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Il loro piano sta fallendo: Benvenuti nel Nuovo Disordine Mondiale. Ora tutto dipende da noi

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2024 14:35
02/05/2023 21:00
 
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First Republic Bank è la terza banca americana a fallire in meno di due mesi

La First Republic Bank di San Francisco è la terza grande banca americana a fallire nell’arco di meno di due mesi, dopo la Silicon Valley Bank (SVB) e la Signature Bank: con 229,1 miliardi di dollari di attività totali al momento della chiusura, First Republic ha superato SVB, con 209 miliardi di dollari al momento della chiusura, diventando il secondo più grande fallimento bancario statunitense. Dopo un’asta conclusasi nella notte tra domenica e lunedì, le autorità monetarie hanno annunciato che la banca verrà rilevata da JP Morgan Chase, il maggiore istituto di credito degli Stati Uniti. L’accordo prevede che la JP Morgan, guidata da Jamie Dimon, rilevi i depositi assicurati e non assicurati ancora non ritirati dai clienti della First, circa 100 miliardi di dollari, accollandosi anche i 173 miliardi di prestiti concessi dall’istituto e 30 miliardi di titoli in portafoglio. Secondo il Financial Times, l’accordo per First Republic tutela i correntisti ma non gli azionisti, «spazzati via». I principali sono le società di investimento statunitensi Vanguard Group (11,4 per cento), BlackRock (7,3 per cento) e Capital Group (5,7 per cento). L’operazione costerà in totale 229,1 miliardi di dollari e la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation), l’agenzia che assicura i depositi bancari, contribuirà all’intervento di salvataggio dividendo con la Chase le perdite sui prestiti (circa 13 miliardi a suo carico) e concedendo a JP Morgan finanziamenti per 50 miliardi. La FDIC ha preso possesso della banca di San Francisco subito dopo il crollo ed è grazie al suo intervento che si è concluso l’accordo con JP Morgan.

L’operazione di acquisizione da parte della Chase si è resa necessaria per evitare rischi sistemici per l’intero sistema bancario americano, già sotto stress a causa dei precedenti fallimenti e reduce da appena un mese di tregua. Il tutto mentre le autorità bancarie cercano di rassicurare circa la «solidità» dell’intero settore per non allarmare i correntisti, scongiurando così una eventuale e ulteriore corsa al ritiro dei depositi. Per questo, in precedenza i mercati erano stati tranquillizzati dalle garanzie della Federal Reserve, pronta a farsi carico di tutti gli oneri del fallimento di SVB e Signature Bank. Le autorità regolamentari statunitensi sono intervenute prontamente per facilitare la vendita di First Republic Bank, garantendo al contempo la sicurezza dei depositi dei contribuenti, ha spiegato il Presidente americano Joe Biden, aggiungendo anche che «queste misure garantiranno la stabilità del settore bancario nazionale, proteggendo le piccole imprese e i lavoratori in tutto il Paese».

La crisi di First Republic deriva dal massiccio ritiro dei depositi da parte dei clienti causato dall’aumento dei tassi d’interesse decisi dalla Fed e da un timore diffuso generato dai precedenti fallimenti bancari che hanno indotto i clienti a spostare il proprio denaro verso banche considerate più sicure e in grado di offrire rendimenti più interessanti. Tra le banche di medie dimensioni, la First Republic è stata la più colpita da questa tendenza, anche perché il 70% dei suoi depositi non era assicurato, essendo superiore al limite garantito dalla FDIC di 250.000 dollari. Questo li mette a rischio, a meno che non subentri direttamente la FDIC o degli acquirenti. Oltre ai depositi non assicurati, First Republic aveva anche molti prestiti con tassi d’interesse fissi a lungo termine che hanno iniziato a perdere valore a causa dei ripetuti aumenti del tasso di riferimento della Federal Reserve. La settimana scorsa, in un comunicato stampa, First Republic aveva dichiarato di essere alla ricerca di aiuto per rimodellare il proprio bilancio dopo la massiccia fuga di depositi, ma nessuno è intervenuto, in quanto si è preferito attendere il fallimento e l’intervento della FDIC.

In un primo momento, un prestito di 30 miliardi erogato da 11 banche concorrenti a metà marzo, era riuscito a tamponare il crollo, in aggiunta al sostegno della Fed. Tuttavia, la crisi è riesplosa la scorsa settimana, quando la banca ha diffuso, oltre ai dati trimestrali, una relazione nella quale rivelava di aver dovuto fronteggiare in poche settimane il ritiro di metà dei suoi depositi. Li ha quindi dovuti sostituire coi prestiti della Fed e della Federal Home Loan Bank, che però hanno un costo superiore al rendimento degli investimenti dell’istituto. Il risultato è che da lunedì scorso il titolo è sceso di oltre il 75%: l’azione First Republic, che l’8 marzo scorso valeva 115 dollari, venerdì scorso ha chiuso a 3,51 dollari.

Il governo americano ha cercato di evitare il salvataggio pubblico, optando, invece, per un salvataggio pubblico-privato: grazie alla mediazione della FDIC, infatti, JP Morgan è intervenuta nel salvataggio, facendo un favore al governo americano. Anche la Fed è dovuta intervenire, riconoscendo di aver commesso gravi errori nella sorveglianza di alcune banche. «Il governo ha invitato noi e altri a fare un passo avanti e noi l’abbiamo fatto», ha detto l’AD di JP Morgan, Dimon. «La nostra forza finanziaria, le nostre capacità e il nostro modello di business ci hanno permesso di sviluppare un’offerta per eseguire la transazione in modo da minimizzare i costi per il Fondo di Assicurazione dei Depositi», ha aggiunto. Nonostante le dichiarazioni delle istituzioni sulla solidità del sistema bancario americano, dunque, quest’ultimo, senza gli interventi delle autorità di vigilanza e della Fed, appare sempre più vulnerabile.

Giorgia Audiello
02 maggio 2023
www.lindipendente.online/2023/05/02/first-republic-bank-e-la-terza-banca-americana-a-fallire-in-meno-di-d...
18/05/2023 01:38
 
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Il crollo dell'occidente - I multipolari



La missione diplomatica in Cina del Segretario agli Esteri USA Blinken è fallita, come falliti sembrano essere la contro offensiva ucraina e i tentativi di destabilizzare economicamente e politicamente la Russia. L' Occidente allargato è con le spalle al muro e crescono i rischi che si giochi il tutto per tutto con un conflitto diretto. Ma il fallimento occidentale è anche economico, come mostrano le vicende del MES, di Stellantis e della Pirelli in Italia. Soprattutto però l'Occidente è in preda a un fallimento morale che assume le forme di una catastrofe sociale ormai palese. Ne parliamo in questa puntata dei multipolari con Debora Billi e Arnaldo Vitangeli
19/08/2023 11:38
 
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Evergrande, cala il sipario. Fallisce il sogno del mattone cinese

Forse era solo questione di tempo. Ma alla fine il redde rationem, se così lo si può chiamare, è arrivato. Evergrande, uno dei maggiori conglomerati industriali e immobiliari della Cina, è fallito. Sono ormai tre anni che Formiche.net racconta l’avvitamento di una crisi diventata nel tempo il simbolo dei nuovi mali cinesi, l’emblema di una debolezza che ha preso il posto della speranza, ponendo nei fatti fine al miracolo cinese dei primi anni Duemila. Una discesa negli abissi di un gruppo da decine di migliaia di dipendenti. E, con esso, risparmiatori, mercati e persino pezzi di partito.

L’origine di un disastro
Il fallimento di Evergrande è anche il fallimento di una certa politica industriale, di una visione del partito che voleva nel pompaggio forsennato di soldi nell’economia senza badare alla loro allocazione la chiave di volta della crescita cinese. Evergrande in questi anni ha investito centinaia di miliardi di yuan nel mattone, nella convinzione che uno scatto del mercato immobiliare trainasse la Cina fuori dalle secche. Peccato che lo stesso mercato ha risposto picche: le case costruite non sono state comprate, i prezzi sono crollati, il comparto è imploso e il gruppo ha cominciato a collassare. Nel marzo di quest’anno, Evergrande aveva presentato un piano di ristrutturazione multimiliardario per ripagare i suoi creditori internazionali, dal momento che la società aveva più di 270 miliardi di dollari di passività ed è la più indebitata al mondo nel settore. Il suo default, solo tecnico, alla fine del 2021 ha innescato un più ampio ciclo di insolvenze e progetti immobiliari sospesi in tutta la Cina. A marzo i vertici della società hanno annunciato un piano di ristrutturazione del debito, proponendo ai creditori un paniere di opzioni per scambiare il proprio debito con nuove obbligazioni e strumenti equity-linked. Ma niente. E adesso che Evergrande ha presentato istanza di fallimento a New York, ricorrendo al famoso Chapter 15 della legge americana sulla bancarotta, inteso ad aiutare le aziende a gestire i casi di insolvenza che coinvolgono più di un Paese (l’azienda però ha respinto un’ipotesi di fallimento vero e proprio), è davvero tutto finito, la scommessa del mattone è perduta. E chissà cosa penseranno a Pechino, dove un anno fa il partito aveva persino pensato alla creazione di un fondo ad hoc per Evergrande, alimentato con soldi pubblici, per salvare il salvabile.

L’ombra del contagio
Ora la domanda che un pò tutti si fanno in queste situazioni. E adesso? Adesso c’è da allacciarsi le cinture. Perché le mine cinesi sono più di una. Country Garden, altro colosso della stazza di Evergrande, boccheggia già dentro e fuori la Borsa. L’azienda, appesantita dal forte calo dei prezzi degli immobili e da scelte gestionali sbagliate, si trova oramai sull’orlo del default con miliardi di dollari di perdite e 200 miliardi di fatture non pagate. Country Garden, fondata dall’ex agricoltore Yang Guoqiang nel 1992, ha beneficiato del più grande boom immobiliare mondiale. Il suo successo ha trasformato il Yang in un miliardario ed è diventato un simbolo della notevole crescita del Paese. I cinesi, avendo poche altre opzioni affidabili per creare ricchezza, hanno investito i loro redditi e risparmi nel settore immobiliare. Come altri grandi sviluppatori privati, Country Garden ha continuato a prendere prestiti per ripagare i suoi stessi prestiti, operando sul presupposto che finché avesse continuato ad espandersi, avrebbe potuto continuare a ripagare il proprio debito. Ma i conti sono cresciuti così tanto che le autorità hanno iniziato a temere che il debito avrebbe minacciato il sistema finanziario nel suo complesso.

Fuga dalla Cina
Morale, i mercati, gli investitori e gli acquirenti di case temono il peggio. All’inizio di agosto, Country Garden ha saltato due pagamenti di interessi sui prestiti. Se non paga entro l’inizio di settembre o se non convince i creditori a concedergli più tempo dopo un periodo di grazia di 30 giorni, l’azienda andrà in insolvenza, rendendo molto improbabile il suo ulteriore accesso al credito. Il prezzo delle azioni della Country Garden è oramai sceso sotto quota un dollaro a Hong Kong, mentre le sue perdite stanno aumentando, con una previsione di registrare una perdita fino a 7,6 miliardi di dollari nei primi sei mesi dell’anno. E allora, chissà se è davvero un caso l’ondata di vendite da parte degli investitori stranieri su azioni e obbligazioni cinesi. I calcoli del Financial Times basati sui dati del sistema di contrattazioni Stock Connect di Hong Kong lasciano poco spazio all’immaginazione e mostrano che gli investitori hanno quasi completamente invertito 54 miliardi di renminbi (7,4 miliardi di dollari) negli acquisti netti di azioni cinesi che seguivano l’impegno del 24 luglio del Politburo dei massimi leader del partito comunista di aumentare il sostegno all’economia.

Gianluca Zapponini
18/08/2023
formiche.net/2023/08/evergrande-cina-mercati-mattone-country...
05/09/2023 02:53
 
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Il golpe in Gabon, la strategia della Russia e il colpo ai Rothschild

L’Africa si è risvegliata sotto il sole di un nuovo colpo di Stato. È da circa un anno che il continente africano è il protagonista indiscusso di un completo riordino politico e geopolitico dei suoi governi. Stavolta è toccato al Gabon essere il protagonista dell’ennesima giunta militare che sale al potere e rovescia il governo precedente. Il Gabon è uno Stato non molto grande che si trova sulla costa occidentale dell’Africa, bagnato dall’Oceano Atlantico e confinante con il vastissimo Congo e con il Camerun. È un Paese che è stato per più di 50 anni nelle mani della dinastia politica dei Bongo, l’ultimo dei quali, l’ormai ex Presidente Ali Bongo, è stato rovesciato proprio dai militari e che si trova ora agli arresti domiciliari. Bongo era il garante di uno status quo molto preciso e molto definito che ha tenuto in ostaggio per troppi decenni il continente africano. Se si dà uno sguardo alle sue fotografie sui motori di ricerca lo si vede spesso in compagnia dei personaggi più influenti dello stato profondo di Washington, quali i democratici Barack Obama e Hillary Clinton.

Quando il Presidente autoritario di turno è del tutto allineato agli interessi del mondo occidentale, allora non è un segreto che l’ipocrita “regola” del culto dei diritti umani non vale più nulla. Viceversa, se esiste un disallineamento tra gli interessi dell’Occidente e quelli di un determinato Paese, allora in quel caso troveremo intere pagine dei media mainstream dedicate a presunte violazioni dei diritti umani da parte del governo di quel Paese. È il caso dell’Iran, che negli ultimi mesi è stato al centro di una enorme campagna diffamatoria volta ad accusare Teheran di aver commesso degli abusi contro una donna curda, Mahsa Amini, fermata per non aver indossato il velo, quando in realtà le immagini, nemmeno mostrate dalle televisioni europee, smentiscono completamente che Masha sia stata vittima di aggressione e che è invece morta per uno degli ormai tristemente noti “malori improvvisi”. Il Gabon non veniva sfiorato da tale campagna nonostante il suo ex Presidente, Ali Bongo, sia stato accusato in passato di aver truccato le elezioni e di essere salito al potere attraverso gravi irregolarità.

Le mani della Francia sull’Africa
Gabon però vuol dire anche Francia, perché questo Paese non era solamente sotto l’egida di Washington ma soprattutto sotto quella di Parigi. Il Gabon è infatti membro del famigerato franco CFA, del quale avevamo parlato in altre occasioni. Attraverso tale cappio monetario, ben quattordici Stati africani appartenenti alla cosiddetta Françafrique si sono ritrovati impossibilitati ad esercitare una loro politica monetaria indipendente. Il Franco CFA è legato ad un cambio fisso con l’euro e ciò impedisce ai suoi membri di poter svalutare la moneta per poter alleggerire le inevitabili pressioni deflazionistiche sui salari e dare così nuova linfa vitale alle esportazioni. Non è solamente questo il giogo che Parigi ha imposto agli appartenenti a questa unione monetaria. Ogni Paese che si ritrova a dover utilizzare il franco CFA è tenuto a versare metà delle proprie riserve in valuta estera nelle casse del Tesoro francese. E il colonialismo di Parigi viene esercitato anche ovviamente sull’enorme giacimento di materie prime che custodisce il continente africano. Ovunque si scavi nel sottosuolo dell’Africa si trovano enormi giacimenti di minerali o di idrocarburi. L’Africa è un immenso deposito di materiali indispensabili per le economie di quei Paesi che lo depredano lasciando agli africani poche briciole.

E' ciò che accadeva, solamente per citare un esempio più recente, al Niger. Il Niger è uno dei produttori più grossi di uranio in assoluto e occupa la settima posizione su scala mondiale nell’estrazione di questo minerale. Uranio vuol dire necessariamente nucleare perché, come molti lettori probabilmente già sanno, per alimentare le centrali nucleari è necessario proprio avere la disponibilità di questo materiale. Per la Francia, avere il controllo della produzione di uranio nigerino era semplicemente fondamentale per tenere in piedi tutte le sue centrali nucleari. Parigi esercitava la sua famigerata regola coloniale su questo Paese, spiegata molto bene nelle settimane scorse dal leader del gruppo Wagner, Prigozhin, di cui parleremo anche successivamente nel corso di questa analisi. Prigozhin, nel suo video rilasciato nei primi giorni di agosto, denunciava i saccheggi perpetrati dalla Francia ai danni del Niger. L’estrazione dell’uranio nigerino veniva eseguita principalmente da una società partecipata al 45% dal governo francese di nome Urano. Urano estraeva il minerale e pagava al governo nigerino solamente 11 dollari dei 218 che invece il mercato attribuisce per la sua vendita. Non era altro che una depredazione delle preziose risorse del Paese africano.

La famiglia Rothschild e il Gabon

In Gabon, aveva luogo un processo del tutto simile. Questo Paese è noto principalmente per l’estrazione di manganese, che viene effettuata da un’altra società francese di nome Eramet, che stavolta però non è partecipata dal governo francese. Eramet ha radici alquanto antiche perché la sua fondazione risale al 1880. Se leggiamo la sua storia, apprendiamo che i fondatori di questa compagnia, che ha adottato la forma giuridica della società anonima, sono i noti, o famigerati, Rothschild. A quanto pare, i banchieri di origine askenazita, che già nell’anno della fondazione di Eramet erano una delle famiglie più potenti e influenti del pianeta, cercarono di mantenere segreta la loro partecipazione in questa società. Il casato dei Rothschild segue una regola molto ferrea dalla sua fondazione trasmessa dal capostipite della famiglia, Mayer Amschel, ai suoi cinque figli. L’esatto ammontare della ricchezza non avrebbe mai dovuto essere rivelato al mondo esterno e anche le varie partecipazioni della famiglia andavano nascoste attraverso società di copertura o prestanome. Il ricercatore americano Eustace Mullins afferma proprio a questo riguardo che anche il noto banchiere americano JP Morgan ha ricevuto i capitali per la fondazione del suo impero dai Rothschild.

rense.com/general70/roth.htm

La rete di questi banchieri è praticamente sterminata e in ogni singola corporation di rilievo si trovano spesso molto ben occultate le loro partecipazioni. È il caso dei due fondi di investimento Vanguard e BlackRock. BlackRock è salito agli onori delle cronache per essere il fondo di investimenti che praticamente possiede l’economia globale. In esso, fino a poco tempo fa, c’erano 17 trilioni di dollari in valore complessivo dei suoi investimenti, fino a quando l’anno scorso non ha subito una grossa perdita da 1 trilione e 7 a causa della progressiva erosione della ricchezza del capitalismo finanziario che procede da circa un anno e mezzo. BlackRock però è a sua volta partecipata da un altro fondo di investimenti, che è quello citato precedentemente, ovvero Vanguard. Se si guarda al dedalo di società partecipate da questi due fondi si entra in una fittissima rete di scatole cinesi dove praticamente c’è dentro tutta l’economia globale. Dentro Vanguard e BlackRock ci sono società come la Boeing, la Coca-Cola, Dupont, Exxon, la General Motors, JP Morgan, Microsoft, Pfizer e una lista interminabile di colossi societari, ognuno leader del suo settore. All’interno di questi due fondi c’è ogni singolo componente della nostra economia e quando ci rechiamo al supermercato oppure andiamo a mettere benzina nella nostra vettura è dentro tali fondi che i nostri soldi finiscono. E in questo dedalo di società ci sono i capitali dei Rothschild, dei Rockefeller, della famiglia Dupont e dei banchieri Morgan. Vanguard e Blackrock esprimono perfettamente la summa dell’ideologia neoliberale, che non è altro che il dominio di queste famiglie di capitalisti ignoti al grande pubblico sull’economia mondiale e sui governi occidentali.

Quando è giunta la notizia che in Gabon ha avuto luogo un altro golpe per mano dei militari, la reazione di Eramet in borsa è stata quella di chi è in preda al panico. Sul listino della borsa francese, la società dei Rothschild ha perduto il 16% del valore delle sue azioni. I mercati hanno probabilmente già fiutato il sangue e temono che il nuovo governo gabonese possa seguire l’esempio di quello nigerino e procedere ad una nazionalizzazione della produzione di manganese nel Paese. La parola nazionalizzazione per questi capitalisti senza volto suscita la stessa reazione che la criptonite provocava per Superman. È il loro incubo peggiore perché ciò significa che lo Stato, attraverso una sua società pubblica, si appropria di una sua risorsa nazionale e la sottrae alla disponibilità di società straniere. Nel secolo scorso, le nazionalizzazioni attuate da leader politici sono state la causa di diversi colpi di Stato eseguiti da Washington, che è stata per più di mezzo secolo il braccio armato della finanza globale. I casi del Presidente iraniano Mossadegh, che nazionalizzò la produzione di petrolio e del Presidente cileno Allende, che nazionalizzò quella di rame, sono solamente due dei più famigerati esempi di come i poteri di queste multinazionali ordinino l’eliminazione di chi si rifiuta di servire i loro interessi.

La Russia e la strategia della decolonizzazione
Questa strategia di decolonizzazione del continente africano e di restituzione delle risorse dell’Africa agli africani non è il frutto del caso e segue una precisa strategia geopolitica, militare ed economica. Nell’ultimo anno abbiamo assistito infatti a numerosi golpe che hanno visto salire al potere governi militari acclamati dalle popolazioni festanti di africani che sventolavano la bandiera russa. È quanto accaduto, ad esempio, in Burkina Faso, nel Mali e nello stesso Niger. Gli eserciti di questi Paesi per la prima volta si sono potuti organizzare e rovesciare nel giro di un tempo relativamente breve quei governi che spadroneggiavano indisturbati per decenni sotto l’egida dell’Occidente. Ciò è stato possibile attraverso la sponda della Russia, che attraverso il gruppo Wagner ha consentito a questi eserciti di avere la necessaria assistenza ed intelligence militare per poter procedere a dei colpi di Stato molto ben eseguiti e con pochissimo spargimento di sangue. Al tempo stesso, ciò che consente alla Russia di perseguire la sua strategia di decolonizzazione è l’assenza e la passività di Washington. Washington è infatti divenuta apparentemente un enigma. Se nel 2020 lo Stato Profondo Internazionale esultava di fronte alla prospettiva di una Presidenza Biden, possibile solamente grazie ad una massiccia frode elettorale, tre anni dopo, coloro che esultavano scoprono che i vecchi equilibri non sono tornati al loro posto. Lo status quo precedente non è stato ripristinato, e la finanza internazionale si ritrova senza la sua milizia privata, che era quella che garantiva la sua indiscussa supremazia. Questo ha provocato un completo riassetto dei rapporti di forza su scala globale e l’ascesa dei BRICS è lì a testimoniare che la stagione degli imperi si è chiusa, sostituita da quella del prepotente ritorno sulla scena degli Stati nazionali. La ormai nota citazione dell’affranto D’Alema, che riconosce l’affermazione di questo passaggio, è lì a confermare che i membri dell’establishment Euro-Atlantico sanno di essere finiti in una terra di nessuno dove non ci sono più i referenti di un tempo.

www.huffingtonpost.it/politica/2022/06/05/news/d_alema_sulla_globalizzazione_abbiamo_compiuto_una_gigantesca_svista_-...

La presunta morte di Prigozhin legata al golpe in Gabon?
Il golpe in Gabon però ha una strana tempistica legata apparentemente a quanto accaduto nei giorni scorsi in Russia. Lo scorso 23 agosto, com’è noto, è caduto un aereo diretto a Mosca sul quale era stato detto in un primo momento che non risultava esserci Prigozhin. Noi avevamo dei dubbi che questa notizia potesse essere effettivamente vera e persino alcune cancellerie occidentali, su tutte quella della Francia, avevano espresso perplessità al riguardo. Dubbi che si sono fatti più forti quando si è diffusa la notizia che il cellulare di Prigozhin sarebbe stato trovato vicino ai rottami del velivolo quando della indistruttibile scatola nera ancora apparentemente non c’è traccia. Lo stesso dicasi per il test del DNA sul corpo, presunto, di Prigozhin, che sarebbe stato eseguito a tempo record, quando in realtà risultano essere necessarie dalle due alle quattro settimane per poter essere eseguito. La sensazione è che quanto accaduto nei giorni scorsi a Mosca sia la prosecuzione della tattica militare nota con il nome di maskirovska, attraverso la quale si mette in atto una raffinata dissimulazione per ingannare l’avversario. Lo scorso giugno il gruppo Wagner ha dato vita ad un finto golpe che è servito per distrarre l’attenzione generale, mentre i paramilitari russi si spostavano e si posizionavano a 100 km da Kiev e, al tempo stesso, venivano eseguiti degli arresti di quinte colonne infiltrate nelle istituzioni russe. Stavolta la probabile finta morte di Prigozhin serve a far uscire di scena i paramilitari per evitare ogni eventuale accusa di coinvolgimento di Mosca nei golpe africani.

Proprio ieri è uscito un video del leader della Wagner in Africa che afferma di non essere morto e che apparentemente sarebbe stato girato il 23 agosto o nei giorni precedenti. In questo ultimo caso, non si comprende perché l’ex cuoco di Putin avrebbe dovuto far sapere di essere vivo quando in realtà ancora non c’era nemmeno stato l’incidente aereo che lo avrebbe visto presumibilmente coinvolto. La tempistica può aiutarci a comprendere cosa è davvero accaduto. Il 23 agosto Mosca fa sapere che Prigozhin sarebbe morto tra molti dubbi e sei giorni dopo viene eseguito il golpe in Gabon. Nel video di cui si accennava prima, Prigozhin fa sapere di trovarsi in Africa. Difficile pensare ad una semplice coincidenza. Si può ipotizzare che Mosca forse abbia pensato di inscenare la morte del paramilitare per evitare ogni possibile collegamento con il golpe in Gabon. Se è stata questa la ragione dell’annuncio della presunta morte, è stata certamente una mossa molto astuta. Ciò però ci porta necessariamente a considerare la strategia del Cremlino sotto una prospettiva più ampia. Se l’Africa è indiscutibilmente il deposito delle materie prime delle corporation occidentali e di Paesi come la Francia, la Russia è tale deposito che sta svuotando. Questi poteri si ritrovano privi di materie prime essenziali per il sostentamento delle loro economie e Mosca in questo modo fa terra bruciata attorno alla debole Unione Europea. La maskirovska si sta rivelando dunque alquanto efficace. Attorno all’Occidente liberale c’è soltanto il vuoto. Il mondo multipolare continua ad espandersi ad una velocità impressionante.

Cesare Sacchetti
01 settembre 2023
www.lacrunadellago.net/il-golpe-in-gabon-la-strategia-della-russia-e-il-colpo-ai-rot...
06/10/2023 15:28
 
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Rothschild rivela: i globalisti hanno fallito con le loro agende verdi e hanno cambiato rotta
Rothschild ammette il fallimento dell’ESG* mentre i globalisti passano al programma del "capitalismo inclusivo"



Nel luglio dello scorso anno, quando l’entusiasmo per la pandemia di Covid si stava finalmente placando, ho scritto un articolo su un progetto allora poco conosciuto: il “Council For Inclusive Capitalism”. Guidato da Lynn Forester de Rothschild, ora considerato il volto pubblico della famigerata dinastia Rothschild, questo gruppo rappresenta il culmine di decenni di programmi globalisti ed è la prova definitiva della teoria della cospirazione del “Nuovo Ordine Mondiale”. Ricordate i giorni in cui si sosteneva che l’idea di un governo globale d’élite fosse solo una fantasia paranoica? Ebbene, oggi quel piano è una realtà ovvia. Il CIC collabora strettamente con istituzioni come il World Economic Forum, le Nazioni Unite e il FMI. Ma soprattutto dovrebbe collegare più strettamente tutte queste organizzazioni con il mondo degli affari, attraverso la conclusione di accordi aperti. La principale preoccupazione del gruppo è la propagazione del “capitalismo degli stakeholder”: l’idea secondo cui le multinazionali hanno la responsabilità dell’ingegneria sociale e sono obbligate a controllare la civiltà attraverso sanzioni e incentivi economici. Questa agenda è venuta alla ribalta durante il lockdown dovuto al Covid e la frettolosa introduzione dei passaporti vaccinali.

Tali misure sarebbero state impensabili senza il coinvolgimento delle grandi aziende che cooperano con i governi nazionali e l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Fortunatamente, questo approccio è stato in gran parte sconfitto dai governi locali e dall’opposizione pubblica. Lo svantaggio del capitalismo degli stakeholder può essere visto nel desiderio delle grandi aziende di introdurre sistemi di rating ESG. Sebbene la maggior parte dei lettori abbia familiarità con l’ESG, il termine era in gran parte sconosciuto al grande pubblico fino a poco tempo fa. Tuttavia, i globalisti lavorano sulle normative ESG dal 2005. Klaus Schwab del WEF lo descrive così:“La caratteristica saliente dell’odierno modello degli stakeholder è la sua natura globale. Le nostre economie, società e ambienti sono più interconnessi oggi di quanto lo fossero 50 anni fa. Il modello presentato è quindi del tutto globale, così come lo sono i suoi principali attori. Le precedenti esternalità presenti nella politica economica nazionale e nelle decisioni aziendali devono ora essere integrate nei processi di ogni governo, ogni azienda e ogni individuo. Il pianeta è al centro del sistema economico globale e la sua salute dovrebbe essere una priorità nel processo decisionale per tutte le parti interessate”. L’ESG dovrebbe fungere da strumento che i globalisti e i governi potrebbero utilizzare per spingere le aziende verso il modello del capitalismo degli stakeholder. È simile al sistema di punti di credito sociale cinese, ma è rivolto alle aziende piuttosto che ai singoli individui. Un rating ESG più elevato di un’azienda renderebbe più facile l’accesso al credito e al sostegno pubblico.

Inizialmente, nel 2005, l’attenzione era rivolta ai controlli climatici. Ma dal 2016 in poi il quadro è cambiato drasticamente: le linee guida ESG includevano in gran parte approcci politici “woke”, come la teoria critica della razza, il femminismo, l’ideologia trans e vari elementi del marxismo. Questo era l’ESG moderno come lo conosciamo oggi. L’obiettivo era convincere le aziende a inondare costantemente il pubblico di messaggi "woke". Smascherare i fattori ESG è forse uno dei più grandi trionfi dei media alternativi. Ha dimostrato come la “wokificazione” della nostra economia e società non fosse un fenomeno naturale. Si è trattato di un’agenda manipolata, guidata dall’alto verso il basso, con l’ESG come strumento principale. Sono sicuro che Lynn Forester de Rothschild abbia riconosciuto con un certo disappunto il fallimento dell’ESG al recente vertice B20 in India. Tuttavia, Rothschild suggerisce che ci siano piani per sostituire il termine “ESG” con uno meno conosciuto. È tipico dei globalisti rinominare i progetti non appena diventano pubblici, nella speranza di creare confusione. Tuttavia dubito che questa strategia funzionerà ancora. Gli osservatori tengono gli occhi puntati sugli ESG e semplici cambiamenti di nome non renderanno più facile per l’establishment sfuggire al controllo. La cosa interessante è che ho notato uno spostamento da un atteggiamento offensivo a uno difensivo tra i globalisti, a differenza di qualche anno fa.

Sembra che qualcosa non sia andato secondo i piani durante la pandemia di Covid. Nel 2020 sono stati piuttosto schietti nella loro retorica, annunciando essenzialmente la loro intenzione di attuare un sistema autoritario globale. Ora sono più riservati e cauti nelle loro dichiarazioni. Le discussioni più oneste sul globalismo non si svolgono più nelle dichiarazioni del WEF o nelle sale dei forum di Davos. Persone come Klaus Schwab sono passate in secondo piano. Il vero dibattito ora si svolge negli strati più profondi di Internet, nei blog e sui social media. Sembra che il tentativo di implementare il capitalismo degli stakeholder e l’ESG abbia innescato una sorta di rinascita popolare. Le persone stanno diventando sempre più consapevoli dei meccanismi e degli obiettivi dei globalisti. Un commento interessante di Rothschild al B20 è stata la sua affermazione secondo cui l’Inflation Reduction Act di Biden è uno dei migliori modelli per il controllo del clima basato sugli incentivi. Ciò conferma quello che già sospettavamo: l’Inflation Reduction Act non aveva nulla a che fare con l’inflazione. Piuttosto, era un modo per reindirizzare i soldi dei contribuenti verso sussidi governativi per la tassazione del carbonio e le tecnologie verdi. Cioè, Rothschild e il CIC vogliono dettare l’economia globale e costringere le aziende ad adottare politiche di tipo ESG utilizzando trilioni di dollari in fondi per il clima (7,5 trilioni di dollari all’anno, per l’esattezza).

Guardatela in questo modo: qualsiasi azienda che “volontariamente” utilizzi tecnologie verdi meno efficienti e promuov l’ideologia climatica ha accesso ai sussidi governativi, viene ricompensata. Qualsiasi azienda che si rifiuta di aderire al piano alla fine dovrà affrontare tasse elevate nel tentativo di competere con i suoi concorrenti sovvenzionati, e sarà costretta a chiudere l’attività. Queste sono essenzialmente le prime fasi di un sistema economico comunista/collettivista globale. E qui arriviamo al nocciolo del problema. Non esiste il “capitalismo integrativo”. Non esiste il “capitalismo degli stakeholder”. Non esiste qualcosa come “ESG”. Il cambiamento climatico come minaccia esistenziale è una farsa, proprio come il Covid non è mai stato una minaccia legittima per la stragrande maggioranza delle persone. Tutte queste questioni sono fumo e specchi, un modo per distrarre la popolazione dalla vera intenzione: creare una centralizzazione finanziaria totale nelle mani di poche élite. Non è una questione di ambiente. Non è questione di salute pubblica.

È TUTTO una questione di economia. Il loro obiettivo è convincere il pubblico ad abbracciare la microgestione economica. Una volta che l’economia è rinchiusa in una prigione ideologica in cui le aziende sono costrette a segnalare virtù, quando l’accesso al commercio privato può essere negato da una manciata di burocrati che lavorano con le aziende, allora l’establishment ha i mezzi per dettare ogni altro aspetto della società. Il nostro comportamento, le nostre convinzioni, i nostri principi, la nostra morale: tutto è in palio. Perché se l’oligarchia ha il potere di determinare se tu e la tua famiglia mangiate o morite di fame, allora ha anche il potere di farti fare qualsiasi cosa ti chieda.

*L’acronimo ESG si riferisce a tre aree principali, e precisamente Environmental (ambiente), Social (società) e Governance

Brandon Smith
Fonte: alt-market.us/rothschild-admits-esg-failure-as-globalists-shift-to-inclusive-capitalism...

Traduzione automatica Google revisionata
18 settembre 2023
www.nogeoingegneria.com/effetti/politicaeconomia/rothschild-rivela-i-globalisti-hanno-fallito-con-le-loro-agende-verdi-e-hanno-cambiat...
12/01/2024 14:27
 
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Non ho letto ma chi dice che sta fallendo il Grande Reset mente o non vede cosa accade.

25/01/2024 17:27
 
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Mi spiace ma non sono d'accordo
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Dall’Iran alla liquefazione europea

Ho visto che televisioni e giornali parlano tanto degli attacchi a vuoto degli americani e dei poveracci inglesi, che per buttare qualche bomba nella sabbia e non andare in crisi da astinenza devono partire da Cipro, ma si sente molto meno trattare delle potenti salve di missili iraniani che hanno colpito le postazioni ISIS in Pakistan, quelle dei curdi filo-americani in Iraq, dove è stata distrutta un’importante sede del Mossad, e sono piombati sulla parte di Siria occupata dai turchi. Queste azioni contengono un chiaro messaggio per gli USA, per la NATO e per Israele: Teheran dispone di grandi quantità di missili evoluti, in grado di distruggere, con precisione millimetrica, obiettivi lontani come Tel Aviv che (lo propagandano numerosi cartelloni pubblicitari a Teheran) è a soli 400 secondi, o meno di sette minuti, di tiro con missili supersonici.

Ma c’è anche un altro messaggio che riguarda da vicino il mondo anglosassone: dall’inizio del secolo scorso e fino al 1979, i servizi segreti inglesi hanno fatto il bello e il cattivo tempo in Iran, a partire dalla concessione petrolifera D’Arcy nel 1901 e la successiva creazione della Anglo-Persian Oil Company, che potrebbe aver giocato un ruolo importante anche nella nostra storia, visto che molte azioni di questa società erano nelle mani della Corona d’Italia e una nota tesi storica vuole che Matteotti fosse stato ucciso prima di rivelare al Parlamento questa imbarazzante situazione. Ma digressioni a parte, il messaggio di Teheran è anche più ampio rispetto al mero uso delle armi: fa sapere infatti che ormai il regime iraniano è consolidato e dura da mezzo secolo, nonostante ogni tipo di tentativo per disgregarlo. Bene, adesso dovrei proseguire questa analisi e sviscerarne i particolari e le possibili conseguenze, invece voglio fare un salto di migliaia di chilometri e arrivare in Gran Bretagna, l’ex padrona dell’Iran e nazione così psicologicamente disturbata da essere la più aggressiva sulla faccia della terra pur avendo una forza militare ridotta a poco più di 70mila uomini. Faccio questo salto perché è proprio nel Regno Unito che possiamo trovare una risposta realistica su come finirà in Medio Oriente. I proprietari delle acciaierie di Port Talbot hanno respinto un piano sindacale volto a mantenere in funzione gli altiforni, mettendo a rischio quasi 3.000 posti di lavoro e lasciando il Regno Unito sulla buona strada per diventare l’unica grande economia incapace di produrre acciaio in maniera autonoma.

In quello che un sindacato ha definito un “colpo devastante” per i lavoratori e per l’industria siderurgica del Regno Unito, la società madre di Port Talbot, la Tata Steel di proprietà indiana, ha detto ai rappresentanti dei lavoratori che non poteva più permettersi di continuare la produzione nello stabilimento del Galles meridionale a causa delle perdite economiche e che invece aveva in mente di completare un piano quadriennale di transizione verso una produzione più ecologica (sì, la falsa ecologia serve anche a questo). La società, che riceverà 500 milioni di sterline dal governo per aiutare questo fumoso piano, ha dato la notizia durante un vertice presso l’hotel a cinque stelle St James’ Court di Londra, di proprietà sempre del gruppo Tata. La storia è girata di 180 gradi. Ora nessuna economia può dirsi sviluppata se non produce almeno alcuni degli elementi fondamentali per ogni tipo di attività e l’acciaio è il primo di tali elementi: la Gran Bretagna già ora non è nemmeno nella Top-10, dei produttori d’acciaio così come non lo è la Francia o qualsiasi altra economia dell’UE, ad eccezione della Germania, che comunque è il fanalino di coda producendo un terzo rispetto alla Russia e al Giappone e, tenetevi, un trentesimo scarso rispetto alla Cina. Per darvi un assaggio della situazione, la Russia produce all’incirca la stessa quantità di acciaio di tutti i Paesi della NATO europei messi insieme, ad eccezione di Turchia e Germania, e la stessa degli USA. In termini di produzione di ghisa, nessun paese dell’UE è tra i primi 10 tranne la Germania, ma la Russia è al quarto posto a livello mondiale, gli Stati Uniti sono all’ottavo: la Russia produce più di Stati Uniti e Germania messi insieme, mentre la Gran Bretagna non è nemmeno pervenuta. Quindi la domanda è: come combatteranno queste guerre che sono sempre sull’orlo di provocare? L’Iran sa che per l’occidente deindustrializzato sarebbe un suicidio andare al conflitto in queste condizioni.

Il Regno Unito è semplicemente uno sfortunato esempio di gioco di prestigio economico, quello di cui si sta discutendo proprio in questo momento nel gruppo di idioti noto come WEF a Davos, che inventa tutti i tipi di “piani” per controllare il mondo ma che l’unica cosa che è in grado di controllare sono le popolazioni occidentali, incapaci di levarsi dalle spalle questa scimmia berciante. Ma anche nel mondo attuale così finanziarizzato, alla fine contano i milioni di tonnellate di acciaio, i terawatt di elettricità, il greggio, i treni, i camion, il cibo, che l’Europa si appresta a rendere scarso, le buone scuole. Il resto sono chiacchiere da giornale.

19 gennaio 2024
ilsimplicissimus2.com/2024/01/19/dalliran-alla-liquefazione-...
13/02/2024 14:17
 
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Arnaldo Vitangeli - Dall'Europa agli Usa c'è aria di rivoluzione



I trattori marciano su tutta Europa, costringendo i globalisti a una ritirata strategica sull'agricoltura, e mentre Putin ottiene un successo di immagine senza precedenti con l'intervista di Carlson, Biden, ormai privo di speranze di vittoria, rischia di essere sostituito in extremis con un altro candidato, e già si parla di Michelle Obama. Sul fronte militare agli insuccessi sul campo della guerra in Ucraina si sommano quelli di immagine in Palestina. Insomma per i signori del NWO una settimana da dimenticare.

21/02/2024 18:00
 
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Arnaldo Vitangeli - Il vero significato dell'intervista di Putin



L' intervista di Putin ha spaccato l'America, come dimostra il voto dei repubblicani, divisi sull'Ucraina. Ma qual è il vero significato dell'intervista del Presidente russo? Cosa ha detto realmente Putin e a chi sono rivolte le sue parole? Ne parliamo con Giammarco Landi.

13 febbraio 2024
22/02/2024 13:31
 
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Tucker, Putin e l'Apocalisse atomica. Aleksandr Dugin spiega il peso dell'intervista del secolo

Renovatio 21 traduce e ripubblica questo testo di Aleksandr Dugin uscito sul suo profilo su X e precedentemente pubblicato dal sito Arktos: Ci limitiamo ad aggiungere che non sarebbe la prima volta che Carlson ferma una guerra, ancorché mondiale

Nel giugno 2019, Donald Trump, su pressione del suo consigliere John Bolton, un neocon riuscito ad imbarcarsi con l’Amministrazione del Donald, aveva spedito dei jet a colpire una base iraniana in ritorsione all’abbattimento di un drone USA da parte di Teheran. Con i bombardieri già in volo, a meno di dieci minuti dal bersaglio, e quindi dall’escalation, Trump chiamò Carlson e gli chiese se stava facendo bene. Tucker rispose che no, che gli americani lo avevano eletto per fare altro, non la guerra. Il Presidente richiamò gli aerei, e si ebbe, ancora per un pò, la pace. Bolton fu licenziato. Ora lo stesso neocon Bolton dichiara che se vincesse le elezioni Trump di fatto smantellerebbe una volta per tutte la NATO. I nodi, sempre gli stessi, vengono al pettine. La posto in gioco è ancora più alta: ora c’è da impedire la Terza Guerra Mondiale, la guerra termonucleare totale la cui finestra di Overton è già partita da un pezzo. In mezzo agli ultimi tentativi di fermare la follia, questo ragazzo, che aveva iniziato nei giri dei neocon, per poi rendersi conto dell’abisso di orrore e pericolo globale che essi rappresentano. Diciamolo pure: è un periodo, storicamente ed umanamente, davvero interessante.

Piccola postilla: un anno fa Carlson, ancora su Fox, si accorse che i libri di Dugin erano misteriosamente spariti dai cataloghi di Amazon. Renovatio 21 ne aveva informato debitamente i lettori mesi prima.

Perché l’intervista di Tucker Carlson è considerata fondamentale sia per l’Occidente che per la Russia? Cominciamo dalla parte più semplice: la Russia. Qui, Tucker Carlson è diventato un punto focale per due opposti polari all’interno della società russa: patrioti ideologici e occidentalizzatori d’élite che tuttavia rimangono fedeli a Putin e all’Operazione Militare Speciale. Per i patrioti, Tucker Carlson è semplicemente «uno di noi». È un tradizionalista, un conservatore di destra e un convinto oppositore del liberalismo. Ecco come appaiono gli emissari del XXI secolo presso lo zar russo. Putin non interagisce spesso con rappresentanti di spicco del campo fondamentalmente conservatore. L’attenzione che il Cremlino gli riserva accende il cuore del patriota, ispirando la continuazione di un percorso conservatore-tradizionalista nella stessa Russia. Adesso è possibile e necessario: il potere russo ha definito la sua ideologia. Abbiamo intrapreso questa strada e non ci allontaneremo da essa. Eppure i patrioti hanno sempre paura che lo faremo. NO. Gli occidentalizzatori, invece, hanno tirato un sospiro di sollievo: vedete, in Occidente non tutto è male, e ci sono persone buone e obiettive, ve lo abbiamo detto! Cerchiamo di essere amici di questo Occidente, pensano gli occidentalizzatori, anche se il resto dell’Occidente liberale globalista non vuole essere amico ma ci bombarda soltanto con sanzioni, missili e bombe a grappolo, uccidendo le nostre donne, i nostri bambini e i nostri anziani. Siamo in guerra con l’Occidente liberale, quindi lasciamo che ci sia almeno amicizia con l’Occidente conservatore. Così, i patrioti russi e gli occidentalizzatori russi (sempre più russi e meno occidentali) giungono ad un consenso nella figura di Tucker Carlson.

In Occidente tutto è ancora più fondamentale. Tucker Carlson è una figura simbolica. Ora è il principale simbolo dell’America che odia Biden, i liberali e i globalisti e si prepara a votare per Trump. Trump, Carlson e Musk, oltre al governatore del Texas Abbott, sono i volti dell’incombente rivoluzione americana, questa volta una rivoluzione conservatrice. A questa risorsa già potente si collega la Russia. No, non si tratta del sostegno di Putin a Trump, cosa che potrebbe facilmente essere liquidata nel contesto della guerra con gli Stati Uniti. La visita di Carlson riguarda qualcos’altro. Biden e i suoi maniaci hanno effettivamente attaccato una grande potenza nucleare per mano dei terroristi scatenati di Kiev, e l’umanità è sull’orlo della distruzione. Niente di più, niente di meno. I media globalisti continuano a girare una serie Marvel per bambini, in cui Spiderman Zelens’kyj vince magicamente con superpoteri e maiali magici contro il «Dr. Cattivo». Tuttavia, questa è solo una serie povera e sciocca. In realtà tutto va verso l’uso delle armi nucleari e possibilmente la distruzione dell’umanità. Tucker Carlson effettua un test di realtà: l’Occidente capisce cosa sta facendo, spingendo il mondo verso l’apocalisse? Esistono un vero Putin e una vera Russia, non questi personaggi e ambientazioni messi in scena dalla Marvel. Guarda cosa hanno fatto i globalisti e quanto siamo vicini a ciò! Non si tratta del contenuto dell’intervista con Putin. È il fatto che una persona come Tucker Carlson visiti un Paese come la Russia per incontrare una figura politica come Putin in un momento così critico. Il viaggio di Tucker Carlson a Mosca potrebbe essere l’ultima possibilità per fermare la scomparsa dell’umanità. L’enorme attenzione prestata da un miliardo di persone a questa intervista cruciale da parte dell’umanità stessa, così come la rabbia frenetica e disumana di Biden, dei globalisti e dei cittadini del mondo intossicati dal decadimento, testimoniano la consapevolezza dell’umanità della gravità della situazione. Il mondo può essere salvato solo fermandosi adesso. Per questo, l’America deve scegliere Trump. E Tucker Carlson. Ed Elon Musk. E Abbott. Allora abbiamo la possibilità di fermarci sull’orlo dell’abisso. Rispetto a questo, tutto il resto è secondario. Il liberalismo e la sua agenda hanno portato l’umanità a un vicolo cieco. Ora la scelta è questa: o i liberali o l’umanità. Tucker Carlson sceglie l’umanità, motivo per cui è venuto a Mosca per incontrare Putin. Il mondo intero ha capito perché è venuto e quanto sia importante.

Aleksandr Dugin
08 febbraio 2024
www.renovatio21.com/tucker-putin-e-lapocalisse-atomica-aleksandr-dugin-spiega-il-peso-dellintervista-del...
22/03/2024 14:35
 
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Emma Bonino e la paura dell’establishment italiano per la fine del Nuovo Ordine Mondiale

Quando guarda dalla finestra del suo appartamento romano nel quale è stata raggiunta dal filosofo Massimo Adinolfi per una conversazione sullo stato dell’arte della geopolitica presente, Emma Bonino vede scenari a tinte fosche.

www.ilriformista.it/emma-bonino-la-lista-di-scopo-i-veti-e-il-mondo-in-panne-ripartire-dagli-stati-uniti-deuropa-412314/?utm_source=pock...

Le tinte fosche sono quelle che riguardano la fine delle vecchie sicurezze del passato. Quel passato così tanto venerato dalla élite liberal-progressista “italiana” che ha dedicato tutte le sue energie per conto dei suoi referenti d’Oltremanica e d’Oltreoceano ad abbruttire e tentare di spazzare via la culla della cristianità mondiale e la sede dell’Impero Romano. L’Italia è tutto ciò che il protestantesimo anglosassone odia. L’Italia nella sua antica tradizione e splendore è l’antidoto alla avanzate delle forze massoniche che negli ultimi decenni hanno scristianizzato un intero continente consegnandolo alla immigrazione di massa nel tentativo di costruire quell’archetipo genetico kalergiano che altro non è che il meticciato. Emma Bonino ha dedicato la sua vita a questa “missione”. Emma Bonino ha dedicato la sua vita a perpetrare quello stupro controculturale eseguito per trasformare questo Paese da una sana Nazione cattolica ad una consegnata al vuoto dell’ateismo e del laicismo che ora vediamo approdare nei territori del luciferianesimo sempre più spinto. La storica leader del partito radicale assieme ad un altro riprovevole personaggio, Marco Pannella, definito “luciferino” dal pentito radicale Danilo Quinto che, convertitosi nuovamente al cattolicesimo, denunciò le spese folli di Pannella e il disegno anticristico di questo partito che ha condotto una guerra ideologica contro l’Italia sin dalla sua esistenza. Una guerra ideologica, ma soprattutto spirituale, ispirata dagli ambienti massonici ai quali Giacinto, in arte Marco, era vicinissimo e che ha portato la sua creatura politica a condurre tutte le battaglie dei cosiddetti “diritti civili” dei quali Emma Bonino è stata una fiera campionessa.

ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/09/27/radicali-volevano-far-eleggere-licio-ge...

E’ attraverso tale grimaldello illuminista che si consuma la rivoluzione controculturale che porta il primo gravissimo attacco alla famiglia, pilastro della società antica, attraverso il divorzio, passato soprattutto per il tradimento della Democrazia Cristiana e per la defezione della Chiesa post-conciliare rappresentata allora da Montini, Paolo VI, già coinvolto in gravi scandali che lo vedevano persino nelle vesti di delatore dell’URSS, che negli anni '50 fece giustiziare diversi vescovi in incognito dall’altra parte della cortina di ferro. L’altro paletto piantato nel cuore dell’Italia è stato l’aborto, altro fiore all’occhiello del partito radicale, a sua volta passato per il secondo grande tradimento della Balena Bianca che, piuttosto che arrestare l’avanzata modernista che stava sfigurando il volto del Paese, si faceva da parte e lasciava che lo stupro avesse luogo. Emma Bonino in quegli anni era lì a condurre la battaglia per uccidere i bambini nel grembo della madre e la cultura liberale massonica della morte, che è stata in grado di chiamare l’infanticidio come un “diritto di libertà” per la madre, alla quale viene assegnato potere di vita e di morte sul proprio nascituro. Questo è il paradosso e l’ipocrisia del culto dei diritti civili, che chiama “diritto” la facoltà di uccidere un innocente e “civiltà” la campagna per l’abolizione della pena di morte anche per il più efferato dei criminali. I radicali sono coloro che sono in prima linea per attuare questa moderna strage di innocenti in quella che pare una rivisitazione dell’antico culto israelita del dio Moloch, al quale venivano appunto sacrificati i bambini, e sono al tempo stesso in prima linea per assicurare protezioni e assistenza legale ai peggiori delinquenti che hanno popolato le nostre carceri. Sono una infezione, a tutti gli effetti, ma oggi la Bonino, espressione “massima” di questo mondo in Italia, vede un futuro dove ciò che è stato costruito da lei e dai suoi sodali internazionali, su tutti il finanziere di origine ebraica George Soros, che ha finanziato i radicali, non è più certo.

La fine dell’anglosfera e della liberal-democrazia
Ad essere messa in discussione è l’impalcatura politica internazionale sorta dal dopoguerra. Dal cumulo di macerie della seconda guerra mondiale nacque uno Stato coloniale etero diretto dallo stato profondo di Washington, quel grumo di poteri finanziari e lobby sioniste, quali l’AIPAC e Chabad Lubavitch, che ha governato per più di un secolo gli Stati Uniti d’America, Paese protestante “eletto” dall’ebraismo internazionale. Questa struttura è quella che ha dominato l’Italia e l’Europa Occidentale per quasi 80 anni. E’ quella composta dalle istituzioni sovranazionali quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la NATO e soltanto da ultima l’Unione Europea. Il potere passa dalle mani delle nazioni a quelle degli organi sovranazionali, che diventano gli assoluti padroni della storia del Novecento, da noi definito in precedenza a tutti gli effetti come il secolo ebraico. Questo status quo è ad un passo dalla sua definitiva dipartita. Emma Bonino, nella sua paura di avere davanti a sé il vuoto, non gira intorno alla questione quando fa la sua diagnosi. “Al momento, anche a causa delle pessime relazioni con Russia e Cina, l’intero sistema multilaterale è in panne. In panne sistemiche: dalle Nazioni Unite all’Organizzazione Mondiale del Commercio, alla Banca Mondiale, all’OCSE: non funziona più nulla. Il ritorno di Trump, in questo scenario, con il suo approccio esasperatamente transattivo, anche alle relazioni internazionali più spinose, rischia seriamente di decretare la fine del sistema organizzato di relazioni del dopoguerra. Un sistema in cui l’UE, fondata su un patto istituzionale profondamente strutturato, ha prosperato e di cui ha bisogno”.

La campana dunque sta suonando per Bruxelles e per tutti i sistemi politici europei che erano strettamente dipendenti da tale architettura sovranazionale. Il venir meno degli Stati Uniti come garante del mondo sovranazionale del dopoguerra mette fine a tutto ciò che dipendeva da questo ruolo della superpotenza americana. Un ruolo che appariva insostituibile già all’alba della seconda guerra mondiale, quando un gruppo di intellettuali progressisti quali Thomas Mann, Gaetano Salvemini e Christian Guass, tra gli altri, scriveva un saggio breve intitolato “La città dell’uomo”, nel quale invitata gli Stati Uniti ad assurgere al ruolo di leader del mondialismo per poter condurre poi il resto del mondo verso il governo mondiale. L’impero americano era soltanto un mezzo per un fine più “grande”, ma la inevitabile sparizione del primo impedisce il raggiungimento del secondo. Questo ha provocato in Europa Occidentale una condizione di abbandono e smarrimento come mai si era vista prima del 1945. A Washington oggi non ci sono più i vecchi amici di una volta e adesso le élite europee si trovano di fronte ad una contingenza storica che mette in dubbio la loro stessa sopravvivenza. Questa condizione di assoluta novità porta inevitabilmente alla crisi della classe politica italiana che italiana lo è solo formalmente e che senza l’ombrello di Washington non ha possibilità di sopravvivere a questa nuova fase della storia. Sono questi i pensieri che tormentano Emma Bonino e Mario Draghi, un altro personaggio che ha servito questi poteri che hanno cercato in ogni modo di annichilire l’Italia.

Questo porta la radicale a dichiararsi pienamente d’accordo con l’uomo del Britannia quando questi ha affermato almeno in tre distinte occasioni negli ultimi 6 mesi che è necessario quanto prima costruire l’edificio kalergiano degli Stati Uniti d’Europa. Come degli assetati nel deserto, i vari rappresentanti del mondialismo invocano la salvezza sovranazionale del superstato europeo per provare a preservare uno status quo che non può più essere preservato. E le ragioni che rendono impossibile, ad oggi, una costruzione di un apparato unico sovranazionale europeo, che in realtà è una impostura della vera Europa cristiana, sono spiegate dalla stessa Emma Bonino. Nessun Paese europeo è in grado di sostituire gli Stati Uniti nella leadership del vecchio ordine liberale internazionale. Nessuno ha la forza politica, militare ed economica di Washington. Gli Stati europei sono deboli e fragili perché essi si trovano imprigionati in un sistema economico che ha finito per strangolare anche il Paese che più di tutti aveva beneficiato della moneta unica e dell’UE, la Germania. La Francia di Macron appare invischiata negli stessi problemi economici e seppur con un esercito leggermente più strutturato di quello tedesco non ha certo la capacità di assurgere a potenza leader europea. L’Italia è il Paese che si trova nella fase più avanzata della crisi liberal-democratica, con livelli di astensionismo elevatissimi e una popolazione che vuole in larga parte l’uscita dall’eurocrazia e persino quella dalla NATO stessa. Non ci sono attori che possono sostituire l’America. Quando quindi Draghi, Bonino e gli altri esponenti delle élite liberali invocano gli USE non fanno altro che illudere loro stessi. Non fanno altro che provare a mettere la testa sotto la sabbia nella speranza che poi il mondo esterno in qualche mondo si conformi a ciò che essi vogliono. Quando poi decideranno di sollevare il capo troveranno probabilmente che il mondo è andato ancora più lontano dai desideri ai quali loro aspiravano.

C’è un mondo che sta scomparendo e c’è un processo storico che appare ormai inesorabile. Siamo alla fine dell’era sovranazionale e all’inizio, o meglio al ritorno, di quella nazionale. Il XX secolo sta finendo definitivamente in questo scorcio di anni '20 del XXI secolo. L’ordine del dopoguerra è già formalmente morto e manca soltanto l’atto ufficiale del suo decesso, che sarà rappresentato con ogni probabilità dalle presidenziali americane che si terranno il prossimo novembre e nelle quali si annuncia il trionfo di Donald Trump. Il 2024 è un anno carico di eventi storici che decideranno le sorti dell’Italia e del mondo per molti anni a venire. E’ un anno dove c’è un bivio non inferiore a importanza a quello nel quale l’Europa e l’Italia si trovarono di fronte alla fine della seconda guerra mondiale, quando si affermava il potere dell’anglosfera che ha oppresso tutti coloro che hanno subito la loro influenza. Questo bivio conduce dritto verso la fine del Nuovo Ordine Mondiale ed è questa prospettiva che atterrisce Draghi, Bonino, Mattarella, Renzi e molti altri ancora in Italia. La prospettiva che la storia ha già scritto una sentenza che prevede l’estinzione di questi biechi personaggi traditori del “loro” Paese e dei poteri massonici che essi hanno servito per molti e lunghi anni.

Cesare Sacchetti
14/03/2024
www.lacrunadellago.net/emma-bonino-e-la-paura-dellestablishment-italiano-per-la-fine-del-nuovo-ordine-m...
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