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La vita su Marte potrebbe essere esistita appena 200 mila anni fa

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    wheaton80
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    00 30/04/2014 01:22



    L’acqua scorreva sulla superficie di Marte appena 200 mila anni fa. A suggerirlo è una nuova ricerca guidata dal dottor Andreas Johnsson dell’Università di Göteborg in Svezia, i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Icarus. Le osservazioni di un giovane cratere nell’emisfero meridionale del pianeta hanno rilevato la presenza di canaloni ben definiti ricchi di depositi di sedimenti e che i ricercatori ritengono essere stati scavati dall’acqua corrente. Si stima che il cratere non sia più antico di 200 mila anni, quindi significa che queste caratteristiche modellate dall’acqua devono essere apparse non più tardi di allora. Johnsson ritiene che il cratere si sia formato molto tempo dopo l’ultima era glaciale su Marte, conclusasi circa 400 mila anni fa.
    “Depressioni nel terreno sono comuni su Marte, ma quelle che sono state studiate in precedenza sono antiche e i sedimenti sono associati con la più recente glaciazione”, spiega Johnsson. “Il cratere oggetto del nostro studio, invece, è troppo giovane per essere stato influenzato dalle condizioni che erano prevalenti allora. Questo suggerisce che i canali e i depositi in essi contenuti si sono formati in tempi più recenti”. Il cratere ha caratteristiche simili alle colate detritiche osservate sulla Terra, causate dal materiale trasportato e poi depositato dall’acqua in rapido movimento. Come spiegato nell’articolo comparso sul sito dell’Università di Göteborg, le formazioni marziane sono state confrontate con alcune colate detritiche note sulle isole norvegesi Svalbard, nel Mar Glaciale Artico. “Il lavoro sul campo alle Svalbard ha confermato la nostra interpretazione dei depositi marziani”, continua il dottor Johnsson. “Quello che ci ha sorpreso è che il cratere in cui si sono formate queste colate detritiche è molto giovane”. “Quando abbiamo osservato il cratere, il mio primo pensiero è che l’acqua fosse stata prodotta dal disgelo del ghiaccio conservato all’interno del suolo”, continua Johnsson.

    “Ma quando abbiamo guardato più da vicino, non abbiamo trovato faglie o fratture nel cratere che possano aver funzionato come condotti per l’acqua di disgelo. È più probabile che l’acqua provenga dallo scioglimento di banchi di neve, in un periodo che permetteva la sua formazione. Questo è possibile, dal momento che l’asse orbitale di Marte era più inclinato in passato rispetto ad oggi”. La ricerca di acqua su Marte è stato uno degli obiettivi più importanti degli ultimi 50 anni di esplorazione spaziale. La prima prova della presenza d’acqua sul Pianeta Rosso fu fornita dalla missione Mariner, giunta su Marte nel 1971. Le foto mostrarono segni di erosione geologica tipica dell’acqua allo stato liquido. Successivamente, le osservazioni delle sonde Viking hanno provocato una rivoluzione sulle idee che gli scienziati avevano sulla presenza d’acqua su Marte, mostrando come le inondazioni hanno sfondato dighe e scavato profonde valli, segni di un possibile cataclisma planetario. Recentemente, la Nasa ha rilasciato un video per illustrare il drammatico cambiamento climatico avvenuto su Marte, nell’ambito della missione MAVEN (Atmosphere and Volatile Evolution), finalizzata a comprendere cosa sia accaduto al pianeta nostro cugino. Oggi Marte è un mondo deserto, freddo e sterile, senza alcun segno di vita, almeno in superficie. Tuttavia, miliardi di anni fa, quando il Pianeta Rosso era giovane, doveva esserci una spessa atmosfera ed essere abbastanza caldo da sostenere oceani di acqua liquida, un ingrediente fondamentale per la vita. Ora la ricerca del dottor Andreas Johnsson suggerisce che queste condizioni planetarie non necessariamente devono risalire a miliardi di anni fa, ma probabilmente ad appena 200 mila anni fa, cioè quando qui sulla Terra i Neanderthal muovevano i primi passi. Forse, l’evento catastrofico che ha ucciso Marte è molto più recente di quanto non si pensasse.

    www.youtube.com/watch?v=sKPrwY0Ycno#t=14

    29 aprile 2014
    www.ilnavigatorecurioso.it/2014/04/29/la-vita-su-marte-potrebbe-essere-esistita-appena-200-mila-...
    [Modificato da wheaton80 30/04/2014 01:33]
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    wheaton80
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    00 12/10/2014 01:32
    Marte - In una fotografia del Rover Opportunity il simbolo di una Croce Celtica



    Un misterioso simbolo è stato ritrovato in una roccia su Marte. La foto scattata dal Mars Rover Opportunity mostra quello che sembra essere un simbolo a forma di Croce Celtica o croce irlandese.





    Le croci celtiche, o croci irlandesi, sono state ampiamente utilizzate da molti popoli antichi, molto prima dell’arrivo del cristianesimo. Il significato più comunemente assegnato a questo simbolo è quello solare, unito ad un significato di tramite e collegamento tra mondo terreno e mondo celeste, dovuto al fatto che sovente l’asse orizzontale viene ricondotto alla rappresentazione della dimensione terrena mentre quello verticale alla dimensione celeste.




    il simbolo di una croce celtica fotofrata su un muro all’interno di un antico cimitero celtico

    Nell’analisi del simbolo della croce celtica è importante porre attenzione sul centro della croce, il punto fisso che tutte le tradizioni sono concordi a designare simbolicamente come il Polo, perché è attorno ad esso che si effettua la rotazione del mondo, rappresentata generalmente dalla ruota, sia presso i Celti sia presso i Caldei e gli Indù. Il simbolo ritrovato su una roccia marziana, cosa sta ad indicare? Forse si tratta di un’antica razza extraterrestre che ha portato questo simbolo sul pianeta terra come un segno di vita eterna?

    www.youtube.com/watch?v=yjHcNoHzj30&list=UURDVBHaAnhAhh2y...

    www.segnidalcielo.it/marte-in-una-fotografia-del-rover-opportunity-il-simbolo-di-una-croce-...

    [Modificato da wheaton80 12/10/2014 01:34]
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    wheaton80
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    00 08/12/2015 02:43
    "La NASA sta nascondendo una cupola aliena su Marte"



    Un gruppo di cacciatori di UFO accusa la NASA. Un'accusa pesante e tutt'altro che campata in aria. Secondo gli esperti, l'agenzia spaziale statunitense avrebbe nascosto i resti archeologici di un'antica civiltà marziana. A provarlo ci sarebbero fotografie e filmati veri perché di proprietà della stessa NASA. Uno degli scatti incriminati immortalerebbe una "cupola" artificiale, ripresa dal Rover Opportunity, probabilmente costruita quando su Marte c'era ancora vita. "È un’immagine straordinaria - spiegano gli ufologi - La cupola sembrerebbe riflettere la luce del sole, quindi non si tratterebbe di una roccia ma di una costruzione in metallo". "Noi lo abbiamo sempre detto che Marte era abitato", tuona il gruppo di cacciatori di UFO. Che, però, non esclude anche un'altra ipotesi:"E se la NASA avesse messo a punto un programma spaziale segreto con tanto di flottiglia spaziale a supporto?". A riprova di questa tesi ci sarebbero, infatti, le numerosissime testimonianze della presenza di strutture molto simili sulla Luna. Sulla superficie lunare, però, quelle che possono sembrare strutture artificiali sono il risultato di migliaia di anni di impatti di meteore e asteroidi. Nel novembre 2014, una astronauta aveva raccontato alla Coast to Coast AM di aver preso parte al progetto Viking terminato nel 1982, come membro di un team segreto. "Sono 27 anni che vivo con un dubbio nato durante la missione Viking - aveva svelato alla radio americana - Ho visto due figure umanoidi vestite come astronauti camminare su Marte. Si sono avvicinate al Viking Explorer, poi la trasmissione si è interrotta". La NASA non ha confermato le rivelazioni dell'astronauta ma non le ha nemmeno smentite. Anche perché il team era formato da altre sei persone.

    Sergio Rame
    02/12/2015
    www.ilgiornale.it/news/cronache/nasa-sta-nascondendo-cupola-aliena-su-marte1200...
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    wheaton80
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    00 05/02/2016 22:31
    "La NASA sta nascondendo una ‘cupola’ aliena su Marte". Un gruppo di cacciatori di UFO accusa l'agenzia spaziale

    Un gruppo di cacciatori di UFO accusa la NASA di nascondere i resti archeologici di un'antica civiltà marziana (http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-3339949/Mystery-DOME-Mars-Alien-hunters-say-structure-built-ancient-civilisation-red-planet.html?ito=social-facebook). Ma non è un'accusa campata per aria: ad avvalorare la loro tesi, riporta il Daily Mail, ci sono foto e video, tutti provenienti dalla stessa agenzia spaziale americana, quindi vere. Ultima, solo in ordine di tempo, la scoperta di una ‘cupola’ artificiale ripresa dal Rover Opportunity, probabilmente costruita quando su Marte c'era ancora vita. Oppure è una testimonianza di una razza aliena? Un'immagine, a detta degli ufologi, dal valore straordinario, anche perché la cupola sembrerebbe riflettere la luce del sole, quindi non si tratterebbe di una roccia ma di una costruzione in metallo. I complottisti del WEB si sono scatenati e si sono uniti al coro di "noi lo abbiamo sempre detto che Marte era abitato". Gli UFO hunters non escludono un'altra ipotesi: e se la NASA avesse messo a punto un programma spaziale segreto con tanto di flottiglia spaziale a supporto? Le possibilità ci sono, affermano gli ufologi, perché se è vero che è la prima cupola a essere stata scoperta su Marte, abbiamo numerose testimonianze circa la presenza di strutture simili sulla Luna. Bisogna, però, sottolineare che, per quanto riguarda la superficie lunare, quelle che possono sembrare strutture artificiali sono in realtà il risultato di migliaia di anni di impatti di meteore e asteroidi.



    Proprio un anno fa, a novembre, una donna di nome ‘Jackie’ aveva rilasciato un'intervista a una radio americana, la Coast to Coast AM, in cui affermava di aver partecipato al progetto Viking, terminato nel 1982, come membro di un team segreto (http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-2852829/Was-secret-manned-mission-Mars-1979-Former-Nasa-employee-claims-saw-suited-men-running-red-planet.html).



    La telefonata ha da subito attirato le attenzioni dei complottisti del WEB, in particolare dopo aver sentito la sua testimonianza:"Sono 27 anni che vivo con un dubbio - dice la donna - nato durante la missione Viking. Ho visto due figure umanoidi vestite come astronauti camminare su Marte". "Si sono avvicinate al Viking Explorer, poi la trasmissione si è interrotta", ha concluso la donna. La NASA non ha né confermato né smentito quanto raccontato da ‘Jackie’, la quale non sarebbe l'unica persona ad aver assistito alla scena: con lei ci sarebbero statI altri sei membri del team.



    Quel che è certo è che la cupola non sembra essere una formazione naturale dal momento che, secondo ufologi e cacciatori di UFO, la struttura differisce per colore e forma dalle rocce circostanti l'area. Anche l'occhio più scettico trova difficoltà a spiegare cosa effettivamente il Rover Opportunity abbia fotografato. Si tratta veramente di una cupola, oppure è un'illusione a cui vogliamo credere per dare finalmente risposta alla domanda che da secoli assilla la razza umana? Siamo soli nell'Universo?

    01/12/2015
    www.huffingtonpost.it/2015/12/01/nasa-cupola-aliena-marte_n_8687...
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    wheaton80
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    00 04/03/2018 01:42
    UFO:“Strano oggetto sul suolo di Marte, scoperto un condotto?”



    “Ancora una volta”, si legge in un Comunicato Stampa, “il cacciatore di UFO (ufologo) Maggioni Angelo, fondatore di A.R.I.A., Associazione Ricerca Italiana Aliena, indaga su un misterioso oggetto. Questa volta”, spiegano, “l’oggetto non è un UFO, e dunque un oggetto volante non identificato che scruta i nostri paesaggi, città e persone; non sono le sfere ad aver attirato la sua attenzione e non è l’ipotetica base aliena alle spalle di Savona: questa volta il cacciatore di UFO più attivo d’Italia è stato attirato da uno strano oggetto che si trova sul suolo di Marte.

    Che questo pianeta nasconda misteri e stuzzichi le teorie tra le più fantasiose nel panorama ufologico”, scrivono, “ne eravamo convinti, ma Maggioni oggi ci propone una foto postata dalla NASA stessa e che sembra rivelare una strana costruzione; l’ufologo fa notare come la struttura evochi un condotto tipo quelli dell’aria, acqua o gas esistenti anche sulla Terra; il colore, non compatibile con il panorama attorno, fa sorgere dubbi che sia roccia, troppo lucido e liscio, e la sua forma allungata e rotonda non lascia troppi dubbi, seppur emerga per metà dal suolo (anche i tentativi di mimetizzare l’oggetto stesso); strano anche, prosegue Maggioni, che la stessa struttura sfoci in un punto dove non vi sono rocce ma solo polvere di sabbia, un pò come se fosse stato calcolato per non avere impedimenti nel suo ingresso.



    Un condotto? Se fosse così, spiegano, è difficile pensare a cosa possa trasportare, se liquidi o solidi o persone. E ancora, questa struttura appartiene ad altre strutture in rovina su Marte o è una struttura che si collega col sottosuolo e porta a civiltà nascoste ancora oggi esistenti? L’ufologo rammenta anche che questo potrebbe confermare la versione di Boriska, il bambino russo che afferma di provenire da Marte e di essere stato nelle città sotto terra abitate da civiltà evolute. Il cacciatore di UFO”, prosegue il Comunicato, “ne è convinto: su Marte dobbiamo ancora scoprire la verità e la sua vera natura; tutto quello che ci hanno propinato fino ad oggi è fumo negli occhi, ma gli americani sanno molto di più, tanto che l’ufologo è convinto che Marte sia stato già occupato dalle forze americane da almeno 40 anni... Ma questa è un’altra storia”, conclude la nota. “Rimane il mistero del condotto su Marte...”.

    Antonella Petris
    05.01.18
    www.meteoweb.eu/foto/ufo-oggetto-marte-condotto-ricerca-alieni-foto/id/10...
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    wheaton80
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    00 27/07/2018 00:48
    C’è acqua liquida sotto il ghiaccio di Marte

    Su Marte ci sono riserve di acqua liquida permanenti. Un team tutto italiano, costituito da ricercatori dell’’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Università di Roma Tre, CNR, Università di Chieti e Università di Roma La Sapienza, ha reso pubblica la scoperta di un bacino d’acqua allo stato liquido sotto la calotta di ghiaccio del Polo Sud marziano. Un lago, dunque, situato a circa un chilometro e mezzo sotto la superficie ghiacciata del pianeta rosso, largo una ventina di chilometri e profondo almeno qualche metro è stato individuato grazie ai dati raccolti da Marsis (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding), il radar a bassa frequenza (anch’esso un’idea italiana) installato a bordo della sonda europea Mars Express. “È un momento davvero intenso per noi”, confida a Wired Enrico Flamini, professore di planetologia presso l’Università di Chieti-Pescara e responsabile di progetto dell’esperimento Marsis per l’ASI. “Sappiamo ormai da tempo che in passato la superficie di Marte deve essere stata solcata da fiumi e laghi. Che su Marte, poi, ci sia acqua sotto forma di ghiaccio è un dato assodato, così come si sa che in determinati periodi come l’estate marziana è possibile che ci sia acqua allo stato liquido, anche se solo momentaneamente. Tuttavia, nessuna evidenza di bacini d’acqua liquida stabili e tuttora sussistenti era ancora stata trovata”. Già alla fine degli anni ’90 circolavano nella comunità scientifica ipotesi per cui l’acqua allo stato liquido potesse trovarsi sotto la superficie del pianeta rosso, penetrata magari nel suolo a occuparne le cavità, così come avviene anche sulla Terra. Ma come scovarla? “Nel ’96”, racconta Flamini, “l’Asi propose all’Agenzia spaziale europea (Esa), che stava progettando la missione Mars Express, di installare sulla sonda un radar a bassa frequenza, cioè uno strumento a onde radio dell’ordine dei megahertz in grado di penetrare sotto la superficie arida e fredda di Marte”. Il segnale sarebbe rimbalzato restituendo un’eco tipica che avrebbe dato informazioni sulla composizione del sottosuolo marziano. “L’acqua liquida in particolare”, spiega Flamini, “si comporta come uno specchio e riflette fortemente il segnale radio, diversamente da quanto invece avviene per il ghiaccio, le rocce e la sabbia”. La missione Mars Express è partita nel 2003 con la messa in orbita della sonda, e Marsis (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding, questo il nome del radar frutto dell’ingegno nostrano) ha iniziato a raccogliere dati a partire dal 2005.

    “Ci sono voluti diversi anni per conoscere davvero Marsis, perché si trattava di uno strumento del tutto nuovo e bisognava capire come utilizzarlo al meglio”, riferisce Flamini. “E alla fine, negli ultimi 6-7 anni, abbiamo cominciato a sospettare qualcosa: sempre da una certa area al di sotto della calotta ghiacciata del Polo Sud del pianeta arrivavano segnali molto intensi. Acqua, a intuito, ma ovviamente non potevamo basarci solo su quello”. Così il team ha messo sotto stretta sorveglianza quella regione larga circa una ventina di chilometri a oltre un chilometro di profondità sotto la superficie di ghiaccio, sommando cinque anni di dati, raccolti durante le differenti stagioni marziane e a diverse inclinazioni dell’orbita, in modo tale da eliminare il più possibile il rumore che avrebbe potuto generare falsi segnali. E la conclusione, secondo gli esperti, non può che essere una sola: lì c’è un bacino di acqua liquida. Qualcuno potrebbe obiettare che a una temperatura media che si pensa possa aggirarsi attorno ai -68°C ci dovrebbe essere ghiaccio. “Però dai nostri dati sappiamo che è acqua liquida”, conferma Flamini. L’ipotesi è che ci siano più fattori che concorrono ad abbassarne il punto di fusione, cioè la temperatura alla quale l’acqua passa dallo stato solido a quello liquido. In primis il fatto che, a dirla tutta, non sia solo acqua:“E' più una sorta di salamoia in cui sono disciolti sali di magnesio, sodio e calcio, che agiscono come un antigelo”, argomenta Flamini. A questo si aggiunge la differente pressione a cui il fluido è sottoposto, dal momento che si trova nel sottosuolo, e che non si sappia esattamente quale sia la temperatura a quelle profondità. La scoperta rappresenta di certo un passo avanti nella modellizzazione di Marte, confermando che è rimasta acqua allo stato liquido sotto la sua superficie. Ma è anche la dimostrazione dell’esistenza di un ambiente protetto in cui sono presenti molecole (acqua e sali) che costituiscono elementi favorevoli alla vita. E adesso? “Marsis è in salute e continua a raccogliere dati, che saranno presto pubblici, accessibili a tutti”, risponde Flamini. “Quello che noi abbiamo messo a punto è un metodo d’indagine, che potrà essere applicato da altri gruppi di ricerca per continuare a svelare i segreti di Marte”.

    Mara Magistroni
    25 luglio 2018
    www.wired.it/scienza/spazio/2018/07/25/acqua-liquida-ghiacci...
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    wheaton80
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    00 23/10/2018 23:58
    Marte, nell'acqua c'è ossigeno per sostenere la vita

    C'è ossigeno sufficiente per ospitare la vita nell'acqua salata che si trova nel sottosuolo di Marte, compreso il lago scoperto dal radar italiano Marsis, della sonda europea Mars Express. Lo indica la ricerca del California Institute of Technology (Caltech) pubblicata sulla rivista Nature Geoscience. I calcoli fatti dal gruppo di Vlada Stamenković indicano che l'ossigeno potrebbe sostenere la vita di microrganismi e animali più complessi, come spugne. Finora forme di vita in grado di respirare ossigeno su Marte si ritenevano impossibili perché l'atmosfera del pianeta è poverissima di questo gas. Adesso lo scenario cambia completamente perché aumentano le probabilità che nell'acqua marziana ci siano le condizioni per ospitare microrganismi con un metabolismo basato sull'ossigeno. I ricercatori del Caltech hanno calcolato la quantità di ossigeno che può essere disciolta nell'acqua salata, in diverse condizioni di pressione e temperatura, presenti nel sottosuolo di Marte, compreso il lago salato che si trova alla profondità di un chilometro e mezzo. “I nostri calcoli indicano”, scrivono gli studiosi nell'articolo, “che in un serbatoio d'acqua salata di questo tipo ci potrebbero essere elevate concentrazioni di ossigeno disciolto”. Secondo lo studio, inoltre, le concentrazioni di ossigeno sono particolarmente elevate nel sottosuolo delle regioni polari. “Non sappiamo se Marte abbia mai ospitato la vita”, rilevano i ricercatori del Caltech, ma “i nostri risultati” estendono la possibilità di cercarla, indicando che le forme di vita basate sull'ossigeno sul pianeta rosso potrebbero essere possibili, a differenza di quanto si credesse finora. Il risultato estende anche le opportunità per la caccia alla vita su altri pianeti e lune che ospitino sacche di acqua salata o oceani sotterranei, come le lune di Saturno e Giove coperte di ghiacci: Encelado ed Europa.

    Billi, si estende la gamma dei possibili microrganismi
    Non solo batteri capaci di vivere in condizioni estreme: la presenza di ossigeno nell'acqua di Marte dimostrata dalla ricerca pubblicata sulla rivista Nature Geoscience amplia la gamma delle possibili forme di vita che il pianeta rosso potrebbe ospitare: così commenta la scoperta l'astrobiologa Daniela Billi, dell'università di Roma Tor Vergata. “I requisiti per l'abitabilità delle brine su Marte si arricchiscono ora della possibile presenza di ossigeno, indispensabile però alle sole forme di vita che lo utilizzano per la respirazione”, osserva Billi. “Questa possibilità”, prosegue, “amplia i possibili metabolismi presenti su Marte”. Finora, infatti, si riteneva che sul pianeta rosso potessero vivere soltanto microrganismi simili ai batteri che sulla Terra vivono in ambienti privi di ossigeno, chiamati metanogeni, che utilizzano l'idrogeno molecolare anziché l'ossigeno come fonte di energia.

    Pettinelli, condizioni finora considerate impossibili
    Finora forme di vita in grado di respirare ossigeno su Marte si ritenevano impossibili perché la sottile atmosfera del pianeta è poverissima di questo gas, ha rilevato Elena Pettinelli, dell'Università Roma Tre, che aveva partecipato all'analisi dei dati del radar Marsis. Si pensava perciò che sul pianeta rosso potessero vivere soltanto microrganismi simili ai batteri della Terra, tipici degli ambienti privi di ossigeno. I nuovi calcoli, ha osservato l'esperta, indicano che l'acqua salata di Marte che si trova poco al di sotto della superficie può catturare l'ossigeno a condizione che periodicamente riesca a entrare in contatto con l'atmosfera, per esempio attraverso fessure della crosta, “proprio come fanno i mari terrestri”.

    Saladino, sarebbero comunque forme di vita estremofile
    I ricercatori del Caltech hanno calcolato la quantità di ossigeno che potrebbe essere disciolto nell'acqua salata di Marte “considerando alcune delle principali variabili che controllano il processo di assorbimento del gas, come temperatura, concentrazione delle soluzioni saline, natura dei sali disciolti e la latitudine”, spiega il chimico organico Raffaele Saladino, dell'Università della Tuscia. Il risultato mostra “la possibilità che quantità sensibili di ossigeno possano accumularsi nelle acque salate, soprattutto in corrispondenza delle regioni polari, dove sussistono le condizioni ambientali più favorevoli". La presenza di ossigeno disciolto, secondo l'esperto, “potrebbe, in principio, sostenere forme di vita primordiali” che respirano l'ossigeno, “ma dovrebbero essere estremofile, ovvero richiedere elevate concentrazioni saline e basse temperature per replicarsi”.

    22 ottobre 2018
    www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2018/10/22/martenellacquaceossigenopersostenerelavita_7ecd9c13aab34a22b47add8d106532dc.htmlfbclid=IwAR0hu_kPmrZwSgmaqkWaWFD26GGSH-ju1HKPDi2Ef2K8CoCabSp...
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    wheaton80
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    00 30/09/2020 14:53
    Su Marte c’è una rete di laghi salati. Straordinaria scoperta degli scienziati italiani

    Sul pianeta rosso c’è acqua. Ma questo è già stato appurato due anni fa dagli scienziati italiani che individuarono un grande lago di acqua limpida e probabilmente salata sotto il Polo Sud di Marte. Quanto scoperto oggi, sempre dagli scienziati italiani, è però ancora più straordinario e per certi versi incredibile. Sul pianeta rosso c’è una una vera e propria rete di laghi salati, almeno altri tre attorno a quello scoperto nel 2018. Di conseguenza è sempre più probabile che su Marte vi siano esseri viventi, per quanto microscopici.

    Una scoperta tutta italiana

    Il gruppo italiano autore della scoperta, e che ha pubblicato un primo studio a riguardo sulla rivista Nature Astronomy, è coordinato da Elena Pettinelli e Sebastian Emanuel Lauro, dell’Università di Roma Tre, con Roberto Orosei, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Al lavoro hanno partecipato i ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e altri scienziati italiani che lavorano in Australia (University of Southern Queensland) e Germania (Jacobs University di Brema). La rete di laghi è stata rinvenuta con il radar Marsis, messo a disposizione dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) per la missione Mars Express dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Dunque, dicevamo, questa scoperta potrebbe riscrivere completamente la storia del clima sul pianeta rosso e portare alla luce forme di vita elementare.

    Ampio sistema idrico
    “Rispetto al 2018 abbiamo allargato molto l’area di studio e utilizzato un diverso metodo di analisi, ora i dati indicano che esiste un sistema idrico più ampio“, ha dichiarato Elena Pettinelli all’Ansa. Difatti due anni fa la ricerca era stata effettuata su un’area di 20 chilometri quadrati, adesso invece è stata condotta su un’area di ben 250 chilometri per 330. Oltretutto “il fatto che ci siano strutture idrologiche complesse suggerisce che possano essercene altre“, afferma Pettinelli. “La scoperta del 2018 è stata solo la prima prova di un sistema molto più ampio di corpi idrici liquidi nel sottosuolo marziano: è esattamente quello che avrei sperato, un grande risultato, davvero!”, osserva raggiante Enrico Flamini, Presidente della Scuola Internazionale di Ricerche per le Scienze Planetarie (IRSPS) presso l’Università di Chieti-Pescara e tra gli autori della ricerca del 2018.

    Forme di vita possibili
    Mentre il responsabile scientifico del radar Marsis, Roberto Orosei, parla esplicitamente della possibilità di rinvenire forme di vita:"La scoperta di un intero sistema di laghi implica che il loro processo di formazione sia relativamente semplice e comune, e che questi laghi probabilmente siano esistiti per gran parte della storia di Marte. Per questo", dice Orosei, "potrebbero conservare ancora oggi le tracce di eventuali forme di vita che abbiano potuto evolversi quando Marte aveva un’atmosfera densa, un clima più mite e la presenza di acqua liquida in superficie, similmente alla Terra dei primordi”.

    Alessandro Della Guglia
    28 settembre 2020
    www.ilprimatonazionale.it/scienza-e-tecnologia/marte-rete-laghi-salati-straordinaria-scoperta-scienziati-italiani...
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    wheaton80
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    00 21/11/2020 23:02
    Caccia alla vita su Marte mentre spunta un motore da jet



    Siamo dunque alle porte di un mese intenso per quanto riguarda le partenze verso Marte, che sembra diventato la meta di un esodo turistico ferragostano (perlomeno prima che ci imponessero lockdown e dintorni). Sono ben tre infatti le missioni che dal 15 luglio (cominciano da “Hope” dei debuttanti Emirati Arabi Uniti) prenderanno la direzione del Pianeta Rosso. Dopo gli arabi toccherà ai cinesi (fine luglio), quindi toccherà, in una finestra dal 30 luglio al 15 agosto, agli USA: gli americani spediranno il quinto rover della NASA e Perseverance (questo il suo nome) porterà con sé pure il primo elicottero marziano. Tutte queste missioni avranno un ampio spettro scientifico, ma una particolare attenzione sarà riservata alla ricerca di tracce di acqua e a eventuali segnali di forme di vita. Ma intanto c’è chi continua a scandagliare foto ed altre evidenze che riguardano il pianeta (si parla di fonti ufficiali, ovvero di immagini rilasciate dalla NASA). Ed ecco così che Scott Waring, ufologo piuttosto controverso ma tenacissimo (anche di fronte alle critiche), lo scorso 7 luglio sostiene di aver fatto una scoperta interessante nella zona del cratere Gale (ma la foto risalirebbe al 2014): un oggetto che sembra molto simile a un motore a reazione. “Sembra vecchio e ammaccato, oltre che ricoperto di polvere, ma le sue forme sono inequivocabili. Di sicuro era parte di una struttura tecnologicamente molto avanzata, mentre sulla Terra si era al massimo nella preistoria. Chi viveva su Marte aveva dei motori ben più avanzati dei nostri attuali”.

    Flavio Vanetti
    14 luglio 2020
    misterobufo.corriere.it/2020/07/14/cinegiornale-bufo-63-caccia-alla-vita-su-marte-mentre-spunta-un-motore...
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    00 25/01/2021 20:13
    Qui Marte, torna d’attualità la foto di un possibile scheletro. E si riapre il dibattito su altre immagini: pareidolia o no?







    “La sonda interstellare Mythos 3 toccò terra sul terzo pianeta di un sistema solare verso il bordo del Braccio di Orione dopo un viaggio nel cosmo durato circa 20 anni. La sua trivella meccanica si mise in azione poco dopo. Cercava le prove dell’esistenza della vita su quel pianeta qualche milione di anni prima. Poldino scese la scale d’ingresso della villetta dove viveva con la sua famiglia per raggiungere il giardino e trovò nel bel mezzo quell’insolito giocattolo. Forse era caduto dalla slitta di Babbo Natale. Dapprima lo scrutò con curiosità, poi si avvicinò, quindi lo afferrò e lo rovesciò mandandolo in pezzi…”. Scusate il preambolo fantascientifico, ma era per introdurre il tema della vita su Marte. Vita umana questa volta, e il pretesto me lo ha dato un articolo segnalato di recente dal CUN, anche se risalente a qualche anno fa. Su una roccia di Marte è impressa l’immagine di un umanoide fossilizzato, ma non è l’unica testimonianza di questo genere sul Pianeta Rosso.



    Ne ho raccolte un certo numero negli ultimi anni dai rover marziani Curiosity e Opportunity. Foto che lasciano talora sbalorditi se le raffrontiamo con immagini analoghe sulla Terra, ad esempio a Pompei. Il “buon senso” ci suggerisce che si tratta di pareidolie, perché quando la scienza non sa o non vuole dare risposte, tira fuori dal cilindro la pareidolia, quale forbito e colto succedaneo al gioco delle tre carte… Dire pareidolia è come fare la “supercazzola”, perché è un parola di per sé priva di significato, nel senso che spiega quello che un oggetto non è, senza dimostrare che cosa in effetti sia, dimenticando che il compito principale della scienza è quello di interpretare la realtà e non di negarla. Detto questo, lascio a voi il giudizio sulle immagini che mi appresto a pubblicare. Sono immagini che alcuni di voi già conoscono perché ho avuto modo di divulgarle alcuni anni fa su questo blog. Nessuno, fino a oggi, ha saputo darne una spiegazione credibile oltre appunto alla pareidolia…

    Tetricus









    Flavio Vanetti
    23 gennaio 2021
    misterobufo.corriere.it/2021/01/23/qui-marte-torna-dattualita-la-foto-di-un-possibile-scheletro-e-si-riapre-il-dibattito-su-altre-immagini-pareidol...
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    wheaton80
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    00 22/09/2021 17:44
    Quella strana “base” su Marte che appare su Google Mars e il legame con il progetto Redsun



    Parlammo già su questo blog del progetto Solar Warden ma esistono notizie su un altro progetto della NASA, o forse di un’entità ultrasegreta di cui la NASA è soltanto l’utile coperchio. Mi riferisco al Project Redsun, che sembra prendesse vita nei primi anni Settanta dello scorso secolo e che doveva portare un equipaggio umano su Marte. Pare che fossero state due le missioni sul Pianeta Rosso e che ad esse partecipò l’allora Unione Sovietica con un astronauta. Il comando della prima missione fu affidato nientemeno che agli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin, coadiuvati dal russo Vladimir Ilyushin, con il compito di raccogliere quanti più dati possibile per preparare un futuro atterraggio sulla superficie del pianeta. Fu utilizzato allo scopo un razzo Saturn V potenziato e rinominato WPXVI, lanciato da una base sconosciuta in Brasile, ma la missione più importante che avrebbe dovuto portare tre astronauti ad atterrare sulla superficie di Marte avvenne il 28 agosto 1973. Non esiste certezza sulla composizione dell’equipaggio della seconda missione perché alcune fonti riportano la presenza, oltre ad Ilyushin, di William B. Rutledge (colui che svelò i dettagli delle missioni Apollo 19 e Apollo 20, ndr) oltre che di Elliot See, che però risulta perito ben sette anni prima, nel 1966, in un incidente aereo.





    Perciò i componenti dell’equipaggio della seconda missione rimangono ignoti, salvo quanto uscì di bocca all’astronauta Eugene Cernan durante un dibattito su un canale americano, dove candidamente dichiarò riferendosi a Buzz Aldrin:“Buzz wants to come BACK TO MARS”… Un lapsus linguae o l’involontaria rivelazione di un segreto? Robert O. Dean, ex Sergente Maggiore dell’Esercito americano e rivelatore in campo ufologico, fu invitato come relatore all’Exopolitics Summit 2009 a Barcellona e commentò la notizia riguardante l’esistenza di una base segreta sulla Luna riferendo di un programma spaziale classificato, separato dalla NASA, attivo da tempo. Accennò anche al cosiddetto Black Budget del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e parlò anche di lanci spaziali segreti che sarebbero avvenuti negli ultimi 30 anni dal territorio americano in cui fu coinvolta anche l’Area 51. Infine ammise:“Yes we are in space! Yes we are on the Moon! And yes, God help us, we have gone to Mars!”.


    Ricostruzione di un'ipotetica città marziana

    L’ultima affermazione è una implicita ammissione che fu un equipaggio umano a raggiungere il pianeta. La NASA ha sempre negato sia l’esistenza del progetto sia il suo coinvolgimento, tuttavia questo non è sufficiente a sviare il sospetto che se ne fosse occupato qualcun altro… Veniamo ai giorni nostri e a Google Mars, la app che raccoglie le fotografie dai vari satelliti in orbita intorno a Marte, componendo un mosaico accurato della sua superficie, ed ecco apparire una base gigantesca. Perché i ricercatori parlino esclusivamente di “base” rimane tuttavia inspiegato, io parlerei meglio di una città, la cui pianta emula quelle di migliaia di città terrestri. E che ci fa una città sulla superficie di Marte? Bè in fin dei conti non c’è molto da dire in proposito: se c’è una città devono esserci anche gli abitanti. Basta solo capire di chi si tratta… Abitanti provenienti dalla Terra? Perché no! E’ l’ipotesi più realistica anche alla luce delle pregresse missioni segrete sul Pianeta Rosso. Abitanti extraterrestri? E’ probabile, anche se ancora dell’esistenza degli extraterrestri non c’è la puzza di una prova… Salvo che… Certo, salvo che Solar Warden sia una realtà e allora la visione diviene più ampia, così ampia da lasciare senza fiato.


    'Sharp City'



    Ma, direte voi, possibile che tutto questo sia stato realizzato in totale segreto senza che gli “uomini di tutti i giorni” rimasti incollati sulla Terra, come insetti sulla carta moschicida, si siano accorti di nulla? Io direi proprio di sì e a questo proposito mi permetto di citare una frase memorabile del Truman Show:“Noi accettiamo la realtà del mondo così come si presenta, è molto semplice”, afferma a un certo punto Christof, il regista dello show. Lo stesso vale per noi, abituati in massima parte a guardare il cielo solo quando siamo innamorati e a considerare le stelle un semplice ornamento. Solo pochi eletti tra noi hanno saputo guardare oltre e quando lo hanno fatto hanno lasciato tutti gli altri indietro. In fondo è più semplice di quanto sembri. Al netto di tutta la dietrologia complottista che vorrebbe le immagini frutto di uno scherzo di Google, fino a prova contraria direi che le immagini sono vere, come reali sono i ruderi sul Monte Sharp al centro del Gale Crater che io ho ribattezzato Sharp City. E, guarda caso, il rover Curiosity va ad atterrare proprio nei paraggi… Delle esplorazioni di Curiosity ci siamo ampiamente occupati negli ultimi anni e ne sono emerse centinaia di “pareidolie” piccole e grandi, perché è naturale che su Marte non possa esserci altro se non forme ingannevoli, almeno secondo la scienza ufficiale. Proviamo però a liberarci per un microsecondo da tutti i pregiudizi dettati dal “Truman Show”, che ammalia gli occhi e inganna la mente, e tutto appare chiaro. Così chiaro da sembrare impossibile, come che ci fosse un’altra terra oltre il Mare Oceano. Però Colombo la trovò…

    Flavio Vanetti
    28 luglio 2021
    misterobufo.corriere.it/2021/07/28/quella-strana-base-su-marte-che-appare-su-google-mars-e-il-legame-con-il-progetto...
    [Modificato da wheaton80 22/09/2021 17:46]
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    wheaton80
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    00 03/09/2022 02:43
    Le piante di Marte, ultimo regalo di Curiosity. Ma per gli scienziati sono colonne di roccia





    Altro inatteso regalo dal rover Curiosity ormai giunto quasi al decimo anno di permanenza sulla superficie di Marte. Una foto ci mostra strani “rami” emergere dalla rocce del Gale Crater, il grande cratere, un tempo invaso dall’acqua, al centro del quale sorge l’immensa mole del Monte Sharp. La presenza di piante, sebbene all’apparenza appassite, denuncerebbe l’esistenza, non proprio remota, della vita. Tuttavia gli scienziati frenano, ed ecco la teoria che spiegherebbe la presenza di questi “rami secchi”. Si tratterebbe infatti non di rami ma di “colonne” probabilmente create da sostanze simili al cemento che un tempo riempivano antiche fessure del substrato roccioso. Man mano che la roccia più tenera si consumava, erosa dall’acqua e poi dal vento, i flussi serpeggianti di materiale compatto rimanevano in piedi. Ciò, sempre secondo gli esperti, sarebbe provato dal fatto che sulla Terra si riscontrano formazioni simili che, a seconda del luogo dove sorgono, vengono chiamate in modo diverso. “Camini delle fate”, “piramidi di terra” oppure “Hoodoo”, sono appunto rilievi rocciosi molto particolari che si possono trovare in varie parti del globo, anche in Italia. Vi propongo le immagini delle tre specie di formazioni rocciose e vi invito a confrontarle con quelle marziane. Secondo me non c’è alcuna somiglianza.







    Quella più appariscente è con il corallo (vedi foto) e, trattandosi dei fondali di un oceano, la sua presenza sarebbe coerente. E, azzardo a dire, non una pianta di corallo di miliardi di anni fa ma molto più vicina alla nostra epoca, tanto che le frequenti tempeste di vento marziane e i raggi cosmici non hanno avuto il tempo di danneggiarla o addirittura polverizzarla. Lo stesso valga per lo strano fiore, grande quanto una monetina da un cent scoperto dalla Mars Hand Lens Imager (MAHLI), uno strumento installato sul braccio robotico di Curiosity utilizzato per raccogliere immagini microscopiche e dettagli delle rocce. Anche in questo caso la somiglianza con una pianta di corallo è evidente.



    Vicino al “fiore” sono state osservate due piccole rocce discoidali; anch’esse, a detta degli esperti, plasmate miliardi di anni fa dal passaggio dell’acqua. Stavolta non vi dico il mio parere su queste due pietruzze e mi taccio, per non apparire un “estremista marziano”. Si riapre perciò il capitolo “Vita su Marte” con nuovi episodi che arricchiscono di ulteriori indizi la già cospicua collezione di reperti. Meritevole, a parer mio, lo sforzo degli esperti per allontanare ogni sospetto di vita extraterrestre. Tuttavia cominciano via via a trasparire sugli specchi le tracce delle loro unghiate…

    Flavio Vanetti
    28 luglio 2022
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    wheaton80
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    00 10/06/2023 17:15
    Luca Scantamburlo:«Taurus e RedSun, i retroscena delle missioni spaziali “impossibili”»

    Marte, la nuova frontiera dell’esplorazione spaziale, l’oggetto dei desideri di Space X e della NASA, la meta da conquistare nei prossimi decenni… Oppure no? Oppure anche lassù ci siamo già stati, e pure varie volte, all’insaputa di tutti, in missioni tenute segrete che più segrete non si può? Lo dicono le fonti anonime che negli anni si sono relazionate con il ricercatore italiano Luca Scantamburlo. Ma prima di capire quali sono le possibilità storiche, tecniche e scientifiche che un’impresa del genere sia davvero avvenuta, urge un riassunto delle puntate precedenti per scoprire cosa sarebbe successo all’interno di quel progetto centrato sul Pianeta Rosso denominato RedSun.

    drive.google.com/file/d/1RCDebpd3TfQdje-t3HLUX2V9d-Lyyxja/view?usp...

    “Riassumo ancora una volta a beneficio dei lettori di Extremamente quanto da me già divulgato nel 2011: nel corso del XX secolo, in piena competizione spaziale tra USA e URSS, a posare per primi il piede su Marte sarebbero stati proprio i due celebri astronauti annoverati dalla storia ufficiale come i primi uomini a camminare sulla Luna nel luglio 1969 (missione Apollo 11), ovvero i due statunitensi Edwin E. Aldrin (noto come Buzz Aldrin) e Neil Armstrong, partiti dalla Terra in gran segreto. Ben 13 missioni spaziali avrebbero avuto luogo negli anni Settanta allo scopo di costruire una base permanente su Marte. Secondo la testimonianza dell’informatore bravoxsierra24, che prese contatti con me anni fa, dopo aver visto anche la mia intervista in televisione con Studio Aperto e la trasmissione Mistero, il nome in codice del progetto entro cui queste missioni furono sviluppate e portate a termine in ambito militare, fu “Project RedSun” (cioè “Progetto SoleRosso”), creato nel 1960 e concretizzato nel 1970 (con la prima delle tredici missioni)”.


    La foto mostrerebbe Buzz Aldrin mentre passeggia sul suolo marziano

    “Tale presunto progetto sarebbe nato dal precedente “Progetto Horizon” dell’Esercito Americano, il quale avrebbe consentito, sempre secondo le sue parole, la costruzione di “una base permanente sulla Luna”. Per quanto concerne il razzo vettore utilizzato per la prima missione marziana, mi è stato riferito dal mio contatto che a portare in orbita i 3 uomini verso Marte nel 1970 (due scesero sul suolo marziano, Aldrin e Armstrong) fu un razzo Saturno V modificato. Le successive missioni spaziali avvennero per mezzo di un razzo denominato Saturno VIII, “più simile allo Space Shuttle e di gran lunga più pratico”, commentò la mia fonte allora. Per quanto concerne la base di lancio, l‘insider mi rivelò che essa era ubicata in Sudamerica in “una zona assolutamente isolata e segreta del Brasile”. Per quanto riguarda le zone dove si sarebbe trovato il Controllo Missione, Cocoa Beach in Florida sarebbe stata scelta per le prime 3 missioni, mentre per le seguenti il Controllo sarebbe stato approntato nella celebre area del Nevada nota come “Area 51“. Fin qui le discutibili voci degli insider da me raccolte”.


    Un altro scatto relativo all'ipotetica prima missione del Progetto RedSun

    Queste informazioni, divulgate per la prima volta nel 2011, sembrano incredibili. Ma lo sono anche alla luce della storia ufficiale dell’astronautica? Luca ha approfondito la materia e ha scoperto dettagli molto interessanti. Innanzitutto, il primo studio pubblicato sulla teoria dei satelliti artificiali da porre in orbita terrestre risale addirittura al 1928: si tratta della stazione spaziale concepita da Hermann Noordung, ingegnere sloveno considerato pioniere dell’astronautica e della missilistica, autore del libro “Das Problem der Befahrung des Weltraums”, ovvero “Il problema del volo spaziale”. Noordung fu contemporaneo del visionario russo Konstantin E. Tsiolkovsky. Di origine polacca e insegnante di scuola a Kaluga, vicino a Mosca, ispirato dalla letteratura di Jules Verne, aveva già concepito non solo i razzi a più stadi, ma anche delle vere e proprie città spaziali, sognando l’esplorazione e la colonizzazione della galassia per il futuro dell'umanità, come scrisse nei suoi testi “Esplorazione degli spazî cosmici con razzi a propulsione”, del1903, e “Teoria dei razzi pluristadio”, del 1927. Inoltre, e qui entriamo nel cuore della questione che più ci interessa, ovvero il Pianeta Rosso, già negli anni Quaranta del secolo scorso il dottor Wernher von Braun si era occupato dei viaggi su Marte. Lo scienziato tedesco, famoso per i missili supersonici V-2 che terrorizzarono Londra ma che divenne in seguito il principale leader e progettista a capo della realizzazione del Saturno V (il razzo vettore del Programma Apollo della NASA), nonché Direttore per la NASA al Marshall Space Flight Center di Huntsville in Alabama, scrisse nel 1949 un libro straordinario per i concetti espressi a quel tempo:“Progetto Marte. Un racconto tecnico”. “Dopo la missione Apollo 11, a partire dal 1970, von Braun si trasferì alla sede centrale della NASA a Washington DC, come Vice Amministratore Associato per la Pianificazione”, spiega Scantamburlo.

    “Nel 1972 lasciò la NASA. Von Braun morì di tumore nel 1977 a soli 65 anni dopo aver lavorato per pochi anni nel settore industriale privato. Questo suo libro su Marte, di genere fantascientifico ma rigorosamente ancorato alla fisica e alla matematica, venne scritto alla fine degli anni Quaranta in America, in lingua tedesca, con il titolo Das Marsprojekt, e fu pubblicato nel 1952”. Realizzato durante il periodo di detenzione che von Braun trascorse a Fort Bliss in Texas insieme ad altri scienziati tedeschi deportati negli Stati Uniti dalla Germania sconfitta al termine della Seconda Guerra Mondiale, all’interno dell’Operazione Paperclip che l’Intelligence organizzò per convenienza strategica, scientifica e tecnica, il testo fu poi tradotto in lingua inglese da un ufficiale americano e ripubblicato nel 1953. Si tratta, come detto, di un libro di fantascienza che tuttavia contiene seri calcoli di meccanica celeste e astronautica, con le dovute argomentazioni per mostrare la fattibilità delle missioni con equipaggio su Marte (una flotta di astronavi, assemblata in orbita) e di una colonia marziana. Vi sono delle illustrazioni a colori e una ricca appendice tecnica con 14 originali diagrammi e disegni a firma di von Braun stesso, a matita e penna. Von Braun, prima di lavorare alla NASA, fu Direttore della Divisione di Sviluppo dell’Army Ballistic Missile Agency (ABMA), l’Agenzia per i Missili balistici dell’Esercito, che guidò fino al 1956 e sovrintese alla creazione del razzo Redstone, successivamente modificato nel razzo vettore Jupiter-C (1956-1957), dopo il fallimento del progetto Vanguard della Marina (ci fu un’esplosione al decollo il 6 dicembre 1957). Continua il ricercatore:“Le appendici tecniche al libro Das Marsprojekt di von Braun sono state realizzate da lui e da sei suoi collaboratori, sei scienziati tedeschi e austriaci finiti negli Stati Uniti a fine guerra che avevano operato a Peenemünde nella parte nord-orientale dell’isola tedesca di Usedom, costa germanica sul Mar Baltico. Fra di essi ne ricordo almeno tre: il dr. Adolf Thiel (ingegnere esperto di missilistica ed esplorazione spaziale, impiegato con l’Esercito, poi con la NASA e la TRW Corporation); il dr. Carl Wagner, chimico-fisico tedesco esperto di termodinamica, divenuto poi docente al MIT di Boston; il dr. Krafft Arnold Ehricke, anch’egli ingegnere aeronautico e missilistico tedesco, collaboratore di von Braun con l’Esercito americano alla fine degli anni Quaranta.

    Ehricke è importante perché nel 1948 scrisse una storia a proposito di un viaggio spaziale proprio verso Marte, con equipaggio:“Expedition Ares, A Saga from the Dawn of Interplanetari Travel” (“Spedizione Ares, una saga dall’alba del viaggio interplanetario”). Ma fu anche coinvolto successivamente nel Progetto Orione (a propulsione nucleare, di cui dirò fra poco), avendo egli già lavorato con la Bell Aircraft, la Convair, la General Dynamics”. “Tanto per capire di quale calibro professionale e scientifico fosse Ehricke, in Germania fu allievo di Hans Geiger e Werner Heisenberg, fra i più grandi scienziati tedeschi dell’epoca. Questo mio riferimento storico e tecnico al libro di fantascienza di von Braun, ma basato su concetti tecnici e scientifici perfettamente plausibili, dimostra che già alla fine degli anni Quaranta si avevano tutte le nozioni e la padronanza concettuale (in termini di astronautica, meccanica celeste, termodinamica, comunicazione radio) e progettuale per una esplorazione del sistema solare fino a Marte, con addirittura la costruzione di un avamposto e il viaggio di ritorno da Marte alla Terra”. Tuttavia, perché un progetto del genere passasse dalla fantasia, seppur supportata tecnicamente, alla realtà, aveva di fronte a sé tre principali problemi: l’addestramento degli astronauti, il finanziamento di tali ambiziosi programmi, la complessa organizzazione di gestione della preparazione delle missioni e della loro assistenza. In sostanza, gli scogli principali erano i soldi (tanti), la buona volontà e l’impegno necessario per vincere la sfida. Non vi erano dunque ostacoli tecnologici o concettuali insormontabili o che non fossero già stati affrontati concettualmente e teoricamente, dal punto di vista ingegneristico e fisico. Non solo. Ben prima della conquista della Luna, erano stati avviati dei progetti per costruire razzi in grado di compiere lunghi tragitti nello spazio. Ancora una volta, Luca ci illustra nel dettaglio:“Si pensi ad esempio al Progetto scientifico NERVA della NASA/AEC (1961-1972), gestito da un Ufficio di Washington, lo SNPO, che dimostrò già nei primi anni Sessanta con test sperimentali condotti a terra nel deserto nel Nevada, l’efficacia e la validità di un endoreattore nucleare progettato per la propulsione spaziale ed ecco che il tutto, se non ancora convincente, potrebbe apparire perlomeno possibile. Un’astronave a propulsione nucleare avrebbe accorciato di molto un viaggio verso Marte, che sarebbe stato raggiungibile in minor tempo (4/5 mesi) rispetto ad una propulsione con endoreattore a combustione chimica (8/9 mesi)”.

    «Anche il “Project Rover” del Los Alamos Scientific Laboratory, attivo dal 1955 fino alla sua cancellazione nel 1972, era ispirato ai medesimi principi. Un endoreattore nucleare scalda, con il calore generato da reazioni nucleari a catena controllate, un fluido di lavoro facendolo espandere come gas di scarico, ad alta velocità, ed ottenendo così la spinta propulsiva per l’astronave. Il vantaggio risiede nel fatto che il gas allo stato liquido utilizzato è molto leggero, come l’idrogeno, e dunque con peso molecolare molto più basso rispetto ai propellenti chimici. Si ha anche il vantaggio, a parità di carico utile trasportabile, di molta meno massa di propellente (non c’è necessità di immagazzinare comburente) e di un volo spaziale non necessariamente legato a finestre di lancio ottimali e ad allineamenti planetari favorevoli. Una riduzione del peso in partenza del razzo vettore con motore nucleare può arrivare anche al 90%, rispetto ad un razzo con endoreattore termico a propellenti chimici. Le soluzioni disponibili sarebbero, per esempio, un più efficiente razzo vettore bi-stadio chimico e nucleare, oppure un razzo vettore nucleare monostadio”. Tuttavia, la tecnologia Rover/NERVA fu inspiegabilmente abbandonata e mai messa al servizio della NASA in un programma operativo, ufficialmente per motivi di budget, durante i programmi spaziali successivi. Se i test condotti a terra furono un successo con minimi problemi di sicurezza del personale coinvolto (ci fu solo un incidente a causa di un’esplosione di idrogeno, con 2 feriti), non si capisce che senso abbia avuto investire denaro, tempo e risorse per poi abbandonare il tutto. Negli anni Settanta, la maggior parte degli investimenti della NASA furono infatti concentrati sul Programma Skylab e Space Shuttle. A meno che qualche altra agenzia federale non abbia messo a frutto segretamente il successo conseguito con la tecnologia Rover/NERVA o con un’altra analoga a questa… Merita poi di essere citato anche il “Project Orion”, che coinvolse fra i tanti Stanislaus Ulam (che ebbe l’idea nel 1946, sulla base di pregressi studi di fine Ottocento sull’uso di impulsi esplosivi per dare la spinta ad un razzo), il celebre scienziato britannico Freeman Dyson (naturalizzato statunitense) e l’ingegnere civile ed aeronautico Carlo Riparbelli, italiano di Roma, già ingegnere alla Caproni (dove fu “chief designer”) e ufficiale nella Guerra di Libia.

    Prosegue Luca:“Il Progetto Orione era un progetto spaziale segreto il cui studio fu sviluppato inizialmente negli USA presso la General Dynamics Corporation, gestito dapprima dalla ARPA (divenuta in seguito DARPA, che negli ultimi anni si è interessata allo sviluppo della biotecnologia a m-RNA), poi dall'USAF per sette anni ed infine dalla NASA. Fu declassificato parzialmente decenni fa: esso prevedeva un'astronave spinta da una serie di esplosioni controllate di ordigni nucleari fatti detonare a distanza di sicurezza dall'astronave stessa, la quale avrebbe raccolto per mezzo di una sorta di piatto metallico circolare rivestito con materiale speciale (tipo la grafite) posto sul retro della astronave l’energia del plasma ad alta velocità e densità liberata dalle esplosioni atomiche. Dunque un veicolo spaziale ad impulso nucleare, capace di convertire l’energia di detonazione nucleare in energia cinetica. Questo fu il primo concetto di Propulsione ad Impulso Nucleare (“External NPP”). Poi ne seguirono altri. Con tale propulsione un viaggio verso Marte con 100 tonnellate di carico utile avrebbe richiesto solo 125 giorni, circa quattro mesi”. Ma torniamo a Wernher von Braun. Ricorda Scantamburlo:“Prima di uscire di scena dalla NASA, propose nel 1969 una missione spaziale verso Marte con 12 uomini di equipaggio: due astronavi viaggianti in tandem, spinte ciascuna da 3 motori nucleari NERVA, con partenza nel 1980 e arrivo su Marte nel 1981. D’altra parte, già alla fine degli anni Quaranta, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, come ricordavo poco fa, von Braun aveva teorizzato il viaggio spaziale verso Marte, dando alle stampe uno studio tecnico e di fattibilità della missione, anche se in tal caso nel suo progetto giovanile non era previsto un motore nucleare, ma motori con endoreattori chimici”.

    Insomma, a livello teorico e forse anche pratico, una missione del genere non sarebbe stata impossibile. Tutto da dimostrare, però, che poi siano state effettivamente realizzate, come le “gole profonde” hanno sostenuto in tempi diversi scrivendo a Scantamburlo. Le loro rivelazioni e alcuni riscontri incrociati hanno portato il ricercatore italiano a ricostruire quelle presunte pagine segrete riempiendo quasi tutti gli spazi vuoti. Quasi. “Da quello che ho inteso, Taurus fu un vero e proprio programma spaziale di conquista lunare parallelo a quello della NASA ma, a differenza di questo, fu militare, altamente classificato e precedente di pochi anni le missioni Apollo. RedSun fu invece un progetto per la conquista di Marte con equipaggio, dunque suppongo che sia parte di un programma di esplorazione spaziale più ampio. Nel marzo 2011 il dichiarato e presunto comandante di Apollo 19, John W. Young, mi confermò in privato, durante i nostri contatti, la realtà del progetto SoleRosso, che gli accennai sulla base delle confidenze che avevo ricevuto per posta elettronica dalla mia fonte europea bravoxsierra24 l’anno precedente. Fu sorpreso che conoscessi aspetti così segreti dell’esplorazione spaziale. Young mi confermò anche la partecipazione di Aldrin e Armstrong al primo sbarco su Marte. Gli astronauti e i cosmonauti che sarebbero stati protagonisti, stando alle indiscrezioni emerse con la testimonianza del Comandante di Apollo 19 e dalla mia fonte europea sul progetto RedSun, furono i seguenti: per l’equipaggio di Apollo 20 abbiamo Rutledge, Alexei Leonov e Leona Marietta Snyder, nomi già noti sin dal 2007 con la diffusione su YouTube del discusso materiale video. Sulla esistenza di Leona M. Snyder non ho mai trovato alcun riscontro”. “Per quanto concerne l’equipaggio di Apollo 19, quello iniziale (che poi fu sciolto tre settimane prima del lancio) sarebbe stato composto da John L. Swigert jr (1931-1982), Stephanie Ellis (1946-1975) e Alexei Vasiliyevich Sorokin (1931-1976).

    I presunti membri del nuovo equipaggio di Apollo 19, promosso da riserva a primo equipaggio, sarebbero stati, usando il condizionale, John W. Young come comandante, David Randolph Scott come pilota del modulo lunare e Jurij Romanenko come terzo componente. È la prima volta che fornisco i nomi di Scott e Romanenko insieme e lo faccio qui con te, in occasione dell’intervista che concedo a Extremamente. Di Romanenko avevo già accennato nell'edizione italiana del mio saggio “Apollo 20. La rivelazione” (Lulu Press, 2010). Scott non l’ho mai nominato pubblicamente e lo faccio qui per la prima volta. Sospettavo da tempo il loro coinvolgimento, visti anche alcuni indizi disseminati dai miei interlocutori, ed ebbi una conferma nei miei contatti con bravoxsierra24, che mi parlò di RedSun: mi fornì i loro nomi nel luglio e agosto 2010, sempre nel corso dei contatti di posta elettronica che avemmo allora. E così facendo, mi confermò l’identità di John Young, cosa che io non avevo divulgato fino ad allora”.

    “Ora, singolare, e non credo sia un caso, il russo Romanenko, due volte eroe dell’Unione Sovietica, fu monitorato dalla CIA durante la sua permanenza negli States quando fu cosmonauta in visita presso i centri spaziali americani. Di questo controllo discreto da parte della CIA sul territorio americano, ebbi evidenza e conoscenza trovando un documento FOIA al riguardo molti anni fa durante le mie estenuanti ricerche, dopo che mi fu indicata la sua persona e seppi della sua possibile partecipazione ad Apollo 19 nel febbraio 1976. Il documento FOIA declassificato dalla CIA che trovai citava specificamente Romanenko e non altri suoi colleghi russi che parteciparono all’addestramento in vista della missione congiunta USA-URSS dell’ASTP del 1975, negli Stati Uniti. Essi furono, oltre ad Alexei Leonov, Valeri Kubasov, Anatoli V. Filipchenko, Nikolai N. Rukavishnikov, Vladimir A. Dzhanibekov, Boris D. Andreyev e Aleksander S. Ivanchenko, tutti accompagnati dal Generale Vladimir A. Shatalov, capo dei cosmonauti al Centro di Addestramento della Città delle Stelle”. “Perché Romanenko fu attenzionato dalla CIA più degli altri? Ciò acquista un senso se magari Romanenko fosse stato selezionato proprio allora per la successiva missione Apollo 19, altamente classificata. La missione Apollo Soyuz Test Project del 1975 (mi fu spiegato dalla gola profonda retiredafb nella mia intervista del 2007) fu la luna di miele prima della missione Apollo 19 e 20. Fu presentata al mondo come una pacifica stretta di mano fra superpotenze, in orbita, ma aveva in realtà la finalità di preparare a una collaborazione più riservata e ambiziosa. Anche David Scott ha un suo senso come componente, visto che negli anni Ottanta fu coinvolto dall'USAF in un programma classificato segreto di Shuttle militari (poi abbandonato dalle Autorità e non più finanziato) e fu consulente per il film “Apollo 13” di Ron Howard, che narra l’incidente accaduto nello spazio nel 1970. Quale astronauta migliore di Scott nel dare consulenza tecnica ad Hollywood, se proprio lui magari avesse vissuto una analoga vicenda in passato, anche se altamente classificata?”. Scott e Romanenko sono tuttora viventi, così come Buzz Aldrin, oggi 93enne.

    Per quanto concerne i primi due astronauti militari americani sulla Luna nel 1966, la loro identità non è tuttora nota. Commenta Luca:“Che sorte beffarda se ciò corrispondesse a verità: il primo uomo sulla Luna non ha mai avuto la soddisfazione di un riconoscimento storico e della sua persona, o almeno non ancora. Quello che invece è ritenuto essere stato il primo uomo a porre piede sulla Luna, Neil Alden Armstrong, deceduto nell’agosto 2012, ha ricevuto un riconoscimento ingiusto per quello e non ha ricevuto invece soddisfazione per aver calcato il suolo marziano per la prima volta nella storia dell'umanità”. Ma perché, gli domandiamo, tenere nascosti fatti così importanti, conquiste a dir poco straordinarie, ritrovamenti tanto eccezionali come le presunte astronavi sul lato oscuro della Luna? “Potrei fare riferimento all’esistenza del cosiddetto Public Acclimation Program, programma di acclimatazione, che sembra esistente da decenni e di cui si vocifera sin dagli anni Ottanta, anche se non vi è nulla di ufficiale e confermato”. “Volutamente, in modo graduale e mai fornendo un quadro completo, accurato o esente da manipolazioni o contaminazioni, si forniscono progressivamente alla pubblica opinione indizi e spunti di riflessione sulla realtà e sulla visita extraterrestre nel nostro Sistema Solare (anche attraverso Hollywood, con produzioni “orientate”). In questo modo, si evita una situazione di anomia e possibile collasso della nostra civiltà, che di fronte a una realtà sconcertante rivelata improvvisamente potrebbe mettere in discussione il proprio assetto sociale, scientifico, politico e religioso, con sfiducia nei confronti delle classi dirigenziali, delegittimate all’improvviso. La possibilità di caos e di una situazione ingovernabile, oltre alla delegittimazione di chi guida la società, è forse ciò che più è temuto in seno alle élite dominanti, soprattutto quelle più clandestine.

    In proposito, illuminante fu il Brookings Report, commissionato dalla NASA negli anni Sessanta alla Brookings Institution: sulle implicazioni della scoperta di vita extraterrestre o di eventuali reperti di civiltà aliene, trovati nel Sistema Solare, senza mezzi termini fu scritto e argomentato dal punto di vista antropologico e sociologico circa l’opportunità di nascondere al pubblico o ritardare la divulgazione di queste possibili sensazionali scoperte, vedi il testo “Proposed Studies on the Implications of Peaceful Activities for Human Affairs”, pubblicato nel 1960 e discusso al Congresso nel 1961”. E allora perché negli ultimi anni sono trapelate tutte queste indiscrezioni, insufficienti a fare chiarezza su un passato oscuro ma bastanti ad aprire profonde crepe nelle versioni ufficiali? Cui prodest, a chi giova? “Vi è la consapevolezza che la politica di una segretezza totale e permanente alla fine gioca a sfavore anche di chi controlla perché certi processi non sono evitabili o procrastinabili sine die e una educazione non manifesta e graduale a realtà ignote (soprattutto delle nuove generazioni) è positiva sul lungo periodo. Logico che alcune classi di potere potrebbero approfittarsi della situazione nella gestione di informazioni biologiche e tecnologiche non terrestri, per avvantaggiarsene in modo egoico a discapito di una collaborazione internazionale e di una autentica evoluzione culturale, antropologica e tecnologica equilibrata e non conflittuale. Una questione economica e di sfruttamento delle risorse in tutte le sue implicazioni sarebbe la principale ragione per la politica di segretezza e cover up che da quasi un secolo i governi perseguono in tema UFO. A riguardo, Maurizio Martinelli, apprezzato saggista e ricercatore che conosco e a cui sono legato da reciproca stima, ha svolto interessanti riflessioni politologiche e sociologiche sulla educazione occulta della umanità da parte di visitatori da altrove che da tempo operano sulla Terra e nel Sistema Solare.

    Nel suo saggio “Anche gli Dei Sbagliano” (Verdechiaro Edizioni, 2018), Martinelli argomenta la possibilità che siano in corso programmi educativi mascherati per le giovani generazioni, anche attraverso la fiction (analogamente a quanto argomentato da Pinotti anni prima, a riguardo delle “produzioni orientate” di Hollywood), specificatamente pensati per bambini e adolescenti”. Siamo dunque destinati a rimanere per sempre ignari di ciò che altri stabiliscono e decidono per noi oppure abbiamo modo di spingere chi sa a rivelare la verità che ci viene nascosta? Secondo Luca Scantamburlo, qualcosa si può fare:“Ciò che si potrebbe fare per indurli a rendere pubblici questi documenti, ammesso che esistano, è proprio ciò che hanno fatto questi due coraggiosi e coscienziosi cittadini italiani miei lettori i quali, indipendentemente l’uno dall’altro, hanno deciso di rivolgere interrogazioni FOIA (Freedom Of Information Act) alle Autorità preposte seguendo l’iter previsto dalla Legge sulla Libertà d’Informazione vigente negli Stati Uniti d’America sin dal 1966 e nata per garantire ai cittadini quell'informazione che è vitale per una società democratica e repubblicana che si possa mantenere sana. Il loro contributo alla ricerca della verità è prezioso, anche se apparentemente ha appena scalfito il muro di gomma e la palese reticenza. Costituisce senza dubbio un contributo costruttivo e di senso civico che potrebbe portare i mass media e i politici ad interessarsi maggiormente della questione, ignorata soprattutto negli Stati Uniti a livello mediatico”. “Altri insider e testimoni di allora potrebbero farsi avanti qualora maggiore interesse nasca nell'opinione pubblica e non sia sensazionalistico ma ragionato e rigoroso, così come potrebbe nascere l’interesse da parte di qualche Senatore americano che potrebbe portare al Congresso la questione. Se Apollo 19 e 20 sulla Luna e il Progetto SoleRosso su Marte sono una realtà o contengono fondamenti di verità, come mi sono persuaso dopo anni e anni di ricerche, le scoperte fatte nel corso di queste missioni spaziali classificate potrebbero gettare nuova luce non solo sulla nostra storia ed evoluzione come specie, ma anche contribuire alla distensione e alla pace nel mondo. Sarebbero la prova più forte e nobile di come due grandi superpotenze come gli USA, e l’URSS un tempo, mettendo in comune le proprie competenze e tecnologie al di là delle differenze ideologiche, siano arrivate molto lontano cooperando insieme, nobilitando ed omaggiando idealmente i famosi versi di Dante Alighieri nell’Inferno della Divina Commedia (dove Ulisse, rivolgendosi ai compagni, dice:“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”) e anche le parole del poeta latino Virgilio che, nella sua opera Bucoliche, scrisse “Carpent tua poma nepotes”, cioé “I nipoti raccoglieranno i tuoi frutti”. Parole che furono scelte come motto della missione Apollo 20: altri raccoglieranno i frutti di ciò che abbiamo seminato”

    Sabrina Pieragostini
    27 maggio 2023
    www.extremamente.it/2023/05/27/luca-scantamburlotaurus-e-redsun-i-retroscena-delle-missioni-spaziali-impo...