online dal 19 ottobre 2003

 

Nuova Discussione
Rispondi
 
Stampa | Notifica email    
Autore

Novus Ordo Missae e Fede Cattolica

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2011 18:09
09/02/2011 17:55
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Post: 322
Registrato il: 26/07/2010
Città: MILANO
Età: 57
Sesso: Femminile
Utente Senior
Amministratore
OFFLINE
NOVUS ORDO MISSAE
E PRESENZA REALE
Come ha affermato recentemente il Papa, il Concilio di Trento ha
richiamato e interpretato «con autorità definitiva le parole espresse da
Gesù sia nel discorso del Pane di Vita (Gv c. 6) sia nell'ultima Cena»1.
Il dogma tridentino della presenza reale si articola in tre punti:
a. La presenza reale del corpo e del sangue di Gesù Cristo sotto le
specie del pane e del vino;
b. L'assenza della sostanza del pane e del vino sotto le specie
sacramentali;
c. La presenza del corpo e del sangue di Cristo e l'assenza del pane e
del vino si spiegano con la conversione totale della sostanza del pane
e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Gesù.

Il Tridentino afferma che questa «mirabile conversione» è stata
rettamente denominata dalla Chiesa «transustanziazione». La
definizione porta dunque sul fatto della conversione totale, non sul
termine in se stesso. Questo termine però la Chiesa lo considera
indispensabile per la preservazione del dogma. Non si può quindi
rifiutarlo senza attentare, almeno indirettamente, all'integrità del dogma
e all'infallibilità e santità della Chiesa2.
Questo terzo punto è sempre stato considerato particolarmente
importante. Lo testimonia soprattutto3 l'episodio del Sinodo di Pistoia.
Dal 18 al 28 settembre 1786 il vescovo di Pistoia Scipione Ricci
convocò un sinodo diocesano in cui furono emanati decreti di riforma
orientati in senso decisamente giansenistico. Nel 1794, il Papa Pio VI
intervenne condannando 85 proposizioni estratte da questi decreti. La
proposizione 29 riguarda il dogma della presenza reale e condanna
l'omissione del termine «transustanziazione». Il sinodo aveva formulato
una dottrina eucaristica esatta in ciò che enunciava positivamente.
Anziché però parlare di «conversione» si limitava ad affermare la
cessazione del pane e del vino per lasciar posto alla presenza di Cristo.
«La dottrina del Sinodo nella parte in cui intende insegnare la
dottrina della fede sul rito della consacrazione, che lascia da parte le
questioni scolastiche sul modo per cui Cristo è nell'Eucaristia, da cui il
parroco è esortato ad astenersi, e proporre soltanto questi due punti: 1)
Cristo dopo la consacrazione è veramente, realmente, sostanzialmente
presente sotto le specie; 2) allora cessa ogni sostanza del pane e del vino
e rimangono solo le specie, omettendo completamente di far menzione
della transustanziazione (cioè della conversione di tutta la sostanza del
pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, che il Concilio
di Trento aveva definito come articolo di fede e che è contenuta nella
solenne professione di fede [dello stesso Concilio]); in quanto, a causa di
questa inconsulta e sospetta omissione, non dà conoscenza sia
dell'articolo di fede, sia anche del termine consacrato dalla Chiesa per
garantirne la professione contro gli eretici, e tende perciò ad indurre alla
sua dimenticanza, quasi che si tratti di una questione soltanto
scolastica: – pericolosa, manchevole quanto all'esposizione della verità
cattolica sul dogma della transustanziazione, favorevole agli eretici» (DS
2629).
La prassi di omettere nella predicazione, quando si spiega la
presenza reale, il punto di dottrina riguardante il modo della sua
realizzazione, cioè la «conversione totale», nonché l'omissione di quel
termine che la Chiesa indica come adatto per designarla è considerata
da Pio VI pericolosa per la fede. Al di là del punto specifico, questa
prassi continua ad essere stigmatizzata anche oggi dalla Chiesa.
L'ecumenismo non deve significare, secondo il pensiero ufficiale della
Chiesa espresso nei documenti del Vaticano II, omissione dei punti di
dottrina controversi: «Bisogna assolutamente esporre con chiarezza
tutta intera la dottrina. Niente è più alieno dall'ecumenismo, quanto
quel falso irenismo, dal quale ne viene a soffrire la purezza della
dottrina cattolica e ne viene oscurato il suo senso genuino e preciso»
(Unitatis redintegratio, n. 11: EV 1, 534).
L'ecumenismo riguarda
piuttosto il «modo» con cui esporre la dottrina: «con più profondità ed
esattezza» (Ibid.: 535); «con amore della verità, con carità e umiltà» (Ibid.:
536), cioè evitando le spigolosità polemiche gratuite e le terminologie
che aggravano inutilmente le differenze. Si tratterà cioè di aver riguardo
alla «gerarchia nelle verità» (Ibidem): cioè al fatto che non tutte le verità
hanno la stessa importanza4. Questo però sempre nell'adesione a tutta
la verità e nella professione di tutta intera la verità.
L'«ecumenismo per omissione» non si giustifica (così come non si
giustifica una «catechesi per omissione»5 (5)...).

Dobbiamo considerare anche il nostro testo (IGMR) come affetto
da un tale ecumenismo distorto?
Xavier da Silveira6 rivolge ad esso, dallo specifico punto di vista
del dogma della presenza reale, tre accuse:
a. Le espressioni «presenza reale» e «transustanziazione» sono assenti
nell'edizione del '69.
b. Il passo di Mt 18, 20 «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io
sono in mezzo a loro», che si riferisce senz'altro alla presenza morale
di Cristo in mezzo ai suoi, nel n. 7 è applicato, senz'altra spiegazione,
alla presenza di Cristo nell'eucaristia, che è presenza sostanziale.
c. Il testo parla con insistenza di «presenza» di Cristo oltre a quella
eucaristica.
L'accusa più grave è quella del punto «a» che concerne una grave
omissione. Anticipando le conclusioni, diciamo che la dobbiamo
senz'altro rilevare e, in una certa misura, anche deprecare. Nello stesso
tempo però, consideriamo anche due cose: 1) L'eventuale errore di
omissione è stato corretto nella versione del '70, che è quella definitiva;
2) Entrambe le versioni si muovono in un contesto magisteriale che
riafferma vigorosamente la dottrina della «transustanziazione» (la
Mysterium fidei è dello stesso Paolo VI che ha promulgato l'IGMR)
. Un
esatto parallelo con il caso del sinodo di Pistoia non è dunque fattibile.
Certamente non troviamo nell'IGMR una dottrina organica e
completa sul dogma della presenza reale e della transustanziazione.
Non soltanto il termine «transustanziazione», nella versione del '69, è
assente, ma anche la realtà non vi figura neppure in termini
equivalenti.

Vi sono espressioni che la lasciano supporre come: «Nella
Preghiera eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l'opera della
salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Mediante la
frazione di un unico pane si manifesta la unità dei fedeli, e per mezzo
della comunione i fedeli ricevono il Corpo e il Sangue del Signore allo
stesso modo col quale gli apostoli li hanno ricevuti dalle mani del
medesimo Cristo» (n. 48).
«All'inizio della liturgia eucaristica si portano all'altare i doni, che
diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo» (n. 49).
«Epiclesi: per mezzo della quale la Chiesa con particolari
invocazioni implora la virtù divina affinché vengano consacrati i doni
offerti dagli uomini, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché
l'ostia immacolata ricevuta in comunione giovi per la salvezza di coloro
che vi partecipano» (n. 55).
«I sacri pastori abbiano cura di ricordare nel modo più opportuno
ai fedeli che partecipano al rito o che vi assistono, la dottrina cattolica

sulla forma della comunione, secondo il Concilio di Trento. E
innanzitutto ricordino ai fedeli che la fede cattolica insegna che, anche
sotto una sola specie si riceve Cristo nella sua totalità e nella sua
integrità...» (n. 241).
«Si raccomanda vivamente che il luogo della conservazione della
santissima Eucaristia sia posto in una cappella idonea per la preghiera
(la versione del '70 aggiunge: "e l'adorazione") privata dei fedeli» (n. 276).
L'espressione «le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo» e
similari (48, 49, 55) non sono, come abbiamo visto, sufficienti – di per
sé – per distinguere la dottrina cattolica da quella protestantica che
vanifica il significato ovvio e pieno delle parole dell'istituzione.
Tuttavia, già nel n. 55 troviamo un'espressione che ha sapore
inequivocabilmente cattolico: «l'ostia immacolata ricevuta in
comunione». Il riferimento sacrificale soprattutto la pone nell'ambito
semantico del dogma,
ma essa parla anche il linguaggio del realismo
eucaristico.
Ciò è ancora più evidente per i nn. 241 e 276. Il n. 241, nel
mentre ristabilisce la possibilità della comunione sotto le due specie,
richiama la dottrina di Trento sulla totalità della presenza di Cristo
anche sotto una sola specie. Come abbiamo già visto, infatti, in forza
delle parole sono resi presenti, separatamente, il Corpo e il Sangue.
Sono però il Corpo e il Sangue di Gesù come si trova ora: cioè Gesù
risorto e vivo. Dunque, per concomitanza naturale, è presente – sotto
ogni specie – tutta l'umanità di Gesù e, in virtù dell'unione ipostatica,
anche la divinità. Sotto ogni specie è presente Gesù – lo stesso Gesù
nato dalla Vergine Maria, che è morto e risorto e ora siede alla destra
del Padre – in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Quello che ci interessa
è (oltre al richiamo al Tridentino) la terminologia («sotto una sola specie
si riceve Cristo») che fa parte dell'ambito semantico del dogma.

Ancora più importante e decisivo è il n. 276. Più importante
perché enuncia un atteggiamento pratico, in consonanza con le finalità
proprie dell'IGMR e la natura della liturgia. Decisivo perché esprime una
differenza radicale con la prassi protestantica. Vi si parla infatti della
conservazione e del culto dell'Eucaristia «post Missam». Questa prassi
implica necessariamente la dottrina della presenza permanente, quindi
sostanziale, di Cristo nell'Eucaristia. Dottrina che fa corpo con tutto il
dogma della presenza reale e anche con la transustanziazione.
Prova ne
è che i protestanti più vicini alle posizioni cattoliche, pur disposti a
tollerare il termine «transustanziazione», ridotto al rango di espressione
di una particolare tradizione teologica, continuano a manifestare
fortissime perplessità nei confronti di una presenza eucaristica
permanente, che dura fin tanto che durano le specie7.
Certo l'assenza del termine «transustanziazione» è difficilmente
giustificabile in un documento che non è soltanto pratico-liturgico
(anche se lo è certamente principalmente). Tuttavia si tratta di un
peccato di omissione che è stato provvidenzialmente corretto (le critiche
non sono state inutili..). Il Proemio aggiunto nel '70 dedica un
importante passaggio al dogma della presenza reale. Innanzitutto viene
evidenziato il legame dell'IGMR con il contesto del Magistero passato e
recente: dal Concilio di Trento al Vaticano II, passando attraverso
l'Humani generis e la Mysterium (idei
. Quindi, mentre qualifica
chiaramente il modus praesentiae come «transustanziazione», pone
l'indice sugli elementi rituali che enunciano, col linguaggio proprio del
gesto, questo dogma8.
Altro punto critico è quello costituito dall'articolo 7. La redazione
primitiva di questo articolo era certamente
– come constateremo anche
in seguito – fortemente equivoca: «La Cena del Signore, ossia la Messa, è
la sacra assemblea o adunanza del popolo di Dio, che si riunisce
insieme, sotto la presidenza del sacerdote, per celebrare il memoriale del
Signore. Pertanto a riguardo dell'adunanza locale della santa Chiesa,
vale in modo eminente la promessa di Cristo: "Dove sono due o tre riuniti
nel mio nome, là sono io in mezzo a loro" (Mt 18, 20)». Soprattutto
l'inserimento del passo scritturistico di Mt 18, 20 in un contesto in cui
ci si aspetterebbe un chiaro riferimento alla presenza sostanziale di
Cristo è tale da deviare facilmente l'interpretazione. Il passo infatti si
riferisce chiaramente ad una presenza reale di Cristo di natura morale9.
L'espressione «in modo eminente» è insufficiente per mettere
inequivocabilmente sulla strada di una lettura essenzialmente
differenziata di questa presenza. L'articolo andava certamente corretto.
La correzione riporta il testo nell'alveo della concezione della
Mysterium fidei, che vede la presenza reale di Cristo che si differenzia in
varie modalità, di cui la principale è quella eucaristica perché
sostanziale e permanente (vedremo in seguito più dettagliatamente
questa importantissima dottrina). La nuova versione infatti interpreta il

passo biblico come rivolto alla presenza differenziata di Cristo: «Nella
messa o cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme
sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per
celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico.
Per questa riunione locale della santa chiesa vale perciò in modo
eminente la promessa di Cristo: (...). Infatti nella celebrazione della
messa, nella quale si perpetua il sacrificio della croce, Cristo è realmente
presente nell'assemblea dei fedeli, riunita in suo nome, nella persona del
ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le
specie eucaristiche». Il riferimento a Mt 18, 20 continua a rimanere
accomodatizio e a rendere l'articolo disorganico e impreciso (forse non lo
si è eliminato del tutto solo per non dare un riconoscimento troppo
aperto alle contestazioni...), tuttavia l'inciso spiega inequivocabilmente
in che senso si deve intendere la «presenza eminente» di Cristo nella
celebrazione della Messa.
[Modificato da Heleneadmin 10/02/2011 14:40]
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 2 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:18. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com

 

 

Statistiche nwo.it

 

Statistiche Forum