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Novus Ordo Missae e Fede Cattolica

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2011 18:09
09/02/2011 18:05
 
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1 Cfr. E. LODI, Enchiridion euchologicum fontium liturgicorum (Roma 1979) nn.
3426-3432; IDEM, Clavis methodologica cum commentariis selectis (Bologna 1979) p.
247-249.
2 Scritti politici (Torino 1978) pp. 269-272. Il «canone minore» è l'offertorio.
3 Cfr. O. CASEL, Das Mysteriengedächtnis..., cit.; Y. CONGAR, Théologie de
l'eucharistie et christologie chez Luther, in: Rev. Sc. ph. th. 66 (1982) p. 179.
4 Scritti politici, cit., p. 272.
5 Cfr. Gemeinsame römisch-katolische Kommission, Das Herrenmahl, cit.: ampia
raccolta di forme liturgiche luterane attuali alle pp. 59-84.
6 G. SCUDERI, La cena del Signore: significato e celebrazione liturgica nella dottrina
e nella prassi delle chiese evangeliche in Italia, in Eucaristia sfida alle Chiese divise
(Padova 1984) p. 85.
7 Ibid., p. 87.
8 Cfr. E. LODI, Op. cit., nn. 3433-3438.
9 Cfr. Ibid., nn. 3439-3457. Qui riportiamo i nn. 3347-3348 tratti dal Prayer
Book del 1549. La traduzione è dello stesso Lodi, Liturgia della Chiesa. Guida allo
studio della liturgia nelle sue fonti antiche e recenti (Bologna 1981) pp. 534-537.
10 E. PASCHETTO, La celebrazione eucaristica nel movimento battista in: Eucaristia
sfida alle Chiese divise, cit., p. 141.
11 Ibid., p. 147.
12 Ibid., p. 150.
13 Ibidem.
14 Cfr. D. BONNETERRE, Le mouvement liturgique (Escurolles 1980) pp. 180-183.
Trad. it. in M. THURIAN, L'eucaristia..., cit., pp. 305-341.
15 Come mai allora lo stesso M. Thurian ha potuto scrivere, su la Croix del 30
maggio 1969, che «Le nouvel Ordo de la Messe, quelles que soient ses imperfections
relatives ... est un exemple de ce souci fécond d'unité ouverte et de fidélité dynamique,
de véritable catholicité: un des fruits en sera peut-être que des communautés non
catholiques pourront célébrer la sainte Cène avec les mêmes prières que l'Eglise
catholique. Théologiquement, c'est possible» (in: G. OURY, La messe de S. Pie V à Paul VI
[Solesmes 1975] p. 123)? Questa dichiarazione ha sollevato, comprensibilmente, molto
scandalo e l'iniziativa del quotidiano cattolico francese di far presentare il NOM da un
pastore protestante lascia – per usare un eufemismo – molto perplessi. Non è però
possibile concludere senza altro che la Messa di Paolo VI è protestante.
A mio avviso si
impongono alcune osservazioni:
a) ogni testo liturgico, in virtù del suo genere letterario proprio,
che non è quello didascalico ma piuttosto quello poetico e figurato, si
presta facilmente ad interpretazioni diverse. Non dimentichiamo che
anche Lutero – agli inizi delle sue riforme, ma già «luterano» – non
trovava troppe difficoltà ad interpretare le formule del Messale Romano
nel senso della sua teologia del sacrificio (
cfr. J. RIVIERE, La Messe...,
cit., col. 1087). Anche nel patrimonio tradizionale esistono preghiere
che, tolte dal loro contesto, si prestano con estrema facilità ad una
interpretazione impropria (si veda, a titolo di esempio, l'antifona di
offertorio della Messa dei defunti: «Domine Jesu Christe, Rex gloriae...»,
in cui si chiede al Signore di liberare le anime di tutti i fedeli defunti
dalle fiamme dell'inferno ... quasi che la sorte eterna dell'uomo non si
decida irrevocabilmente all'istante della morte...). I nuovi formulari poi
si prestano certamente più facilmente di quelli antichi ad essere
interpretati in senso protestantico;
b) la teologia di M. Thurian è tutt'altro che chiara ed univoca.
Abbiamo già rilevato, nel corso del nostro studio, qualche incoerenza.
Accanto ad una fedeltà, almeno nominale, alla tradizione calvinistica, si
fanno luce elementi decisamente cattolicheggianti ...;
c) la posizione di M. Thurian è lungi dal rappresentare quella della generalità dei
protestanti. Anzi, le sue dichiarazioni hanno provocato vivaci proteste. Per es. il
luterano GUNTHER WENZ (Die Lehre vom Opfer Christi im Herrenmahl als Problem
ökumenischer Theologie in Kerygma und Dogma 28/1/1982 pp. 7-41) ci offre una ben
diversa lettura della riforma della liturgia cattolica. Dopo aver constatato che «sarebbe
certamente un errore credere che il Concilio Vaticano II, per quanto riguarda il
rapporto fra avvenimento della Croce e sacrificio della Messa, rappresenti una radicale
revisione della concezione cattolica tradizionale» (p. 14), conclude che le nuove
preghiere eucaristiche esprimono una dottrina dell'offerta sacrificale molto più
esplicita di quella del Canone Romano!
Ad ogni modo, quali che siano le cause di ordine oggettivo o soggettivo che
hanno reso possibile questa dichiarazione, rimane fuori discussione che un protestante
che intenda professare il suo rifiuto dei dogmi cattolici attraverso le formule del NOM
deve necessariamente assumerle come distaccate dal loro contesto ed attribuire loro un
senso diverso da quello ovvio e proprio.

16 Cfr. P. RADO, Enchiridion Liturgicum (Roma 1961), vol. I, pp. 530-531.
17 Cfr. E theia leitourghia tou en aghiois patros emon Ioannou tou Krisostomou
(Roma 1967) p. 107.
18 M. RIGHETTI, La Messa, cit., p. 397.
19 Cfr. CORNELIUS A LAPIDE, in Mt 20,28; in Mt 26,28: «Qui pro multis, – id est pro
omnibus ...»; in Rom 5, 19; SIMON-DORADO, Praelectiones biblicae – Novum
Testamentum, vol. I (Torino 19608) pp. 896, 797-798; ZERWICK, Analysis philologica
N.T. gracci in Mt 26,28: «omnes qui multi sunt».
20 La crisi nella Chiesa..., cit., p. 32. questo pamphlet è un esempio di come
anche persone competenti abbiano affrontato con superficialità e pressappochismo
questo delicato problema.
21 La si può leggere nella traduzione latina dell'originale greco perduto per es. in:
J. SOLANO, Textos eucaristicos primitivos, vol. I (Madrid 19782) nn. 170-171.
22 E. LANNE, Introduzione a: M. Thurian, L'eucaristia.... cit., pp. XXIV-XXV. Anche
per E. Mazza «l'anafora II nasce per un radicale ridimensionamento del testo di
Ippolito, per conservare solo i tratti fondamentali» (Le odierne preghiere eucaristiche,
vol. I [Bologna 1984] p. 130).
23 Credo che non si possa seriamente contestare il valore sacrificale di queste
espressioni, anche se questa contestazione è stata fatta. Per Enrico Mazza (op. cit., pp.
180-184), la fonte dell'anamnesi-offerta della Prex III non è il testo mozarabico – che
peraltro padre Vagaggini stesso (che è l'autore materiale della Preghiera) indica come
tale – ma ha bensì una origine romana, anzi, in definitiva scritturistica: Rm 12, 1.
Ecco il testo mozarabico: «Questa è la vittima che pendette dal legno; questa è la
carne che è risorta dal sepolcro. Ciò che il nostro sacerdote (= Cristo) offri in verità,
questo stesso noi offriamo nella soavità del pane e del vino. Guarda (cognosce), ti
preghiamo, Dio onnipotente, la vittima per la cui intercessione sei stato placato e
accetta come adottivi coloro per i quali, per grazia, sei divenuto padre» (p. 181).
È evidente che qui abbiamo la identificazione (sacramentale) fra questa vittima
offerta nella liturgia e Gesù Cristo, mentre «il sacrificio vivente, santo, gradito a Dio» di
san Paolo è la vita santa dei cristiani. Nel significato preciso di questo vocabolo c'è
tutta la differenza fra la concezione protestantica e cattolica del sacrificio eucaristico.
Mazza parla, con notevole improprietà di linguaggio, di una teologia dell'anamnesi e di
una teologia del «di nuovo»: «questa discussione ci serve per concludere che non è
tanto un vocabolo che fa difficoltà per le sue implicazioni di "sacrificio cruento" quanto
piuttosto il sistema teologico basato sulla ripetizione del sacrificio. Questa
associazione tra l'uso del vocabolo "vittima" e la teologia della ripetizione del sacrificio
è chiara in Gregorio magno: "... dobbiamo immolare quotidiani sacrifici (hostias) della
sua carne e del suo sangue. Infatti unicamente questa vittima (victima) salva l'anima
dalla morte eterna dato che, per il mistero, rinnova (reparat) per noi proprio la morte
dell'Unigenito che, quantunque risorgendo da morte non muoia più e la morte non
domini più su di lui, pur vivendo in se stesso immortale e incorruttibile, per noi di
nuovo viene immolato in questo mistero del santo sacrificio" (Dialogorum libri quattuor
IV, 58: PL 77, 425). Qui il concetto di sacrificio è completamente sganciato dal "far
memoria", dall'ultima cena e dal "mandato" di cui la messa è obbedienza. Tutto questo
settore dei Dialoghi di Gregorio è pervaso di questa teologia della vittima dato che deve
mostrare la sua efficacia contro il peccato dei vivi e dei defunti. La traduzione
dell'anafora terza recepisce il termine "vittima"; ciò significa che recepisce anche
questa teologia del "di nuovo"? Non necessariamente. Il testo resta piuttosto neutro al
riguardo, ma dato che introduce il racconto istitutivo con il comando di Gesù di
"celebrare questi misteri", possiamo concludere che la teologia dell'anamnesi prevale
sulla teologia del di nuovo» (pp. 181-183).
A questo autore sembra sfuggire il valore dell'espressione «per il mistero» di san
Gregorio, per cui anamnesi e rinnovamento nel mistero sono la stessa cosa. In realtà
l'identità fra l'offerta della Messa e la vittima divina non è propria della teologia, ma del
dogma: «in divino hoc sacrificio, quod in Missa peragitur, idem ille Christus continetur
et incruente immolatur, qui in ara crucis "semel se ipsum cruente obtulit"» (Conc.
Trid.: DS 1743), mentre la catalogazione di questa dottrina come «teologia del di
nuovo» ci riporta alla fondamentale incomprensione protestantica della realtà
sacramentale.
Tuttavia, quello che qui mi interessa è che il senso oggettivo dell'espressione
liturgica non può essere altro che quello che identifica questa vittima attualmente
offerta colla vittima del Calvario. Lo prova il senso ovvio del testo, il contesto
magisteriale in cui è inserito, oltre che, in questo caso specifico, l'origine materiale
della sua formulazione. Si noti poi che Mazza mette in opera la stessa interpretazione
anche per le espressioni corrispondenti del Canone Romano (pp. 108-110) e si lamenta
del crudo realismo della Prex IV: «ti offriamo il suo corpo e il suo sangue sacrificio a te
gradito per la salvezza del mondo».

146
CONCLUSIONE

Giunti al termine del nostro cammino, è arrivato il momento di
lanciare uno sguardo retrospettivo all'itinerario percorso.
Siamo partiti da questa domanda fondamentale: le critiche di
radicale protestantizzazione rivolte al NOM, che si .presenta con
caratteristiche tanto diverse dall'ordo tradizionale e con tante
somiglianze con la pratica protestantica, sono giustificate?
Per rispondere a questo quesito abbiamo, anche se
frettolosamente, interrogato la storia, per cogliere i punti essenziali di
divisione/distinzione fra concezione cattolica e protestantica della
Messa.
Identificatili nel carattere sacrificale, nella presenza reale e nel
sacerdozio ministeriale, ci siamo accinti a verificarne il permanere nel
nuovo rito, nella sua «introduzione generale» e nelle sue rubriche.
Ci è sembrato tuttavia necessario premettere due esposizioni di
carattere teologico e metodologico. Perché la Messa è sacrificio? Perché è
«imago repraesentativa passionis Christi», risponde san Tommaso.
Perché è il «memoriale della morte del Signore», dice la tradizione. Il
concetto chiave di memoriale si trova così inserito nella «sana dottrina».
Quali sono i criteri corretti di interpretazione di un testo liturgico e di
un atto del magistero (perché in casu si tratta dell'uno e dell'altro)?
Poiché si tratta di interpretare un testo, il problema di una corretta
metodologia che tenga conto della natura del testo si impone, e si rivela
in definitiva come il punto centrale. L'allargamento dell'orizzonte
ermeneutico alle note e ai pronunciamenti del Magistero nella loro
continuità costituisce un imprescindibile dovere. Solo in questo
contesto allargato si può cogliere il senso proprio e oggettivo dei nostri
testi ed esso si rivela inequivocabilmente cattolico.
La prova documentaria si snoda seguendo i punti dottrinali
cardine che si vuole verificare negli articoli dell'IGMR e nelle preghiere
dell'OM.
146
a) Si constata allora che il carattere sacrificale non è negato
coll'uso del termine «memoriale» e che il fine propiziatorio è affermato
con l'affermata identità di sacrificio del Calvario e sacrificio eucaristico e
con l'uso di termini equivalenti.
b) Si constata che il sospetto silenzio sul termine scottante
«transustanziazione» è stato corretto nel testo definitivo, che l'insistenza
su altre forme di presenza di Cristo, diverse da quella eucaristica, non
esce dall'ambito della concezione cattolica della presenza eucaristica
«reale non per esclusione ma per antonomasia» (Mysterium fidei).
c) Si constata che la differenza essenziale fra sacerdozio comune e
sacerdozio ministeriale è nuovamente affermata e l'insistenza sulla
partecipazione dei fedeli si inserisce in una concezione «organica» e non
ha niente a che vedere con la concezione indifferenziata dei protestanti.
Fatta la verifica che il rito è sostanzialmente cattolico, ci siamo
posti la domanda se – data la sua indiscutibile natura di «misura di
interesse generale» emanante dalla suprema autorità della Chiesa –
sarebbe stato, per ipotesi, possibile giungere ad una conclusione
contraria. La dottrina sull'infallibilità dottrinale e pratica della Chiesa
ha confermato i nostri rilievi. Problematica esaminata dopo nella
riflessione teologica, ma che viene prima nel concreto esercizio dell'atto
di fede.
Una raccolta di testi del Magistero viene a fornire il supporto
documentario (non completo, ma sufficientemente vasto) alla nostra
linea interpretativa, mentre qualche testo liturgico, esaminato nelle sue
parti più importanti, costituisce una ulteriore, preziosa, verifica.
Abbiamo detto all'inizio che era nostra intenzione fare
dell'apologetica autentica, la quale, fondata come è sulla verità e
sull'obiettività, non può esimersi dal registrare anche quello che le
critiche hanno di vero. Questo è importante per comprendere come le
critiche sono state possibili e per aprire la strada ad una soluzione che
dia soddisfazione ai malcontenti fondati.
Abbiamo così riscontrato uno sbilanciamento ecumenico
eccessivo che dà luogo ad una certa confusione. L'attenuazione dei
termini efficacemente propiziatori risulta poi tanto più pericolosa in
quanto avviene nel contesto edonistico contemporaneo che ha perduto –
è cosa evidente per tutti – il senso del peccato e ha dimenticato il valore
del sacrificio. La centralità della presenza eucaristica risulta anch'essa
attenuata, quando si tratta del nucleo centrale del mistero e di qualcosa
di particolarmente ostico per la mentalità moderna refrattaria al
«miracolo» e al «mistero» (e quindi bisognoso di più ferma professione).
Anche la sottolineatura unidirezionale del sacerdozio dei fedeli ci pare
146
molto
[Modificato da Heleneadmin 10/02/2011 18:17]
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