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Novus Ordo Missae e Fede Cattolica

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2011 18:09
09/02/2011 17:52
 
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forte.
Altro fattore che porta a riscoprire la nozione di memoriale sono le
ricerche storico-liturgiche di Odo Casel8. Lo studio del culto misterico
pagano e dei Padri lo porta ad elaborare la teoria della
Mysteriengegenwart (presenza misterica). Se vi è tanto di discutibile in
Casel, incontestabile però è il rilievo che la Tradizione conosce una
nozione di memoria e rappresentazione (ri-presentazione) che è
sensibilmente diversa da quella psicologico-soggettiva moderna.
Non ultimo per importanza è il fattore ecumenico. Anche da parte
protestantica un rinnovato interesse per la liturgia e i Padri, nonché
l'approfondimento di alcuni concetti biblici, porta degli studiosi a
riscoprire il significato «pieno» del termine «memoriale». Di fronte a
questo stato di cose, in vista di un'intesa ecumenica, da parte cattolica
si è sottolineato con forza il carattere di memoriale della Messa. L'IGMR
non è altro che un tentativo (assai spinto) in questa direzione.

Quello che a noi interessa è che i termini «memoriale» e
«ripresentazione» vi devono essere letti tenendo conto di questa
ambientazione storica. L'influsso caseliano in particolare è nettissimo.
«Memoriale» deve essere inteso, dunque, come ricordo oggettivo
che rende presente ciò che è ricordato, e «ripresentare» come rendere-dinuovo-
presente.

Il legame con questo indirizzo della teologia è forse ancora più
marcato nelle nuove preghiere ambrosiane. Venute dopo la introduzione
del NOM, dopo la sua sperimentazione, dopo le critiche che ha sollevato
e l'evoluzione liturgica che ha determinato, possono essere anche viste
come un tentativo di precisare quei concetti che, nelle nuove preghiere
eucaristiche del rito romano (che l'ambrosiano fa pure proprie), sono
troppo vaghi.

Questa nozione di memoriale si configura nel suo significato
proprio – che è quello appena descritto – accostando le espressioni
equivalenti dell'IGMR:
art. 2: «sacrificio eucaristico», «memoriale della sua (di Cristo
Signore) passione e risurrezione»;
art. 7: «Cena del Signore», «Messa», «Sacra sinassi riunita per
celebrare il memoriale del Signore»;
art. 48: «memoriale della sua (di Cristo) morte e della sua
risurrezione», «sacrificio e banchetto pasquale»;
art. 54: mediante la preghiera eucaristica tutta l'assemblea dei fedeli
si unisce con Cristo nell'offerta del sacrificio;
art. 55d: «sacramento della sua (di Cristo) Passione e Risurrezione»;
art. 55f: nel memoriale la Chiesa offre l'ostia immacolata al Padre
nello Spirito Santo;
art. 56h: la Comunione è «partecipazione al sacrificio che si sta
attualmente celebrando (quod actu celebratur)»;
art. 62: i fedeli offrono l'ostia immacolata per le mani del sacerdote;
art. 259: sull'altare «si rende presente mediante i segni sacramentali il
sacrificio della croce»;
art. 335: «La Chiesa offre per i defunti il sacrificio eucaristico,
memoriale della Pasqua di Cristo».
Ne emerge che il sacrificio eucaristico è memoriale della Passione
e della Risurrezione in quanto ne è il sacramento. Cioè segno che
rappresenta e produce.
Infatti, nella Messa, Cristo offre attualmente il
suo sacrificio, al quale i fedeli si associano per mezzo del sacerdote.
Questo memoriale non può esser un ricordo vuoto, perché in esso
la Chiesa offre l'ostia immacolata al Padre e, mediante la comunione, si
partecipa al sacrificio attualmente celebrato, che non è altro che quello
del Calvario reso presente sotto i segni sacramentali...
Si noti come, almeno implicitamente, la finalità propiziatoria è
affermata nell'affermare l'identità sacramentale con il Sacrificio del
Calvario e l'applicazione del sacrificio eucaristico per i defunti.
Pur desiderandosi una maggiore esplicitazione e chiarezza,
riconosciamo i tratti fondamentali e necessari della definizione di
Trento.

L'espressione «sacrificio eucaristico», introdotta anche nell'art. 7
dal rimaneggiamento del '70, se da una parte si presta ad essere
confusa col semplice «sacrificio di rendimento di grazie» in senso
protestantico, può avere il vantaggio di esprimere anche a livello
lessicale l'importante compenetrazione fra sacrificio e sacramento nel
contesto globale dell'eucaristia.

Se poi passiamo al contesto prossimo, allora incontriamo fin
dall'art. 2 (nota 6; ritornerà poi anche all'art. 48, nota 38) l'importante
n. 47 della Sacrosanctum Concilium, che è la 'definizione più
comprensiva che ci dà il Concilio della S. Messa:
«Il nostro Salvatore nell'ultima Cena, la notte in cui fu tradito,
istituì il Sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, onde
perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della Croce, e per
affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua
Morte e Risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di
carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l'anima viene
ricolmata di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura».
In questa definizione dobbiamo cercare il significato genuino dei
termini «sacrificio eucaristico» e «memoriale» che ricorrono nella IGMR.

La nota 12 all'art. 7 rimanda a Presbyterorum Ordinis 5, in cui si
afferma che i presbiteri «offrono sacramentalmente il sacrificio di
Cristo». Ecco che il memoriale si riconferma rappresentazione
«sacramentale» del sacrificio di Cristo che ripresenta, rinnovandone
l'offerta.
La nota 49 all'art. 60 (aggiunta però nel '70) richiama PO 2, in cui
è detto che «questo sacrificio di Cristo (...) per mezzo dei presbiteri e in
nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell'eucaristia in modo incruento e
sacramentale». Il termine «incruento» rimanda al Tridentino e non è
altro che un modo per designare il carattere sacramentale, di «segno»,
del sacrificio della Messa.

Lumen Gentium 28, cui si fa cenno nella medesima nota, dice che
i presbiteri «nel sacrificio della messa rendono presente e applicano, fino
alla venuta del Signore, l'unico sacrificio del Nuovo Testamento, il
Sacrificio cioè di Cristo, che una volta per tutte si offre al Padre quale
vittima immacolata». Anche questa espressione: «rendono presente (o
"rappresentano") e applicano» è del Tridentino.

Le aggiunte del '70 interessano soprattutto l'articolo 7 e l'art. 55
nel corpo della IGMR. Inoltre offrono una importante precisazione nel
Proemio.
Art. 7 ('69): «La Cena del Signore, ossia la Messa, è la sacra
assemblea o adunanza del popolo di Dio, che si riunisce insieme, sotto
la presidenza del sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore...».
Art. 7 ('70): «Nella messa o cena del Signore, il popolo di Dio è
chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce
nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il
sacrificio eucaristico (...). Infatti nella celebrazione della messa, nella
quale si perpetua il sacrificio della croce (...)».
Innanzitutto vediamo che viene soppressa l'ambigua
identificazione fra Cena-Messa e assemblea. Questo cambiamento toglie
al passo l'andamento di una definizione. Non più «La Cena del Signore
(...) è» ma «Nella messa o cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato
(...)», il che ha più l'aria di una descrizione che di una definizione vera e
propria.
Si esplicita poi che «memoriale del Signore» equivale a «sacrificio
eucaristico». Questo era già evidente dal contesto (cfr. art. 2, nel corpo e
nella nota 6).

Si dice inoltre che nella celebrazione si perpetua il sacrificio della
croce. È una ripresa dell'espressione di SC 47, documento già citato
nelle note 6 e 38.
L'operazione si rivela dunque come un portare a livello di testo
quello che era implicito in nota. Non si tratta cioè tanto di una vera e
propria correzione (tranne però l'inizio dell'art. 7...) quanto di una
esplicitazione. Esplicitazione tuttavia importante.
La nota 14, aggiunta, rimanda al Concilio di Trento, al
fondamentale cap. I della XXII sessione, che contiene l'essenza della
dottrina tridentina sulla Messa, e alla Solenne Professione di Fede di
Paolo VI.
Perché le chiare espressioni tridentine non sono state riportate
direttamente nel testo? Perché – in generale – non si è fatto uso della
classica espressione «rinnovazione del Sacrificio del Calvario»?
Evidentemente la preoccupazione ecumenica ha giocato un ruolo
fondamentale.

Veniamo ora all'art. 55d.
Versione '69: «Narrazione dell'istituzione: mediante la quale con le
parole e le azioni di Cristo, si ripresenta quell'ultima cena, nella quale lo
stesso Cristo Signore istituì il sacramento della sua Passione e
Risurrezione, quando diede agli Apostoli, sotto le specie del pane e del
vino, il suo Corpo e il suo Sangue, da mangiare e da bere, e lasciò loro il
comando di perpetuare lo stesso mistero».
Versione '70: «Il racconto dell'istituzione e la consacrazione:
mediante le parole e i gesti di Cristo si compie il sacrificio che Cristo
stesso istituì nell'ultima cena, quando offrì il suo corpo e il suo sangue
sotto le specie del pane e del vino, lo diede a mangiare e a bere agli
apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero».
La correzione è di peso. Non più «ripresentazione dell'ultima
cena», espressione certamente non erronea ma neppure teologicamente
precisa, ma compimento del sacrificio istituito da Cristo nell'ultima
cena. Sacrificio che è consistito nell'offerta del corpo e del sangue
(aspetto anabatico) e nel darlo a mangiare ai discepoli (aspetto
catabatico)
. Il sacrificio si compie mediante le parole e i gesti di Gesù
ripresi nel «racconto dell'istituzione» e «consacrazione» (prima si parlava
solo di «narrazione dell'istituzione»). Il tutto è preciso e inequivocabile.
Il Proemio9 vuole agganciare il carattere sacrificale alla nozione di
memoriale: ricorda per questo SC 47, l'espressione del Sacramentarium
veronense presente nel vecchio e nel nuovo Messale: «Ogni volta che
celebriamo il memoriale di questo sacrificio si compie l'opera della
nostra redenzione», e sottolinea gli aspetti sacrificali delle nuove
preghiere eucaristiche. Inoltre è importante l'esplicito riferimento alle
finalità del sacrificio: «di lode, di azione di grazie, di propiziazione e di
espiazione».
Questo richiamo del Proemio alle preghiere eucaristiche merita di
essere verificato.
La prima (Canone romano) – nonostante le modifiche – conserva
un tono inequivocabilmente propiziatorio.

La seconda è la più deficitaria (il Proemio infatti non ne fa
menzione...).
La terza presenta delle allusioni oggettive: «Guarda con amore e
riconosci nell'offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra
redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e del sangue del tuo
Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo un solo
corpo e un solo spirito». Il testo latino è ben più efficace: «Respice,
quaesumus, in oblationem Ecclesiae tuae et, agnoscens Hostiam, cuius
voluisti immolatione placari, concede, ut qui Corpore et Sanguine Filii tui
reficimur Spiritu eius Sancto repleti, unum corpus et unus spiritus
inveniamur in Christo»10. Ancora: «Per questo sacrificio di
riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero».
Nella quarta troviamo queste parole: «In questo memoriale della
nostra redenzione celebriamo, Padre, la morte di Cristo, la sua discesa
agli inferi, proclamiamo la sua risurrezione e ascensione al cielo, dove
siede alla tua destra, e, in attesa della sua venuta nella gloria, ti
offriamo il suo corpo e il suo sangue, sacrificio a te gradito, per la
salvezza del mondo». «Guarda con amore, o Dio, la vittima che tu stesso
hai preparato per la tua Chiesa...».
Anche il dialogo che precede l'Offertorio contiene un'allusione al
fine propiziatorio: «Pregate fratelli, perché il mio e il vostro sacrificio sia
gradito a Dio Padre Onnipotente. – Il Signore riceva dalle tue mani
questo sacrificio per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa».
Anche qui il testo latino è ben altrimenti incisivo:
«ad utilitatem quoque
nostram».
È certo che confrontando la chiarezza e la frequenza delle
espressioni del Canone Romano e di tutto l'insieme del rito tradizionale
con queste affermazioni piuttosto timide e allusive si può rimanere
insoddisfatti. Soprattutto considerando il contesto dell'umanità di oggi
con tutto il bisogno che ha di essere educata al senso del peccato,
all'umiltà e al sacrificio. Ma di lì a dire che il testo è eretico o anche
direttamente favens haeresi c'è un abisso.

Un altro aspetto del problema poi che non deve essere trascurato
è questo: tutta la sostanza della dottrina sulla Messa è formalmente
oggettivamente contenuta nella parte essenziale costituita dalla
consacrazione. I riti accessori non sono – in fondo – che spiegazione,
esplicitazione e solennizzazione di questa parte fondamentale. E questo,
evidentemente, lo possono fare in modo più o meno soddisfacente e
pronunciato. Bisogna anzi riconoscere che l'aggiunta del «quod pro
vobis tradetur» (1 Cor 11, 24) alle parole pronunciate sul pane accentua
nella nuova formula il significato propiziatorio
.
Quando il ministro (che, secondo 1'IGMR, «agit in persona
Christi»: nn. 7, 10, 60, 48) pronunzia le parole «Questo è il mio corpo
offerto in sacrificio per voi» e «Questo è il calice del mio sangue per la
nuova ed eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei
peccati» afferma oggettivamente nello stesso tempo la presenza reale e il
sacrificio propiziatorio. Il «tradetur» e 1'«effundetur» (nel testo greco
participi presenti con significato di futuro prossimo), con il «pro vobis et
pro multis» e il «in remissionem peccatorum», significano chiaramente
l'identità sacramentale fra questo gesto e quello dell'Ultima Cena con la
sua relazione essenziale con il sacrificio redentore del Calvario. Non
vedo che altro significato si potrebbe dare a queste parole alla luce
dell'azione «in persona Christi» affermata dall'Institutio. Dice
giustamente l'abbé de Nantes che i tradizionalisti dovrebbero stare
attenti, nel calore della polemica, a non far coro con i protestanti nel
negare un chiaro significato sacrificale a queste espressioni
scritturistiche.

Al NOM viene rimproverata anche una «pratica soppressione
dell'offertorio». Le attuali preghiere offertoriali infatti testimonierebbero
lo scivolamento da una offerta in chiave sacrificale ad una semplice
«presentazione di doni». Un ulteriore impoverimento del significato
oblativo del rito.
C'è molto di vero in questa osservazione. Non bisogna però
attribuirle una portata eccessiva.
Innanzitutto le teorie che considerano l'offertorio (come rito) parte
essenziale del sacrificio sono decisamente superate e non hanno più
nessun serio sostenitore. Storicamente è accertato che le preghiere
dell'offertorio si sono introdotte tardivamente nella Messa romana,
sovrapponendosi al rito (che prima si compiva silenziosamente o con
accompagnamento di canti) per sottolinearne il significato11. Nella sua
essenza, poi, l'offertorio è tutto contenuto nella consacrazione12
.
L'antico rito di offertorio era anticipazione e evidenziazione dell'offerta
tutta contenuta nella consacrazione.
Le nuove preghiere sono certamente teologicamente più povere
delle precedenti. In particolare non hanno più, in sé stesse quel ricco
significato oblazionistico che avevano prima. Tuttavia, 1'IGMR afferma
che il rito dell'offertorio «ha il suo valore e il suo significato spirituale»

(n. 49). Valore e significato che Giovanni Paolo II interpreta così: «Tutti
coloro (...) che partecipano all'Eucaristia, senza sacrificare come lui (il
sacerdote), offrono con lui, in virtù del sacerdozio comune, i loro propri
sacrifici spirituali, rappresentati dal pane e dal vino, sin dal momento
della loro presentazione all'altare. (...) Il pane e il vino diventano, in
certo senso, simbolo di tutto ciò che l'assemblea eucaristica porta, da
sé, in offerta a Dio, e offre in spirito. È importante che questo primo
momento della liturgia eucaristica, nel senso stretto, trovi la sua
espressione nel comportamento dei partecipanti. A ciò corrisponde la
cosiddetta processione con i doni, prevista dalla recente riforma
liturgica (...). La consapevolezza dell'atto di presentare le offerte
dovrebbe essere mantenuta durante tutta la Messa. Anzi deve essere
portata a pienezza al momento della consacrazione e dell'oblazione
anamnetica ...» (Dominicae Cenae: EV 7, 191-192). Il rito, pur
accompagnato da preghiere decisamente meno espressive, continua
dunque a conservare il suo valore oblazionistico e il suo legame
profondo con il nucleo centrale del sacrificio della Messa.
[Modificato da Heleneadmin 10/02/2011 14:01]
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