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Novus Ordo Missae e Fede Cattolica

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2011 18:09
09/02/2011 17:42
 
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Il sacrificio, nella liturgia eucaristica, si riduce alla ricezione
soggettiva, cioè alla fede che riceve il sacramento. Anche la concezione
del sacerdozio si trova ad essere radicalmente modificata da questa
impostazione: non si può dire che il sacerdote offra realmente il
sacrificio, perché questa offerta la fa la fede, che è propria di ciascun
fedele. La fede costituisce il ministero sacerdotale. Allora è ovvio che
tutti sono sacerdoti, in quanto tutti offrono il sacrificio, accogliendo con
la fede la promessa di Dio che rimette i peccati in Gesù Cristo.
L'aspetto sacrificale dell'eucaristia non è dunque oggettivo ma
soggettivo. Il solo sacrificio autorizzato dalle Scritture del Nuovo
Testamento, oltre a quello della Croce, è quello della nostra
mortificazione e delle nostre penitenze (Rm 12, 1), un sacrificio
«spirituale». Oppure si può parlare – in modo improprio però,
metaforico – di sacrificio di azione di grazie o di lode: le preghiere elevate
a Dio in occasione della Messa. Non sacrificio esterno, visibile, vero e
proprio. Questo è solo quello del Calvario, offerto una volta per tutte:
«Cristo non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di
offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo,
perché egli ha fatto questo una volta per tutte (ephapax, semel),
offrendo se stesso» (Ebr 7, 27)15.
Dunque, per Lutero, il sacrificio è qualcosa di assolutamente
diverso dal sacramento, perché è l'atto di riceverlo e di usarlo (quindi
ricevendolo ed usandolo tutti i fedeli offrono il sacrificio). La tradizione
aveva lasciato una nozione ancora molto viva e feconda, ma che proprio
il protestantesimo contribuirà a svuotare: quella di memoriale. Le prime
argomentazioni cattoliche anti-luterane si muovono ancora in questo
ambito: la Messa è sacrificio perché è rappresentazione, memoria, del
sacrificio di Cristo. Sottolineano però adeguatamente che non è una
memoria vuota, ma tale da essere una sua ri-presentazione, per cui
partecipiamo per essa all'efficacia del Calvario. Anche al Concilio di
Trento il linguaggio non sarà diverso: Missa, licet a sacerdote celebratur
tota tamen Christi actio est, et nihil nisi Christi nomine in ea agitur. Et
licet illa oblatio crucis unica fuerit, et in aeternum consummet
sanctificatos, tamen hoc in altari illi non derogat, quia est illius memoria
et per hanc de illa partecipamus16. Per Lutero invece la Messa non è
neppure un sacrificio-memoriale, perché non è un'opera, ma solo un
sacrificio di rendimento di grazie. Egli contesta fortemente che dal
concetto di memoria
si possa passare a quello di sacrificio. «Come potete
essere così audaci da fare di una memoria un sacrificio?... Se infatti fate
della memoria del suo sacrificio un sacrificio e lo offrite di nuovo, perché
non fate della memoria della sua nascita un'altra nascita, in modo tale
che lui rinasca di nuovo?»17. In questo modo rinnega il carattere
oggettivo e ontologicamente intensivo del «memoriale». Per lui il
memoriale è un qualsiasi ricordo soggettivo e non una rappresentazione
che è, nello stesso tempo, ripresentazione. Il nocciolo della risposta alla
sua ironica obiezione era già contenuto in san Tommaso18: la Messa è
sacrificio perché è imago quaedam repraesentativa passioni Christi (III,
q. 83, a. 1) e la sua relazione alla Croce è del tutto peculiare, perché
essa sola, nel mentre raffigura la passione nell'atto della consacrazione
separata del pane in Corpo e del vino in Sangue, rende presente
sull'altare l'ipsum Christum passum (III, p. 73, a. 5 ad 2).
Se non è un sacrificio-memoriale che è sostanzialmente identico
al sacrificio di Cristo, non è neppure – logicamente – un sacrificio
propiziatorio, cioè un sacrificio di riconciliazione, che applica la virtù del
Sacrificio di Cristo per la remissione dei peccati che si commettono ogni
giorno. Sacrificio propiziatorio è soltanto quello del Calvario. Il sacrificio
eucaristico, per Lutero, di suo, non riconcilia, ma è offerto piuttosto dai
cristiani già riconciliati.
Il fondamento teologico profondo è quello fornito dal principio
fondamentale della «Riforma»: solus Deus. Per Lutero non si può
neppure parlare di sacrificio propiziatorio di Gesù in quanto uomo19,
perché solo Dio opera la salvezza. La partecipazione dell'umano alla
salvezza per opera di quel Dio che procede esaltando l'efficacia delle
cause seconde è radicalmente negata. La salvezza viene da Dio e basta,
l'uomo non c'entra in nessun modo.
Un sacrificio vero e proprio, con un fine propiziatorio, sarebbe un
atto di idolatria in quanto si metterebbe in concorrenza con la salvezza
operata da Dio. Il protestantesimo, in fondo, non concepisce che l'azione
di Dio e l'azione dell'uomo siano entrambe reali senza annullarsi.

Anche quando viene ammesso dunque un sacrificio eucaristico, di
azione di grazie o di lode, si intende qualcosa di essenzialmente diverso
da quello che intende il cattolicesimo.
Secondo la concezione cattolica, infatti, la Messa è «eucaristia»,
cioè una restituzione dei doni a Dio, in quanto, e soprattutto, è offerta
del sacrificio di Cristo, il dono perfetto e sommamente gradito e che,
solo, rende graditi gli altri doni e tutte le altre preghiere. La Messa è
adorazione perché il sacrificio di Cristo, in essa presente, è la somma
adorazione prestata a Dio, che dignifica e valorizza tutte le nostre
adorazioni.
Il rifiuto della finalità propiziatoria da parte protestante si produce
soprattutto perché in essa si manifesta la presenza oggettiva o meno del
sacrificio di Cristo nella nostra offerta20.
Volendo trovare allora lo «specifico» protestantico in questa
delicata questione, senza nasconderci le difficoltà di una semplificazione
in un campo così complesso e, strutturalmente, differenziato, potremmo
arrestarci a questa affermazione di principio: ogni «offerta» che
dall'uomo sale a Dio, soprattutto dopo il sacrificio di Cristo – con
pretese espiatorie e meritorie – che non sia quella di una semplice
preghiera, è un atto di idolatria. Anche un «sacrificio anamnestico»,
l'offerta di un «memoriale» che contenga la realtà ricordata, non sfugge a
questa legge. Se alcuni teologi protestanti più recenti ammettono una
nozione «piena» di memoriale
, lo intendono sempre come un
ripresentarsi della Passione di Cristo, non come una ripresentazione
operata dalla Chiesa per il ministero dei sacerdoti21.
Quali sono le conseguenze rituali di questa teologia?
Innanzitutto, la rigorosa espunzione di tutto ciò che, in qualche
modo, sa di sacrificio dalla liturgia eucaristica. Se si spazio ad una
accezione traslata del termine sacrificio, si tende però ad eliminarlo
nella pratica. La Messa si riduce concretamente ad un banchetto.
Poi l'abolizione delle Messe cosiddette «private»: non si deve
ammettere celebrazione eucaristica se non in vista della comunione. Il
prete celebrante, secondo Lutero, deve farsi, anche lui, comunicare da
un altro. Per un po' di tempo il monaco agostiniano aveva tollerato
queste celebrazioni «private»: se un prete vuole assolutamente, extra
exemplum Christi, dire la Messa per comunicarsi lui stesso, si preoccupi
però di non essere mai solo e di dare ugualmente la comunione ad altri.
Poi però procedette, con logica più rigorosa, a estinguere questa pratica,
che rimane ancora uno dei punti più differenzianti, a livello rituale, fra
protestanti e cattolici22.
Gli altri protestanti non si discostano sostanzialmente da Lutero
su questo punto.
Anche per Calvino la Messa-sacrificio è un «errore di Satana»23. La
Messa «privata», cioè quella che non comporta comunione dei presenti, è
particolarmente contraria all'istituzione divina24.
Se Lutero si era mostrato molto disinvolto riguardo alle massicce
e inequivocabili testimonianze dell'antichità,
Calvino si preoccupa di
interpretarle. Se i Padri hanno parlato di sacrificio a proposito della
Messa «dichiarano anche che non intendono parlare d'altro che della
memoria di quel vero e unico sacrificio che Cristo ha compiuto sulla
croce»25. Non può però non riconoscere che non si trattava per loro di
una memoria vuota; tuttavia, pur non osando respingere il loro
linguaggio, non ne tiene in pratica conto. La nota caratteristica di
Calvino, nell'ambito delle grandi personalità della «Riforma», è quella di
una impossibile mediazione fra proposizioni contraddittorie, e di una
conseguente confusione26.
L'apporto di Zwinglio sarà quello di una argomentazione che farà
molta fortuna e influenzerà anche, in un certo senso, la speculazione
cattolica: Christus illuc tantum offertur ubi patitur, sanguinem fudit,
moritur: haec enim aequipollent.... Christus non potest ultra mori, pati,
sanguinem fundere. ... Ergo Christus ultra offeri non potest: mori etiam
non potest27.
Da nessun'altra parte meglio che in questo scintillante sillogismo
è percepibile l'incomprensione per il realismo sacramentale della
Tradizione, che aveva sempre compreso senza scandalo l'identità di
Calvario e di Messa come qualcosa di realissimo, pur essendo in
imagine, in mysterio, in sacramento.
Riguardo alla presenza reale, le posizioni all'interno della
«Riforma» si fanno più complesse.

Immediatamente c'è chi porta il discorso della salvezza per la sola
fede alle estreme conseguenze, negando ai sacramenti ogni valore che
non sia puramente simbolico, cioè di segno atto ad eccitare la fede, ma
in se stesso privo di ogni contenuto reale.
Sono i cosiddetti «sacramentari», che si ergono anche contro il
padre stesso della «Riforma», Martin Lutero.
Il grave problema, di fronte
alla innegabile logica interna del «sistema», era costituito dalle chiare,
chiarissime, parole dell'istituzione: «questo è il mio corpo, questo è il
mio sangue». Carlstadio non teme di cadere nel ridicolo affermando che,
nel pronunciare quelle parole, Gesù aveva certamente indicato se stesso
... Per Zwinglio, più abile argomentatore, la parola «è» deve essere
tradotta con «significa». Per Ecolampadio «il mio corpo» deve essere reso
con «la figura del mio corpo»28. In ogni caso nell'eucaristia non c'è né
miracolo né mistero, ma un semplice simbolo (nel senso moderno,
depauperato, del termine) per animare la fede. «Che il corpo di Cristo –
dice Zwinglio – sia presente essenzialmente e realmente ... come dicono
i papisti e certi altri ... [i luterani],
non soltanto lo neghiamo, ma lo
riteniamo un errore che contraddice la parola Dio»29.
Lutero rimane invece un assertore della presenza reale, anche se
rifiuta la spiegazione in termini di «transustanziazione». Però, la sua
posizione su questo punto non pare ben definita: se da una parte porta
attacchi contro la transustanziazione, dall'altra, in alcune occasioni,
sembra ammetterla almeno come «opinione di scuola»30. Positivamente
propende per una presenza concomitante di pane e vino e persona di
Cristo: Cristo presente nel pane e nel vino, col pane e col vino, unendosi
a questi elementi come con una nuova unione ipostatica ... Si tratta
della teoria conosciuta come della «impanazione» o «consustanziazione»,
che aveva sostenitori anche prima di Lutero. Non rifugge neppure
dall'ubiquismo (che sembra godere oggi di nuova fortuna): unita alla
divinità, l'umanità di Cristo partecipa alla sua onnipresenza ...

Tuttavia sembra che la sua posizione personale si caratterizzi
soprattutto come il rifiuto di ogni tentativo di fissare concettualmente i
termini precisi del mistero, tentativo da lui considerato senz'altro come
viziato di razionalismo, come momento di una theologia gloriae che si
contrappone alla sola possibile e legittima theologia crucis31.
Anche riguardo alla durata della presenza eucaristica la posizione
di Lutero non è affatto esente da tentennamenti, e oscilla fra una
presenza soltanto in usu e una presenza che dura fin che durano le
specie32. La tradizione luterana si attesterà però sulla posizione del
rifiuto. Non si dà presenza eucaristica al di fuori della celebrazione. Così
i luterani saranno anche sostenitori della permanenza degli elementi
accanto alla presenza di Cristo. Il culto eucaristico extra Missam è
fortemente negato e, in ogni caso, tutto è compromesso, nella pratica,
dall'estinzione di un sacerdozio validamente ordinato.
Calvino cerca la mediazione tra Lutero e Zwinglio. Mediazione
impossibile che gli vale un pensiero assai confuso. Si esprime ora in un
modo, ora in un altro (sia detto tra parentesi: questo deve mettere in
guardia contro una certa faciloneria «ecumenica» che si fonda su testi
isolati...). «Questi aspetti così divergenti della dottrina di Calvino
possono essere messi insieme solo con grande difficoltà. Allora come in
seguito il tutto fu capito come una negazione della presenza reale»33.
A proposito del pensiero di Calvino è utile osservare come un
riformato (calvinista) odierno, molto impegnato in campo ecumenico, il
pastore Max Thurian, faccia di tutto per ricondurre il «riformatore»
francese nell'alveo della presenza reale. Ma si tratta di sforzi ben poco
convincenti34. D'altra parte quello che conta non è tanto quello che ha
veramente pensato Calvino, quanto quello che ha veramente costituito
per secoli il credo calvinistico e, soprattutto, quello che lo costituisce
ancor oggi.
La negazione di un sacrificio sacramentale comporta, come logica
conseguenza, la negazione di un sacerdozio sacramentale. Non si dà un
sacrificio compiuto nel sacramento, dunque non c'è necessità di un
sacrificatore costituito anch'esso tale da un sacramento.
Basandosi su alcuni passi del Nuovo Testamento, interpretati
unilateralmente e fuori dell'alveo della Tradizione della Chiesa,
soprattutto 1 Pt 2, 9 («voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la
nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere
meravigliose di lui ...»), Lutero proclama che la fede ha fatto preti tutti i
cristiani35.
Esiste un solo sacerdozio, quello che ha la sua origine nel
battesimo36. In virtù di questo sacerdozio tutti hanno gli stessi poteri in
ordine al culto. Non esiste un sacramento dell'ordine di istituzione
divina, ma soltanto una cerimonia ecclesiastica per scegliere i
predicatori.
È necessario che ci siano dei ministri, perché, se tutti sono
sacerdoti, non per questo «sind (...) alle Pfarrer» (sono (...) tutti
parroci)37. Questo ministero può essere considerato di istituzione divina,
ma non come sacramento, perché non ha uno speciale potere in ordine
ad uno speciale sacramento. Svuotato del suo contenuto sacramentale,
questo ministero non necessita più, per essere vero, di essere trasmesso
da chi ha il potere di farlo e con un rito speciale. «Se i vescovi
compissero le loro funzioni conformemente agli insegnamenti del
Vangelo, i ministri riformati potrebbero andare a chiedere loro
l'imposizione delle mani. Ma, poiché i vescovi non vogliono abbandonare
tutte le commedie, scimmiottature e pompe, prese in prestito dal
paganesimo, non vogliono cioè essere veri vescovi, ma intendono agire
da politici, che non predicano, non battezzano, non amministrano la
Cena, né compiono alcuna funzione ecclesiastica, accontentandosi di
perseguitare e condannare quelli che si sentono chiamati a compiere
queste funzioni (...). ... noi ordiniamo noi stessi quelli che sono chiamati
al ministero»38.
Questo punto costituisce ancora oggi, nella pratica, l'elemento di
bruciante contrapposizione cattolico-protestantica in tema di ministero.

Il ministero non ha origine, essenzialmente e pena l'invalidità, nel rito
sacramentale conferito dal vescovo, nella delega del popolo39.
Ovviamente in questa concezione non c'è posto per un carattere
indelebile. Di per sé, chi è stato deputato al ministero con l'imposizione
delle mani, può poi ridiventare semplice laico.
Vediamo che la concezione protestantica – su questo punto sono
tutti concordi – è una concezione inorganica della Chiesa. Non si danno
due partecipazioni diverse allo stesso sacerdozio di Cristo, ma tutti sono
sacerdoti allo stesso modo. La differenziazione è solo strettamente
funzionale e – di suo – non permanente. Non è radicata nella natura
della Chiesa «corpo mistico di Cristo».
Da parte cattolica si reagì sottolineando fortemente la stretta
connessione fra vero sacrificio sacramentale e sacerdozio sacramentale,
senza però negare che si dava anche un sacerdozio spirituale e interiore
(quello di 1 Pt 2, 9). Se il Concilio di Trento ne parla solo implicitamente,
il Catechismo Tridentino conta l'argomento in esplicito40.
Tutti i fedeli sono sacerdoti nel senso che sono chiamati ad offrire
se stessi, tutta la loro vita, prestando in questo modo a Dio un «culto
spirituale» (Rm 12, 1). Tutti i fedeli sono, in altri termini, chiamati a
riprodurre in sé il sacrificio perfetto di Cristo che fu insieme sacerdote e
vittima. Questo sacrificio spirituale è insieme il modo più proprio di
partecipare al sacrificio della Messa e l'effetto di questo sacrificio. Il
sacrificio sacramentale infatti è ordinato a portare a compimento,
unendoli a quello di Cristo, i sacrifici dei cristiani. Nello stesso tempo
rende possibili questi sacrifici con la sua virtù salvifica.
[Modificato da Heleneadmin 10/02/2011 11:18]
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