveva cominciato a suonare la sua tromba. Noi avevamo mangiato il libretto che era stato dolce nella nostra bocca e amaro nelle nostre viscere, rendendo amaro l’intero nostro essere. Noi, pertanto, dovevamo profetizzare di nuovo».[79]

Se il libretto che viene mangiato da Giovanni, che raffigura la Chiesa, fosse quello presentato nei capitoli V e VI non si conoscerebbe quando questo libro abbia provocato dolcezza e amarezza.





Il sorgere di un movimento mondiale



«E mi fu detto: “Bisogna che tu profetizzi di nuovo sopra molti popoli e nazioni e lingue e re”».[80]



«Questa parola - che avrebbe potuto prevenire l’errore del 1844 - annunciava che l’opera era solo cominciata. Così, spiegato l’errore, il nuovo compito fu coraggiosamente intrapreso e perseguito, al punto che esso abbraccia oggi i cinque continenti del mondo. Prendiamo l’esempio degli apostoli. Sulla fede di tutto l’Antico Testamento e del passo di Daniele IX:24-26, essi avevano annunciato che “il tempo era compiuto”, ma senza accorgersi che nello stesso tempo si doveva realizzare la soppressione del Messia. Imbevuti della credenza popolare, essi attendevano, per la fine delle 70 settimane, un Messia Re che li avrebbe liberati dal giogo dei Romani. Come si sa, davanti alla crocifissione del Salvatore, essi conobbero una delusione vicina allo scoraggiamento. Ma questo sbaglio non dimostrava per nulla che le profezie annuncianti la gloria del Messia fossero menzogne, né che i discepoli non fossero i suoi inviati. Qualche giorno prima - in armonia con la profezia di Zaccaria - i dodici discepoli avevano acclamato Gesù entrante trionfalmente a Gerusalemme, cosa che essi non avrebbero fatto se avessero compreso la sorte che attendeva il loro Maestro e Amico. La loro ignoranza parziale compiva la profezia.

I credenti del 1844, pure, spinti da una volontà irresistibile, compirono la volontà di Dio, proclamando un messaggio basato su dei principi incontestabili. Il loro errore fu di accettare una interpretazione non controllata dei versetti 13 e 14 dell’VIII capitolo di Daniele. Lo studio del santuario celeste - studio che i teologi fino a quel momento non avevano ancora affrontato - fatto con lacrime e preghiere all’indomani della delusione, aprì davanti a loro degli orizzonti nuovi inondati di luce celeste. Pieni di gioia, animati da un coraggio senza limiti, si misero all’opera che era stata loro assegnata. Questo compito, più vasto, più potente, più universale del primo era formulato al versetto 11: “Bisogna che tu profetizzi di nuovo sopra molti popoli e nazioni lingue e re”».[81]

«Questo “ancora” (di nuovo), indica che in quel tempo tale testimonianza era già stata largamente fatta, ma bisognava ancora darla. La Chiesa durante il primo secolo annunciò l’evangelo alla parte del mondo civilizzato. Gli apostoli, e i loro immediati successori, erano stati presi dallo Spirito del loro Signore: “Andate in tutto il mondo”. Nessuna difficoltà, o pericolo, o opposizione arrestarono i loro progressi. Andarono avanti con la forza del loro glorificato Re, e conquistarono nel suo nome. Poteva sembrare ad alcuni che questo lavoro fosse finito. La storia della Croce era stata fatta conoscere dappertutto. Ma no. Il lavoro doveva continuare. Di nuovo l’opera doveva essere portata avanti in ogni luogo della terra dalla Chiesa. “Ancora”, con zelo, energia e con la consacrazione dei tempi apostolici. Non ci si deve fermare mai nel compire questo lavoro. Se la stanchezza, l’opposizione, la mancanza di successo, tentano di neutralizzare i suoi sforzi, si deve sentire ancora la voce dell’invito da parte di Dio, “ancora”, e così di giorno in giorno e di secolo in secolo ripetere la sua storia d’amore e chiamare le nazioni a inginocchiarsi ai piedi di Gesù. La sua è una grande missione, non deve mai cessare di lavorare; ancora “tu devi profetizzare di nuovo” fino a quando il mistero di Dio è compiuto e l’ultimo suono della tromba del settimo angelo annuncerà la sua opera finita e la gloria completa».[82]

Questa opera la ritroviamo presentata al capitolo XIV:6-13. Gesù aveva detto: «Quando questo evangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo allora verrà la fine».[83]

È evidente che la scena profetica va oltre a quella del tempo di Giovanni e quindi l’Apostolo rappresenta quelli che portano il messaggio nel tempo della fine. Del resto, sarebbe stato impossibile per Giovanni compiere in prima persona l’opera che qui viene presentata.

Charles ha notato: «È interessante che la sua elencazione (popoli, nazioni, lingue e re) ritorni sette volte in Apocalisse… Qui è data in forma diversa e basileusin-re è messo nel posto del phulais-tribù. I re sono quelli menzionati nel capitolo XVII:10-12. Il messaggio deve essere rivolto a pollois (molti)». Come J.M. Ford ha notato, «pollois, “molti”, si riferisce alla vastità del campo della missione, applicandosi non soltanto ad un impero, ma a una moltitudine di razze e regni e teste incoronate. Quindi interpretare questo come il mondo intero, sembra esprimere al meglio il significato di questo verbo».[84] Mounce evidenzia la natura di questo messaggio finale: «È l’atto finale nel grande dramma dell’attività creatrice e redentrice di Dio. Il significato della storia diventa cruciale al tempo della fine… La sua profezia è il culmine di tutte le profezie precedenti per il fatto che porta alla distruzione finale del male e all’inaugurazione dello stato eterno».[85]

Quest’opera in favore dell’umanità è compiuta dalla Chiesa che agisce in conformità alla purificazione del Santuario celeste e che ha ereditato e rivalutato le verità calpestate, riproponendo la grazia dell’evangelo nella sua integrità. Giovanni dice: «Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù».[86]

All’indomani della delusione quel gruppo di credenti aveva delle certezze: la Bibbia quale Parola di Dio, il ritorno di Gesù e l’importanza del messaggio profetico. Espulsi dalle numerose denominazioni del tempo conservavano le credenze e gli insegnamenti dottrinali del gruppo di appartenenza. La delusione fu fermento di riflessione, di studio della Bibbia, di confronto, creando un ecumenismo non dove ognuno continuava a credere alla propria tradizione, ma dove gli insegnamenti erano confrontati con quelli che Dio aveva detto. Così la delusione, drammatica per la realtà del momento, divenne salutare, fermento di vita in cui la verità dottrinale riemerse e la profezia divenne elemento di identità per la propria missione.



La settima tromba e il mistero di Dio


L’angelo giurando disse: «Ma nel giorno in cui il settimo angelo suonerà, quand’egli incomincerà a suonare, si compirà il mistero di Dio, come egli ha annunciato ai suoi servitori i profeti».[87]



«La settima tromba è unica perché annuncia la realizzazione della redenzione. È l’antitipica festa delle trombe che precedeva il giudizio finale nel quale avviene la ricompensa dei giusti e la retribuzione degli increduli alla venuta di Cristo».[88]

Come il suono di ogni tromba non ha manifestato un qualcosa che si è compiuto in un momento nella storia, ma il suono ha dato origine al divenire di fatti; come non è la durata di un istante l’effetto di una piaga, così il suono della settima tromba non è un semplice atto, ma indica l’inizio di un periodo di tempo. Scrive D.G. Barnhouse: «La voce del settimo messaggero è sentita per un periodo di tempo considerevole, “nei giorni della voce”. Non è un grido acuto e penetrante, ma un lungo giudizio prolungato».[89] Possiamo dire che la settima tromba ha iniziato a suonare a seguito dell’annuncio «non c’è più tempo» e quando finirà il suo suono si compirà il mistero di Dio. L’inizio del suono della tromba è garanzia di ciò che avverrà.

La VII tromba è quella finale, l’ultima. Giovanni scrive:



«Ed il settimo angelo suonò, e si fecero gran voci nel cielo, che dicevano: “Il regno del mondo è venuto ad essere del Signore nostro e del suo Cristo; ed egli regnerà nei secoli dei secoli”. E i ventiquattro anziani seduti nel cospetto di Dio sui loro troni si gettarono giù sulle loro facce e adorarono Iddio, dicendo: “Noi ti ringraziamo, o Signore Iddio onnipotente che sei e che eri, perché hai preso in mano il tuo gran potere, ed hai assunto il regno. Le nazioni s’erano adirate, ma l’ira tua è giunta, ed è giunto il tempo di giudicare i morti, di dare il loro premio ai tuoi servitori, i profeti, ed ai santi e a quelli che temono il tuo nome, e piccoli e grandi, e di distruggere coloro che distruggono la terra”.

E il tempio di Dio che è nel cielo fu aperto, e si vide nel suo tempio l’arca del suo patto, e vi furono lampi e voci e tuoni e un terremoto ed una forte gragnola».[90]



Osserva il professor S. Bacchiocchi: «È notevole che l’annuncio del giudizio sia seguito dall’apertura del luogo Santissimo nel tempio celeste dove l’arca del patto è vista. Questa è una chiara allusione al giorno dell’espiazione che trova la sua antitipica realizzazione nella venuta finale di Cristo come indicato dalla manifestazione dei segni cosmici della fine.[91] L’associazione dei segni della fine con il rituale del giorno delle espiazioni suggerisce che la venuta di Cristo rappresenta la realizzazione dell’antitipica disposizione dei peccati nella rappresentazione tipica del giorno dell’espiazione. È importante notare che la settima tromba è dipinta in modo differente dalle precedenti sei. Mentre il suono delle prime sei trombe annunciano dei giudizi sulla terra, il suono della settima tromba annuncia l’intronizzazione di Dio e il giudizio che avviene nel cielo. “Si fecero gran voci nel cielo, che dicevano: ‘Il regno del mondo è venuto ad essere del Signore nostro e del suo Cristo; ed egli regnerà nei secoli dei secoli’. Allora i ventiquattro anziani menzionati nel capitolo IV e V cadono in adorazione e cantano una lode che contiene tre temi principali.

Il primo tema è la celebrazione dell’intronizzazione di Dio: “Noi ti ringraziamo, o Signore Iddio onnipotente che sei e che eri, perché hai preso in mano il tuo gran potere, ed hai assunto il regno”. Questa ci ricorda il suono dello shofar nel giorno di Rosh Hashanah, che era un simbolo dell’intronizzazione di Dio. Il tema del giudizio e quello del regno sono strettamente connessi perché il re era intronizzato per giudicare i popoli.

Il secondo tema è l’annuncio del giudizio di Dio e la presentazione della sua ira per stabilire il suo regno di grazia nel mondo: “Le nazioni s’erano adirate, ma l’ira tua è giunta, ed è giunto il tempo di giudicare i morti”. Questo ci ricorda il giudizio che era annunciato dal suono delle trombe nel giorno del Rosh Hashanah. Il giudizio era di salvezza per coloro che si erano pentiti e di punizione per i peccatori impenitenti.

Terzo tema è la venuta del giudizio in favore dei giusti e la distruzione dei senza Dio. Il tempo è venuto “di dare il loro premio ai tuoi servitori, i profeti, ed ai santi e a quelli che temono il tuo nome, e piccoli e grandi, e di distruggere coloro che distruggono la terra”. Questo annuncia l’esecuzione del giudizio finale, alla venuta di Cristo rappresentato nell’antitipico giorno dell’espiazione. Infatti l’annuncio del giudizio è immediatamente seguito dall’apertura del luogo santissimo in cielo dove è vista l’arca del patto».[92]

Lo sviluppo del tema della settima tromba annuncia un giudizio sulla terra, l’intronizzazione di Dio quale inaugurazione del suo giudizio celeste.

Il tema del giudizio, la festa delle trombe e la settima tromba riteniamo che siano in relazione con il giudizio di Daniele VII:7-28.

S. Bacchiocchi osserva un triplice parallelismo tra questi due testi.

Primo: l’intronizzazione di Dio:

Daniele VII
Versetto 9: «Io continuavo a guardare fino al momento in cui furono collocati i troni, e un vegliardo si assise».
Apocalisse XI
Versetto 17: «I ventiquattro anziani lodavano Dio perché aveva incominciato a regnare».


Secondo: giudizio celeste:

versetto 10: «Il giudizio si tenne e i libri furono aperti».
Versetto 18: «È giunto il tempo di giudicare i morti».


Terzo: Dio vendica i santi e distrugge le potenze che Lo negano.

Versetto 11,22: «Guardai finché la bestia non fu uccisa e il suo corpo distrutto, gettato nel fuoco per essere arso… Finché non giunse il vegliardo e il giudizio fu dato ai santi dell’Altissimo, e venne il tempo che i santi possederanno il regno».
Versetto 18: «È giunto il tempo … di dare il premio ai tuoi servitori, i profeti e ai santi e a quelli che temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di distruggere quelli che distruggono la terra».


Questi tre temi sono seguiti in Daniele VII:13,14 dalla venuta del Figlio dell’uomo per stabilire il suo regno eterno. L’evento corrispondente nella settima tromba è l’apertura del luogo santissimo nel cielo che manifesta i segni cosmici in relazione all’avvento.[93]

I temi del giudizio nella festa delle trombe sono anche messi in relazione con il triplice messaggio di Apocalisse XIV.

«Questi messaggi sono gli appelli finali di Dio. Le trombe sono richiami all’umanità. Come i giudei annunciavano gli inizi del giudizio nella festa delle trombe con un massiccio suono dello shofar, così il primo angelo annuncia l’arrivo del tempo del giudizio con una “gran voce” dicendo: “Temete Dio e dategli gloria perché l’ora del suo giudizio è venuta”.

Il secondo angelo proclama il giudizio di Dio su Babilonia caduta quale raffigurazione della sbagliata adorazione nei confronti dalla falsa trinità: il dragone, la bestia ed il falso profeta.

Il terzo angelo avvisa le persone del giudizio punitivo di Dio su chiunque “adora la bestia e la sua immagine”.

Questi tre messaggi di giudizio sono seguiti dalla venuta del Figlio dell’uomo per la mietitura della terra.

La sequenza di questi avvenimenti è istruttiva.

Come il giudizio annunciato dalla festa delle trombe era seguito dalla purificazione finale dei credenti e la punizione degli increduli nel giorno dell’espiazione, così il giudizio annunciato dai tre angeli è seguito dalla salvezza dei credenti (rappresentati dalla raccolta del grano) e la punizione degli increduli (rappresentati dai grappoli d’uva gettati nel tino dell’ira di Dio) nel giorno della venuta di Cristo.[94]

Il tempo del messaggio di giudizio dei tre angeli è significativo. Viene, come è stato notato da John A. Bollier, tra la fine e l’inizio di due serie di giudizi (sette sigilli e sette trombe)[95] e l’inizio dell’ultima serie di giudizi (le sette piaghe, la punizione di Babilonia, della bestia, del falso profeta, di Satana e dei malvagi).[96] Questo significa che il giudizio celeste inizia prima del versamento delle sette ultime piaghe che terminano con la venuta di Cristo».[97]

«Mistero[98] significa qualcosa di formalmente nascosto e non ancora rivelato. Sembra qui denotare “l’intera proposta di Dio”, la felice soluzione di tutti i problemi della storia, la consumazione della divina promessa dell’ultima benedizione per il mondo, che costituiscono l’evangelo, la felice notizia che Dio ha “dichiarato ai suoi servitori i profeti”».[99]

Isaia invita: «Cercate l’Eterno, mentre lo si può trovare; invocatelo, mentre è vicino. Lasci l’empio la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; e si converta all’Eterno che avrà pietà di lui e al nostro Dio che è largo nel perdonare».[100]


23/03/2007 19:18
 
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«Ognuno di questi volumi (Daniele e Apocalisse) illumina l’altro. Come due specchi concavi messi parallelamente di fronte l’uno all’altro, con una fiamma nel centro, si gettano e si rigettano reciprocamente dei fasci potenti di luce, così i nostri due profeti (Daniele e Giovanni) posti di fronte l’uno all’altro, reciprocamente a gara si inviano dei fasci di luci» Louis Gaussen.[1]



GAUSSEN Louis - teol.prot. - Daniel le prophète, t. III, Paris 1849

Bisogna tenere presente che alcune convinzioni dei protestanti di allora,oggi,per fortuna,sono piu morbide...piu mitigate. [SM=g27823]

27/04/2007 19:24
 
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IL SORGERE DEL NUOVO MOVIMENTO MONDIALE...
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IL sorgere del nuovo movimento mondiale di Johannes Unificator Religio MUNDI di JURM Ben ISman.

Questo è il Tempo, facciamone parte.

Forza, Azioniamoci.

[Modificato da viadelpensiero 27/04/2007 19.25]

30/04/2007 01:01
 
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IL SORGERE DEL NUOVO MOVIMENTO MONDIALE...
Rivoluzione Spirituale Universale Jurmiana di JURM Ben ISman.

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Chiamo alla mobilitazione verso il cambiamento di una auspicabile rivisitazione interpretativa sulla vera natura umana delle origini.

Forza di amore infinito di pace infinita da contrapporre alla forza stridente di reazione estrema di una guerra infinita.

IL pensiero genera la parola esprime la volontà, attiva la scelta e mette in moto l'azione che in concreto apporta co-creazione sul piano sensibile dove il tutto viene animato dall'amore e dalla vita.

Oggi il potere mondiale vuole imporre il tutto globale, in una cosa possiamo accontentarlo apportando la rivoluzione del risveglio dell'essere in senso globale cosi che dando loro ragione li scontenteremo di sicuro.

IL libero arbitrio è assoluto e limitato all'individuale presa di consapevolezza presente nell'essere.

viadelpensiero
Giovanni Ioannoni
Jurm Ben ISman
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