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Amazzonia: la deforestazione è in calo

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    wheaton80
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    00 31/12/2012 16:15

    Amazzonia, per la prima volta la deforestazione è in calo. L’obiettivo finale per gli ambientalisti, capitanati da Greenpeace, è quello della “deforestazione zero”.

    Izabella Teixeira, ministro dell’ambiente del governo brasiliano di Dilma Roussef, l’ha definita trionfalisticamente "la più bella notizia del 2012". "Abbiamo raggiunto il grande risultato di portare la deforestazione sotto la soglia dei 5mila chilometri quadrati" ha detto riferendosi alla foresta Amazzonica, il più grande polmone del pianeta.

    Secondo i dati pubblicati dall’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali (Inpe) del Brasile, la riduzione del tasso di disboscamento in Amazzonia ha fatto registrare risultati importanti, scendendo per la prima volta sotto i 5000kmq, per la precisione attestandosi a 4656Kmq.

    I numeri pubblicati da Inpe si riferiscono al periodo tra agosto 2011 e luglio 2012 e, calcolatrici alla mano, comportano una riduzione del progredire della deforestazione di circa il 27%, il livello più basso dal 1988, l’anno zero per l’inizio della distruzione del polmone del mondo.

    L’ecosistema più ricco del pianeta è messo a rischio dalla scriteriata attività umana e dagli incendi, su cui si sta cercando di mettere una toppa: nel 2004 venivano abbattuti 27mila Kmq di alberi. Si registra dunque una riduzione consistente della deforestazione in un tempo relativamente breve possibile, sopratutto grazie alle nuove tecnologie satellitari (che hanno dato al governo brasiliano un importante strumento per fronteggiare il problema).

    Metà delle specie terrestri del pianeta vive nella regione amazzonica: almeno 5 mila le specie di alberi, 300 i mammiferi, 1.300 gli uccelli e milioni gli insetti: un’area fondamentale anche per 33 milioni di persone che dalle ricchezze della foresta traggono la propria fonte di sopravvivenza, un grande polmone ammalato dalla fine degli anni ‘70.

    Il 17% del suo territorio è stato infatti devastato negli ultimi 40 anni, con il beneplacito anche dei governi latinoamericani i quali hanno contribuito a metterci del loro, come nel progetto della diga di Belo Monte (la terza più grande del mondo) che sorgerà nel cuore dell’Amazzonia costando la modica cifra di 12 miliardi di dollari. L’obiettivo per gli ambientalisti, capitanati da Greenpeace, è quello della “deforestazione zero”, una proposta di legge di iniziativa popolare per impedire che il governo brasiliano e gli enti locali concedano in futuro nuove autorizzazioni a disboscare. Nel frattempo il governo di Rousseff si congratula per l’obiettivo, certamente valido e meritevole di attenzione, “under 5000″, nella speranza che si proceda speditamente verso una soluzione adeguata nel rispetto delle esigenze di tutti.

    11/12/2012
    www.ecoblog.it/post/44595/amazzonia-per-la-prima-volta-deforestazioneincaloilpolmonedelpianetasiriprende?utm_source=newsletter&utm_medium=mail&utm_campaign=Newsletter:+ecoblog/it+%28ec...
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    wheaton80
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    00 01/08/2015 20:56
    Tribù Amazzonica crea la prima Enciclopedia di Medicina

    Sapevi che la Foresta Amazzonica è grande quanto l’Europa Occidentale e che la maggior parte dei farmaci ed integratori in commercio contengono principi attivi di piante presenti esclusivamente in Amazzonia? Essa ospita ben 33.000 specie di piante ed è praticamente una farmacia a cielo aperto da scoprire. Ma da oggi sarà tutto più facile e forse molte malattie che ci affliggono troveranno la loro cura. L’esempio più celebre è quello del chinino, l’alcaloide che aiutò a combattere la malaria cambiando la storia dell’Europa che veniva estratto da particolari cortecce dagli sciamani per curare la febbre. I popoli indigeni, che hanno scoperto circa i tre quarti delle piante usate oggi in medicina e conoscono l’uso di circa 1300 specie vegetali, costituiscono certamente una guida insostituibile in questo labirinto verde di cui restano i padroni indiscussi. Dagli angoli più remoti della foresta pluviale amazzonica, gli ultimi anziani sciamani rimasti della tribù Matsés si sono riuniti in una missione per salvare la loro conoscenza ancestrale dall’orlo dell’estinzione. L’incontro, tenutosi a maggio in un remoto villaggio di frontiera tra Perú e Brasile, ha concluso più di due anni di lavoro e culminato nella produzione della prima Enciclopedia di Medicina Tradizionale mai scritta da una tribù amazzonica. Le 500 pagine forniscono chiare spiegazioni delle piante medicinali usate dai guaritori Matsés per una enorme varietà di disturbi.

    Per secoli, i popoli amazzonici hanno trasmesso attraverso la tradizione orale una ricchezza inestimabile di conoscenza del mondo naturale. Con la deforestazione e il cambiamento culturale destabilizzante della società moderna che si sta diffondendo, questa conoscenza è in pericolo. Come risultato di queste influenze esterne, i restanti anziani, ormai tutti oltre 60 anni, non hanno apprendisti tra le giovani generazioni dei Matsés. La loro conoscenza ancestrale era pronta per essere persa per sempre. Con il sostegno del gruppo di conservazione Acate Amazon Conservation, ogni sciamano è stato accoppiato con un giovane Matsés che nel corso dei mesi ha trascritto la conoscenza del più anziano e fotografato ogni pianta. Nel corso della riunione il materiale è stato collettivamente modificato e rivisto dagli sciamani anziani. L’Enciclopedia è scritta solo in lingua Matsés e non sarà tradotta. Infatti alcune aziende farmaceutiche dopo aver scoperto alcune loro sostanze (ad esempio il Phyllomedusa bicolor) le hanno brevettate guadagnando miliardi di dollari, senza nessun riconoscimento alla tribù amazzonica che anzi rischia l’estinzione. Sarà usata a fin di bene e per chi ne ha davvero bisogno, senza passare attraverso le lobby farmaceutiche che speculano su quello che offre madre natura ai suoi abitanti. Grazie Matsés! Per maggiori informazioni contatta Christopher Herndon, M.D. a cherndon@acateamazon.org.

    Contatti
    Christopher Herndon, M.D.
    President and Co-Founder
    Acaté Amazon Conservation
    Phone: (415) 796-0335
    Email: pressreleaseheadlines.com/contact?pid=285690
    Sito: acateamazon.org/

    27 luglio 2015
    Fonte: www.prnewswire.com/news-releases/amazonian-tribe-creates-first-encyclopedia-of-indigenous-medicine-300109...

    www.dionidream.com/tribu-amazzonica-crea-la-prima-enciclopedia-di-m...
    [Modificato da wheaton80 01/08/2015 20:57]
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    00 09/09/2016 22:43
    Amazzonia, gli indigeni hanno vinto: la mega diga non sarà costruita

    Gli indigeni dell'Amazzonia hanno vinto la loro battaglia: la mega diga Sao Luiz do Tapajos non si farà. L'Istituto Brasiliano delle Risorse Naturali Rinnovabili e Ambientali (IBAMA) ha infatti annullato la licenza di costruzione del progetto. La gigantesca diga idroelettrica che, come ha spiegato Greenpeace, "avrebbe stravolto il cuore dell'Amazzonia brasiliana" e "avrebbe causato danni irreversibili per l'ambiente e minacciato le terre e la sopravvivenza del popolo indigeno Munduruku", non sarà più costruita. Con un bacino di 729 chilometri quadri (circa l'estensione di New York), la diga avrebbe sommerso 400 chilometri quadrati di foresta pluviale incontaminata e portato alla deforestazione un'area di 2.200 chilometri quadrati per la costruzione di strade e infrastrutture necessarie alla realizzazione dell'opera. Lo stop al progetto è un risultato "molto importante", ha fatto sapere tramite Greenpeace Arnaldo Kaba Munduruku, rappresentante generale del popolo Munduruku. Ora, ha spiegato, "continueremo a combattere contro le altre dighe che minacciano il nostro fiume". L'organizzazione ricorda che sono altri 42 i progetti idroelettrici previsti per il bacino del fiume Tapajos e centinaia previsti per l'Amazzonia.

    5 agosto 2016
    www.globalist.it/world/articolo/204175/amazzonia-gli-indigeni-hanno-vinto-la-mega-diga-non-sar-costru...
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    00 01/12/2016 14:45
    Dakota Access Pipeline: 2.000 veterani al fianco dei Nativi americani



    Un gruppo di veterani ha deciso di schierarsi con i Nativi americani che per mesi si sono scontrati con la polizia, cercando di impedire la costruzione di un oleodotto sul loro terreno sacro. Il numero di veterani pronti a difendere i Nativi, da poche decine è arrivato dopo qualche giorno a ben 2.000. Il gruppo, chiamato Veterans Support for Standing Rock, sarà lo "scudo umano" dei manifestanti durante le prossime proteste, indignati dopo tutti gli abusi di potere della polizia militarizzata. Le autorità, infatti, hanno usato proiettili di gomma, granate esplosive, spray al pepe e cannoni ad acqua contro i manifestanti disarmati, centinaia dei quali sono stati feriti anche in modo grave. Secondo The Atlantic una donna, ferita da una granata esplosiva e ora ricoverata, rischia di perdere un braccio.

    Il Governo cerca di impedire l'ingresso al campo di protesta
    Gli oppositori del Dakota Access Pipeline si sono riuniti per mesi all’Oceti Sakowin, un campo usato per presidiare la "zona dei lavori" 24 ore su 24. Qui si trovano le loro tende, oltre alle scorte di cibo e tutto il necessario per riuscire a portare avanti la protesta senza dover mai lasciare il sito. Adesso un piano del Corpo degli Ingegneri dell'Esercito vuole chiudere l'accesso ai manifestanti al campo e creare da tutt'altra parte una "zona per la libertà d'espressione". I funzionari federali a tal proposito hanno dichiarato che se qualcuno dopo il 5 dicembre metterà piede su quel campo potrebbe essere sanzionato per sconfinamento.

    I veterani nel frattempo si organizzano "alla loro maniera"
    Uno dei fondatori del gruppo di veterani in aiuto ai Nativi, Michael A. Wood Jr, ha reso noto il loro "ordine per le operazioni". Nel loro piano si usano termini militari in tutto e per tutto, si fa riferimento a forze opposte, forze amiche e unità di supporto. Gli organizzatori inoltre hanno incoraggiato i partecipanti a indossare le loro vecchie uniformi. Le prime fasi della manifestazione saranno di tipo logistico: la creazione di tende e l'organizzazione delle scorte di cibo. In seguito si passa all'azione "pacifica" degli angeli custodi della protesta dei Nativi americani, che temono che il gasdotto potrebbe inquinare il fiume Missouri e danneggiare le loro terre sacre e i cimiteri tribali.

    Simone Mastroianni
    29 novembre 2016
    it.blastingnews.com/cronaca/2016/11/dakota-access-pipeline-2000-veterani-al-fianco-dei-nativi-americani-001294...
    [Modificato da wheaton80 01/12/2016 14:49]
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    wheaton80
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    00 02/12/2016 17:54
    I Piedi Neri riconquistano le loro terre sacre. Vinta la battaglia contro petrolio e gas



    Mentre i Sioux di Standing Rock continuano a protestare contro l’oleodotto che dovrebbe attraversare le loro terre sacre, un altro popolo di nativi americani, i Piedi Neri, festeggiano una vittoria contro l’industria dei combustibili fossili: l’11 novembre, subito dopo l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America e al termine di due anni di intensi negoziati, il Segretario uscente USA agli interni, Sally Jewell, il senatore Jon Tester, il Presidente della Nazione Blackfeet Harry Barnes e il Presidente della Devon Energy, David Hager Jewell, hanno annunciato insieme che il Bureau of Land Management (BLM) ha annullato 15 licenze per estrarre petrolio e gas nella Badger-Two Medicine Area, nella Lewis and Clark National Forest, nel nord-ovest del Montana, sottolineando che cessano così le preoccupazioni riguardanti il potenziale sviluppo di gas e petrolio in questa zona culturalmente ed ecologicamente importante. La Jewell ha spiegato che la decisione «rende onore alle ricche risorse culturali e naturali della Badger-Two Medicine Area e farà in modo che sia protetta per le generazioni future. Siamo orgogliosi di aver lavorato a fianco della Nazione Blackfeet (i Piedi Neri, ndr), dell’US Forest Service e di Devon Energy per raggiungere questo importante traguardo, riportando indietro di decenni le vecchie concessioni e rafforzare l’importanza di sviluppare le risorse nel modo giusto e al posto giusto». Tyson Running Wolf, Segretario del Blackfeet Tribal Council, spiega a Living on Earth che «La Badger-Two Medicine è un’area collocate a sudovest della riserva Blackfeet e a Sud del Glacier National Park. Copre circa 168.000 acri ed include molte delle nostre aree spirituali per il popolo Blackfeet».

    La Badger-Two Medicine Area si estende lungo il Rocky Mountain Front all’interno della Lewis and Clark National Forest, amministrata dall’US Forest Service. L’area è circondata dal Glacier National Park, dalla Wilderness Bob Marshall e dalla riserva indiana dei Piedi Neri e fa parte di un distretto Traditional Cultural District riconosciuto. Queste caratteristiche nel 2006 avevano portato il Congresso USA ad escludere qualsiasi sviluppo minerario nell’area. Le concessioni annullate erano state rilasciate negli anni ‘80, ma da allora nessuno aveva avuto il coraggio di trivellare l’area. Tester ha sottolineato che «in questo mondo ci sono luoghi speciali in cui noi non dovremmo trivellare e forare, e la Badger-Two Medicine è uno di quei posti. Questa regione svolge un grande significato culturale e storico per la tribù Blackfeet e questo annuncio farà in modo che la Badger-Two Medicine rimarrà intatta sia per la tribù che per le persone che amano cacciare, fare escursioni e pescare vicino al Glacier Park e alla Wilderness Bob Marshall». L’annullamento rispetta le raccomandazioni dell’U.S. Forest Service e dell’Advisory Council on Historic Preservation e le preoccupazioni espresse dalla tribù dei Piedi Neri e le molte osservazioni presentate dalle persone interessate. E’ anche coerente con la decisione del BLM di quest’anno di annullare la licenza detenuta dalla Solonex LLC.

    Dato che i contratti della Devon non sono mai stati sviluppati, l’area è rimasta indisturbata. L’annullamento delle licenze dà diritto alla Devon a un rimborso per gli affitti e i bonus pagati: circa 200.000 dollari. Nella Badger-Two Medicine Area restano ancora due licenze estrattive. Anche Hager sembra convinto della scelta:«Siamo lieti e orgogliosi di celebrare la collaborazione che ci ha portato a questo accordo. Sappiamo quanto questo sia importante per il popolo dei Piedi Neri e apprezziamo il lavoro che il Dipartimento degli Interni ha fatto per renderlo possibile. Per la Devon, la cancellazione di queste concessioni è semplicemente la cosa giusta da fare». Esulta Barnes:«Il nostro tentativo di proteggere la Badger-Two Medicine è durato più di tre decenni, e continuerà fino a quando tutte le licenze illegali di petrolio e gas non verranno annullate e l’area non sarà protetta in modo permanente. Questa zona è sacra per il popolo Blackfeet, e apprezziamo che gli altri stiano iniziando a riconoscerla come un patrimonio. Ci sono molti che hanno contribuito ad arrivare a questo punto, ma voglio riconoscere soprattutto Devon Energy per la sua leadership e la volontà di collaborare con l’Indian Country». Nella Badger-Two Medicine Area vivono orsi grizzly e una ricca biodiversità fluviale e terrestre e secondo Running Wolf «si tratta delle Alpi svizzere del continente nordamericano.

    E’ eccezionale: con le Grandi Pianure che arrivano alle Montagne Rocciose, con bellissimi laghi blu, belle foreste verdi e una grande storia culturale del popolo Blackfeet. E’ unico. È duro. E’ ripido e ospita alcune specie minacciate e in via di estinzione, tra cui i Blackfeet». I Piedi Neri si sentono infatti in pericolo da quando l’industria petrolifera e del gas ha preso di mira il loro territorio, perché temono che possa inquinare due fiumi della Medicine e quindi l’intero bacino del Missouri, e anche il sistema idrico del Birch Creek. L’area ha un grande valore spirituale per i Piedi Neri, che vivrebbero nella zona ininterrottamente da oltre 10.000 anni e che la utilizzano per le loro cerimonie e per raccogliere erbe curative. Running Wolf è convinto che alla fine le compagnie petrolifere rinunceranno anche alle ultime due licenze e che il prossimo passo sarà la cogestione dell’area con le agenzie federali per favorire il ritorno delle mandrie di bufali, ma anche dei Piedi Neri nelle riserve naturali che facevano parte del loro territorio ancestrale e nelle quali attualmente non può vivere stabilmente nessuno. Nella lingua dei Piedi Neri la Badger-Two Medicine Area si chiama “Mees-kim Nat-tuk Na-tuus” e speranza si dice Komo-tani, che significa anche sopravvivenza e Running Wolf pensa proprio che Mees-kim Nat-tuk Na-tuus rappresenti una nuova Komo-tani per i Piedi Neri.

    28 novembre 2016
    www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/piedi-neri-riconquistano-le-terre-sacre-vinta-la-battaglia-petrolio-ga...
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    wheaton80
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    00 05/12/2016 23:44
    In North Dakota vittoria Sioux: bloccato progetto di un oleodotto

    Il popolo dell'uomo rosso segna, per ora, una vittoria importante. Sioux, ambientalisti, veterani di guerra schierati al loro fianco e simpatizzanti vari ai quattro angoli del mondo hanno salutato con soddisfazione l'annuncio della bocciatura da parte del Genio militare degli Stati Uniti del progetto di percorso dell'oleodotto che attraversa il North Dakota, terra sacra e ancestrale del popolo Lakota. Il modo migliore per procedere responsabilmente e rapidamente è quello di esplorare percorsi alternativi, ha dichiarato Jo-Ellen Darcy, vice Ministro dell'Esercito degli Stati Uniti con delega ai Lavori Pubblici. Il Dakota Access Pipeline, l'oleodotto della società Energy Transfer Partners progettato per trasportare il greggio del North Dakota fino al Sud degli Stati Uniti, ha scatenato un movimento di protesta da parte delle tribù indiane, di ambientalisti e sostenitori degli indigeni nord-americani che si è diffuso a macchia d'olio. Da settimane i manifestanti vivono nelle praterie nei pressi di Cannon Ball, North Dakota, in un grande accampamento di tende militari e tepee tradizionali, nonostante il prossimo arrivo del terribile inverno del North Dakota, esposto alla furia dei blizzard, le tempeste di neve provenienti dall'Artico canadese. Il progetto originario della pipeline, lunga quasi 1.200 chilometri con un costo stimato in 3,2 miliardi di dollari, prevedeva un passaggio a poche centinaia di metri dalla riserva della tribù Sioux Standing Rock in North Dakota. I pellerossa hanno così cominciato la protesta, nel timore che l'oleodotto possa contaminare il Missouri e il lago Oahe, le loro principali fonti di approvvigionamento idrico, oltre a danneggiare siti considerati sacri dai nativi e dove sono sepolti i loro antenati. Non è ancora chiaro se e quanto potrà durare la vittoria indiana. Il Presidente eletto Donald Trump, azionista della società titolare dell'oleodotto, la scorsa settimana si è espresso a favore del completamento. La futura amministrazione potrebbe in teoria ignorare la richiesta e consentire la realizzazione del progetto originale anche contro il parere delle autorità militari statunitensi.

    05 dicembre 2016
    www.askanews.it/esteri/innorthdakotavittoriasiouxbloccatoprogettodiunoleodotto_71195...
    [Modificato da wheaton80 05/12/2016 23:49]
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    wheaton80
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    00 08/12/2016 20:17
    A Standing Rock i veterani chiedono perdono per i crimini dell’esercito contro i nativi americani



    Lunedì, nella riserva Sioux di Standing Rock nel North Dakota, Wes Clark Jr., figlio del Generale in pensione dell’Esercito Americano ed ex Comandante supremo della NATO Wesley Clark Sr., ha guidato i veterani militari in una cerimonia per chiedere perdono ai nativi americani per i crimini commessi dall’esercito. Negli ultimi giorni migliaia di veterani, nativi e no, si sono radunati a Standing Rock per sostenere i protettori dell’acqua nella loro lotta contro l’oleodotto Dakota Access. “Siamo arrivati”, ha detto Clark. “Vi abbiamo combattuto. Abbiamo preso la vostra terra. Abbiamo firmato trattati per poi infrangerli. Abbiamo rubato minerali dalle vostre colline sacre. Abbiamo scolpito i visi dei nostri presidenti nella vostra montagna sacra. E vi abbiamo preso altra terra. Poi abbiamo portato via i vostri figli e abbiamo cercato di eliminare la vostra lingua, che Dio vi aveva dato, che il creatore vi aveva dato. Non vi abbiamo rispettato. Abbiamo inquinato la vostra terra. Vi abbiamo ferito in tanti modi. E ora siamo venuti a dire che ci dispiace, che siamo al vostro servizio e imploriamo il vostro perdono”. Nella foto, Wes Clark Jr. si inginocchia ai piedi di Leonard Crow Dog, sciamano Lakota e guida spirituale del Movimento degli Indiani Americani, che prese parte nel 1973 all’occupazione di Wounded Knee. Domenica il Genio Militare ha negato alla compagnia Energy Transfer Partners il permesso di trivellare sotto il Lago Oahe sul Fiume Missouri, bloccando i lavori, almeno per il momento. I protettori dell’acqua hanno dichiarato che manterranno gli accampamenti e resteranno all’erta e la compagnia ha promesso che continuerà i lavori di costruzione dell’oleodotto.

    06.12.2016
    www.pressenza.com/it/2016/12/standing-rock-veterani-chiedono-perdono-per-crimini-dellesercito-contro-nativi-am...

    [Modificato da wheaton80 08/12/2016 20:19]
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    wheaton80
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    00 08/09/2017 15:26
    Brasile, stop al decreto a favore delle miniere: l'Amazzonia è salva

    E' stato sospeso, in Brasile, il decreto del Presidente Michel Temer che prevedeva l'abolizione della riserva naturale di Renca, nella foresta amazzonica. La decisione del giudice federale di Brasilia, Rolando Valcir Spanholo, che ha accolto parzialmente una petizione popolare presentata nei giorni scorsi contro la misura governativa, rappresenta un altro schiaffo per il Capo di Stato brasiliano, già travolto da seri guai giudiziari e a rischio di impeachment con l'accusa di corruzione. Per una scelta così importante - ha sottolineato il togato - non basta un decreto, ma serve l'intervento del Congresso. Data la sua impopolarità, il provvedimento di Temer aveva sollevato un vespaio di polemiche in tutto il pianeta, coinvolgendo anche personalità del mondo della moda e dello spettacolo, come la top model Gisele Bundchen e l'attore Leonardo Di Caprio. Emesso la scorsa settimana, il decreto prevedeva lo sfruttamento da parte di imprese minerarie di un'area protetta pari a 4 milioni di ettari e grande come la Danimarca. All'interno della regione, ricca di oro e altri minerali, esistono tra l'altro due riserve indigene. La tesi del governo è che la zona rimarrebbe tutelata anche senza la riserva naturale. Ma il forte pressing di ONG ambientaliste e della comunità internazionale già ieri aveva costretto Temer a rivedere il testo, presentando un altro decreto con maggiori dettagli. Un dietrofront che non è stato però ritenuto sufficiente, tanto che il Pubblico Ministero Federale aveva chiesto la sospensione immediata anche del secondo decreto, definito dai PM una seria "minaccia di 'ecocidio'" per l'ambiente. L'attività mineraria rappresenta il 4% del PIL brasiliano ed ha prodotto l'equivalente di 25 miliardi di dollari nel 2016, secondo il sito UOL. Ma il settore sta ancora soffrendo gli effetti del tonfo dei prezzi delle materie prime e del rallentamento della domanda cinese. Per il coordinatore del programma Amazzonia di WWF Brasile, Ricardo Mello, la sentenza provvisoria del giudice di Brasilia riflette la fragilità del Governo Temer, incapace di "consultare la comunità scientifica e la società civile" prima di prendere una decisione su un argomento tanto delicato.

    30 agosto 2017
    www.repubblica.it/ambiente/2017/08/30/news/brasile_stop_al_decreto_che_aboliva_la_riserva_in_amazzonia-17...
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    00 16/03/2018 17:54
    Brasile, tribunale ordina maxi risarcimento alle tribù Xukuru:"Restituite loro le terre"

    RIO DE JANEIRO – “E’ una bellissima notizia. Non siamo felici, siamo raggianti”, chatta su Whatsapp Marcos Xukuru, che a 39 anni si ritrova a capo degli Xukuru, una tra le più combattive comunità indigene del nord est brasiliano. “Adesso”, aggiunge, “devo avvertire tutti quanti. Non è facile. Il nostro è un territorio vasto, i villaggi sono lontani. Ma devono sapere”. La notizia è una condanna. La seconda nella storia del Brasile moderno. La Corte Interamericana dei Diritti Umani ha imposto al governo Temer un risarcimento di un milione di dollari a 7.700 uomini e donne indigene che vivono su un territorio di 27.555 ettari, circa 6 chilometri a ovest della città di Pesqueira, nella regione di Agreste di Pernambuco. Una tribù vastissima, distribuita in 24 comunità, da anni impegnata nella battaglia per riavere le proprie terre, spesso confiscate con la forza e vendute ai privati. La multa inflitta da questa importante Corte, che qui, in America Latina, fa sentire la sua voce e impone le sue sentenze, compensa i tempi dilatati all’infinito nell’eseguire una decisione che lo stesso governo aveva accettato: i nativi hanno diritto a vivere e a lavorare sulla terra che è sempre appartenuta loro. Una storia che dura da almeno da 20 anni. Marcos Xukuru l’ha vissuta tutta. Una storia scandita dalla violenza dove non c’è mai stato spazio alle promesse. Sempre annunciate mai mantenute. Ha perso il padre, il cacique Xicão, ucciso il 20 maggio del 1998. Dell’omicidio fu accusato un contadino, José Santana. Possedeva alcuni terreni all’interno della riserva. Si è sempre proclamato innocente.

    La polizia federale di Recife lo sbatté in cella e lui si suicidò il giorno stesso dell’arresto. Un dramma tra diseredati. Il caso finisce davanti alla Corte Interamericana. Nel 1989 inizia un processo amministrativo che deve decidere il riconoscimento, la titolazione e la demarcazione del territorio conteso. Indigeni e agricoltori rivendicano la proprietà. Fanno leva su una divisione applicata nel 1995 senza l’appoggio del governo. Lo scontro va avanti a suon di agguati e omicidi. Il cacique subisce un primo agguato il 7 febbraio del 2003: muore una decina di membri della tribù. Poi, in un secondo agguato, viene fatto fuori anche lui. Il figlio Marcos, sostenuto da numerose ONG internazionali, si rivolge alla Corte che ha sede in Guatemala. Adesso la sentenza. Inappellabile. Il governo brasiliano avrà 18 mesi per garantire il ritiro degli occupanti abusivi. Ma dovrà ricompensare anche i 45 agricoltori che avevano da tempo lasciato quei territori. Il milione di dollari andrà invece al popolo Xukuru. Il nuovo verdetto segue quello pronunciato a favore della Comunità degli Yanomani, altro importante gruppo indigeno dell’Amazzonia al confine tra Brasile e Venezuela. Avevano denunciato la costruzione di una strada con la quale erano arrivati migliaia di garimpeiros, minatori illegali e tagliatori di alberi. Una vera invasione, fatta di inquinamento, malattie, devastazioni, criminalità, contrabbando. Alla fine anche loro, ultimi degli ultimi, avevano ottenuto giustizia. Il governo, nel 1992, ha fissato i confini del Parco Yanomani.

    Daniele Mastrogiacomo
    15 marzo 2018
    www.repubblica.it/esteri/2018/03/15/news/xukuru_indigeni_risarcimento_brasile_temer191336701/?re...
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    00 20/05/2019 23:50
    Gli indigeni Waorani sconfiggono le trivelle e salvano la foresta



    “Oggi la corte ha riconosciuto il fatto che la gente Waorani e tutti gli indigeni godono di diritti sulle terre che abitano che devono essere tutelati”, ha detto Nemonte Nenquimo, una dei querelanti e rappresentante del Consiglio di Coordinamento della Nazione Waorani Pastaza in Ecuador. “L’interesse del Governo per il petrolio non vale più dei nostri diritti, delle nostre foreste, delle nostre vite”, ha aggiunto. In marzo la comunità Waorani aveva citato in giudizio il Ministro dell’Energia e delle Fonti non Rinnovabili, il Segretario agli Idrocarburi e il Ministro dell’Ambiente per aver condotto consultazioni irregolari allo scopo di vendere il territorio indigeno in un’asta internazionale. Secondo la legge nazionale e internazionale, le comunità devono essere consultate prima che ogni processo di estrazione venga pianificato all’interno dei loro territori o vicino ai loro confini tramite un procedimento consultivo libero, anticipato e dettagliato da tutte le informazioni necessarie. A seguito della consultazione con i Waorani e con altre sette Nazioni indigene, l’area della foresta amazzonica era stata divisa in sedici differenti lotti petroliferi e messa in vendita in un’asta internazionale. Lo scorso anno il Governo aveva ridotto l’offerta a due soli lotti, rimuovendo il lotto numero 22, che coincide con il territorio Waorani, ma aveva anche rettificato specificando che quell’area non era esclusa da futuri piani di trivellazione.

    Durante il processo svoltosi nel corso di tre giorni all’inizio di aprile, i tre giudici hanno ascoltato le testimonianze di vari esperti e anziani della comunità, che hanno spiegato come il processo di consultazione tenutosi nel 2012 sia stato solo un modo per promuovere le attività di estrazione anziché per informare le comunità sulle conseguenze ambientali di tali attività. La pronuncia della sentenza è durata quasi sei ore, nel corso delle quali i giudici hanno riassunto i motivi per cui le consultazioni sono state ritenute inadeguate e il diritto all’autodeterminazione della comunità è stato violato. Secondo la corte, fra gli altri altri problemi, durante il processo consultivo non si è instaurato un dialogo reale con la comunità, non c’è stato sufficiente preavviso, non sono stati convocati abbastanza anziani e non c’è stata una traduzione chiara nella lingua Waorani. “Questa è senza dubbio una giornata storica per il progresso dei diritti e dello sviluppo costituzionale dell’Ecuador”, ha affermato l’avvocata Lina Maria Espinosa, che ha assistito la comunità insieme alla ONG Amazon Frontlines. “È la dimostrazione che i piani di sviluppo economico del Governo non possono sovrastare la vita e l’integrità della gente”, ha dichiarato Espinosa, aggiungendo che la sentenza stabilisce un precedente di fondamentale importanza per le altre sette Nazioni indigene consultate nel 2012. Dario Cueva, l’avvocato che rappresentava il Ministero dell’Ambiente, ha rifiutato di commentare la sentenza. Al telefono ha dichiarato che stava “analizzando il caso e pensando ai prossimi passi”.

    Fonte: www.aljazeera.com/news/2019/04/indigenous-waoraniwinlandmarklegalcaseecuador-gov-190426221504...

    10 maggio 2019
    www.italiachecambia.org/2019/05/indigeni-waorani-sconfiggono-trivelle-salvano-...
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    wheaton80
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    00 01/08/2019 19:09
    Notizie da un altro pianeta: il rimboschimento di Cina e India

    "Richiede una mente davvero insolita intraprendere l'analisi dell'ovvio"
    - A. N. Whitehead



    La NASA ha pubblicato su Nature uno studio incredibile:

    www.nasa.gov/feature/ames/human-activity-in-china-and-india-dominates-the-greening-of-earth-nasa-stu...

    Tramite osservazione satellitare, si sono accorti che il pianeta Terra è più verde di venti anni fa. Se ne sono accorti dopo un pò dall’inizio del monitoraggio appunto venti anni fa, ed avevano pensato che questa ripresa del verde planetario fosse un prodotto inaspettato dell’esubero di CO2, una sorta di effetto benefico collaterale all’effetto ritenuto malefico dell’eccesso di emissioni, una applicazione della logica Zichichi, un maitre à penser che ultimamente ha molto seguito qui da noi. Col tempo però, comparando le rilevazioni su mappe, hanno scoperto che tutto il rinverdimento planetario era concentrato in due zone di questo strano altro pianeta, le zone dette “Cina” ed “India”. Caramba, che sorpresa! Hanno poi scoperto che gli abitanti di questo strano altro mondo, i cinesi, usano quello che chiamano “Esercito Popolare” per piantare alberi che contrastino l’avanzata dei deserti interni ed anzi, pare che questi strani esseri si siano messi in testa di rubare spazio al deserto stesso, piantando alberi a ripetizione. Un esercito di vangatori, che buffa idea, no? Mettete dei fiori nei vostri cannoni, diceva una antica canzone… Si sono anche detti sorpresi del fatto che, alla stessa NASA, avevano letto i giornali che mostravano quanto pazzi fossero questi cinesi che si auto-soffocavano con l’emissione di CO2 a causa della dissennata idea di far avanzare il loro sviluppo.

    Ma allora non erano così pazzi se il satellite dotato addirittura di un Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer, o MODIS (un pò di auto-pubblicità sugli effetti meravigliosi degli investimenti in tecnologia ci vuole sempre, no?), mostrava questa massiccia avanzata del bosco cinese. Quanto a quegli altri alieni degli indiani, alla NASA hanno scoperto che a furia di fare figli che chiedevano di mangiare, si sono messi a coltivare sempre più spazio con culture multiple. Insomma, i bizzarri indiani, continuando pervicacemente a volersi nutrire con i vegetali, con l’agricoltura, invece che con le manipolazioni molecolari driven by biotecnologie di società quotate in borsa (creazione di valore dogma centrale della nostra forma di civiltà avanzata), piantano cose che poi crescono aumentando il verde. Che buffo, no? Certo, che i cinesi siano strani, visto che si ostinano a definirsi addirittura "comunisti", si sa, ma gli indiani sarebbero pure "democratici". Cose dell'altro mondo...

    E dire che invece, qui nel nostro pianeta, il nostro campione del nuovo Sud America liberato dalla presa dell’illiberismo chavista-lulista, Bolsonaro, il verde lo sta eliminando. Mah, comunque in quell’altro strano pianeta del quale non avremmo notizie senza l’occhio vigile della NASA, anche gli etiopi stanno piantando alberelli, 350 milioni per la precisione, in meno di dodici ore, giusto ieri. Su quell'altro pianeta sottosviluppato, deve esserci una strana epidemia di ragion pratica... Mano umana (nome della strana specie che abita questo altro pianeta di esseri strani), non mano invisibile. La mano invisibile il verde lo distrugge per creare valore, salvo poi mandare ragazzine con l’aria truce in giro per le grandi assemblee dei potenti a far da coscienza infelice che ammonisce. Qui da noi, allora, si scrivono corposi libri sull’Antropocene, usando carta che è presa dagli alberi che Bolsonaro sta buttando giù. Lì invece, nell’altro pianeta, non scrivono libri ma prendono zappe e vanghe e piantano semi. Chissà, magari invece che lo scontro delle civiltà e la guerra dei mondi, ci converrebbe copiare questi alieni animati da una ragione strumentale così diversa dalla nostra. Chissà, forse è una fake news della sezione orientalista della NASA…

    Pierluigi Fagan
    31/07/2019
    www.lantidiplomatico.it/dettnews-notizie_da_un_altro_pianeta_il_rimboschimento_di_cina_e_india/82_29796/?fbclid=IwAR1-f6B1MhfsAT0jCimxqdb9FwEMdDzlZRnQZfxX7NyP_WxjOlP...
    [Modificato da wheaton80 01/08/2019 19:12]
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    wheaton80
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    00 27/08/2019 00:48
    La propaganda sull’Amazzonia



    Appena prima dell’apertura del G7 di Biarritz, la stampa internazionale, con la complicità del Presidente francese Emmanuel Macron e del Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, ha avviato una martellante propaganda mediatica, il cui fine è il controllo da parte degli europei dell’Amazzonia, delle sue risorse minerarie, dei suoi tesori farmaceutici, del suo prezioso legname. La campagna ha in realtà lo scopo di distorcere il problema per poi trovare una soluzione fasulla. In primo luogo gli autori di questa propaganda mediatica non cessano di ripetere che l’Amazzonia è «il polmone verde del pianeta»; asserzione fuorviante che sottintende che la foresta amazzonica assorbe la maggior parte del CO2 prodotto dalla Terra, un’affermazione assurda. In secondo luogo non cessano di sostenere che la foresta amazzonica sta bruciando in modo talmente veloce da rischiare di sparire. Alcuni media rincarano la dose diffondendo dati assurdi sulle zone devastate. Ebbene, la foresta amazzonica è una zona umida, che brucia con estrema lentezza. Le zone devastate non sono nella foresta stessa, ma all’interno di zone deforestate. Qualche mese dopo l’abbattimento degli alberi, la flora tropicale ricresce. Queste zone sono perciò coperte da tronchi abbattuti e da nuovi alberi che, questi sì, bruciano rapidamente. Il Presidente Macron ha affermato che avrebbe agito all’interno del G7 per salvare la foresta amazzonica.

    Ma il G7 non è un organo decisionale, bensì un luogo d’incontro per consentire ai dirigenti occidentali d’intendersi meglio. Dal 1978 la sola istituzione internazionale che ha in carico il dossier Amazzonia è l’OTCA (Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica), cui la Francia non ha aderito, benché il Dipartimento della Guyana si trovi in Amazzonia. Sin dall’inizio della polemica, il Presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha denunciato il carattere colonialista dell’approccio del problema da parte di un G7 al quale nessun Paese dell’OTCA è stato invitato. In seguito, il Presidente venezuelano Nicolàs Maduro ha esortato a trovare una concertazione all’interno dell’OTCA. I Paesi a lui ostili hanno respinto la proposta. Il Presidente della Bolivia, Evo Morales, ha ripreso la proposta di Maduro, che ora dovrebbe essere accettata. La questione non è l’apprezzamento o il biasimo di tale o talaltro Presidente: tutti hanno in carico la foresta amazzonica e i suoi abitanti, per cui non hanno alcun interesse a distruggerla. Il nocciolo del problema non sono gli incendi nelle zone disboscate, né la deforestazione, bensì il modo anarchico con cui questa è gestita. Le menzogne diffuse scientemente e con coordinazione da parecchi dirigenti europei, in primis il Presidente francese, fanno pensare che sarà fatto di tutto per distrarre l’attenzione internazionale dalle vere poste in gioco, economiche e politiche, che questo dramma sottende.

    Traduzione: Rachele Marmetti
    Fonte: www.voltairenet.org/article207427.html
    26 agosto 2019

    www.voltairenet.org/article207431.html?fbclid=IwAR0sIlTPdNxj8axoZhmpq59vz6idTp6IFBFsMOFRNIWDcnRxGe3...
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    wheaton80
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    00 30/03/2020 18:39
    Oleodotto in North Dakota, vittoria per i Sioux

    La loro battaglia era iniziata quattro anni fa, quando migliaia di membri della tribù di indiani Sioux di Standing Rock si erano opposti al passaggio di un oleodotto sul territorio della loro riserva, nel North Dakota. Dopo essersi dovuti arrendere, adesso per loro è arrivato il momento della rivincita. A fine 2016, infatti, Barack Obama aveva deciso di non concedere all’azienda costruttrice il permesso di realizzare l’opera, per la quale era stato studiato un percorso alternativo. Il motivo? I potenziali danni per la salute umana e per l’ambiente. Una decisione che era stata rimessa in discussione dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Il quale aveva annunciato di essere pronto a consentire la costruzione dell’oleodotto, firmando due ordini esecutivi per rilanciare il Dakota Access. La sua costruzione, che ha visto un investimento da 3,8 miliardi di dollari, ha consentito il trasporto del greggio per quasi tre anni dal North Dakota all’Illinois. Fino a quando nei giorni scorsi un giudice del distretto federale ha imposto allo Us Army Corps of Engineers di effettuare uno studio sugli impatti ambientali dell’impianto. Questo perché, nelle motivazioni del giudice James Broasberg, i potenziali effetti dell’oleodotto sulla salute umana e ambientale sono altamente controversi e non sono stati valutati adeguatamente dal governo. Mike Faith, a capo della tribù, ha affermato come questo passo rappresenta una sostanziale vittoria legale per la loro battaglia. Non è ancora chiaro se la nuova ordinanza emessa dal giudice fermerà l’oleodotto, anche se la messa a punto di un’indagine ambientale richiede almeno uno o due anni. La riserva di Standing Rock si trova a meno di due chilometri dall’oleodotto che attraversa il fiume Missouri dal quale la tribù dipende per la pesca di pesce, per l’approvigionamento di acqua potabile e per lo svolgimento di cerimonie. Nel 2016 i Sioux si erano rivolti a un tribunale distrettuale federale di Washington per fermare la costruzione. Migliaia di attivisti si erano radunati in North Dakota per protestare, costituendo il più grande raduno di tribù indiane nella recente storia statunitense.

    Sibilla di Palma
    30 marzo 2020
    www.repubblica.it/economia/rapporti/energitalia/storie/2020/03/30/news/oleodotto_in_north_dakota_vittoria_per_i_sioux-252682909/?re...
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    wheaton80
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    00 18/01/2024 17:30
    Vittoria storica in Amazzonia. Gli indigeni Siekopai rientrano in possesso delle loro terre ancestrali dopo 80 anni

    Erano stati cacciati via con forza da quelle che erano le loro terre da generazioni. Ora, però, a distanza di ben 80 anni, potranno finalmente farvi ritorno e riottenere la proprietà legale di quei luoghi ancestrali, nel cuore dell’Amazzonia. Protagonista di questa vicenda la comunità indigena Siekopai, che esulta per una sentenza storica emessa dal tribunale provinciale di Sucumbíos, in Ecuador, che ordina al Ministero dell’Ambiente del Paese sudamericano di restituire un’area nota col nome Pë’këya ed estesa circa 42.360 ettari, nella foresta pluviale ecuadoriana.

    “Noi Siekopai apparteniamo da sempre a questo territorio. Tuttavia, ci sono voluti decenni di lotta per cercare di convincere lo Stato ecuadoriano a riconoscere questo territorio sacro come nostro. I nostri anziani e i nostri giovani sono così felici di tornare finalmente a casa nostra”. Sono cariche di gioia e soddisfazione le prime parole di Justino Piaguaje, leader dei Siekopai. “Sebbene i colonizzatori abbiano tentato di sradicarci da questo territorio, hanno fallito”. Si tratta di una (ri)conquista che non ha precedenti in Ecuador: è, infatti, la prima volta che il Governo ecuadoriano concede a una comunità indigena la proprietà di un territorio ancestrale che rientra in un’area protetta a livello nazionale. Questa decisione accende la speranza per altre tribù che da decenni lottano per tornare a vivere nelle terre che sono state loro sottratte.

    Un nuovo inizio per i Siekopai, da sempre guardiani delle foreste
    D’ora in poi il popolo avrà il diritto di gestire quel territorio (dove sono sepolti i suoi cari antenati) e le sue risorse naturali come preferisce. “Ciò non implica che il Ministero dell’Ambiente non debba monitorare la deforestazione o l’inquinamento dei fiumi nel nostro territorio, chiarisce Justino Piaguaje. “Ovviamente il Ministero ha questa responsabilità, ma esercitiamo il controllo. Crediamo che il titolo concesso non sia vantaggioso solo per i Siekopai. ma anche per altri popoli che si trovano in condizioni simili”. Per i Siekopai le foreste sono parte integrante della cultura e della storia e da sempre si sono impegnati per proteggerle. Negli ultimi anni si sono avvalsi anche di trappole fotografiche e droni per monitorare le temute attività estrattive portate avanti in questi luoghi incontaminati e proteggere questi ultimi dall’inquinamento. L’area in questione, al confine col Perù e conosciuta anche col nome di Lagarto Cocha, è uno scrigno di biodiversità, dove vivono specie minacciate come il delfino rosa del Rio delle Amazzoni (Inia geoffrensis) e la lontra gigante. Questa porzione di foresta ospita anche specie vegetali che rischiano di sparire, come la splendida Pau-rosa (Aniba rosaeodora), sfruttata per il suo prezioso olio essenziale e il suo legno. In ogni caso su un dato non ci sono dubbi: questo popolo indigeno saprà preservare al meglio la foresta amazzonica e il suo delicato ecosistema.

    Fonte: amazonfrontlines.org/chronicles/stolen-indigenous-land-siekopai-lagartococha...

    Rosita Cipolla
    18/01/2024
    www.greenme.it/lifestyle/costume-e-societa/vittoria-storica-in-amazzonia-siekopai-riacquistano-terre-anc...