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Al Gore: la fine di una parabola. Smantellata la sua macchina di propaganda

Ultimo Aggiornamento: 06/04/2024 20:11
13/11/2023 15:20
 
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Vuoi pubblicare uno studio sul clima? «Non dire tutta la verità»

Arriviamo dall’estate dell’ecoansia, due mesi in cui il racconto mediatico degli eventi meteorologici ha esondato nella climatologia da spiaggia, e ogni temporale, raffica di vento o incendio era indiscutibilmente causato dai cambiamenti climatici, a loro volta causati dalle emissioni di gas serra dell’uomo. Chi avanza dubbi è “negazionista”, chi non dice che «bisogna agire subito!» è antiscientifico.

www.tempi.it/riviste-digitali/bolle-di-dragone/

La quasi totalità degli esperti di clima è d’accordo, abbiamo letto e sentito spesso, e tanto basta per applicare l’etichetta "climate change" su qualunque allarme per interrompere il dibattito.

Gli incendi e il cambiamento climatico
Prendiamo il caso degli incendi, che, come quasi sempre succede in estate, hanno colpito l’Italia, l’Europa, il Canada e, con conseguenze relativamente tragiche, anche le Hawaii. Di sicuro effetto visivo, le foto di foreste e boschi in fiamme hanno accompagnato per settimane quasi tutti gli articoli sull’emergenza climatica, come se l’effetto diretto del riscaldamento globale fossero le lingue di fuoco dell’inferno su questa terra. Piromani, scarsa prevenzione, disorganizzazione nei soccorsi, errori nelle fasi di evacuazione, mancanza di mezzi per contenere gli incendi erano note a piè di pagina, accidenti che i cronisti erano costretti a menzionare e che i titolisti erano autorizzati a ignorare. «Sono uno scienziato del clima. E sebbene il cambiamento climatico sia un fattore importante che influenza gli incendi in molte parti del mondo, non è nemmeno lontanamente l’unico fattore che merita la nostra attenzione esclusiva». A scriverlo è Patrick T. Brown, climatologo con dottorato di ricerca e co-direttore del Climate and Energy Team presso il Breakthrough Institute. In un lungo intervento su The Free Press, Brown racconta di come è riuscito a farsi pubblicare da una delle riviste scientifiche più importanti al mondo, Nature, un articolo su clima e incendi, e di come per farlo abbia dovuto censurarsi.

www.thefp.com/p/i-overhyped-climate-change-to-get-published

«Non ho detto tutta la verità per pubblicare il mio studio»
«Non ho detto tutta la verità per pubblicare il mio paper sul cambiamento climatico», scrive sul portale diretto da Bari Weiss, la giornalista che lasciò il New York Times perché troppo ideologico e schierato dalla parte del politicamente corretto. «Perché la stampa si concentra così intensamente sul cambiamento climatico come causa principale [degli incendi]?», si chiede lo scienziato. Forse perché «si adatta a una trama semplice che premia la persona che la racconta», come ha sperimentato lui stesso nel suo documento pubblicato da Nature. «Sapevo di non dover cercare di quantificare aspetti chiave diversi dal cambiamento climatico nella mia ricerca perché avrebbe diluito la storia che riviste prestigiose come Nature e la sua rivale, Science, vogliono raccontare». Per uno scienziato è di fondamentale importanza essere pubblicati su riviste di alto profilo, in molti casi sono la strada per avere successo professionale nel mondo accademico. «Chi dirige queste riviste ha reso abbondantemente chiaro, sia con ciò che pubblicano sia con ciò che rifiutano, che vogliono paper sul clima che confermino alcune narrazioni pre-approvate, anche quando queste narrazioni vanno a scapito di una più ampia conoscenza per tutti dell’argomento».

La scienza del clima è una nuova Cassandra
Il fatto è che, spiega Brown, «la scienza del clima è usata sempre meno per comprendere le complessità del mondo, mentre la sua funzione è sempre più quella di fungere come una sorta di Cassandra, avvertendo allarmisticamente il pubblico sui pericoli del cambiamento climatico. Per quanto comprensibile possa essere questo istinto, distorce gran parte della ricerca scientifica sul clima, disinforma il pubblico e, soprattutto, rende più difficile trovare soluzioni pratiche». Brown descrive quello che negli anni è diventato un circuito vizioso praticamente perfetto: la carriera di un ricercatore dipende dal fatto che il suo lavoro venga ampiamente citato e percepito come importante, perché questo «innesca cicli di feedback auto-rinforzanti quali riconoscimento del nome, finanziamenti, domande di qualità da parte di aspiranti dottorandi e dottorandi e, naturalmente, riconoscimenti». Ora si dà il caso che il numero di ricercatori negli Stati Uniti cresce ogni anno di più, e distinguersi dalla massa è sempre più difficile. I pregiudizi dei direttori di queste riviste, per forza, influenzano la produzione e il taglio che i ricercatori danno ai loro paper per essere pubblicati. «La prima cosa che l’astuto ricercatore climatico sa è che il suo lavoro dovrebbe sostenere la narrativa mainstream, vale a dire che gli effetti del cambiamento climatico sono sia pervasivi che catastrofici e che il modo principale per affrontarli non è impiegare misure pratiche di adattamento come infrastrutture più forti e più resilienti o, nel caso degli incendi, una migliore gestione delle foreste o linee elettriche sotterranee, ma attraverso politiche mirate a ridurre le emissioni di gas serra». A quel punto il gioco è fatto.

Non serve mentire, basta non dire tutto
Non serve mentire, basta non dire tutto: non è vero che il cambiamento climatico non ha alcuna influenza sugli incendi, solo però ci sono anche altri fattori che possono essere altrettanto o più importanti. Brown sapeva che approfondire l’influenza degli altri fattori avrebbe diminuito le possibilità di vedere il suo paper sulle pagine di Nature, spiega, e non l’ha fatto. Farlo avrebbe permesso una comprensione maggiore del problema e aiutato a trovare soluzioni migliori? Certamente, ma non sarebbe stato pubblicato. Un altro esempio, ancora più clamoroso, è quello di un recente studio in cui gli autori sostengono che i due maggiori impatti dei cambiamenti climatici sulla società sono le morti legate al caldo estremo e i danni all’agricoltura. «Tuttavia, gli autori non menzionano mai che il cambiamento climatico non è il motore principale di nessuno di questi impatti: le morti legate al caldo sono in calo e i raccolti sono in aumento da decenni, nonostante il cambiamento climatico». Riconoscerlo, però, implicherebbe il fatto di riconoscere l’esistenza di soluzioni di successo per mitigare le conseguenze del climate change diverse dal taglio delle emissioni.

Guai a indicare soluzioni diverse dal taglio di emissioni
E qui scatta la seconda regola non detta per scrivere un documento sul clima di successo:«Gli autori dovrebbero ignorare, o almeno minimizzare, le azioni pratiche che possono contrastare l’impatto del cambiamento climatico. Ma studiare le soluzioni invece di concentrarsi semplicemente sui problemi non susciterà l’interesse del pubblico, o della stampa. Inoltre, molti scienziati climatici tradizionali tendono a considerare sbagliata l’intera prospettiva di utilizzare la tecnologia per adattarsi al cambiamento climatico; affrontare il problema delle emissioni è l’approccio giusto. Quindi il ricercatore esperto sa stare lontano dalle soluzioni pratiche». Brown elenca una serie di altri “trucchi” per farsi pubblicare, dall’utilizzo di metriche che generano numeri più alti, non importa se inutili (non scrivere quanti chilometri quadrati di boschi e foreste vengono bruciati dagli incendi, metti in evidenza «l’aumento del rischio di incendi che bruciano più di 10.000 acri in un solo giorno»). C’è poi il classico trucco dello scenario catastrofico sul futuro prossimo che non tiene conto di come la tecnologia o una migliore gestione delle emergenze ha potuto e può risolvere diversi problemi:«Questo tipo di analisi più pratica è tuttavia scoraggiato, perché osservare i cambiamenti negli impatti su periodi di tempo più brevi e includere altri fattori rilevanti riduce l’entità calcolata dell’impatto del cambiamento climatico, e quindi indebolisce le ragioni a favore della riduzione delle emissioni di gas serra».

Il clima influisce sugli incendi, ma non solo
Brown non rinnega il suo articolo, anzi, è convinto che il cambiamento climatico abbia un impatto importante sugli incendi, ma, dice, «il processo di personalizzazione della ricerca per un eminente giornale l’ha resa meno utile di quanto avrebbe potuto essere». Brown ha iniziato a scrivere il suo paper nel 2020:«Ero un nuovo professore assistente e avevo bisogno di massimizzare le mie prospettive di carriera di successo». Quando, in precedenza, aveva tentato di discostarsi dalla narrazione mainstream, «i miei articoli sono stati respinti in tronco dai redattori di prestigiose riviste, e mi sono dovuto accontentare di sbocchi meno prestigiosi».

Gli studi sul clima e il ruolo dei media
Un anno fa Brown ha lasciato il mondo accademico, è entrato in un centro di ricerca privato senza scopo di lucro, il Breakthrough Institute, e dice di sentire «molta meno pressione nel modellare la mia ricerca in base alle preferenze di importanti direttori di riviste. Ciò significa portare avanti la ricerca sugli incendi in una versione che ritengo aggiunga un valore molto più pratico per le decisioni del mondo reale: studiare gli impatti dei cambiamenti climatici in periodi di tempo rilevanti e nel contesto di altri cambiamenti importanti, come il numero di incendi appiccati da persone e gli effetti della gestione forestale. La ricerca potrebbe non generare la stessa storia e i titoli desiderati, ma sarà più utile nell’elaborazione di strategie sul cambiamento climatico».
È sbagliato, conclude, che gli scienziati del clima debbano «esiliarsi dal mondo accademico per pubblicare le versioni più utili delle loro ricerche». E i media «dovrebbero smettere di accettare questi paper per oro colato e indagare su ciò che è stato lasciato fuori». «Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale nel mondo accademico e nei media d’élite che consenta un dibattito molto più ampio sulla resilienza sociale al clima». Chissà se daranno del negazionista anche a lui, a questo punto.

Piero Vietti
07/09/2023
www.tempi.it/vuoi-pubblicare-uno-studio-sul-clima-non-dire-tutta-la...
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