00 12/12/2020 18:56

È tardo pomeriggio, quasi sera, quando giunge la notizia: Mekele, il capoluogo del Tigray, è stata liberata dall’esercito etiopico, che ha così posto fine alla lunga dominazione del TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigray) e al ricatto che soprattutto in questi ultimi due anni esso esercitava sulla regione e di conseguenza anche sull’intera Etiopia. Mekele, che in Italia ancora si continua a chiamare Macallè, esattamente come il Tigray ancora si continua a chiamare Tigrè, (sebbene non siano nemmeno del tutto la stessa cosa, ma a parte questo ormai non sono più i tempi della Battaglia di Adua, e nemmeno quelli dell’AOI: forse i nostri giornalisti e politici ben farebbero ad aggiornarsi un pò) era diventata ormai l’ultima roccaforte davvero importante del TPLF dopo che, nei giorni scorsi, gli altri suoi capisaldi nella regione erano ritornati sotto il controllo delle forze governative. Nel 2018, come abbiamo più volte raccontato, il TPLF aveva perso il controllo del governo federale dell’intera Etiopia, ottenuto nel 1991 all’indomani della caduta del “Negus rosso” Haile Mariam Menghistu. Mentre diventava Primo Ministro Abiy Ahmed, fautore di riforme e svolte politiche che demolivano in maniera anche molto scenografica tutte le vecchie politiche del TPLF, quest’ultimo letteralmente si asseragliava nella sua regione-roccaforte, il Tigray, iniziando una politica non di semplice opposizione o di ostruzionismo ma di vero e proprio boicottaggio e secessionismo nei confronti delle autorità centrali e federali, con tanto d’azioni terroristiche. Il Tigray e i suoi abitanti si ritrovavano così ostaggio dell’élite del TPLF, ed indirettamente a trovarvisi in ostaggio erano un pò tutti gli etiopici, mentre la tensione fra Mekele ed Addis Abeba non faceva altro che salire. Lo scorso 4 novembre le fiamme si sono alzate molto più del solito, e da quel momento l’incendio della guerra civile ha superato il punto di non ritorno.

È tutt’altro che singolare il fatto che gli uomini del TPLF abbiano scelto d’alzare la posta proprio nel periodo in cui a Washington vinceva Joe Biden, una figura politica che, in quanto ex vicepresidente di Obama, si faceva continuatore e portatore delle stesse politiche che le vecchie amministrazioni Obama, Bush jr e Clinton avevano attuato verso il Corno d’Africa, ovvero rapporti privilegiati con l’Etiopia allora guidata dal TPLF, e destabilizzazione costante dell’area circostante, dal Sudan alla Somalia, senza dimenticare l’Eritrea, da quelle amministrazioni indicata come “Stato canaglia”. Trump, con tutti i suoi difetti, un merito almeno nel Corno d’Africa l’aveva avuto: quello di staccare la spina al TPLF, revocandogli il proprio appoggio. Ciò aveva facilitato il crollo di quel governo, ormai logorato dalle forti contestazioni interne e dalle ribellioni delle popolazioni Oromo ed Amhara, e la sua sostituzione con l’attuale coalizione riformista. Secondo le poche fonti che giungono dal Tigray, la popolazione locale ha accolto come liberatori i soldati dell’esercito federale, voltando le spalle agli uomini del TPLF; di quest’ultimi, solo una minima parte ha continuato a lottare, mentre gli altri hanno preferito darsi alla fuga o comunque “eclissarsi”. Molti di loro, a cominciare dai dirigenti, sono stati incriminati e la polizia federale etiopica dà loro la caccia per assicurarli alla Corte di Giustizia. Ormai da giorni le forze etiopiche erano pronte ad entrare a Mekele: era stato lanciato un ultimatum, scaduto il quale esse sarebbero passate all’azione, e il TPLF aveva rifiutato di cedere. E’ stato scelto d’attendere il più possibile per favorire l’uscita dei civili dalla città, in modo da non coinvolgerli nei combattimenti.

Va sottolineato come, nel tentativo di resistere alla pressione delle forze governative e di guadagnare tempo, i miliziani del TPLF avessero preso come ostaggi molti civili, per farne scudi umani. Sempre ieri, per la seconda volta a distanza di pochi giorni, da Mekele alcuni razzi erano stati lanciati su obiettivi eritrei, a cominciare dalla capitale Asmara. Anche in questo caso, per fortuna, non sono stati riportati danni d’alcuna entità, ma il motivo del loro lancio era ben chiaro: internazionalizzare fino all’ultimo momento un conflitto che era e che è rimasto interno alla sola Etiopia. Un intervento anche soltanto mirato dell’Eritrea come rappresaglia contro il TPLF, infatti, avrebbe internazionalizzato quel conflitto e soprattutto confermato quanto raccontato dai vari mass media occidentali, italiani in primis, che parlano vagamente di azioni delle forze eritree al fianco di quelle etiopiche. Del resto, il tentativo del TPLF di rivitalizzare un sostegno su di sé all’ultimo momento risultava tardivo e poco credibile anche diversi giorni fa: i suoi principali referenti all’estero, per esempio, dall’Unione Africana a vari governi del Continente, l’hanno scaricato preferendo sostenere Abiy Ahmed e i suoi alleati della regione, mentre sempre pochi giorni fa la riunione del Consiglio di Sicurezza sul Corno d’Africa è stata annullata poco prima del suo inizio. Conclusasi vittoriosamente questa vera e propria guerra lampo, che ha incontrato il sostegno e il consenso dei cittadini etiopici ed in particolare di quelli del Tigray così come dei suoi alleati nella regione, l’Etiopia oggi può dunque legittimamente ed orgogliosamente dire d’aver compiuto un importante passo verso la pacificazione e la stabilità interna, col TPLF messo fuori gioco ed il venir conseguentemente meno di quel grosso ostacolo al processo d’integrazione che esso rappresentava per tutta la regione del Corno d’Africa.

Filippo Bovo
28 novembre 2020
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