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Il ‘Nuovo Secolo Americano’ è finito prima ancora di iniziare?

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    wheaton80
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    00 13/07/2013 05:45

    Che fine ha fatto il Progetto per il nuovo secolo americano (PNAC), che prevedeva un mondo dominato dagli USA, nella consapevolezza che “la leadership americana [cioè statunitense, ndr] sarebbe la migliore possibile sia per l’America sia per il mondo intero”? Osservando gli accadimenti degli ultimi tempi, ormai incredibilmente accelerati dallo scandalo PRISM o Datagate, viene da chiedersi se sia un progetto ancora attuabile. Una delle tappe fondamentali, e assolutamente taciute, del progetto di dominio mondiale pensato a Washington era l’Unione Transatlantica, ossia l’unificazione politica, economica e giuridica tra Unione Europea, Stati Uniti e Canada. Un progetto che finora è stato presentato (ma solo di sfuggita) dai mezzi di informazione di massa solo come un accordo di libero scambio per creare un’unica area commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. Esemplificativo in questo senso Panorama.it: Usa-Ue, l’accordo commerciale e i vantaggi per l’Italia. Aumento dell’interscambio nel breve periodo, crescita e benessere nel lungo. Titolo a parte, l’autrice, Claudia Astarita, si premura a citare lo scetticismo di Alessandro Polito, analista politico e strategico:

    "Oggi più che mai è fondamentale per il buon esito di qualsiasi negoziato soffermarsi a valutarne con attenzione gli effetti di breve e lungo periodo. Puntando su un unico aspetto conveniente si rischia di rimanere travolti dalle altre conseguenze derivanti dall’accordo, sottovalutate nella fase della contrattazione. Una possibilità che diventa ancora più pericolosa se inquadrata in un contesto di crisi economica (…)".

    Insomma, entusiasmo ma non troppo. Basti pensare che è la stessa Fondazione Bertelsmann, che si batte per il TTIP, ad aver mostrato che la convenienza per l’adozione dell’accordo è a senso unico, con un incremento del reddito medio pro-capite del 13,4% per gli USA e di un misero 5% per i paesi europei. Stime eccessive, se si considera che la Commissione Europea valuta un aumento del PIL comunitario di un misero 0,5% in seguito al varo del TTIP (previsto per il 2015). Verrebbe spontaneo chiedersi per chi lavorino allora i dirigenti di Bruxelles, che dal 2007 si adoperano per l’unificazione transatlantica. In un precedente articolo citavo le dichiarazioni rese a Radiounoda Susy De Martini, eurodeputata e membro della Commissione per le relazioni con gli Usa, che lamentava come la vicenda Snowden avesse il potenziale di incrinare proprio i cosiddetti accordi di libero scambio.

    Ma nei pochi giorni trascorsi dalle sue parole, un’altra pedina importante sembra essere saltata: si tratta di Jean Claude Juncker, il primo ministro lussemburghese, che ha deciso di rassegnare le dimissioni dopo la richiesta dei suoi alleati socialisti di indire elezioni anticipate. Neanche a dirlo, Juncker è accusato di non aver vigilato sulle intercettazioni illegali attuate dal Srel, l’intelligence del Lussemburgo, a danno dei propri cittadini. Quella di Juncker è una figura di spicco nel processo di costruzione europea: il primo ministro lussemburghese è stato il primo presidente dell’Eurogruppo, che riunisce i ministri di economia e finanza dei paesi dell’Eurozona, dal 2005 al 2012 ed in questa veste ha sempre difeso la centralizzazione dei processi decisionali comunitari (per rafforzare l’euro, a suo dire).


    Jean Claude Juncker

    Juncker gode però anche del privilegio di essere membro del Comitato dei Trecento, un organismo molto influente e poco conosciuto fondato nel XVII sec dall’East India Company e presieduto dalla regina d’Inghilterra. “Trecento uomini, che si conoscono l’un l’altro, dirigono il destino economico dell’Europa e scelgono i loro successori tra di loro” diceva nel 1909 Walter Rathenau, fondatore della tedesca AEG, riferendosi ai membri del Comitato. Significativo, nell’organismo, il ruolo di leadership delle famiglie nobili europee (come segnala John Coleman, ex agente dei Servizi britannici e tra i pochi che hanno approfondito l’argomento): oltre a quella inglese, anche le famiglie reali olandese, danese, belga, spagnola. Tra i nomi italiani, spiccano Fabrizio Cicchitto, il ministro Emma Bonino, il governatore della Bce Mario Draghi, Vittorio Emanuele di Savoia (in qualità di principe di Napoli), John Elkann, il defunto Giulio Andreotti ed il cardinale Giovanni Lojolo.

    Ma anche Silvio Berlusconi, ormai braccato dalla magistratura, ed Ettore Gotti Todeschi, presidente dello IOR costretto alle dimissioni un anno fa. Come il suo superiore, Joseph Alois Ratzinger, anch’egli dimissionario (e oggi dov’è finito?) e membro del Comitato dei Trecento. Un ruolo non secondario, dunque, quello di Juncker, nell’edificazione di un governo mondiale, di cui l’unificazione transatlantica sarebbe stata il prototipo. Basterebbe considerare questo suo ruolo di prestigio, forse, per dubitare che potesse realmente ignorare l’attività dei suoi Servizi, nonostante questi ne abbia rimpallato la responsabilità alla versione lussemburghese del COPASIR.

    A proposito di COPASIR, in Italia il presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi, Giorgio Stucchi, ha dichiarato a L’Espresso di non essere minimamente preoccupato per il Datagate: “in Italia non esiste nessun PRISM”, affermava il 2 luglio al settimanale. Eppure la stampa straniera non sembra d’accordo: secondo Der Spiegel, sarebbero dai 2 ai 7 milioni i dati italiani tracciati dalla NSA. Mentre il Guardian rende noto che i servizi segreti italiani non solo fornirebbero dati di ogni tipo all’Agenzia USA per la sicurezza, ma che addirittura le comunicazioni di intelligence (COMINT), il traffico grezzo ed il materiale tecnico acquisito e prodotto verrebbero forniti a Washington “di continuo e senza richiesta”. Come se i Servizi italiani fossero solo un distaccamento dell’intelligence USA, insomma. A permettere questo il decreto per la tutela della sicurezza informatica nazionale, varato dal governo Monti il 23 gennaio (mentre infiammava la campagna elettorale). Lo scopo del provvedimento era ufficialmente di dotare l’Italia “della prima definizione di un’architettura di sicurezza cibernetica nazionale e di protezione delle infrastrutture critiche”, attraverso:

    “un sistema organico, all’interno del quale, sotto la guida del presidente del Consiglio, le varie istanze competenti possono esercitare in sinergia le loro competenze”.

    La dicitura sotto la guida del presidente del Consiglio difficilmente può permettere a Monti di ritenersi escluso dalla responsabilità, come ha fatto Juncker. In particolare è significativa la somiglianza del decreto Monti con l’ordine esecutivo sulla sicurezza cibernetica voluto da Barack Obama, il cui scopo è proprio di “difendere le infrastrutture critiche nazionali”, tra cui quelle cibernetiche. In nome della lotta al terrorismo, il governo USA avoca a sé il diritto al monopolio della rete, arrivando ad includere nella definizione di terrorismo anche la violazione del copyright. In Italia, il decreto voluto dal governo tecnico predisponeva tre livelli operativi:

    “uno politico per l’elaborazione degli indirizzi strategici, affidati al Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica; uno di supporto operativo e amministrativo e a carattere permanente, il Nucleo per la sicurezza cibernetica presieduto dal Consigliere militare (del premier); uno di gestione di crisi, affidato al tavolo interministeriale di crisi cibernetica”.

    A vararlo, un governo che non godeva di legittimazione elettorale e che sopravviveva nonostante le dimissioni del suo premier, in barba alla prassi che prevederebbe un voto di sfiducia e il varo di un esecutivo a termine in vista delle elezioni. Un’ipotesi che nel dicembre 2012, quando il Pdl decise di abbandonare la maggioranza, non fu presa in considerazione da Napolitano, che non sembra aver obiettato alle decisioni prese dall’allora premier dimissionario, sebbene i suoi compiti fossero solo di natura amministrativa. A prendersela invece con il provvedimento del governo Monti-Napolitano è oggi uno che di privacy dovrebbe saperne qualcosa, ossia l’ex garante Stefano Rodotà. Intervistato da L’Espresso, Rodotà denuncia il carattere illegale del decreto, che permetterebbe accordi tra i servizi segreti e le aziende telefoniche per la fornitura dei dati. Il provvedimento infatti:

    “sembra non sia stato sottoposto al parere obbligatorio ma non vincolante del Garante e quindi potrebbe essere impugnato. Il parere è un modo per rendere almeno visibile la questione all’opinione pubblica e al Parlamento. Colpisce che per nessuna delle forze politiche che hanno sostenuto il governo Monti sia stata sfiorata dalla gravità e dall’enormità del decreto”.

    Tra queste bisognerebbe però includere anche quelle di minoranza, giacché la Lega Nord, di cui il presidente del COPASIR è esponente, non sembra avere avuto né avere nulla da obiettare. Né ha mosso obiezioni, nel 2011, alla ratifica dell’accordo SWIFT da parte del suo ministro (e oggi leader) Roberto Maroni: un’intesa transatlantica che prevede la possibilità per Washington di accedere ai dati di tutti i correntisti europei, in nome della lotta al terrorismo (senza però riservare all’UE la medesima possibilità, proprio come si fa con le colonie). Alla richiesta su come contrastare la deriva della privacy, Rodotà propone come primo passo una strategia politica:

    “l’Europa Unita sta permettendo al governo Usa e alle sue multinazionali di violare i principi che ancora proteggono i cittadini europei. È il frutto di una sudditanza nei confronti degli Usa: culturale, oltre che politica ed economica. Eppure, siamo la regione del mondo che è giunta ad affermare le maggiori garanzie per i dati personali, nella Carta fondamentale dei diritti per esempio”.

    Un’Europa opposta a quella del Transatlantic Trade and Investment Partnership, quindi, e in cui i governi si adoperino per la sicurezza dei loro cittadini utilizzando “solo misure compatibili con i caratteri democratici di un sistema”. Come a dire che la democrazia, nel senso di “governo del popolo” (ma è davvero questo il suo reale significato?), è ancora un punto di arrivo e non di partenza. Nel frattempo, il Vecchio continente dovrebbe risolvere un problema tecnico, cioè non usare più gli hubs, cioè i centri di smistamento dati, situati negli Stati Uniti. Questi raccolgono infatti dati e metadati che provengono dal 99% del traffico informatico e telefonico mondiale, attraverso i cavi in fibra ottica sottomarini.


    Mappa parziale della rete di cavi che connette il Nord America con il resto del mondo

    In Europa, si tratta di una media di 68.3 terabits al secondo, che finiscono quasi direttamente alla NSA. A rivelarlo è il Washington Post , che avrebbe ricevuto da Edward Snowden delle slides illustrative dell’Agenzia per la sicurezza statunitense. Questo programma di sorveglianza pressoché globale verrebbe attuato attraverso specifici accordi tra la NSA e le aziende che forniscono l’accesso alla rete, legali negli USA (secondo l’amministrazione Obama) in virtù del Patriot Act e del Foreign Intelligence Surveillance Act (e in Italia in virtù del già citato decreto Monti). Gli accordi prevederebbero la presenza di “cellule aziendali interne” con il nulla osta di Washington, con il compito specifico di monitorare i cavi in fibra ottica, e di gruppi legali specializzati per garantire il rispetto dell’intesa e l’effettivo invio dei dati. Uno di questi era il Team Telecom, che in base al Contratto per la sicurezza di rete firmato nel 2003 con l’asiatica Global Crossing Limited (poi assorbita dalla 3Level), aveva il compito di consegnare i dati negli USA entro trenta minuti dall’avvenuta richiesta (!). In Italia, secondo il Guardian, tale richiesta non necessiterebbe nemmeno di essere fatta: in base a quanto previsto dal governo Monti, l’invio è immediato.



    Come emanciparsi allora da questo sistema di controllo? Attendere che il lupo cattivo diventi vegetariano? No, i paesi BRICS (acronimo che indica Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) hanno deciso di realizzare una propria linea diretta di telecomunicazioni, con una rete di 34 mila chilometri di cavi sottomarini. Un progetto che indica la volontà politica di emancipazione dall’Occidente e dagli USA e di implementare la condivisione di tecnologie, scambi commerciali, transazioni finanziarie. Conoscere in anticipo le mosse del proprio nemico è un privilegio di cui Washington quindi non disporrà più. Il progetto, denominato BRICS cable , sarà operativo entro il 2014. Ancora pochi mesi, quindi, e il nuovo secolo americano potrà dirsi concluso senza mai essere davvero iniziato. E l’Europa che farà?

    Jacopo Castellini - 11 luglio 2013
    www.nexusedizioni.it/blog/2013/07/11/il-nuovo-secolo-americano-e-finito-prima-ancora-di-i...

    [Modificato da wheaton80 13/07/2013 05:47]
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    00 10/09/2013 20:45
    Perché questa guerra? Siria, Egitto, Al Queda e la frustrazione americana

    Ma perché gli USA entrano nell’ennesima guerra sulla base di evidenti pretesti, come in Vietnam, Iraq, Yugoslavia, senza nemmeno attendere la fine dell’inchiesta degli ispettori dell’ONU sui presunti attacchi chimici, e con un’opinione pubblica interna assolutamente contraria (solo il 9% dei cittadini USA è favorevole, mentre il 60% è contrario, come da attendibile sondaggio Gallup)? Come mai Obama sfida la comune intelligenza quando persino buona parte degli ossequiosi giornalisti occidentali si chiede come sia possibile che il governo Siriano abbia deciso di lanciare missili contenenti gas nervini sotto gli occhi degli osservatori internazionali appena giunti a Damasco proprio per indagare sull’uso di armi chimiche (che secondo molte fonti, e ragionando sul “cui prodest”, sarebbero state invece lanciate proprio dai cosiddetti “ribelli”)?

    In realtà, la decisione dell’attacco militare in Siria nasce da un senso di frustrazione e dalla necessità di riprendere in mano una situazione che sembra portare alla frantumazione del progetto egemonico USA nel Vicino Oriente (una tesi che ha molti punti di contatto con questa, è stata sostenuta anche in un intelligente articolo di Sergio Cararo pubblicata da Contropiano). Ed infatti si deve ricordare innanzitutto che finora in Siria il governo Assad, dato ripetutamente per isolato e spacciato già due anni e mezzo fa, ha resistito all’offensiva di Jahadisti e mercenari finanziati, armati e manovrati dall’esterno ed è addirittura passato alla controffensiva. L’esercito siriano è rimasto compatto e la gran parte della popolazione, e persino molti ex oppositori liberali o democratici, spaventati dall’ondata integralista e terrorista, si sono stretti intorno al governo.

    Uno degli episodi chiave è la cacciata dei Fratelli Musulmani in Egitto, con cui gli USA avevano sottoscritto un patto strategico. Come hanno rivelato autorevoli giornali americani, come il “Whashington Post”, febbrili trattative tra alti funzionari USA, governo egiziano, Fratelli Mussulmani e inviati del Qatar si sono susseguiti nei giorni precedenti l’intervento dell’esercito per trovare un compromesso e salvare la posizione dei FM. Ma poi l’esercito è intervenuto per deporre il presidente Morsi non tenendo conto delle indicazioni USA.

    Giorni fa a Roma è stato presentato un libro della giornalista dell’Ansa Luciana Borsatti (“Oltre Tahrir”) che ha svolto un’inchiesta in Egitto nei giorni immediatamente precedenti le grandi manifestazioni contro il governo dei Fratelli Musulmani ed il conseguente intervento dell’esercito Dal libro risulta che la stragrande maggioranza degli Egiziani condannava l’azione politica dei Fratelli Mussulmani ed era a favore di un intervento dell’Esercito. L’azione dell’esercito, massima istituzione egiziana, in cui permangono istanze nasseriane-nazionaliste, è stata mal compresa in occidente anche da molti gruppetti di sinistra. Certamente essa è avvenuta non con il consenso, ma contro il parere degli USA. Ora per l’Egitto si apre una fase incerta, che però secondo il leader della sinistra nasseriana Sebbahi e secondo il segretario del Partito Comunista Egiziano, potrebbe riservare sviluppi positivi.

    Per capire bene questa situazione e comprendere bene le alleanze bisogna risalire ai tempi della prima guerra in Afghanistan, quando gli USA si allearono con Al Queda, Bin Laden ed i più estremisti integralisti islamici (compresi i Talebani) per cacciare Comunisti e Sovietici e controllare l’Afghanistan. Questa alleanza non è mai venuta meno, salvo incidenti di percorso locali. I Jahadisti sono stati utilizzati in Bosnia, in Libia, poi in Siria, ogni volta che serviva. La “lotta contro il terrorismo” è stata una specie di teatrino, di specchietto per le allodole, per giustificare leggi eccezionali, programmare interventi armati e spaventare i benpensanti. Anche il famoso episodio dell’11 settembre 2001 (che ufficialmente sarebbe stato programmato da una ventina di integralisti per di più Sauditi, tutti ex agenti CIA) presenta molti aspetti oscuri su cui non è stata detta tutta la verità (quasi il 40% degli Statunitensi ha espresso dubbi in proposito).

    Quali sono gli obiettivi immediati dell’imperialismo USA oggi (e dei loro alleati, Francia e Gran Bretagna, paesi entrambi dal vergognoso passato colonialista e neo-colonialista)? Quali sono gli obiettivi del loro principale alleato, Israele, che attraverso le “lobbies” sioniste locali manifesta la sua influenza sia sul governo USA che su quelli di Francia e Gran Bretagna? Vediamo che l’Afghanistan è un paese distrutto dove infuria la guerra. L’Iraq è un paese a pezzi, dove la zona kurda se ne va per i fatti suoi e le zone miste sunnite-sciite sono impegnate in una guerra civile strisciante che causa 50-60 morti al giorno. In Libia bande tribali e confessionali si disputano il territorio con continui scontri ed attentati. Anche le bombe esplose in Libano fanno parte di una strategia della tensione, atta a riaccendere la guerra civile in quel paese dove il movimento Hezbollah è alleato della Siria. Anche la Siria, in caso di vittoria dei Jahadisti sprofonderebbe nel caos più completo con la formazione di mini-stati in lotta tra loro.

    Per concludere, il vero obiettivo immediato dell’imperialismo e dei vecchi e nuovi colonialisti nel Vicino Oriente ed Africa Settentrionale è il caos. Tutti quei regimi che, sia pure autoritari, assicuravano comunque la laicità e la sovranità dello stato ed un certo sviluppo economico e civile basato sulle risorse locali nazionalizzate (come l’Iraq e la Siria baathisti, il regime di Gheddafi, ecc.) nonché la resistenza palestinese che contesta Israele, vanno spazzati via perché costituiscono un ostacolo al dominio occidentale ed a quello sionista di Israele. I fatti della Siria e dell’Egitto che vanno controcorrente, e l’azione di sostegno alla Siria da parte di Iran, Hezbollah e Russia, fanno perdere la testa all’imperialismo che mostra il suo volto più feroce e mostruoso. Speriamo che anche la sonnolenta ed ignorante opinione pubblica italiana (ed occidentale) prenda coscienza di questi problemi che hanno ricadute finali su tutti, e trovi il coraggio di indignarsi.

    di Vincenzo Brandi
    10 settembre, 2013
    www.sibialiria.org/wordpress/?p=1934
    [Modificato da wheaton80 10/09/2013 20:45]
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    wheaton80
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    00 10/09/2013 22:17
    11 Settembre Shock. La metà degli americani crede che il governo U.S.A. menta
    Alla vigilia del 12° anniversario dell’11 Settembre, quasi la metà del popolo americano sospetta che il loro governo stia mentendo su quanto accaduto quel giorno



    Un recente sondaggio da YouGov, sponsorizzato da ReThink911.org ha rilevato che solo il 40% degli americani è pienamente soddisfatto della versione ufficiale dell’11 Settembre, mentre il 48% o ha dei dubbi sulla versione ufficiale o non ci credo affatto.

    Incredibilmente, solo il 23 % degli americani crede alla storia del governo riguardo l’edificio 7 del World Trade Center, un grattacielo di 47 piani che implose per nessun motivo apparente nel pomeriggio dell’11 Settembre (la cosa veramente scioccante è che quasi un americano su quattro crede realmente all’affermazione del governo che il WTC -7 implose in 6 secondi e mezzo a causa di incendi negli uffici).

    I dati del sondaggio mostrano che non vi è ancora consenso tra il popolo americano su ciò che è realmente accaduto l’11 Settembre, nonostante il governo ed i media mainstream facciano sforzi a tutto campo per rafforzare la versione ufficiale e per nascondere l’intera questione dell’edificio 7. L’anniversario dell’11 Settembre di questo mercoledì sarà caratterizzato da importanti eventi a New York e Washington DC, sponsorizzati da gruppi che chiedono agli americani di ripensare all’11 Settembre.

    A Washington DC, la coalizione United in Courage guiderà la marcia Million American contro la paura (Million American March Against Fear: mamaf.us/), a partire da mezzogiorno nel National Mall tra la dodicesima e la quattordicesima strada. La marcia Million American Against Fear commemorerà tutte le vittime dell’11 Settembre, e chiederà la fine della ”politica della paura”, scatenata dall’11 Settembre in poi, che ha fatto a pezzi la Costituzione, ha iniziato guerre illegali di aggressione e ha causato la bancarotta della nazione. Il Dr. Cornel West, considerato da molti come leader intellettuale pubblico americano, è il relatore principale.

    A New York, Richard Gage dell’ AIA degli Architetti e Ingegneri per la Verità sull’11/9 (Architects and Engineers for 9/11 Truth: www.ae911truth.org/) guiderà un tour di tutta la giornata che si concluderà alle 05:20 in una manifestazione sotto l’enorme cartellone “Ripensare all’11/9 a Times Square” (l’ora del raduno è alle 5:20 pm per commemorare l’implosione del WTC – 7).

    rethink911.org/news/rethink911-events-in-new-york-on-september-...

    Anche a Washington DC, durante il fine settimana dopo l’11 Settembre, ci sarà la conferenza sull’9/11 (DC 9/11 Conference) il cui motto è “esporre la verità”; anche se i biglietti sono esauriti in anticipo, la conferenza sarà trasmessa in diretta – basta andare al link USTREAM all’indirizzo: dc911conference.org/.

    I diffusi dubbi dei cittadini sull’11 Settembre stanno alimentando scetticismo sull’opportunità di attaccare la Siria. Dodici anni dopo gli eventi dell’11 Settembre 2001, una forte maggioranza di americani pensa che i loro leader si stiano distendendo circa l’opportunità di attaccare la Siria e molti – tra cui tali figure autorevoli come Pat Buchanan, Ron Paul, Dennis Kucinich e Lawrence Wilkerson – definiscono l’“incidente delle armi chimiche” come una probabile falsa bandiera. Oggi, dieci anni dopo che gli Stati Uniti hanno attaccato l’Iraq, la stragrande maggioranza riconosce che la guerra in Iraq è stata basata su menzogne. Il risultato: se l’11 Settembre ha avuto successo per un po’ come detonatore per l’ipnosi di massa, mettendo gli americani in trance e condizionandoli ad accettare le evidenti menzogne dei loro leader per andare in guerra, quella trance è giunta al termine.

    Kevin Barrett
    10 settembre, 2013
    Fonte: www.veteranstoday.com/2013/09/09/911poll/

    ununiverso.altervista.org/blog/11-settembre-shock-la-meta-degli-americani-crede-che-il-governo-u-s-...

    [Modificato da wheaton80 10/09/2013 22:18]
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    00 17/09/2013 00:17
    La lobby (bancaria) perde, il mercato ringrazia


    Larry Summers

    Qualcosa sta succedendo in America; qualcosa, stavolta, di positivo. La lobby che voleva la guerra in Siria è stata costretta a rinunciare all’attacco, per l’opposizione di Putin ma anche perché era politicamente imbarazzante, considerato che oltre il 65% degli americani era contrario. Ora uno degli uomini più potenti d’America, il rappresentante più obliquo della lobby finanziaria, Larry Summers (nella foto) è stato costretto a rinunciare alla nomina a governatore della Federal Reserve, nomina che sembrava scontata. Per una volta le ragioni qualificate dell’opinione pubblica hanno prevalso. Summers ha un curriculum impressionante – è stato ministro del Tesoro, presidente di Harvard, superconsigliere di Obama – ma molte ombre nel suo passato. E’ uno dei massimi esponenti di quell’élite, così ben descritta da Janine Wedel, che entra ed esce in continuazione dal settore bancario privato allo Stato, perseguendo innanzitutto interessi privati e/o di casta.

    Un’élite a cui appartengono anche personaggi del calibro di Rubin e Geithner. Furono Summers e Rubin ad abolire alla fine degli Novanta il Glass Steagle Act, la legge che separava le banche commerciali da quelle private e ad aprire la strada alla balorda deregulation che ha portato al grande crash del 2008. Sono stati Summers e Geithner poi a pilotare l’Amministrazione Obama, affinché le banche responsabili della crisi dei subprime fossero dapprima salvate e poi messe nelle condizioni di beneficiare degli stessi privilegi del passato. Fu Summers, all’inizio degli Anni Novanta, a proteggere gli artefici di uno dei più grandi scandali degli ultimi 30 anni, quello degli aiuti pubblici americani stanziati alla Russia per incentivare le “privatizzazioni” dopo il crollo dell’Urss, costato all’Università Harvard un’imbarazzante condanna in Tribunale, corredata dal pagamento di una multa di oltre 20 milioni di dollari.

    Nel frattempo Summers è stato consulente di Citigroup, di alcuni Hedge Funds e conferenziere, lautamente retribuito, di JPMorgan Chase, Merrill Lynch, Goldman Sachs. Insomma Summers era un intoccabile, destinato a vette sempre più alte. Ma per una volta, ed è un miracolo, uno del Suo Rango, non ce l’ha fatta. E’ un’ottima notizia per la democrazia e per la credibilità dei mercati; è un segnale di speranza, quanto mai benvenuto, per l’America.

    Marcello Foa
    16.09.2013
    blog.ilgiornale.it/foa/2013/09/16/la-lobby-bancaria-perde-il-mercato-ri...
    [Modificato da wheaton80 17/09/2013 00:19]
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    00 06/10/2013 23:44
    11/9, ora l’America sa che il governo le ha mentito

    Hanno davvero assassinato tremila innocenti per poi avere l’alibi per invadere il mondo? I retroscena sull’11 Settembre, ancora giudicati “puro delirio cospirazionista” dal mainstream, stanno facendo passi da gigante: di fronte all’aggressione della Siria, l’ex deputato Dennis Kucinich ha detto che gli Stati Uniti «diventeranno ufficialmente l’aeronautica militare di Al-Qaeda», ma l’America ne ha avuto abbastanza: nove americani su dieci erano contrari all’invasione. E a proposito dell’11 Settembre, un incredibile 84% delle persone oggi dice che il governo sta mentendo. «Disponiamo di precedenti documentati storicamente che dimostrano come il governo sia pronto a commettere i peggiori crimini contro la propria stessa popolazione». Grazie a “Consensus 9/11”, il board di tecnici indipendenti che ha smontato la verità ufficiale, emerge in tutta la sua minacciosa potenza la tesi peggiore, quella della strategia della tensione: senza esplosivo, le Torri Gemelle non sarebbero mai crollate. Lo dicono ex funzionari dell’intelligence, ingegneri, vigili del fuoco. Sconcertante, per dovizia di particolari, il reportage trasmesso l’8 settembre 2013 da “Russia Today”, il network televisivo “all news” di Mosca, in una trasmissione in lingua inglese molto seguita negli Usa, trascritta testualmente da “Global Research”, il centro studi canadese di geopolitica coordinato dal professor Michel Chossudovsky.

    «Alti funzionari – spiega il conduttore di “Rt”, Daniel Bushell – dicono che la Casa Bianca stia dietro il terrorismo contro la stessa popolazione americana», esibendo nuove prove sull’11 Settembre. «Per decenni, atti di terrorismo di cui si è attribuita la responsabilità ad “estremisti” sono stati in realtà pianificati e finanziati dalla Casa Bianca». Secondo l’ex capo della Cia, Bill Colby, l’organizzazione denominata Gladio – tristemente nota in Italia – ha rappresentato «un’operazione di primaria importanza». Nel corso di una testimonianza sotto giuramento, uno dei cospiratori ha confessato: «Tu devi attaccare i civili, la gente, le donne, i bambini, lontano da qualunque gioco politico, in modo che le autorità possano dichiarare uno stato di emergenza». Un affare «più grosso del Watergate», l’ha definito Dennis Saccher, dell’Fbi, riferendosi al supporto che gli Usa hanno dato ai leader di Al-Qaeda fino al 2001, mentre “Veterans Today” scrive che la cosa va avanti ancora oggi. L’ex funzionario dissidente dell’Fbi Siebel Edmonds ha svelato la verità sugli «innumerevoli meeting» in cui, regolarmente, rappresentanti del governo Usa e l’allora numero due di Al-Qaeda e oggi suo leader, l’egiziano Ayman Al-Zawahiri, si incontravano fino a poco prima del settembre 2001. Già a luglio di quell’anno, agenti dell’Fbi che si erano messi sulle tracce dei futuri attentatori delle Torri sono stati esclusi dalle indagini e minacciati di procedimento disciplinare. Nell’estate del 2001, dopo che alcuni agenti avevano arrestato Mohammed Khalifa, direttamente collegato al terrorista Ramzi Yousef (uomo incluso nella lista dei terroristi più ricercati dagli Usa), il segretario di Stato in persona intervenne perché Khalifa fosse immediatamente trasferito in Arabia Saudita, dove fu rilasciato.

    «Questo è esattamente quel che è in realtà Al-Qaeda: il burattino delle agenzie di intelligence dell’Occidente», sostiene Kevin Barrett, autore del libro “Questioning the War on Terror”. «Lo abbiamo sentito dire da Mohamed Heikal, che è il più importante commentatore politico del mondo arabo». Subito dopo l’11 Settembre, Heikal ha dichiarato che la storia ufficiale degli attentati alle Torri era semplicemente ridicola. «Heikal ha detto che quando lui era ai più alti livelli di governo in Europa, era la persona che aveva il compito, essenzialmente, di operare come infiltrato e dirigere, virtualmente, la cosiddetta Al-Qaeda. Ci ha detto che Al-Qaeda è piena di gente dell’intelligence saudita, americana, israeliana e naturalmente egiziana, e che come organizzazione terroristica, da sola, non sarebbe in grado di fare praticamente nulla». Secondo Nafeez Ahmed, uno dei più importanti studiosi di terrorismo, è sconcertante l’episodio vissuto in Turchia alla vigilia degli attentati: stupefatti, i poliziotti turchi, che l’uomo appena arrestato come “terrorista islamico” non pregasse mai e gradisse la carne di maiale. «Scusa, pensavamo che fossi un musulmano integralista». E lui, ridendo: «Ma no, è solo una strategia della tensione». Motivazioni che quest’anno hanno portato gli analisti indipendenti e i parenti delle vittime a sfidare apertamente il governo Obama e il mainstream, esibendo a Times Square una grande insegna per denunciare il dettaglio più strano della strage di New York: il crollo della terza torre, chiamata Wtc-7, collassata in caduta libera «sgonfiandosi come un pancake» nonostante si trovasse a diversi isolati di distanza dagli edifici colpiti dagli aerei. «Questa è fisica di alta scuola», denuncia l’ingegnere strutturale Roland Angle nel video “ReThink911”. Rincara la dose un collega, Jonathan Smolens: «Un edificio non può collassare in caduta libera con quarantamila tonnellate di strutture di acciaio, e con tutti i suoi sistemi strutturali interni, se non viene fatto esplodere con una demolizione controllata». La versione del governo, ricorda “Rt”, è che il fuoco degli incendi sviluppatisi all’interno degli uffici

    ha fatto in modo che l’acciaio delle 84 colonne si indebolisse e cedesse allo stesso momento. Dunque, chi è stato? «Posso dirvi chi non è stato: di sicuro, non i 19 presunti dirottatori degli aerei», afferma Jon Cole, uno delle migliaia di esperti indipendenti che fanno parte di “Architects and Engineers for 9/11 Truth”. «È impossibile che quell’acciaio possa essere stato fuso dagli incendi degli uffici, o dal carburante degli aerei, o dal collasso stesso. È fisicamente impossibile, non può essere riprodotto in via sperimentale. Sfida le leggi della fisica. Se mettiamo da parte la politica, le nostre credenze e la religione, e ci limitiamo a utilizzare il metodo scientifico, il Wtc-7 è, di base, un classico caso di demolizione controllata in cui un edificio collassa su se stesso in caduta libera, e precipita dritto dritto sulla propria superficie di appoggio. Questa è l’unica spiegazione che possa essere coerente con tutte le prove disponibili: la nano-termite, le microsfere di ferro, le alte temperature rilevate nelle macerie, la caduta libera e l’accelerazione uniforme delle torri, che sono venute giù con velocità costante e uniforme, senza strattoni o scatti neanche quando le parti superiori cedevano su quelle sottostanti».

    Se non ci sono variazioni nella velocità di caduta, continua Cole, la ragione non può che essere questa: «Qualcosa, all’interno, ha fatto esplodere le torri, permettendo di accelerare uniformemente verso il basso: l’unica cosa che ha senso, dal punto di vista scientifico, è che le torri sono state fatte esplodere». Il tecnico ha preso di mira i siti web del “National Geographic” e “Popular Mechanics”, che hanno tentato disperatamente di dimostrare come 80 chili di nano-termite militare non avrebbero potuto spezzare le colonne d’acciaio della struttura delle torri. Jon Cole lo ha fatto, usandone appena mezzo chilo. La nota ricercatrice Elizabeth Woodworth, scesa in campo con il gruppo “Consensus 9/11”, conferma che il loro metodo è quello di utilizzare le migliori pratiche della comunità scientifica, e sui risultati non ha dubbi: il governo ha mentito, sempre “coperto” dalla pervicace reticenza dei media. «Se le persone sapessero di queste ricerche, e le conoscessero, le troverebbero convincenti. Non s’è mai visto nessuno che abbia esaminato queste prove e che non abbia condiviso le conclusioni dei nostri studi, senza più cambiare idea».

    Quantomeno, “Consensus 9/11” è riuscito a far modificare la versione ufficiale del governo, che oggi ammette che la terza torre, il Wtc-7, sia effettivamente collassata in caduta libera. David Chandler, un abile sviluppatore di modelli, ha dimostrato che i piani superiori sono precipitati senza incontrare alcuna resistenza. «C’è un solo modo in cui ciò possa accadere, ed è quello di far sì che tutte le 84 colonne portanti siano rotte allo stesso momento esatto», spiega Elizabeth Woodworth. Un altro tecnico, il dottor Graeme Mc Queen, ha potuto avere accesso ai dati del corpo dei vigili del fuoco di New York registrati nei giorni dell’attentato. «Abbiamo quasi diecimila pagine di materiale importantissimo, che raccoglie le dichiarazioni di testimoni oculari, e tra questi – racconta Mc Queen – ho potuto individuare 118 persone che hanno distintamente percepito esplosioni». A parlare sono «vigili del fuoco che hanno dimestichezza con incendi ai piani alti, e che sono abituati a incontrare fumo, esplosioni, caldaie, e tuttavia anche loro usano parole come “bombe”: sono parole che non corrispondono alle cose che ci si aspetterebbe di trovare in un incendio».

    Tra chi pretende uno straccio di verità, dopo 12 anni di versioni ufficiali che rasentano il ridicolo, c’è chi ha perso i propri parenti nella strage di Manhattan. Bob Mc Ilvane, ad esempio, vuole sapere perché l’autopsia del corpo di suo figlio Bobby ha stabilito che le ferite mortali per cui è morto nella Torre Nord non siano affatto coerenti con le fiamme di un incendio, ma con gli esplosivi. Eppure, la conduttrice di un programma popolarissimo come Rachel Maddow lo ha appena deriso, sostenendo che l’uomo non è solo “un cospirazionista”, ma forse anche un infiltrato di Al-Qaeda. «Tutte queste nefande cospirazioni su trame del governo per uccidere, complottare e nascondere l’autentica verità, voglio dire, questa roba sarà ridicola, come è sempre stata, ma è tanto ridicola quanto pericolosa», ha detto la Maddow nel suo show sulla rete “Nbc”. «Mio figlio è morto, ed è morto a causa di un’esplosione: posso provarlo oltre ogni ragionevole dubbio», protesta il padre di Bobby. «Se però volessi dimostrarlo in un’aula di giustizia, queste prove non potrebbero essere accettate», aggiunge Bob Mc Ilvane ai microfoni di “Russia Today”, perché l’establishment non sarebbe in grado di reggere all’imbarazzo. «E qui è il punto in cui abbiamo il nostro problema: quando io dico, “bene, questo è stato un lavoro dall’interno, mio figlio è morto per un lavoro sporco della nostra amministrazione, perché qualcuno ha messo delle bombe e le ha fatte esplodere”». Se il suo primo “nemico” è la Casa Bianca, il secondo è l’anchorwoman Rachel Maddow.

    «Vorrei farla sedere in questa stanza, e farle vedere quello che ho fatto vedere a voi, e poi le direi: “Tu, brutta stronza, adesso dimmi che sono un teorico della cospirazione”. Questo veramente dimostra quanto faccia schifo il nostro sistema dei media. Non voglio definirla una puttana, ma è una puttana dell’informazione. Guadagna più di un milione di dollari, e dice quello che le ordinano di dire». Una giornalista di Philadelphia è stata molto franca col padre di Bobby. Gli ha detto: «Lo sai bene Bob, come reporter, io sono il problema, perché noi perdiamo il posto. Se io porto questa piccola cosa che tu mi hai appena detto al mio caporedattore, lui la cestinerà immediatamente. Quindi ti dico molto chiaramente che io non posso prendere la tua storia e scriverla. I padroni dei media non lo permetterebbero». La stampa non ne parla, perché significherebbe instillare un dubbio nella testa delle persone. Di chi è la colpa di tutto questo? «Il popolo degli Stati Uniti ha le sue responsabilità – dice Bob Mc Ilvane – perché la gente vuole solo credere e sentirsi dire che siamo brava gente, che siamo un paese eccezionale, ed è proprio questo che fa il governo, è molto machiavellico». Il padre di Bobby va oltre, guarda al resto del mondo: «Ora abbiamo la nostra Guerra al Terrore senza fine. Io so che cosa stanno passando queste persone in Iraq, Siria, Libia, Afghanistan, perché tutti loro stanno perdendo i loro bambini. E alla fine, di questo si tratta: tutti stanno perdendo i propri familiari. E’ inferno allo stato puro». Lo conferma Daniele Ganser, autore del libro “Gli eserciti segreti della Nato”. L’accusa: anche se i media continuano a non parlarne, è ormai provato e ufficialmente documentato che decenni di attacchi terroristici contro la popolazione – compresi quelli realizzati da Gladio – sono stati in realtà organizzati dalla Cia, su ordine della Casa Bianca.

    «Grazie ai dati – dice Ganser – la gente comincia a capire che questo è effettivamente avvenuto». Ma c’è ancora un ostacolo psicologico: «E’ molto difficile credere che queste cose stiano ancora accadendo, perché si tratta di cattive notizie». Non è affatto piacevole prendere atto del fatto che «il terrorismo può essere manipolato al fine di prendere il controllo della popolazione, e di guidarla come se fosse un gregge di pecore, letteralmente. E se qualcuno ti dice che sei una pecora, che ti hanno ingannato e manipolato con operazioni terroristiche sotto falsa bandiera, bene, si tratta di cose che nessuno davvero vuole sentirsi dire». Proprio su questo sanno di poter contare, in partenza, gli eventuali organizzazioni di stragi: se la verità è troppo enorme perché sia accettata, è più facile che venga rimossa – è più rassicurante. «Strategia della tensione in realtà significa che tu fai esplodere una bomba, e dici che è stato il tuo nemico a farlo». Purtroppo non sono soltanto analisi storiche, come quelle (anche giudiziarie) sulle tragedie che hanno torturato l’Italia. «Le prove di cui oggi disponiamo – assicura Ganser – ci dicono che questa strategia non è finita, e sta andando avanti ancora oggi».

    06/10/13
    www.libreidee.org/2013/10/119-ora-lamerica-sa-che-il-governo-le-ha-...
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    00 08/10/2013 02:18
    Gli Stati Uniti non fanno più paura

    Mentre l'Assemblea generale del'ONU doveva dibattere della realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, era tutta un'altra questione a preoccupare i diplomatici: gli Stati Uniti sono ancora la superpotenza che sostengono di essere dopo il crollo dell'Unione Sovietica, oppure è giunto il tempo di liberarsi dalla loro tutela?

    Nel 1991, gli Stati Uniti avevano considerato che la fine del loro grande rivale liberava il loro budget militare e permetteva loro di sviluppare la propria prosperità. Il presidente George H. Bush (il padre) aveva cominciato, dopo l'operazione Desert Storm, a ridurre le dimensioni delle sue forze armate. Il suo successore, Bill Clinton, rafforzò questa tendenza. Tuttavia, il Congresso repubblicano, eletto nel 1995, rimise in questione questa scelta e impose un riarmo senza nemici da combattere. I neo-conservatori lanciarono il loro paese all'assalto del mondo per creare il primo impero globale. Fu solo in occasione degli attentati dell'11 settembre 2001 che il presidente George W. Bush (il figlio ) decise di invadere successivamente l'Afghanistan e l'Iraq, la Libia e la Siria, poi la Somalia e il Sudan, e di terminare con l'Iran, prima di volgersi verso la Cina.

    Il bilancio militare degli Stati Uniti ha raggiunto oltre il 40 per cento delle spese militari del mondo. Tuttavia, questa stravaganza ha una fine: la crisi economica ha costretto Washington a fare delle economie. In un anno, il Pentagono ha licenziato un quinto del suo esercito e ha fermato diversi suoi programmi di ricerca. Questo drastico calo è appena all'inizio e ha già disarticolato l'insieme del sistema. È chiaro che gli Stati Uniti, nonostante la loro potenza superiore a quella dei venti più grandi paesi del pianeta, Russia e Cina incluse, non sono più in grado di dedicarsi attualmente a delle vaste guerre convenzionali. Washington ha così rinunciato ad attaccare la Siria non appena la flotta russa è stata dispiegata lungo la costa mediterranea. Per lanciare i suoi missili Tomahawk, il Pentagono doveva a quel punto farli partire dal Mar Rosso sorvolando l'Arabia Saudita e la Giordania. La Siria, ei suoi alleati non statali, avrebbero risposto con una guerra regionale, facendo precipitare gli Stati Uniti in un conflitto troppo grande per loro.

    In un articolo pubblicato dal New York Times, il presidente Putin ha aperto il fuoco. Ha sottolineato che «l'eccezionalismo americano» è un insulto all'uguaglianza degli esseri umani e può portare solo al disastro. Sul podio delle Nazioni Unite, il presidente Obama gli ha risposto che nessun'altra nazione, nemmeno la Russia, avrebbe desiderato portare sulle proprie spalle il fardello degli Stati Uniti. E che se facevano la polizia del mondo, era proprio per garantire l'uguaglianza degli esseri umani. Questo intervento non ha nulla di rassicurante: questo perché gli Stati Uniti si dichiarano superiori al resto del mondo e non considerano l'uguaglianza degli esseri umani se non come quella di chi gli è assoggettato.

    Ma l'incantesimo si è rotto. La presidente del Brasile, Dilma Rousseff, si è fatta applaudire nel reclamare delle scuse da Washington per il suo spionaggio universale, mentre il presidente della Confederazione elvetica ha denunciato la politica della forza USA. Il presidente della Bolivia, Evo Morales, evocava la traduzione del suo omologo USA davanti alla Giustizia internazionale per crimini contro l'umanità, mentre il presidente serbo, Tomislav Nikolić, ha denunciato la farsa dei tribunali internazionali che condannano solo i nemici dell'Impero, ecc. Si è passati così da una critica proveniente da alcuni Stati antimperialisti a una rivolta generalizzata che comprendeva gli alleati di Washington. Mai, l'autorità dei padroni del mondo era stata così pubblicamente contestata, segno che dopo la loro ritirata siriana, non fanno più paura.

    Thierry Meyssan, 29 settembre 2013
    «Sotto i nostri occhi», cronaca di politica internazionale n°52
    Traduzione a cura di Matzu Yagi
    megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=87390&typeb=0&Gli-Stati-Uniti-non-fanno-p...


    [Modificato da wheaton80 08/10/2013 02:18]
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    wheaton80
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    00 10/10/2013 01:12
    Russia, Siria e il declino dell’egemonia americana

    Prima le buone notizie. L’egemonia Americana è al termine. Il bullo prepotente è stato soggiogato. Abbiamo raggiunto il Capo di Buona Speranza, simbolicamente parlando, nel Settembre del 2013. Con la crisi in Siria, il mondo ha preso una svolta storica nell’era moderna. E’ stata un’azione rapida, rischiosa tanto quanto la crisi dei missili a Cuba nel 1962. Le probabilità di un conflitto mondiale erano alte, con America e Eurasia che tentavano di avere la meglio nel Mediterraneo orientale. Ci vorrà del tempo prima di poterci rendere davvero conto di quello che abbiamo passato: è normale, quando avvengono fatti così importanti.

    I disordini negli Stati Uniti, dall’inseguimento della macchina impazzita nel D.C. fino alla chiusura del governo federale e alla probabile e conseguente crisi d’indebitamento, sono le dirette conseguenze di quell’evento. Ricordate il Muro di Berlino? Quando è crollato, io ero a Mosca, scrivevo per Haaretz. Andai ad una conferenza stampa con dei membri del Politburo al President Hotel, e chiesi loro se fossero d’accordo con me sul fatto che eravamo vicini alla fine dell’URSS e dei sistemi socialisti. Mi risero in faccia. Fu un momento piuttosto imbarazzante. “Oh no” dissero. “Dopo la caduta del Muro il socialismo rifiorirà”. Due anni dopo, crolla l’URSS. Ora la nostra memoria ha compattato quegli anni in una breve sequenza temporale, ma in realtà ci volle del tempo.

    L’evento più drammatico del Settembre 2013 è stato quel mezzogiorno di fuoco davanti alla costa Levantina, con cinque missili Tomahawk Americani puntati dritti verso Damasco – con una flotta Russa di undici navi guidate dalla portaerei-killer Moskva supportata da navi da guerra cinesi. Pare che due missili sono davvero stati lanciati verso la costa siriana, ma entrambi hanno mancato il bersaglio. Un giornale libanese che citava fonti diplomatiche ha scritto che i missili sono stati lanciati da una base aerea NATO in Spagna e che sono stati abbattuti da un sistema di difesa mare-terra a bordo di una nave Russa. Secondo un’altra spiegazione proposta dall’Asia Times, i Russi hanno usato i loro semplici ma efficaci disturbatori GPS per neutralizzare i costosi Tomahawk, disorientandoli e causandone l’errore balistico. C’e’ poi un’ulteriore versione dei fatti che attribuisce il lancio dei missili agli Israeliani, sia che stessero realmente tentando di scatenare un conflitto, sia che si fossero un attimo distratti mentre guardavano le nuvole, come dicono.

    Quale che ne sia il motivo, dopo questo strano incidente, le attese sparatorie non sono iniziate, Obama ha indietreggiato, rimettendo le pistole nel fodero. All’alba di questo avvenimento c’e’ stato poi l’inatteso voto nel Parlamento Britannico. Questo venerabile organo della monarchia inglese ha declinato l’invito degli U.S.A. a unirsi all’attacco. E’ la prima volta in duecento anni di storia che il Parlamento Britannico rifiuta una seria proposta di prendere parte ad un conflitto armato; normalmente i britannici non resistono alla tentazione. Dopo di questo, il Presidente Obama ha deciso di passare la patata bollente al Congresso. Non aveva nessuna voglia di dare il via all’Armageddon da solo. L’azione si è quindi interrotta. Il Congresso non ha voluto entrare in una guerra senza conseguenze prevedibili. Al G20 di S. Pietroburgo Obama ha poi tentato di intimorire Putin, ma senza alcun successo. Grazie alla proposta Russa di rimuovere le armi chimiche siriane, Obama ha salvato la faccia. Tutta questa disavventura ha inferto un colpo magistrale all’egemonia, alla supremazia e all’eccezionalità degli U.S.A. E’ così finita l’era del Manifest Destiny (n.d.t.: slogan iniziato nella metà dell’800, secondo il quale era nel naturale destino e la naturale missione degli USA espandersi in tutto il Nord America, fino al Messico). Lo abbiamo imparato bene da Hollywood: l’eroe non indietreggia mai, va là fuori e spara. Se ripone le sue pistole nel fodero, non è un eroe: è un vigliacco che ha paura. Dopo, è successo tutto rapidamente. Il Presidente Americano ha avuto un colloquio con il nuovo presidente iraniano, con grande disappunto di Tel Aviv. Il Libero Esercito Siriano ha deciso di parlare con Assad, dopo due anni di duro conflitto con lui, e la loro delegazione è giunta a Damasco, lasciando gli islamisti estremisti a bocca asciutta. L’alleato e sostenitore Qatar sta franando su se stesso. La chiusura del governo federale e la possibile conseguenza dei debiti hanno dato agli Americani una cosa di cui preoccuparsi seriamente. Con la fine dell’egemonia statunitense, i giorni del dollaro come valuta delle riserve mondiali sono contati.

    Se la Terza Guerra Mondiale stava quasi per scoppiare, dobbiamo dire grazie ai banchieri. Hanno troppi debiti, compreso l’insostenibile debito estero degli Stati Uniti. Se quei Tomahawk fossero volati, i banchieri si sarebbero appellati alla causa di forza maggiore e non avrebbero più onorato il debito. Milioni di persone sarebbero morte, ma miliardi e miliardi di dollari si sarebbero salvati nei caveau di JP Morgan and Goldman Sachs. In Settembre scorso il mondo ha sfiorato una gravissima tragedia e l’ha superata, dopo che Obama ha deciso di non darla vinta ai banchieri. Forse il Premio Nobel se lo meritava, dopo tutto.

    Il prossimo futuro è carico di problemi, ma nessuno di questi è fatale. Gli Stati Uniti perderanno i loro diritti di emissione come fonte di reddito. Il dollaro Americano non sarà più la valuta mondiale per le riserve anche se resterà la valuta del Nord America. Altre parti del mondo ricorreranno ai loro euro, ai loro yuan, ai loro bolivar o al dinaro. La spesa militare statunitense tornerà a livelli normali e la conseguente eliminazione di basi e armamenti oltremare consentirà al popolo Americano una transizione quasi indolore. Nessuno vorrà più star dietro all’America; il mondo si sarà stancato di vederli scorrazzare in giro con le armi puntate. Gli Stati Uniti dovranno trovare delle nuove occupazioni per tantissimi banchieri, carcerieri, militari e anche politici. Mentre ero a Mosca durante la crisi, osservavo questi sviluppi attraverso gli occhi dei Russi. Putin e la Russia sono stati a lungo sotto forte pressione.

    * Gli Stati Uniti hanno sostenuto e finanziato l’opposizione liberale e nazionalista Russa; le elezioni nazionali in Russia sono state fatte apparire come una truffa. Il Governo Russo ne è risultato in qualche modo delegittimato.

    * La legge Magnitsky del Congresso Americano ha dato facoltà alle autorità Americane di arrestare ed espropriare i beni di qualsiasi Russo che ritenevano non proprio “giusto”, senza ricorrere alla magistratura. *Alcuni beni demaniali dello Stato Russo sono stati espropriati a Cipro, dove le banche erano nei guai.

    * A Mosca, gli Stati Uniti hanno incoraggiato le Pussy Riot, le manifestazioni dei gay, ecc., allo scopo di promuovere tra i media occidentali e delle oligarchie Russe un’immagine di Putin come un dittatore, nemico della libertà e anti-gay.

    * Il sostegno Russo alla Siria è stato duramente criticato, ridicolizzato e fatto apparire come un brutale atto disumano. Allo stesso tempo, alcuni personaggi di punta dei media occidentali hanno detto che sicuramente la avrebbe rinunciato, prima o poi, alla Siria.

    Come ho scritto in precedenza, la Russia non aveva alcuna intenzione di abbandonare la Siria, per diversi motivi: era un alleato; i Cristiani Ortodossi in Siria avevano fiducia nella Russia; in termini geopolitici, il conflitto si stava avvicinando troppo ai confini Russi; ma la prima ragione era che la Russia era stufa di vedere l’America fare sempre la parte del primo della classe. I Russi hanno ritenuto che una decisione così importante doveva essere presa dalla comunità internazionale, ovvero dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti. Non gradivano per niente il ruolo di arbitri del mondo che avevano assunto gli Stati Uniti. Negli anni ’90, la Russia era molto debole e non poteva oggettivamente obiettare alcunchè; fu dura per lei quando assistette al bombardamento della Yugoslavia e quando le truppe NATO irruppero ad est infrangendo la promessa fatta a Gorbaciov. La tragedia in Libia è stato un altro passo cruciale. Quell’infelice paese è stato bombardato dalla NATO e infine disintegrato. Dal prospero paese africano che era una volta, ora è diventato uno dei più afflitti. La presenza della Russia in Libia era piuttosto limitata, nonostante questo la Russia in quel paese ha visto sfumare diversi suoi investimenti. La Russia si è astenuta dal voto in Libia, poichè quella era la posizione presa dall’allora presidente Dmitry Medvedev, che riteneva preferibile giocare un po’ “a palla” con gli occidentali. Ma per nessun motivo ora Putin avrebbe mai abbandonato la Siria a quello stesso destino.

    La ribellione Russa all’egemonia Americana è iniziata a Giugno quando il volo dell’Aeroflot da Pechino che portava Ed Snowden è atterrato a Mosca. Gli Americani le hanno tentate davvero tutte per riaverlo. Hanno sguinzagliato tutta la gamma dei loro migliori agenti in Russia. Sono state poche le voci, e tra queste poche anche la mia, che hanno chiesto alla Russia di dare a Snowden un giusto rifugio. Ma queste poche e flebili voci hanno prevalso alla fine: Mosca ha concesso asilo a Snowden.

    L’altro passo è stata l’escalation in Siria. Non intendo entrare nei dettagli e nel merito dell’attacco con le armi chimiche. Secondo la Russia, non c’erano e non ci potevano essere motivi per gli Stati Uniti di agire unilateralmente in Siria o in alcun altro paese del mondo. In un certo modo, i Russi hanno rimesso la Legge delle Nazioni al suo giusto posto. Il mondo ora è diventato un posto migliore e più sicuro. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il sostegno della Cina. Il gigante Asiatico vede la Russia come sua “sorella maggiore” e si affida alla sua capacità di trattare con gli “occhi a palla” (occidentali). I Cinesi, nel loro tipico modo silenzioso e senza pregiudizi, hanno dato ascolto a Putin. Hanno trasferito Snowden a Mosca. Hanno posto il loro veto ad ogni provvedimento anti-siriano nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti, e hanno inviato le loro corazzate nel Mediterraneo. Ecco perché Putin è rimasto saldo nelle sue posizioni. Agiva non solo per sé ma per tutta l’Eurasia.

    Nella vicenda siriana ci sono stati diversi momenti di forti emozioni e di fiato sospeso, tanti da riempire dei volumi. Uno di questi è stato quel primo tentativo di mettere a tacere Putin nel G8 in Irlanda. Putin stava per incontrare tutto il fronte occidentale unito e schierato, ma è riuscito tuttavia a portarsene alcuni dalla sua parte e gettando i semi del dubbio nell’animo di altri, ricordandogli quel comandante dei ribelli siriano, sanguinario e cannibale

    dcclothesline.com/2013/05/18/muslim-cannibalism-syrian-rebel-cuts-out-eats-enemy...

    Poi è giunta la proposta di rimozione di tutte le armi chimiche in Siria. La risoluzione del CSNU (Consiglio di Sicurezza dell’ONU) ha bloccato la possibilità di attaccare la Siria facendo appello al Capitolo 7.

    Miracolosamente, in questo tiro alla fune bellico, i Russi hanno avuto la meglio. Le alternative sarebbero state tremende: la Siria sarebbe stata distrutta come la Libia; sarebbe stato poi inevitabile un attacco Israeliano/Americano; i Cristiani d’Oriente avrebbero perso la loro culla; l’Europa sarebbe stata invasa di milioni di rifugiati; la Russia sarebbe apparsa come potenza inutile, tante parole e niente fatti, irrilevante come la Bolivia, un paesi in cui l’aereo del Presidente può essere fatto atterrare ed essere perquisito ogni volta che si vuole. Incapace di difendere i propri alleati, incapace di mantenere le sue posizioni, la Russia si sarebbe ritrovata con una “vittoria morale”, un eufemismo per sconfitta. Tutto quello per cui Putin aveva lavorato per tredici anni, sarebbe sfumato. La Russia sarebbe tornata indietro al 1999, quando Clinton fece bombardare Belgrado.

    Il punto più critico dello scontro fu raggiunto nello scambio tra Obama e Putin sull’ “ eccezionalità” . I due non erano i soggetti giusti per quel momento: Putin era infastidito dall’ipocrisia e insincerità che avvertiva in Obama. Uomo partito dal niente per arrivare al top, Putin conserva la sua capacità di parlare apertamente con la gente di qualsiasi estrazione sociale. Il suo modo di parlare a volte può sembrare addirittura brutale. Così ha risposto a un giornalista Francese riguardo al trattamento riservato ai separatisti Ceceni: “Gli estremisti Musulmani (takfiris) sono nemici dei Cristiani, degli atei e anche dei Musulmani stessi, poiché credono che l’Islamismo tradizionale sia un nemico per gli obiettivi che si sono posti. E se volete diventare amici di un islamisti radicale o volete farvi circoncidere, siete miei ospiti a Mosca. Siamo un paese multi-religioso e abbiamo esperti che sanno fare di tutto. E consiglierò loro di effettuare l’intervento alla perfezione, in modo che niente potrà mai più ricrescerci sopra”.

    Un altro esempio della sua candida e scioccante dialettica lo abbiamo avuto a Valdai, quando ha replicato alla giornalista della BBC, Bridget Kendall. Lei domandò:: “Le minacce di un attacco militare statunitense hanno avuto un ruolo determinante nel fatto che la Siria ha accettato di mettere le sue armi sotto controllo?”. E lui ha risposto: “La Siria si è dotata di armi chimiche come alternativa all’arsenale nucleare d’Israele”. Ha fatto appello al disarmo nucleare d’Israele e ha invocato il nome di Mordecai Vanunu come esempio di scienziato israeliano che si oppone alle armi nucleari. (La mia intervista a Vanunu è stata recentemente pubblicata in un importante quotidiano Russo, ricevendo notevole attenzione).

    Putin ha tentato di parlare amichevolmente con Obama. Sappiamo del loro scambio da una registrazione trapelata sulla conversazione confidenziale tra Putin e Netanyahu. Putin ha chiamato l’Americano e gli ha chiesto: “Che pensi della Siria?” E Obama ha risposto: “ Sono preoccupato che il regime di Assad non osservi i diritti umani”. A Putin sarà quasi venuto da vomitare di fronte alla sconcertante ipocrisia di quella risposta. La interpretò come un rifiuto di Obama di parlare con lui “faccia a faccia”.

    Di fronte all’irrigidimento della Siria, Obama ha fatto appello al mondo nel nome dell’eccezionalità Americana. La politica Americana “è proprio ciò che rende gli Stati Uniti eccezionali, ha detto. Putin ha risposto: “E’ estremamente pericoloso incoraggiare la gente a sentirsi “eccezionali”. Siamo tutti diversi, ma quando chiediamo la benedizione dall’alto, non dobbiamo dimenticare che Dio ci ha creati tutti uguali.” Era una precisazione non solo ideologica, ma anche teologica.

    Come ho detto diverse volte e in diverse occasioni, gli Stati Uniti si fondano sulla teologia giudaica dell’Eccezionalità, di essere i Prescelti. E’ il paese del Vecchio Testamento. Questa è la ragione principale dello speciale rapporto che esiste tra gli Stati Uniti ed Israele. L’Europa sta attraversando una fase di apostasia e di rifiuto della figura di Cristo, mentre la Russia è profondamente cristiana. Le sue chiese sono piene, le persone usano benedirsi l’un l’altro nel tempo di Natale e di Pasqua, invece di vivere lunghi tempi “ordinari”. Oggi è la Russia il paese del Nuovo Testamento. E alla base della cristianità c’e’ proprio il rifuto dell’eccezionalità e dell’essere i “prescelti”.

    Per questo motivo, mentre gli ebrei statunitensi hanno appoggiato il conflitto, condannato Assad e sollecitato l’intervento Americano. La comunità Ebraica in Russia, benchè numerosa, ricca ed influente, non ha sostenuto i ribelli siriani, ma si è unita allo sforzo di Putin di mantenere la pace in Siria. Idem per la comunità Ebraica in Iran, che ha appoggiato il governo legittimo siriano. Sembra che i paesi guidati da una chiesa forte e ben radicata sono immuni alle influenze distruttive delle lobby; mentre quelli in cui manca la presenza forte di una chiesa – come gli Stati Uniti e/o la Francia – cedono facilmente a queste influenze e adottano l’interventismo illegale come fosse la normalità. Mentre assistiamo al declino dell’egemonia statunitense, davanti a noi abbiamo un futuro incerto. La forza militare statunitense potrebbe ancora creare disastri: la bestia ferita è anche la più pericolosa. Gli Americani potrebbero ascoltare il Senatore Ron Paul che sollecita l’abbandono delle basi militari all’estero e il taglio alla spesa bellica. Le norme di diritto internazionale e di sovranità di tutti gli stati vanno osservate. Il mondo potrà ancora amare l’America quando questa smetterà di fare il bullo spaccone. Non sarà facile, ma abbiamo già trattato per raggiungere il Capo e con esso la Buona Speranza.

    Israel Shamir
    è uno scrittore ebreo Russo molto acclamato e rispettato. Ha scritto e tradotto in Russo molti lavori di Joyce e di Omero. Vive a Jaffa, è un Cristiano e un critico convinto di Israele e del Sionismo

    Fonte: www.counterpunch.org
    Link: www.counterpunch.org/2013/10/08/russia-syria-and-the-decline-of-american-h...
    9.10.2013

    Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63
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    00 06/11/2013 02:27
    La casa dello Zio Sam va a pezzi

    Il processo d’indebolimento della posizione mondiale degli USA è avviato. La casa che lo Zio Sam aveva costruito si va disintegrando crepa dopo crepa. La sfiducia nel Grande Fratello statunitense da parte dell’Unione europea è iniziata con le rivelazioni di Bradley Manning, rafforzando le fughe di WikiLeaks. Il colpo successivo fu sferrato da Edward Snowden. Di conseguenza, la Germania ha posto fine al suo accordo sulle attività d’intelligence che aveva stipulato con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna durante la Guerra Fredda. Angela Merkel, il cui telefono fu sorvegliato dalla NSA fin dal 2002, ha dichiarato che tali pratiche nei confronti degli alleati sono inaccettabili. Obama si trova in una posizione scomoda, che da presidente di una grande potenza è stato costretto a dichiarare di non sapere nulla del fatto che il telefono della Cancelliera della Repubblica federale della Germania fosse sorvegliato, ma dopo i media tedeschi hanno chiarito definitivamente il problema: l’intercettazione delle conversazioni telefoniche della Merkel furono ordinate dallo stesso Obama. Di conseguenza, l’Europa ha già rifiutato agli Stati Uniti l’accesso al suo database finanziario, chiamato SWIFT, che si trova in Svizzera e contiene informazioni su miliardi di transazioni in tutto il mondo. I deputati del Parlamento europeo hanno deciso questo passo alla fine di ottobre. 280 deputati del Parlamento europeo hanno votato a sostegno della decisione di bloccare l’accesso al database. Inoltre, il Parlamento europeo prevede di vietare alle grandi imprese di fornire informazioni personali dei cittadini dell’Unione europea alle autorità di altri Paesi. I parlamentari hanno elaborato un emendamento alla legge sulle informazioni personali. Secondo questo emendamento, grandi aziende come Google o Yahoo sono costrette a chiedere il permesso delle autorità comunitarie prima di consegnare le informazioni sui propri utenti agli Stati Uniti.

    Il capo del ministero della Giustizia tedesco, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, ha recentemente dichiarato alla radio Deutschlandfunk che: “Se i nostri sospetti sono confermati e la questione arriva all’avvio del procedimento, l’Ufficio della Procura federale inizierà ad esplorare la questione di una possibile interrogazione con Snowden quale testimone”. Secondo il ministro, l’Unione europea dovrebbe sospendere l’accordo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti sul controllo del finanziamento delle attività terroristiche: “Le scuse di Obama non sono sufficienti. A mio avviso, il punto cruciale è se gli statunitensi cambieranno la loro politica di raccolta dei dati senza alcuna limitazione o no”. Ancora un’altra conseguenza delle rivelazioni di Snowden, per gli Stati Uniti, è stata la decisione dei leader dei 28 Stati membri dell’UE di autorizzare la cancelliera tedesca e il presidente francese a discutere il problema delle intercettazioni telefoniche con l’amministrazione di Barack Obama, al fine di giungere ad una comprensione reciproca sui limiti del lecito, riguardo le attività d’intelligence. Questa iniziativa è anche sostenuta dal primo ministro inglese David Cameron, nonostante il “rapporto speciale” che gli inglesi hanno con gli Stati Uniti. Tenuto conto del fatto che le attuali rivelazioni di Snowden potrebbero non essere le ultime, è possibile supporre che la fu armonia nelle relazioni tra Stati Uniti ed Europa sia ancora lontana. Lo spionaggio dei propri alleati da parte degli USA ha danneggiato la partnership transatlantica. Berlino mostra la massima determinazione, a tal proposito, e questo nonostante la forza della lobby filo-statunitense in Germania.

    Nel frattempo, in tutto questo è avviato anche il processo d’indebolimento dell’influenza statunitense in Medio Oriente. L’infruttuoso tentativo di Washington di risolvere la “questione siriana” usando la forza militare, non ha consentito a Barack Obama di aver alcuna influenza degna di nota nell’agenda del G20 a San Pietroburgo. La cosa non si limita solo alla Siria, però. Gli Stati Uniti sono costretti a rivedere alla base la loro politica in Medio Oriente, già iniziando a volgere l’attenzione dalla collaborazione con i regimi dispotici del Golfo Persico allo sviluppo di relazioni con l’Iran. Riyadh ha reagito piuttosto drammaticamente a questa manovra di Washington, minacciando di rivedere i propri rapporti con gli Stati Uniti. Teheran chiaramente non ha fretta di accettare le regole del gioco degli USA. Le crepe appaiono quindi nei rapporti degli USA con i suoi alleati del Medio Oriente, come l’Arabia Saudita e Qatar. Allo stesso tempo, il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan è più vicino. In Kirghizistan, agli statunitensi è stato chiesto di lasciare la base militare di Manas. Inoltre è sempre più difficile per Washington mantenere la propria influenza in America Latina. Se il Brasile riesce a mantenere stabili i suoi tassi di crescita economica, occuperà esattamente la stessa posizione, in America Latina, della Germania in Europa. I legami economici, militari e politici del Brasile e degli altri importanti Paesi dell’America Latina con la Russia e la Cina, sono sempre più forti. E questo non sarà senza conseguenze per la politica estera statunitense e la sua recente crisi budgetaria. Vi è la crescente consapevolezza che l’enorme debito statunitense, come sottolinea il professor Valentin Katasonov, rappresenti una “minaccia per la stabilità dell’economia globale”.

    Nel complesso, i risultati delle politiche estera e nazionale statunitense nel 2013 non sono promettenti, e particolarmente per nulla confortanti per Washington. La casa che lo Zio Sam ha creato è afflitta da gravi crepe in numerose direzioni: vi è il crescente conflitto nelle relazioni degli USA con la maggior parte dei loro alleati, la possibilità di un intervento militare degli Stati Uniti in situazioni di crisi internazionali, senza un mandato delle Nazioni Unite, si attenua, e l’economia degli Stati Uniti, costruita su un dollaro privo di base, viene percepita come una minaccia all’economia globale, lo stato d’animo contrariato s’intensifica negli stessi Stati Uniti, e vi sono grandi enclavi che appaiono in numerose grandi città, in cui il potere legittimo, in sostanza, non appare più valido e aumentano i segnali di uno scisma nella classe dirigente statunitense… Tutti questi punti non indicano che presto saremo testimoni della fine della Pax Americana?

    Jurij Baranchik, Strategic Culture Foundation, 05.11.2013
    Traduzione: Alessandro Lattanzio
    aurorasito.wordpress.com/2013/11/05/la-casa-dello-zio-sam-va-...
    [Modificato da wheaton80 06/11/2013 02:28]
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    00 21/11/2013 23:37
    Iran, Arabia Saudita e il centenario della FED

    Recentemente si è fatto un gran parlare, sui media, riguardo l’apparente riavvicinamento diplomatico fra gli Stati Uniti e l’Iran, e il simultaneo peggioramento delle relazioni fra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. E si fa sempre più menzione della creazione del 1913, del Federal Reserve System statunitense; Dicembre segnerà il suo centesimo anniversario. Secondo la mia opinione, la coincidenza fra gli ultimi eventi in Medio Oriente e l’imminente centenario della Federal Reserve, è molto significativa. Senza esaminare l’intera gamma della cause del nascente disgelo nelle relazioni fra Washington e Tehran, tenterò di spiegare il lato finanziario e monetario di questi eventi. Le relazioni America – Iran dopo la seconda guerra mondiale, erano estremamente strette ed amichevoli. Tuttavia, tutto cambiò. dopo la detronizzazione dello Scià del 1979, che perseguiva una politica filo Americana. Nel corso degli ultimi decenni, le relazioni fra Americani e Iraniani, sono state nel migliore dei casi tese, e spesso apertamente ostili.

    Fino a quando ultimamente, Washington ha tentato di riportare Tehran sotto il suo controllo, utilizzando, fra le altre cose, sanzioni economiche e finanziarie. Nell’ultima decade, le sanzioni sono state introdotte con lo scopo dichiarato di opporsi al programma nucleare iraniano, presumibilmente mirato a creare un’arma nucleare. L’Iran è vissuto in condizioni delle sanzioni economiche americane per molti anni. Di certo, le sanzioni rendono la vita difficile alla Repubblica Islamica, ma questa ha in qualche modo imparato ad adattarsi a queste condizioni. Un aspetto chiave delle sanzioni unilaterali imposte da Washington, consiste nel bloccare le transazioni in dollari americani dell’Iran con gli altri stati; poiché tutte le grandi transazioni non avvengono in contanti, esse passano attraverso il sistema americano.La reazione di Tehran a questa sanzione, è stata di passare ad usare principalmente l’euro nelle transazioni per le esportazioni del petrolio e altri beni.

    In risposta, Washington ha dato un’ulteriore giro di vite, facendo pressione sui suoi alleati in Europa. Per prima cosa, ha richiesto che smettessero di acquistare petrolio iraniano. Secondo, ha richiesto che le banche europee fossero interdette dal gestire transazioni in euro con l’Iran. Gli alleati europei di Washington hanno ceduto in misura significativa alle richieste degli Stati Uniti. La reazione dell’Iran è stata di orientare le sue esportazioni di petrolio su altri paesi, per primi anzitutto India e Cina. E hanno iniziato a condurre transazioni non in dollari o euro, ma in rupie e yuan. Allo stesso tempo, l’Iran ha iniziato a usare l’oro negli scambi con la Turchia ed altri paesi. Hanno anche riesumato un comprovato e vero modo di commerciare che li ha resi capaci di fare a meno del denaro: il baratto. Washington ha improvvisamente realizzato che imporre delle sanzioni all’Iran, “equivaleva a tagliarsi il naso per sputarsi in faccia” (espressione idiomatica che indica un danno auto inflitto, nel tentativo di nuocere ad un avversario, n.d.t.). Le sanzioni contro l’IRI hanno portato l’Iran e i suoi alleati a smettere di usare il dollaro americano nelle loro transazioni commerciali con l’estero.

    Le sanzioni di Washington hanno principalmente favorito il suo avversario geopolitico, la Cina, o la sua moneta, lo yuan, per essere più precisi.Washington voleva risolvere questo nuovo problema attraverso la forza, conducendo una rapida e vittoriosa guerra contro la Siria, per poi fare i conti con l’Iran utilizzando la forza militare. Tuttavia, i piani militari di Washington sono stati spazzati via a settembre di quest’anno (specialmente grazie alla posizione salda e coerente della Russia). Va reso merito a Washington di aver dimostrato grande flessibilità e mobilità in questa situazione; passando dall’aperto confronto con Tehran al riavvicinamento. Ora bisogna sottolineare che tutti i discorsi riguardo il programma nucleare dell’Iran sono in larga misura solo una copertura per i veri scopi di Washington. I suoi veri scopi si concentrano nel tentativo di controllare efficacemente la regione del Medio Oriente. L’Iran è uno stato chiave in questa regione. Alcuni anni fa, il desiderio di controllare lo spazio politico mediorientale era dettato principalmente da ragioni riguardanti il petrolio e il gas naturale.

    Ora, con la “shale revolution”, le preoccupazioni energetiche sono state accantonate, mentre gli interessi finanziari sono venuti in primo piano. Washington sta cercando di preservare lo standard del petrodollaro, che è stato in vigore per quasi quarant’anni. Le fondamenta dello standard del petrodollaro sono da ricondurre proprio là in Medio Oriente, a quando l’Arabia Saudita ed altri paesi della regione firmarono degli accordi speciali con Washington, negli anni Settanta, secondo i quali avrebbero dovuto vendere idrocarburi esclusivamente in cambio di dollari americani. Oggi, non tutte le nazioni aderiscono a questi accordi, ma Tehran ha iniziato a comportarsi in maniera particolarmente provocatoria, quando ha iniziato a vendere petrolio per yuan, rupie, ed altre monete nazionali a parte il dollaro americano e l’euro; scambiando il petrolio con l’oro e servendosi di contratti di baratto.Quando ha iniziato un dialogo attivo con Tehran, Washington si è scontrata con un’acuta reazione negativa da parte di Riyadh. Vorrei sottolineare alcune possibili conseguenze di questo conflitto.

    L’Arabia Saudita potrebbe presto finire nella stessa situazione in cui versava l’Iran in passato: potrebbero essere imposte delle sanzioni contro Riyadh. Si potrebbe anticipare la reazione di Ryiadh in questo caso; proverebbe ad evitare le transazioni in dollari americani passando ad altre valute. Potrebbe anche usare strumenti consolidati dal tempo, quali l’oro e il baratto. La mossa successiva spetterebbe a Washington, e sarebbe una mossa impetuosa. Washington proverebbe a prendere controllo su Riyadh tramite mezzi militari, costringendola ad aderire all’accordo vecchio di quarant’anni (condurre transazioni esclusivamente in dollari americani). Gli Stati Uniti sono diventati ostaggio del loro stesso coinvolgimento negli affari del Medio Oriente; nel tentativo di tirare fuori un piede dalla palude (ristabilendo relazioni con l’Iran), hanno visto che l’altro piede si è impantanato (i rapporti con l’Arabia Saudita sono diventati più complicati). E non si sa se gli americani riusciranno a raggiungere lo scopo principale, per il quale hanno iniziato il riavvicinamento con l’Iran, sarebbe a dire, che Tehran torni ad usare il dollaro americano per le sue transazioni internazionali al posto dello yuan e delle rupie. Cosa che è improbabile.

    Tehran si prenderà tempo, ma per nessun motivo tornerà indietro al sistema del dollaro. L’istituzione medio orientale dello standard del petrodollaro, un tempo solida, si sta trasformando in sabbie mobili proprio di fronte ai nostri occhi… Gli eventi in Medio Oriente indicano che il dollaro americano sta agonizzando. Non serve a niente il fatto che tutto ciò sta accadendo alla vigilia del centesimo anniversario dalla creazione del Federal Reserve System. Se il dollaro crolla, la pressa a stampa della Fed diventerà inutile spazzatura. Niente sarà lasciato della Federal Reserve, a parte la facciata.Non si può escludere che la Fed non sopravvivrà a lungo dopo il suo centenario, e potrebbe essere che la sua disfatta arrivi dal Medio Oriente.

    Valentin Katasonov
    Fonte: www.strategic-culture.org
    Link: www.strategic-culture.org/news/2013/11/15/on-iran-saudi-arabia-and-the-centennial-of-the-federal-rese...
    15.11.2013

    Traduzione per www.comeodonchisciotte.org a cura di NICOLETTA FRANCHINI
    www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&s...
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    00 19/12/2013 00:08
    11 settembre, il rapporto segreto. La verità nascosta in 28 pagine

    A 12 anni dall'attentato alle torri gemelle spunta un rapporto segreto che potrebbe rivelare nuovi particolari sconvolgenti. Secondo alcuni documenti vi sarebbero le prove di una complicità dell'Arabia Saudita nell’attacco dell’11 settembre 2001. Due senatori, il repubblicano Walter Jones e il democratico Stephen Lynch vogliono che siano rese pubbliche 28 pagine censurate del rapporto sull’assalto all’America da parte dei qaedisti. Una sezione del report che è stata “oscurata” dall’allora presidente Bush per non compromettere le relazioni con un paese alleato e importante partner commerciale. I congressisti hanno già presentato una risoluzione per costringere Obama a rendere pubblico il rapporto. In passato sono emerse molte informazioni, confermate dalla Cia, sui rapporti tra funzionari sauditi e alcuni degli attentatori suicidi. E la stampa statunitense ne ha ricordati diversi. Fahad al Thumairy, impiegato al consolato saudita di Los Angeles, ha coordinato un team che ha accolto Khalid Al Minhdhar e Nawaf al Hazmi, due dei dirottatori del 9/11. E c'è di più. Il principe Bandar, molto amico di Bush, all’epoca ambasciatore a Washington e oggi capo dell’intelligence, ha inviato 130 mila dollari a Osama Bassnan, agente saudita che assisteva i due dirottatori in California. Un bonifico seguito da altri finanziamenti sempre legati a Riad. Non meno interessanti i movimenti di altri emissari sauditi. Saleh Hussayen era nello stesso hotel di Dulles (Washington) dove alloggiavano i terroristi protagonisti dell’attacco al Pentagono. Esam Ghazzawi, consigliere di un nipote del re, ha ricevuto nella sua sontuosa residenza di Sarasota (Florida) Mohammed Atta e altri kamikaze. Due settimane prima dell’11 settembre, il funzionario saudita ha lasciato precipitosamente la residenza, abbandonando auto di lusso e costosi arredamenti. Ma per il momento questi non sono che particolari se comparati a quelli ancora protetti dal “segreto di stato”. Ora qualcosa potrebbe cambiare se venissero svelate le verità delle 28 pagine censurate.

    17 dicembre 2013
    www.affaritaliani.it/esteri/11-settembre-il-rapporto-segreto171...
    [Modificato da wheaton80 19/12/2013 00:08]
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    00 05/01/2014 01:56
    Torri gemelle abbattute da Bush: prove schiaccianti secondo i grandi media americani

    Qualcosa deve davvero essere cambiato, perché noi lo sappiamo, lo scriviamo e lo diciamo da sempre, ma ci impressiona vedere che ora anche il New York Post, il Veterans Today e in particolare Gordon Duff, di Press TV, scrivono che l’attentato dell’11 Settembre 2001 non sarebbe stato ideato, condotto e concluso da autonome “cellule terroristiche islamiche”, come ci viene tautologicamente ripetuto da tredici anni a questa parte. L’accusa piombata pochi giorni prima della fine dell’anno sulla testa del massone satanico George Bush, affiliato alla nota setta satanica Skull&Bones (teschi ed ossa), nonché nipote di Prescott Bush, arcinoto finanziatore di Adolf Hitler, è di aver “insabbiato materiale utile alla vera ricostruzione dei drammatici fatti accaduti l’11 Settembre 2001, di aver protetto i veri responsabili dell’orrida azione, di aver mentito al popolo americano (cosa grave negli USA, ndr.), e di aver sospinto l’America in due guerre (Afghanistan ed Iraq) in cui hanno perduto la vita migliaia e migliaia di giovani”. Uomini e donne in salute e con tutta la vita davanti, e dunque essersi anche reso responsabile della marea umana di ex soldati e soldatesse oggi invalidi (mutilati, ciecati, paraplegici…) a cui ha rovinato l’esistenza per sempre. Ora, siccome la materia tratta dai siti in cui ho rinvenuto le fonti è molto vasta, ho ritenuto opportuno creare dei paragrafi numerati al fine di gestire al meglio un discorso che richiederebbe molte più pagine.

    La sionista AIPAC, George Bush ed il colpo di Stato


    1. Mr. James Clapper, Direttore della National Intelligence per conto dell’attuale Presidente USA Mr. Barak Hussein Obama, “ha declassificato nuovi documenti in cui si rivela come la NSA abbia per prima dato il semaforo verde alla raccolta di informazioni fasulle attraverso cui pilotare l’opinione di massa al fine di fomentare la caccia ai terroristi islamici” e così distogliere l’attenzione da dove si preferiva non far procedere le indagini e creare a tavolino un nemico inesistente: i terroristi islamici (Noam Chomsky docet).

    2. L’Amministrazione Obama ha, nei giorni scorsi, stabilito con certezza che l’ex Presidente G. W. Bush “ebbe ad autorizzare una immensa opera di raccolta dati (registrazioni telefoniche, e-mail e quant’altro) per dar vita ad un programma di sorveglianza speciale denominato TSP (Programma di Sorveglianza dei Terroristi)”. Sabato scorso, Clapper in persona ha dichiarato non solo di poter provare il fatto che Bush iniziò l’ operazione TSP ad una manciata di giorni di distanza dai tragici eventi dell’11/9 ma che fu lui il vero responsabile dei fatti.

    3. A conferma di ciò, il giornalista Gordon Duff di Press TV sottolinea l’isteria che ha colto in questi giorni George W. Bush ed un certo Paul Sperry, membro di spicco dell’American Israel Public Affairs Committee (l’Agenzia sionista israelo-americana fondata nel 1953 col nome di American Zionist Committee for Public Affairs definita, senza mezzi termini, “The largest lobbying organization in Washington” – la più vasta organizzazione lobbistica di Washington). Sperry, usando le pagine del quotidiano New York Daily (di proprietà del magnate australiano Rupert Murdoch) ha letteralmente scaricato il barile delle responsabilità dell’attentato 9/11 sul groppone di G. W. Bush e sul groppone del principe Saudita Bandar bin Sultan (già chiaccheratissimo ex Ambasciatore di Arabia Saudita negli States dal 1983 al 2005).

    4. Ciò che in questo momento sta insospettendo l’opinione pubblica americana è il “timore che la potente lobby sionista stia facendo enormi pressioni per mettere nuovamente tutto a tacere in quanto – si legge nel comunicato di Duff – il vero rapporto, quello tenuto nascosto sino a pochi giorni fa, accusa proprio Israele e non l’Arabia Saudita”.

    Osama bin Laden, un mito che si schianta come gli aerei nelle Torri Gemelle

    1. Un folto gruppo di “legislatori statunitensi […] i quali hanno invitato il presidente Obama a declassare l’intero rapporto, sono giunti alla sconcertante conclusione secondo cui il vero rapporto, sinora coperto dal Segreto, dimostra che non vi era alcun coinvolgimento di al – Qaeda, non vi era alcuna ragione di spodestare Saddam Hussein (Iraq) [lungamente sovvenzionato da Bush Padre e dalle sue banche], con la scusa rivelatasi una pagliacciata atroce delle armi nucleari; non vi era nemmeno nessuna ragione plausibile (se non quella di creare il famigerato oleodotto per il petrolio) per invadere l’Afghanistan (dal 7 Dicembre 2004 capitanato da Hamid Karzai, un ex petrolchimico con lunghi trascorsi negli USA); come “non c’era nessun motivo per cacciare (attenzione a questa, reggetevi forte) l’agente della CIA, il colonnello Tim Osman, noto anche come Osama bin Laden” (si rivedano i video per i quali Alfonso Luigi Marra è stato attaccato in tutte le maniere per aver fatto dire, oltre a tutto quanto è ora “emerso”, anche molto altro, a Sara Tommasi che, sempre più verosimilmente, è stata proprio per questo oggetto delle “attenzioni” dei servizi segreti mediante dei sicari, non si sa quanto consci, ora in carcere).

    2. A dar manforte a quanto esposto sino a questo punto, subentra un personaggio anziano ma lucido e con un passato prestigiosissimo. Costui è “l’ex Ambasciatore Lee Wanta, uno dei capi dell’Intelligence USA presso la Casa Bianca ed ispettore Generale del Dipartimento della Difesa sotto l’amministrazione Reagan”. Costui è stato schietto e diretto e non si è lasciato minimamente intimorire da chicchessia. Ha “citato gli incontri tra funzionari governativi chiave occorsi con bin Laden, che ha personalmente conosciuto e frequentato, ricordando molti eventi e riunioni, in particolare due, tenutesi rispettivamente a Los Angeles e Washington DC, mentre – guarda caso – negli Stati Uniti pendeva già una taglia sulla testa dello stesso bin Laden”. Salto le ricostruzioni di Mr. Wanta ma chi fosse interessato/a leggerle potrà farlo cliccando questo link:

    www.veteranstoday.com/2013/12/28/mossad-bush-planned-execu...

    La spia russa e la spia israeliana e la lunga serie di attacchi terroristici

    1. Nel 2007, racconta il giornalista Duff di Press TV, l’FBI inviò una propria divisione a Bangkok (capitale dello Stato thailandese) per intervistare l’ex specialista di intelligence nucleare sovietico Dimitri Khalezov. Alle domande degli agenti dell’FBI, Khalezov riferì che la mattina del 12 settembre 2001 (il giorno seguente al disastro), partecipò ad una colazione di lavoro su invito di Mike Harari, il Direttore delle Operazioni del Mossad (servizio segreto dello Stato israeliano). All’appuntamento vi sarebbero stati anche il figlio del Direttore del Mossad ed altri agenti segreti israeliani. Secondo quanto raccolto dagli uomini dell’FBI che hanno intervistyato Khalezov a Bangkok, egli avrebbe affermato che l’incontro voluto dal Mossad era avvenuto “per celebrare gli attacchi dell’11/9, non come aveva detto Netanyahu, come una “casualità fortunata per Israele“, ma come un attacco del Mossad contro gli Stati Uniti”. Nel seguito della testimonianza rilasciata dal russo ai federali americani, si afferma che il direttore del Mossad Mike Harari avrebbe ammesso di aver svolto un ruolo fondamentale nel massacro di Oklahoma City del 19 Aprile 1995 in cui perirono 168 persone – di cui 19 tra bambini e bambine – e ne rimasero ferite ulteriori 680. Secondo Khalezov, la spia israeliana Harari lo stava corteggiando affinché anch’egli aderisse al progetto di bombardare Bali (Indonesia) l’anno successivo, 2002. E, infatti, così le cose andarono: ricorderete tutti e tutte quel filmato del 12 ottobre del 2002 quando un enorme ordigno esplosivo devastò quasi un miglio quadrato di un ristorante di Bali uccidendo 202 persone e ferendone centinaia e centinaia. Anche in quell’occasione (quando la soglia di allarme e sospetto nella popolazione mondiale era al picco massimo nei confronti del popolo islamico) la colpa fu addossata completamente ad “un gruppo islamico”, proprio come con l’11/9 e con Oklahoma City.

    2. Khalezov confessò agli agenti dell’FBI che “Harari sosteneva di essersi avvalso di armi nucleari per abbattere le torri gemelle l’11/9. Harari ha anche detto – testimonia il sovietico – che furono due missili (uno “tipo Cruise” l’altro un “Granit”) ad abbattersi sulle facciate del Pentagono, con tutta probabilità acquistati attraverso un tale di nome Victor Bout”, noto trafficante di armi.

    3. Bout, “residente a Bangkok come Harari e Khalezov, è stato arrestato a Bangkok nel 2008 e successivamente estradato negli Stati Uniti sulla base di un atto d’accusa altamente classificato con l’accusa di aver fornito i missili utilizzati per attaccare il Pentagono”.

    A che punto sono le nuove indagini?
    Finora, la prima relazione al convegno sulle falsificazioni di Bush non vede altri nomi iscritti oltre a quello dell’ex Presidente massone. Gli altri esecutori, assicurano le fonti, sono ancora al sicuro per il momento; e la loro identità risulta ancora protetta da protocolli di sicurezza gestiti dal presidente Obama, nonostante le insistenti e reiterate richieste del Congresso. Rimane sospetto il comportamento del sionista Sperry, il quale cita la CIA come fonte ma più che altro sembra essere orientato a deviare la possibile ricaduta contro Israele. Ma lui non molla:“Sperry sta continuando ad organizzare coordinamenti con i movimenti del dell’AIPAC per sedare la richiesta del Congresso di declassificare la relazione. Tale mossa potrebbe essere un’indicazione che l’intelligence israeliana – come Khalezov indica – ha lavorato con Bush per pianificare ed eseguire 11/9”.

    Conclusioni sullo “stato dell’opera” secondo Press TV
    “Questa settimana, i rappresentanti del Congresso Stephen Lynch e Walter Jones, hanno ufficialmente formulato una risoluzione chiedendo ai colleghi membri di unirsi a loro al fine di persuadere il Presidente Barak Hussein Obama a procedere alla declassificazione dell’intero documento, ivi comprese le famose 28 pagine delle oltre 800 che sembra siano state nascoste per il timore che quanto riportato possa determinare una rivoluzione planetaria, sul piano degli equilibri internazionali. Qualcosa che se venisse a galla in questo momento di grande crisi generalizzata rischierebbe di aprire la mente di sette miliardi di persone circa il vero ruolo dei vari servizi segreti mondiali e di quale opinione/considerazione essi abbiano della vita delle persone comuni. Ciò che appare chiaro è che il presidente Bush sia sempre stato informato ed edotto sui fatti e sui piani segreti e che fosse pienamente consapevole che né l’Afghanistan né l’Iraq siano mai stati coinvolti con l’attentato del 11/9 e che l’azione militare condotta contro queste due Nazioni fu scatenata proprio per coprire il coinvolgimento della sua amministrazione; un coinvolgimento che includeva sostegni dall’estero da parte delle agenzie di intelligence, quella israeliana del Mossad in prima linea. In quella occultata sezione di 28 pagine vi sarebbe scritto l’ordine al massacro, ordine personalmente emanato da Bush in persona.

    Sul rapporto originale offerto al Congresso, si stima 5 -10.000 parole siano state omesse e che vi siano pagine e pagine di linee tratteggiate, interpolazioni e sostituzioni in varii punti del testo. “Questa è solo la più recente delle rivelazioni che l’AIPAC è riuscita a sopprimere grazie al suo predominio sugli organi d’informazione” afferma Duff. Un potere a noi italiani ed italiane non certo alieno visto che, guarda caso, qui in Italia l’informazione di regime finge che nulla stia accadendo dall’altro capo dell’Oceano!!! Ciò che è sempre più chiaro è che “molti degli alleati dell’AIPAC a Washington hanno avuto accesso alla relazione integrale, quella non manipolata. Un’intera amministrazione, i leader del Congresso, del Pentagono, della CIA, della NSA ed una dozzina di altre organizzazioni erano al corrente di quanto fosse contenuto in quelle maledette 28 pagine, tutti sapevano cosa c’era nella relazione parlamentare. Tutti hanno mentito alla Commissione 11/9. Sono tutte misure disposte per limitare, incanalare e reprimere la libertà delle genti, centinaia di migliaia piccoli 11/9 si verificano ogni giorno in tutto il mondo, rapimenti, torture, stupri… E quali verità abbiamo in mano? Nessuna, solo un pugno di menzogne. Basta con le menzogne”.

    4 gennaio 2014
    www.signoraggio.it/torri-gemelle-abbattute-da-bush-prove-schiaccianti-secondo-i-grandi-media-am...
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    00 21/03/2014 00:49
    La crisi irreversibile degli Stati Uniti

    Gli Stati Uniti stanno vivendo una profonda crisi economica ed il debito pubblico continua a crescere; il 17 marzo (ultimo dato disponibile) il debito pubblico statunitense è arrivato a 17.546, 81 miliardi di dollari, ennesimo massimo storico. Il 17 marzo sono stati pubblicati anche i dati del debito estero, aggiornati al 31 gennaio 2014. Mentre i dati del debito pubblico totale sono pubblicati giornalmente (aggiornati al giorno precedente), i dati del debito estero sono pubblicati mensilmente, a metà di ogni mese e sono relativi a due mesi anteriori; quindi a metà marzo si publicano i dati del debito estero relatvi a gennaio, a metà aprile quelli relativi a febbraio e così di seguito. Il debito estero degli Stati Uniti alla fine di gennaio era 5.832,70 miliardi di dollari, ossia il 33,73% di tutto il debito pubblico statunitense, che al 31 gennaio 2014 era pari a 17.293,02. Come si evince dalle cifre, tra il 31 gennaio ed il 17 marzo il debito pubblico USA è cresciuto di oltre 253 miliardi. Un terzo del debito pubblico USA è quindi detenuto all’estero. Chi sono i detentori del debito estero? Il principale detentore del debito estero è la Cina che possiede titoli di stato USA pari a 1.273,50 miliardi di dollari, ossia il 21,83% di tutto il debito estero, pari al 7,36% di tutto il debito pubblico statunitense. Al secondo posto tra i detentori del debito estero USA c’è il Giappone con 1.201,40 miliardi. Anche la Russia ha una importante quota del debito estero USA: 131,80 miliardi di dollari. Con la crisi in Ucraina in atto e le annunciate sanzioni da parte di USA e Unione Europea, la Russia potrebbe decidere di vendere tutti i titoli di stato USA, anzi è probabile che lo faccia o lo stia facendo visto che negli ultimi mesi ha già ridotto la quantità di titoli USA in suo possesso: ad ottobre del 2013 deteneva titoli per 149,90 miliardi; ad ottobre del 2012 la cifra era ancora più alta, ben 171,10 miliardi. Non solo il governo russo, ma anche i cittadini russi stanno smettendo di investire in USA; è di ieri la notizia, riportata da Bloomberg, che l’uomo più ricco di Russia, Alisher Usmánov, ha venduto le sue azioni di Facebook ed Apple per investire in Cina, comprando azioni di Alibaba, la più importante compagnia di Internet dopo Google, valutata circa 200 miliardi di dollari. Analizzando i dati del debito estero USA, si nota chiaramente che anche la Cina sta vendendo: a novembre aveva titoli USA pari a 1.316,70 miliardi di dollari, quindi ha venduto titoli per oltre 43 miliardi.

    La Cina avendo questa gran massa di titoli USA non può vendere grandi quantità, perché la mancanza di acquirenti farebbe crollare il loro valore ed alla fine a rimetterci sarebbero proprio i principali creditori, a partire dai cinesi. Probabilmente i cinesi venderanno i loro titoli poco per volta. Anche altri paesi stanno vendendo, per vari motivi, i titoli USA posseduti, anzi sono in aumento i paesi che vendono: tre mesi fa erano 13 i paesi che vendevano titoli USA rispetto al mese precedente; nell’ultimo mese disponibile (gennaio) sono stati 18 i paesi che diminuito il possesso di titoli USA rispetto al mese anteriore, quindi hanno venduto. Oltre a Cina e Russia, stanno riducendo il possesso di titoli USA anche Norvegia, Olanda, Tailandia, Germania, Brasile, Taiwan, Irlanda, Perù, Singapore ed altri. Se i principali detentori del debito USA continuassero a vendere i titoli USA in loro possesso ciò determinerebbe un crollo del valore di questi titoli. Non solo, gli USA nell’impossibilità di finanziare il loro debito, sarebbero costretti sempre più a ricorrere alla stampa di dollari (il famoso Quantitative easing). Elevare ancora di più il numero di dollari stampati significa accelerare il tracollo della moneta USA, che sarebbe sempre più sostituita da altre monete negli scampi commerciali. Gli Stati Uniti continuano a mentire sia sul presunto recupero dell’economia, che sull’acquisto di titoli del debito pubblico da parte di altri stati. Che gli USA non sono mai usciti dalla recessione lo dimostra il fatto che solo il 47% dei cittadini ha un lavoro a tempo pieno, il 40% guadagna meno di 20.000 dollari all’anno e ben 47 milioni di cittadini sopravvivono grazie alle sovvenzioni alimentari del governo. Secondo noi mentono anche sul fatto che ci siano paesi disponibili ad acquistare titoli del debito pubblico statunitense. Infatti, secondo l’ultimo rapporto sul debito estero, pubblicato dal Tesoro USA, rispetto a due mesi prima, hanno comprato titoli del debito USA paesi come Hong Kong (+18,60 miliardi), Giappone (+15,00), i paesi esportatori di petrolio (+10,20), Corea del sud (+9,20), Messico (+7,70) ed altri con un minore investimento. In realtà il totale di tutti i titoli acquistati da questi paesi non avrebbe compensato minimamente i titoli venduti e le nuove necessità, se non fosse intervenuto l’acquisto massivo del governo belga; infatti il Belgio negli ultimi due mesi, secondo i dati pubblicati dal Tesoro, avrebbe acquistato titoli per 109,70 miliardi; addirittura rispetto a dicembre 2012 avrebbe accresciuto il possesso di titoli USA di ben 171,50 miliardi. In definitiva, oggi il Belgio sarebbe il terzo detentore di titoli del debito USA dopo Cina e Giappone. Il piccolo Belgio, dunque starebbe finanziato il gigante USA. Usiamo il condizionale, perchè noi riteniamo che questa sia una balla, una invenzione, una manipolazione evidente dei dati: come potrebbe il Belgio acquistare in due mesi titoli USA per quasi 110 miliardi di dollari, quando il suo PIL annuale nel 2012 (ultimo dato annuale conosciuto) è stato di 483 miliardi, tra l’altro in diminuzione rispetto ai 514 miliardi del 2011? Come potrebbe un piccolo paese come il Belgio passare agli USA oltre 100 miliardi di dollari in due mesi? Visto come stanno le cose, tra due mesi, quando saranno resi noti i dati al mese di marzo, possiamo scommettere che il Belgio arriverà a 400 miliardi di dollari in titoli USA. Dietro le cifre attribuite al Belgio c’è forse un paese che non vuole o non può apparire come finanziatore degli USA? Oppure, dietro tali cifre si nasconde la stampa di dollari? Non è poi tanto folle ipotizzare ciò, visto che gli USA stanno stampando soldi, ufficialmente ottanta miliardi al mese (Quantitative easing).

    Ricordiamo che l’operazione di alleggerimento quantitativo o facilitazione quantitativa (in inglese Quantitative easing) è una pratica mediante la quale una banca centrale può creare moneta. La banca centrale crea dal nulla nuova moneta, ossia stampa moneta per acquistare attività finanziarie dalle banche del sistema (azioni o titoli, anche tossici), con effetti positivi sulla struttura di bilancio di queste ultime. L'intervento della Banca centrale può essere diretto anche all'acquisto di titoli di stato, come nel caso degli USA, con l'obiettivo di ridurre i costi di indebitamento dello stato. Ovviamente questo tipo di politica monetaria ha possibili effetti collaterali, come la iperinflazione. A caso gli USA, attribuendo l’acquisto di titoli di stato al piccolo Belgio, stanno nascondendo una ulteriore stampa di denaro, oltre quella annunciata? Se così fosse, staremmo assistendo al tracollo degli USA. Il debito pubblico continua ad aumentare ed allo stesso tempo vengono meno i finanziatori per cui si ricorre ad ulteriore stampa di dollari. Ovviamente se così fosse veramente non riuscirebbero a nasconderlo per molto tempo; se adesso ci potrebbe ancora essere qualche bamboccione che crede o fa finta di credere che un paese come il Belgio possa acquistare titoli per 100 miliardi in pochi giorni, fra qualche tempo dovranno inventare un altro paese “amico”, ma non potranno certo andare avanti all’infinito. Come è evidente, Russia, Cina ed altri paesi stanno smettendo di finanziare il debito pubblico USA ed al tempo stesso stanno utilizzando monete alternative al dollaro per il commercio internazionale; ciò semplicemente significa che si avvicina il momento del tracollo del dollaro e degli USA. Con il tracollo degli USA sarà trascinata nel baratro anche l’Europa occidentale. In ogni caso è evidente che l’economia USA stia cominciando a vacillare proprio a causa del disprezzo verso il dollaro di Russia e Cina.

    Attilio Folliero
    19.03.2014
    umbvrei.blogspot.it/2014/03/la-crisi-irreversibile-degli-stati-un...
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    wheaton80
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    00 29/03/2014 00:57
    La fabbrica dei dollari

    ROMA - Per tredici mesi, dal marzo 2008 all’aprile 2009, un cittadino italiano ha attraversato l’inferno della prigionia in Cambogia. In una caserma, quindi in un ospedale lager, infine nel campo di concentramento di Prey Sar, alle porte di Phnom Penh. Chi lo aveva spinto in quell’abisso — «uomini dell’intelligence americana» che lo consegnano ai servizi cambogiani con «un’accusa farlocca» di riciclaggio, racconta lui — aveva deciso che non dovesse uscirne vivo e che il «segreto» che aveva scoperto se ne andasse con lui. Un segreto — spiega oggi — chiamato «Supernotes», banconote da 100 dollari «vere ma false», stampate con macchine e clichet «autorizzati» niente di meno che in Corea del Nord, con cui l’intelligence americana paga clandestinamente ciò che l’opinione pubblica non può e non deve conoscere. Regimi canaglia, narcotrafficanti e tutto ciò che si può e si deve pagare al mercato nero della sicurezza nazionale.

    Sentite un po’. «Le zecche americane del Bureau of Engraving and Printing che stampano banconote non sono due, ma tre. La terza — macchina, carta e tutto il resto, inclusi i rarissimi marcatori — non si trova sul territorio statunitense, bensì in Corea del Nord. Il Paese del dittatore pazzo che gioca con l’atomica. Delle esecuzioni di massa. Delle minacce e della censura. Lo Stato canaglia nemico degli Usa. Talmente canaglia che nessuno può andare a ficcarci il naso. Sono americani quelli che fanno girare le ruote del dollarificio. Sono loro a gestire il traffico di valuta. A utilizzarne i proventi colossali. Americani. Quale che sia la loro sigla. Quale che sia il cappello che si mettono per l’occasione. La struttura per la stampa dei dollari è localizzata nei dintorni di Pyongsong, una città di centomila abitanti a nord-est della capitale Pyongyang. La chiamano “la città chiusa”. Gli stranieri non possono entrarvi. La struttura fa parte della Divisione 39 dei servizi segreti nord-coreani. La Divisione 39 gestisce i fondi riservati del leader coreano. Una dotazione stimata in circa cinque miliardi di dollari». Insomma, «il dittatore nord-coreano minaccia gli Usa e nel frattempo incassa una robusta percentuale nella produzione di Supernotes. Dal canto loro, Cia, Nsa e le altre agenzie finanziano le proprie attività con fondi che i bilanci statali non potrebbero mai garantire». Ebbene, di questo cittadino italiano, del buco in cui è finito e del segreto che dice di custodire, per tredici mesi, nessuno sembra voglia davvero occuparsi con convinzione. La sua storia non affaccia nelle cronache. Il suo caso semplicemente non esiste. L’allora ministro degli Esteri Franco Frattini scrive una lettera ai familiari in cui genericamente li rassicura sull’impegno della nostra diplomazia nel risolvere quello che viene classificato come l’arresto di un cittadino italiano residente all’estero in forza di un provvedimento di altro Paese straniero (gli Usa) per riciclaggio e reati fiscali.

    Il «cittadino» deve dunque cavarsela da sé. Dalla sua, ha un’avvocatessa caparbia, Barbara Belli, una donna che lo ama, Patty, e un’anziana madre che vive a Firenze, grazie alle cui rimesse in contanti attraverso Money Transfer («Alla fine, circa 250mila euro versati in più tranches», dice mostrando le ricevute di pagamento), compra la propria sopravvivenza nel lager in cui è rinchiuso e dove viene regolarmente pestato a sangue. Perché quel denaro, per i suoi aguzzini cambogiani, è una fortuna a cui non si possono voltare le spalle. Poi — è appunto l’aprile del 2009 — il nostro riesce a evadere dal suo inferno e a raggiungere l’Italia. Dove, tuttavia, lo attende un mandato di cattura per un’accusa di bancarotta fraudolenta. Si costituisce nel carcere di Regina Coeli, a Roma, dove resta per quattro giorni e viene interrogato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pm Francesco Ciardi («Capaldo era convinto che fossi al centro dei misteri d’Italia»). Una volta scarcerato, si esilia in una casa di campagna dove getta in un baule il diario sporco di sangue e sudore della sua prigionia, si mette a coltivare gli ulivi, apre una palestra di arti marziali frequentata da ex appartenenti a corpi militari di élite, si tiene in allenamento con qualche lancio in paracadute, diventa padre di una bambina e trascorre notti insonni inseguito dagli incubi di ciò che ha attraversato e dal fantasma del suo passato. Fino a quando non cerca e rintraccia un giornalista che si era occupato di lui, Luigi Carletti. Gli racconta la sua storia, ora scritta in un libro su cui la la Mondadori scommette molto: Supernotes. Quel cittadino italiano nel suo libro di memorie si fa chiamare “Agente Kasper”. È un uomo controverso e la sua storia promette di suscitare un vespaio. In una palazzina liberty di Roma, in un ufficio illuminato dal primo sole della primavera, Kasper, 55 anni, sorride fasciato da una tshirt aderente blu e pantaloni verde cachi dalle ampie tasche che ne disegnano il corpo massiccio e atletico. Sul bicipite destro fa mostra di sé una grande tatuaggio. Un gladio coronato dal motto unus sed leo. All’anagrafe, Kasper ha un nome e un cognome. Che Repubblica conosce bene per essere stato all’onore delle cronache negli anni ’90 e ancora nei giorni della sua permanenza a Regina Coeli nel 2009. Un nome e un cognome che Kasper e la Mondadori chiedono che non venga reso pubblico. «Il mio nome non ha importanza — dice lui —. La mia vita è cambiata. Sono diventato padre.

    Con quel mondo ho chiuso. Mi importa solo che un giorno mia figlia, digitando su Google, non pensi che suo padre è stato quello che hanno scritto di lui i giornali. Cose del tipo, “un ex di Avanguardia nazionale che negli anni della militanza studentesca andava in giro con un dobermann” e che certa magistratura ha fatto pensare che fossi, infilandomi anche in golpe da operetta. Mentre la verità è solo che da ragazzo io ero di destra e da adulto ho fatto una vita che non poteva essere raccontata. In fondo, il libro serve a svelare una verità che altrimenti sarebbe morta con me». Quel mondo è il luogo delle ombre e degli specchi che chiamiamo intelligence. Dove nulla è fino in fondo vero o falso. E dove, soprattutto, nulla è mai ciò che appare. Una regola che vale anche per Kasper. Dice di sé: «Ho lavorato per il mio Paese come agente sotto copertura dall’inizio degli anni ’80, subito dopo essermi congedato da carabiniere. Prima per il Sismi, poi per il Ros. Il mio lavoro di copertura era pilota di aereo per compagnie civili. L’Ati prima, L’Alitalia poi, fino al ’98. Per il mio operato ero stato proposto per una medaglia al valor civile che non mi è stata mai consegnata». Agente sotto copertura, dunque. E tuttavia, assolutamente irregolare. Kasper non risulta sia mai stato incardinato nel nostro Servizio mi-litare, né nel Ros dei carabinieri, per il quale ha comunque partecipato a due operazioni contro il narcotraffico (“Pilota” e “Sinai”) istruite dall’allora procuratore di Firenze, Pierluigi Vigna, e di cui è traccia documentale in sentenze passate in giudicato. «Nulla di più, nulla di meno. Dall’operazione Sinai in poi, il Ros non ha più avuto rapporti operativi con Kasper. Nei carabinieri Kasper ha svolto il servizio di leva e i carabinieri sono un organismo di polizia giudiziaria che opera su direttiva della magistratura, non sono un Servizio segreto», dicono oggi al comando del Raggruppamento speciale dell’Arma. «Non potevo che essere un irregolare — osserva lui — perché certe cose possono farle solo gli irregolari. Né ho mai manifestato l’intenzione di diventare effettivo alla nostra intelligence. Sarei finito a marcire dietro una scrivania. E non era quella la vita che volevo». La vita che Kasper voleva la racconta nel suo Supernotes. Roba da arditi. Pistole, stupefacenti, agenti della CIA, dell’ FBI o semplicemente ex spioni che nella Ditta sono stati per poi mettersi in proprio e diventare free-lance dell’intelligence.

    Volti e gesti stravolti dall’adrenalina nei diversi angoli del globo. Un plot in cui il lettore non ha molta scelta. Credere o meno a ciò che legge. Che i dollari della vergogna, falsi ma veri, esistano («Li ho visti con i miei occhi»), che il governo abbia abbandonato questo suo cittadino perché scomodo. Non fosse altro perché dagli atti ufficiali della nostra magistratura e della nostra diplomazia risulta un racconto capovolto che suona così: Kasper viene arrestato su richiesta dell’FBI perché accusato di frode informatica, uso di documenti falsi e di aver riciclato quattro milioni di dollari, viene assistito dalla nostra ambasciata a Bangkok anche attraverso il console a Phnom Pehn, visitato e monitorato nel periodo della sua prigionia e quindi regolarmente rilasciato dalle autorità cambogiane con un visto in uscita che gli ha consentito di raggiungere Vienna in aereo. Luigi Carletti, il giornalista che di Kasper ha raccolto le memorie, dice: «Si può pensare quel che si vuole della storia che mi ha raccontato. Ma un fatto è certo. Tutti i procedimenti contro di lui sono improvvisamente evaporati. Non se ne sa più nulla. In Italia, in America, in Cambogia. Nessuno lo ha più cercato. Forse perché quelle accuse erano strumentali. O no?». Kasper sorride. «Voglio pensare che devo la mia vita alla buona sorte e a un amico come l’ex comandante del Ros, il generale Ganzer. Che ci sia stato lui dietro la mia fuga da Prey Sar». Ganzer, oggi in pensione, schiarisce la voce: «Nel ’98, dissi a Kasper che essendo stato esposto a un grosso rischio con le operazioni Pilota e Sinai, la sua collaborazione con il Ros doveva ritenersi conclusa per sempre. Da allora, in modo del tutto autonomo, Kasper si è prima messo nei guai con agenti del Nocs e della Finanza. Poi ha aperto un bar in Cambogia, dove è finito in carcere su rogatoria americana. In quei tredici mesi, l’unica cosa che feci, fu attivare la nostra Direzione Centrale dei Servizi Antidroga perché l’addetto a Bangkok e il nostro console in Thailandia si sincerassero di quanto stava accadendo. Ho visto Kasper l’ultima volta quando si è costituito al Ros nel 2009 per essere accompagnato a Regina Coeli. Mettiamola così. Kasper è un uomo intelligente ma anche molto avventuroso».

    Carlo Bonini
    23 marzo 2014
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    [Modificato da wheaton80 29/03/2014 00:58]
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    00 02/04/2014 00:27
    11 settembre. Le velocità impossibili



    di Massimo Mazzucco
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    00 24/04/2014 15:53
    Verso la fine della propaganda statunitense
    L'impero anglosassone si basa su un secolo di propaganda. È riuscito a convincerci che gli Stati Uniti sono "il Paese della libertà", e che si dedicano alle guerre solo per difendere i loro ideali. Ma la crisi attuale in Ucraina ha appena cambiato le regole del gioco: ormai Washington e i suoi alleati non sono più gli unici a parlare. Le loro menzogne sono apertamente contestate dal governo e dai mezzi di comunicazione di un altro grande Stato, la Russia. Nell'era dei satelliti e di internet, la propaganda anglosassone non funziona più


    Barack Obama parla bene. In realtà, il presidente Obama non scrive i suoi testi e passa le sue giornate a leggere sui suggeritori elettronici i discorsi scritti per lui. Nel frattempo, altri governano al suo posto

    Da sempre i governanti tentano di persuaderci circa la correttezza delle loro azioni, perché le folle non seguono gli uomini di cui si conosca appieno la cattiveria. Il XX secolo ha visto comparire nuove modalità di diffusione delle idee che non si fanno intralciare dalla verità. Gli Occidentali fanno risalire la propaganda moderna al ministro nazista Joseph Goebbels. È un modo per far dimenticare che l'arte di distorcere la percezione delle cose è stata precedentemente sviluppata dagli Anglosassoni. Nel 1916, il Regno Unito creò la Wellington House a Londra, seguita da Crewe House. Contemporaneamente, gli Stati Uniti crearono il Committee on Public Information (CPI). Considerando che la Prima Guerra Mondiale contrapponeva le masse e non più solo le forze armate, queste organizzazioni hanno tentato di intossicare la propria popolazione altrettanto quanto quelle dei loro alleati e dei loro nemici. La propaganda moderna inizia con la pubblicazione a Londra del Rapporto Bryce sui crimini di guerra tedeschi, che fu tradotto in trenta lingue. Secondo questo documento, l'esercito tedesco aveva violentato migliaia di donne in Belgio, e pertanto l' armata britannica lottava contro la barbarie. È stato scoperto alla fine della prima guerra mondiale che l'intera relazione era una bufala, composta di false testimonianze con l'aiuto di giornalisti. Da parte sua, negli Stati Uniti, George Creel inventò un mito secondo il quale la seconda guerra mondiale era una crociata delle democrazie per una pace volta a realizzare i diritti dell'umanità. Gli storici hanno dimostrato che la guerra mondiale rispondeva sia a cause immediate sia a cause profonde, delle quali la più importante era la competizione tra le grandi potenze per espandere i loro imperi coloniali. Gli uffici britannici e statunitensi erano organizzazioni segrete che lavoravano per conto dei loro Stati. A differenza della propaganda leninista, che aspirava a "rivelare la verità" alle masse ignoranti, gli anglosassoni cercavano di ingannarle per manipolarle. E per questo le agenzie statali anglosassoni dovevano nascondersi e usurpare delle false identità. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno trascurato la propaganda e le hanno preferito le Pubbliche Relazioni. Non si trattava più di mentire, ma accompagnare per mano i giornalisti affinché vedessero solo ciò che gli veniva mostrato. Durante la guerra del Kosovo, la NATO ricorse a Alastair Campbell, consigliere del primo ministro britannico, affinché raccontasse alla stampa una storia edificante al giorno. Mentre i giornalisti la riproducevano, l'Alleanza poteva bombardare "in pace". Lo story telling puntava meno a mentire quanto semmai a distrarre. Tuttavia, lo story telling è tornato in forze con i fatti dell'11 settembre 2001: si trattava di focalizzare l'attenzione del pubblico sugli attentati contro New York e Washington affinché non percepisse il colpo di Stato militare organizzato in quel giorno: il trasferimento dei poteri esecutivi del presidente Bush a un'unità militare segreta e gli arresti domiciliari di tutti i parlamentari.

    Questo avvelenamento avveniva particolarmente ad opera di Benjamin Rhodes, oggi consigliere di Barack Obama. Nel corso degli anni successivi, la Casa Bianca ha installato un sistema di intossicazione con i suoi alleati chiave (Regno Unito, Canada, Australia e naturalmente Israele). Ogni giorno questi quattro governi hanno ricevuto istruzioni o discorsi pre-scritti dall'Ufficio dei media globali per giustificare la guerra in Iraq o diffamare l'Iran. [1] Per la rapida diffusione delle sue bugie, Washington si è appoggiata, sin dal dal 1989, alla CNN. Nel corso del tempo, gli Stati Uniti hanno creato un cartello di catene d'informazione satellitari (Al-Arabiya, Al-Jazeera, BBC, CNN, France 24, Sky). Nel 2011, durante il bombardamento di Tripoli, la NATO giunse a sorpresa a convincere i libici che avevano perso la guerra e che era inutile resistere ancora. Ma nel 2012, la NATO non è riuscita a replicare questo modello e a convincere i siriani che il loro governo sarebbe inevitabilmente caduto. Questa tattica è fallita perché i siriani erano a conoscenza della manipolazione effettuata dalle televisioni internazionali in Libia e hanno potuto prepararsi [2]. E questo fallimento segna la fine dell'egemonia di questo cartello dell'«informazione». L'attuale crisi tra Washington e Mosca sull'Ucraina ha costretto l'amministrazione Obama a rivedere il proprio sistema. Infatti, Washington ora non è più la sola a parlare, deve contraddire il governo e i media russi, accessibili ovunque nel mondo via satellite e via internet. Il Segretario di Stato John Kerry ha perciò nominato un nuovo vice per la propaganda, nella persona dell'ex direttore di Time Magazine, Richard Stengel [3]. Ancor prima di prestare giuramento, il 15 aprile, stava già occupando il suo ufficio e, dal 5 marzo, ha inviato ai principali mezzi di comunicazione atlantisti una "Scheda documentata" sulle «10 contro verità» che Putin avrebbe enunciato sull'Ucraina [4]. Si ripeteva il 13 aprile con una seconda scheda che presentava «10 altre contro-verità» [5]. Ciò che colpisce nel leggere questa prosa è la sua inettitudine. Punta a convalidare la storia ufficiale di una rivoluzione a Kiev e screditare il discorso russo sulla presenza di nazisti nel nuovo governo. Tuttavia, ora sappiamo che in realtà più che di una rivoluzione, si trattava casomai di un colpo di Stato organizzato dalla NATO e attuato dalla Polonia e da Israele mescolando le ricette delle "rivoluzioni colorate" e delle "primavere arabe". [6]. I giornalisti che hanno ricevuto queste schede e le hanno ritrasmesse conoscevano perfettamente le registrazioni delle conversazioni telefoniche dell'Assistente del Segretario di Stato Victoria Nuland, sulla maniera in cui Washington avrebbe cambiato il regime a spese dell'Unione europea, e il ministro affari esteri estone Urmas Paets sulla vera identità dei cecchini di Maidan. Inoltre, hanno poi appreso le rivelazioni del settimanale polacco Nie sulla formazione - due mesi prima degli eventi - dei rivoltosi nazisti presso l'Accademia di polizia polacca. Quanto a negare la presenza di nazisti nel nuovo governo ucraino, equivale ad affermare che la notte è luminosa. Non è nemmeno necessario andare a Kiev, basta leggere gli scritti degli attuali ministri o ascoltare i loro propositi per constatarlo [7].

    In definitiva, se questi argomenti contribuiscono a dare l'illusione di un ampio consenso dei media atlantisti, non hanno alcuna possibilità di convincere i cittadini curiosi. Al contrario, è così facile con internet scoprire l'inganno che questo tipo di manipolazione non potrà che intaccare ancora un po' di più la credibilità di Washington. L'unanimità dei media atlantisti in occasione dell'11 settembre ha consentito di convincere l'opinione pubblica internazionale, ma il lavoro svolto da molti giornalisti e cittadini, di cui sono stato il precursore, ha dimostrato l'impossibilità materiale della versione ufficiale. Tredici anni dopo, centinaia di milioni di persone sono diventate consapevoli di queste menzogne. Questo processo potrà solo crescere dato il nuovo dispositivo di propaganda statunitense. In definitiva, tutti coloro che riamplificano gli argomenti della Casa Bianca, specie i governi e i media della NATO, distruggono da soli la propria credibilità. Barack Obama e Benjamin Rhodes, John Kerry e Richard Stengel hanno effetto solo a breve termine. La loro propaganda convince le masse solo per poche settimane e fa sì che si ribellino quando capiscono la manipolazione. Involontariamente, minano la credibilità delle istituzioni degli Stati della NATO che le ritrasmettono consapevolmente. Hanno dimenticato che la propaganda del XX secolo poteva avere successo solo perché il mondo era diviso in blocchi che non comunicavano tra loro, e che il suo principio monolitico è incompatibile con i nuovi mezzi di comunicazione. La crisi ucraina non è finita, ma ha già profondamente cambiato il mondo: nel contraddire in pubblico il Presidente degli Stati Uniti, Vladimir Putin ha compiuto un passo che ormai impedisce il successo della propaganda statunitense.

    NOTE
    [1] «Un réseau militaire d'intoxication», Réseau Voltaire, 8 dicembre 2003: www.voltairenet.org/article11497.html
    [2] «La NATO sta preparando una grande operazione di disinformazione», di Thierry Meyssan, Komsomolskaija Pravda, Rete Voltaire, 10 giugno 2012: www.voltairenet.org/article174595.html
    [3] «Il direttore di Time Magazine, nuovo capo della propaganda statunitense», Rete Voltaire, 16 aprile 2014: www.voltairenet.org/article183350.html
    [4] «Fiche documentaire du département d'État: 10 contre-vérités sur l'Ukraine», Réseau Voltaire, 5 marzo 2014: www.voltairenet.org/article183254.html
    [5] «Note aux médias du Département d'État: 10 contre-vérités russes à propos de l'Ukraine», Réseau Voltaire, 13 aprile 2014: www.voltairenet.org/article183326.html
    [6] «Ucraina: la Polonia ha addestrato i golpisti due mesi prima» di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 17 aprile 2014: www.voltairenet.org/article183357.html
    [7] «Chi sono i nazisti nel governo ucraino?», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 2 marzo 2014: www.voltairenet.org/article182477.html

    Questa "cronaca settimanale di politica estera" appare simultaneamente in versione araba sul quotidiano "Al-Watan" (Siria), in versione tedesca sulla "Neue Reinische Zeitung", in lingua russa sulla "Komsomolskaja Pravda", in inglese su "Information Clearing House", in francese sul "Réseau Voltaire"

    Thierry Meyssan, 19 aprile 2014
    «Sotto i nostri occhi», cronaca di politica internazionale n°78
    Traduzione di Matzu Yagi

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    00 01/06/2014 22:34
    Un impero senza strategia militare

    Gli Stati Uniti sono rimasti una "nazione indispensabile" solo nel discorso del presidente Obama. Il 28 Maggio, in occasione della consegna dei diplomi ai cadetti dell'Accademia Militare di West Point, il presidente Obama ha pronunciato un discorso importante nel quale ha esposto la sua dottrina strategica [1]. Com'era prevedibile, il presidente ha ricordato di aver mantenuto la sua promessa di rimpatrio delle truppe dispiegate in Afghanistan e in Iraq, e di essere riuscito ad eliminare Osama bin Laden. Ma ciò che egli ha presentato come un bilancio lodevole non lo è affatto: i G.I. sono tornati sfiniti dall'Afghanistan e sono fuggiti dall'Iraq prima che la resistenza popolare li cacciasse via. Il costo spaventoso di queste spedizioni - oltre i 1000 miliardi di dollari - ha fatto sì che il Pentagono non potesse più mantenere il suo arsenale. In quanto alla morte di bin Laden, non è altro che una favola per bambini: Osama bin Laden non c'entrava niente con gli attentati dell' 11 Settembre, ed era morto di malattia e sepolto nel Dicembre del 2001, come fu accertato dall'MI6 britannico [2]. Non si può che provare ammirazione di fronte alla capacità statunitense di perseverare nel raccontare una realtà immaginaria, seppur smentita da prove solide, e riuscire ad essere sempre incalzati dalla stampa atlantista. Nella sua allocuzione, il presidente ha descritto il suo paese come "una nazione indispensabile", la più potente tanto sul piano militare che economico. Eppure nessuna di queste due asserzioni è più veritiera oramai. Il 14 Maggio, il generale Martin Dempsey, presidente del Comitato dei capi di stato maggiore, riconosceva davanti all'Atlantic Council che le sue Forze Armate sarebbero state definitivamente sorpassate da lì a dieci anni se non si fosse attuato subito un gigantesco sforzo di rinnovamento [3]; uno sforzo improbabile visto le restrizioni budgetarie. Il Pentagono constata che il ritardo preso nella ricerca militare è probabilmente irreversibile. Le tecnologie militari di punta di Russia e Cina sono oramai più sviluppate di quelle degli Stati Uniti. È troppo tardi per risalire la china. La superiorità di facciata di Washington regge solo per il fatto che le sue truppe sono le uniche ad essere dispiegate in tutto il mondo. Si scelgono solo alcune aree di operazioni, che non siano né contro la Russia né contro la Cina, le quali vincerebbero in caso di Guerra Mondiale. Per quanto riguarda il lato economico, la maggioranza dei beni di consumo che si consumano negli USA sono fabbricati in Cina. Su queste premesse fantasmagoriche, secondo l'espressione del Washington Post che si limita a citare la relativa debolezza militare degli Stati Uniti [4], il presidente Obama ha annunciato che il suo paese non esiterebbe ad intervenire all'estero qualora i suoi interessi diretti fossero in pericolo, ma che si appellerebbe a coalizioni internazionali per affrontare problemi meno impellenti.

    Ha affermato che il pericolo immediato non è più la Russia, come lo è stato durante la Guerra Fredda, ma che il principale nemico è il terrorismo. Non importa dunque che la Crimea abbia aderito alla Federazione Russa. Washington non intende combattere malgrado ci veda un' "annessione" che viola gravemente il Diritto internazionale e non esiti a paragonare il presidente Vladimir Putin a Adolf Hitler. Soprattutto, dopo 13 anni di "lotta al terrorismo", Washington dice di avere eliminato i pochi fanatici che formavano la direzione internazionale di Al Qaeda, ma che il problema da affrontare oggi è molto più grave perché oramai sono tanti i gruppi affiliati ad Al Qaeda sparsi in quasi tutto il mondo. Questa "guerra senza fine" ha il vantaggio di autorizzare tutto. Appellandosi alla legittima difesa dal 2001, Washington si permette di violare la sovranità degli altri Stati per sopprimere o bombardare a suo piacimento ciò che vuole e quando vuole. Per mandare avanti questa guerra, il presidente Obama ha annunciato la creazione di un "Fondo di partenariato contro il terrorismo", alimentato da 5 miliardi di dollari. Con lo scopo di creare dei servizi di sicurezza degli Stati alleati. Chi potrà mai credere ad un programma del genere? Attualmente i terroristi vengono allenati in vari campi permanenti di Al Qaeda, situati nel deserto libico, paese occupato dalla NATO. Altri tre campi di Al Qaeda sono invece stabiliti a Şanlıurfa, Osmaniye e Karaman, in Turchia, paese membro della NATO [5]. I Siriani ricordano ancora la confessione rilasciata in televisione dall'emiro del Fronte Al Nosra (filiale di Al Qaeda) che aveva trasportato missili chimici da una base militare fino alla Ghouta di Damas. Secondo quest'uomo, non solo le armi gli erano state fornite da un esercito membro della NATO ma l'ordine di farne uso "sotto falsa bandiera" per giustificare un bombardamento statunitense in Siria era stato dato dagli Stati Uniti. Tredici anni dopo gli eventi dell' 11 Settembre 2001, chi può ancora credere che Al Qaeda sia il principale nemico della "nazione indispensabile" quando, in un discorso all'Università nazionale della Difesa del 28 Maggio 2013 [6], lo stesso Barack Obama affermava che gli elementi affiliati ad Al Qaeda erano "meno capaci" della loro casa madre? All'epoca, dichiarava che il pericolo si era attenuato e che gli Stati Uniti non dovevano più farne la loro priorità. Sempre a West Point, il presidente Obama ha aggiunto a proposito della Siria che bisogna "aiutare il popolo siriano a tener testa a un dittatore che bombarda e affama il proprio popolo" (sic!). Per questo Washington aiuterà "quelli che si battono per il diritto di tutti i Siriani ad essere artefici del proprio futuro" (da intendere: non i Siriani stessi che votano per eleggere il proprio presidente, ma solo coloro i quali sono pronti a collaborare con un governo coloniale formato dalla NATO). D'altronde, perché intervenire da soli in Siria? Perché "la guerra civile siriana dilaga fuori dai confini del paese, la capacità dei gruppi estremisti agguerriti a prenderci di mira non farà che aumentare". In altri termini, dopo aver incendiato la Siria, gli Stati Uniti potrebbero essere raggiunti dal fuoco che essi stessi hanno appiccicato. "Intensificheremo i nostri sforzi per sostenere i vicini della Siria - la Giordania e il Libano, la Turchia e l'Iraq - che gestiscono il problema dei rifugiati. Lavorerò con il Congresso per rafforzare il sostegno a chi nell'opposizione siriana offre la miglior alternativa ai terroristi e a un dittatore brutale.

    Inoltre continueremo a collaborare con i nostri amici ed alleati in Europa e nel mondo arabo per una soluzione politica a questa crisi e per far sì che questi paesi, e non solo gli Stati Uniti, si facciano carico di una parte equa dei mezzi di sostegno al popolo siriano", ha aggiunto. In altri termini, la Casa Bianca discute con il Congresso sul modo di sostenere le ambizioni personali dei membri della Coalizione nazionale. Secondo la stampa, Washington potrebbe fornire degli allenamenti militari negli Stati limitrofi e distribuire armi più competitive. Ora però:

    - Se Washington si mette a fornire allenamenti ed armi ai Collaboratori siriani, dovrà quindi ammettere di non averlo fatto su grande scala prima ed aver utilizzato principalmente mercenari stranieri nel contesto di Al Qaeda.
    - Se 250 000 mercenari jihadisti non sono stati capaci di rovesciare lo Stato siriano in questi ultimi tre anni, come potrebbero riuscirci pochi migliaia di Collaboratori della colonizzazione occidentale?
    - Perché gli Stati limitrofi, già impegnati in una guerra segreta, dovrebbero accettare di entrare in una guerra aperta contro la Siria, con i rischi che ciò implica per loro?
    - Quali armi più sofisticate si potrebbero fornire a questi Collaboratori del colonialismo che essi stessi non potessero utilizzare un giorno contro altri bersagli, come per esempio la supremazia aerea di Israele?
    - E, last but not least, sapendo che tutto ciò è oggetto di discussione da tre anni, quale novità ci permetterebbe di credere che questi interrogativi potessero trovare una risposta oggi?

    Il discorso di Obama è dettato dall'impotenza: si vanta di aver ritirato le sue truppe dall'Afghanistan e dall'Irak, e di aver assassinato un fantasma che, da un decennio già, non sopravviveva che nelle cassette registrate di Al Jazeera. Annuncia che intende combattere il terrorismo e proteggere ovunque. Dichiara che intende fornire un sostegno più efficace all' "opposizione siriana" ma scarica immediatamente ogni responsabilità sul Congresso (che si era opposto al bombardamento del paese durante la crisi delle armi chimiche) certo che questi si limiterà al minimo. I neodiplomati dell'Accademia militare di West Point non hanno dedicato nessuna standing ovation al presidente Obama. Questo discorso non è stato che uno sproloquio di facciata che tenta di mascherare l'irreversibile declino. Il pubblico sbalordito ha capito che è giunta la fine dei sogni di conquista. Contro ogni attesa, meno di un quarto dei 1064 neodiplomati dell'Accademia Militare di West Point ha applaudito il presidente mentre la maggior parte è rimasta di marmo. L'Impero sta morendo lentamente.

    Thierry Meyssan, 31 maggio 2014
    Traduzione a cura di Megachip

    Note
    [1] «Discours de Barack Obama à l'académie militaire de West Point», discorso di Barack Obama, Réseau Voltaire, 28 Maggio 2014: www.voltairenet.org/article184030.html
    [2] «Réflexions sur l'annonce officielle de la mort d'Oussama Ben Laden», di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 4 Maggio 2011: www.voltairenet.org/article169714.html
    [3] «Le Pentagone adopte la formule "2,2,2,1"», di Alfredo Jalife-Rahme, Traduzione francese a cura di Arnaud Bréart, La Jornada (México), Réseau Voltaire, 27 Maggio 2014: www.voltairenet.org/article183980.html
    [4] "PresidentObama'sforeignpolicyisbased on fantasy", editoriale della redazione del Washington Post, 2 Marzo 2014: www.washingtonpost.com/opinions/president-obamas-foreign-policy-is-based-on-fantasy/2014/03/02/c7854436-a238-11e3-a5fa-55f0c77bf39c_st...
    [5] "Israeligeneralsays al Qaeda'sSyriafighters set up in Turkey", da Dan Williams, Reuters, 29 Gennaio 2014. «Lettre ouverte aux Européens coincés derrière le rideau de fer israélo-US», da Hassan Hamadé, Réseau Voltaire, 21 Maggio 2014: www.reuters.com/article/2014/01/29/us-syria-crisis-turkey-israel-idUSBREA0S18X...
    [6] «Discours de Barack Obama à la National DefenseUniversity», discorso di Barack Obama, Réseau Voltaire, 28 Maggio 2013: www.voltairenet.org/article184042.html

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    [Modificato da wheaton80 01/06/2014 22:35]
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    00 03/06/2014 00:45
    11 Settembre 2001: il NIST ha mentito

    Periodicamente, come sapete, vi informo dei lavori del Consensus Panel (qui troverete tutti i materiali di documentazione cui faccio riferimento in questo post: www.consensus911.org/it/). Per dirvi, questa volta, che ci sono le prove che il NIST (National Institute for Standards and Technologies) ha mentito. E non una volta sola. Si tenga presente che il NIST è l’istituzione pubblica che, unica, ha avuto l’incarico dal governo americano di effettuare le analisi delle cause dei crolli che si sono susseguiti nel World Trade center l’11 settembre 2001. Ricordo qui la prima “stranezza”: il governo incarica un organo governativo tecnico di fare un’indagine in cui è implicato il governo stesso. E si limita a questo solo incarico, evitando accuratamente che altri enti, non direttamente dipendenti dal governo, ficchino il naso nelle questioni spinose. Ma questo è un dettaglio. Veniamo al dunque e il dunque, emerso recentemente, è questo. Le affermazioni del Nist, secondo cui non sarebbe stato possibile esaminare le caratteristiche strutturali dell’acciaio del WTC-7, in quanto non sarebbero stati trovati reperti dell’acciaio del WTC-7, sono false. Ricordo a chi non lo sapesse, che l’allora sindaco di New York, Rudolph Giuliani, d’accordo con le autorità nazionali, organizzò una spettacolarmente rapida ripulitura del gigantesco cumulo di macerie, facendo in modo che tutte le tracce dell’evento sparissero il più presto possibile, e dunque risultassero impossibili ulteriori investigazioni. Ricordo anche, sempre a chi se lo fosse dimenticato, che nelle oltre 500 pagine del “9-11 Commission Report”, non c’è il minimo cenno all’elefantiaco “dettaglio” del crollo del WTC-7, la infausta terza torre, crollata senza essere stata colpita da nessun aereo, alle 17:20 circa dello stesso, tragico, giorno. Dunque il NIST non è in grado di fare un’analisi metallografica dell’acciaio, perché – afferma (affermazione ripetuta numerose volte, in diversi papers) – che non si trovano più i reperti dell’acciaio, frettolosamente esportati in Cina per essere fusi lontano da occhi indiscreti. Una tale analisi sarebbe stata cruciale per sostenere, o impugnare, la stessa tesi del NIST, secondo cui il WTC-7 sarebbe crollato per indebolimento delle strutture d’acciaio dell’edificio a causa di un furioso incendio. Ma non entriamo qui nel merito della versione (una delle versioni) del NIST. Qui si tratta di vedere se il NIST ha detto la verità. Ebbene: ha mentito. Lo dimostrano ben sei prove:

    La prima viene dal Worcester Polytechnik Institute, e risale allo stesso 2001 attraverso le pagine del Journal of Mineral, Metals and Material Society (JOM), dove si può leggere che tre ricercatori, J.R. Barnett, R.R. Biederman, and R.D. Sisson, Jr., effettuarono in quell’anno una “Initial Microstructural Analysis of A36 Steel WTC Building 7,” (JOM , 53(12), 2001, p. 18). Dunque il Nist non trovò l’acciaio. E la Commissione Ufficiale gli credette, ma I tre scienziati, invece, trovarono i reperti e perfino li analizzarono accuratamente.

    La seconda prova viene da un’agenzia del governo, una delle più importanti agenzie della sicurezza nazionale degli Usa, la Fema, Federal Emergency Management Agency. La quale, nel 2002, ammette di conoscere l’analisi dei tre professori di cui sopra. Ma la Commissione Ufficiale, invece, non se ne accorge, sebbene sia stata istituita proprio per indagare sui quei fatti e stia, in quei mesi, lavorando.

    La terza prova è confermata dal Prof. Jonathan Barret (che è autore dello studio della Fema appena citato), il quale la riporta in luce sei anni dopo, in un documentario della Bbc del 2008.

    La quarta prova viene ancora da quel rapporto della Fema, dove si scopre – leggendolo con più attenzione che nel passato – che c’era un’appendice (appendice D) dove si parlava estesamente di pezzi di metallo fuso estratti dalle macerie del WTC-7, accompagnando l’analisi con una foto di un pezzo di colonna di quell’edificio con travi ancora agganciate a due piani.

    La quinta prova emerge nel 2005, tre anni dopo la prima menzogna, quando un altro studio del Nist (la mano destra non si ricorda quello che ha scritto la mano sinistra) fa riferimento ad “acciaio proveniente del WTC-7.” Cioè il Nist del 2005 smentisce il Nist del 2002.

    Infine nel 2012 emerge la sesta prova. Un documento, pubblicato in base al Freedom of Information Act (Foia) , permette di vedere diverse fotografie in cui John Gross sta esaminando frammenti di acciaio del WTC-7. Basterà notare che John Gross fu uno degli autori principali del rapporto del Nist che attribuì all’incendio le cause del collasso verticale, in caduta libera, del WTC-7.

    Ora, in un paese normale, questo basterebbe per riaprire l’inchiesta, poiché le conclusioni del “9/11 Commission Report” si basarono sui dati di una relazione menzognera. Un’analisi metallografica dell’acciaio avrebbe dimostrato che nessun furioso incendio sarebbe stato in grado di “ammorbidire” la struttura portante di un grattacielo di 47 piani, al punto tale da farlo letteralmente afflosciare a terra in pochi secondi, verticalmente, dritto come un fuso. Ma non si troverà, negli Stati Uniti, un giudice inquirente disposto a incriminare il bugiardo John Gross. Eppure c’è ancora gente che continua a credere che gli asini volano. E’ per questo che, da allora, passiamo di guerra in guerra.

    Giulietto Chiesa
    2 giugno 2014
    www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/02/11-settembre-2001-il-nist-ha-mentito/...
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    00 12/06/2014 23:32
    L’elite globalista incontra ostacoli imprevisti nel suo progetto di dominio mondiale

    Il progetto di dominio mondiale teorizzato dagli strateghi neocon [1] di Washington ha trovato nell’ultimo periodo alcuni ostacoli imprevisti che rischiano di insidiare il sogno del nuovo ordine mondiale tenacemente perseguito dall’elite mondialista. La strategia elaborata negli anni ’90 e messa in atto in Medio Oriente da Washington e Tel Aviv, sostanzialmente aveva come obiettivi:

    1) Il rovesciamento dei regimi ostili agli interessi degli americani e di Israele, alcuni mediante intervento diretto (Iraq, Libano, Libia, Afghanistan) altri mediante sobillazione ed infiltrazione di mercenari ed agenti provocatori (Siria,Tunisia, Sudan, Yemen )

    2) La destabilizzazione dei paesi più forti del mondo arabo islamico mediante l’esasperazione dei conflitti religiosi, confessionali ed etnici in modo da arrivare ad una scomposizione delle nazioni come l’Iraq, la Siria e un domani l’Iran. Questo per rendere Israele arbitro assoluto del M.O. e potenza militare predominante nell’area ed ottenere il controllo degli Stati Uniti sull’area delle maggiori risorse energetiche mondiali.

    Gli strateghi americani e sionisti non avevano previsto la forte resistenza incontrata dal popolo e dall’Esercito Arabo Siriano ed il sostegno che questi ha ricevuto da Hezbollah, Iran e l’appoggio determinante della Russia. Grazie a questa forte resistenza i siriani hanno mandato a monte la creazione in Siria di uno stato islamico d’ispirazione saudita e la possibile suddivisione del paese tra una parte sunnita, una in mano ai curdi ed una terza quale zona cuscinetto ai confini di Israele. Un progetto chiaramente fallito nonostante i milioni di dollari profusi da USA, Francia, Regno Unito ed Arabia Saudita, nell’aiuto alle organizzazioni dei ribelli, le centinaia di tonnellate di armamenti inviati e i circa 180.000 mercenari stranieri (molti addestrati dalla CIA) fatti infiltrare nel paese attraverso Turchia e Giordania. Il popolo siriano si è pronunciato nelle ultime elezioni presidenziali, accorrendo in massa ai seggi, nonostante i tentativi occidentali di ostacolare e scoraggiarne l’afflusso, rieleggendo con un plebiscito il presidente Bashar al-Assad alla Presidenza dello Stato Arabo Siriano. La massiccia propaganda mediatica fatta dai media occidentali e da quelli filo-sauditi e del Qatar per deformare gli avvenimenti non ha potuto nascondere alla fine, dopo tre anni di guerra, la realtà del conflitto caratterizzato dall’aggressione contro la Siria patrocinata dalle potenze occidentali con la complicità di sauditi e governo turco (una realtà ben diversa dalla presunta guerra civile descritta dai media occidentali). Un effetto del conflitto siriano è stata l’espansione del terrorismo anche al Libano ed all’Iraq, con sviluppi imprevisti in questi ultimi giorni quando le formazioni terroriste, EIL, provenienti dalla Siria e legate ad Al Qaeda, dopo mesi di attacchi terroristici, hanno preso piede in Iraq espugnando le roccaforti irachene ed impadronendosi di Falluja e di Mosul, la seconda città del paese. Da notare che i terroristi che stanno operando in Iraq oggi utilizzano le stesse armi che gli sono state fornite dai paesi occidentali per rovesciare il regime di al-Assad.

    Per non parlare di come l’intervento occidentale ha ridotto la Libia, da paese prospero e stabile, in una terra di nessuno dove hanno buon gioco bande terroriste e signori della guerra a combattersi in campo aperto per il predominio nel paese. Questi i fantastici successi delle operazioni umanitarie fatte da USA e NATO nei paesi dove sono intervenuti per “ristabilire la democrazia”. Tutto questo non ha giovato al prestigio della politica americana in Medio Oriente ed in ogni parte del Mondo: tutti i paesi hanno compreso che l’atteggiamento bellicista ed aggressivo degli USA può prima o poi può rivolgersi contro il proprio stato e la propria nazione quando ci sono in gioco interessi economici e strategici. Una lezione che hanno iniziato a capire anche i paesi emergenti dall’Asia all’America Latina, molti dei quali si stanno organizzando in modo autonomo (vedi alleanza del gruppo Alba in America Latina). L’altro grande passo falso che gli strateghi statunitensi hanno commesso, sottovalutando le reazioni della Russia, è avvenuto in Europa, precisamente in Ucraina, un paese dagli equilibri delicati. La crisi in Ucraina con l’intervento, neanche tanto sotterraneo di Stati Uniti, Unione Europea e NATO, per favorire un golpe nel paese con il rovesciamento di un governo legittimo, per installare un governo fantoccio con a capo un banchiere, legato a Washington e ai potentati finanziari e mondialisti, per attirare il paese nell’orbita occidentale e sfruttarne le potenziali risorse e la posizione strategica in funzione anti russa. Questo ha determinato un forte reazione russa con l’annessione della Crimea, a seguito di referendum tra la popolazione, prima di una possibile presa di possesso delle forze filo USA e NATO della penisola, con estromissione dei russi dalla base di Sebastopoli. Gli americani avevano già pronto il piano per entrare con una flotta nel Mar Nero e prendere sotto i loro controllo le basi ma, ingenuamente, avevano sottostimato la prontezza di reazione di Putin che ha scompaginato i loro piani. Attualmente il nuovo governo di Kiev, appoggiato dalla NATO e con l’ausilio di mercenari USA, sta conducendo una operazione punitiva contro le province filorusse ribelli dell’Est del paese, con tanto di bombardamento sulle aere civili e massacro di persone inermi. Anche in questo caso, il massiccio ricorso alla manipolazione mediatica, potrà soltanto per poco mascherare la realtà di quello che sta accadendo ed una possibile accusa di crimini contro l’umanità si profila contro i dirigenti del governo fantoccio di Kiev ed emergeranno le responsabilità di chi lo appoggia (Stati Uniti e Unione Europea).

    Nella Russia di Putin gli americani ed i loro servili alleati dell’Unione Europea, hanno trovato non soltanto un ostacolo ma qualche cosa di più. Vladimir Putin ha dimostrato di aver compreso molto bene che l’avanzata occidentale in Ucraina, cui fa da corollario il dispiegamento di basi e forze militari nei paesi dell’Est Europa dal Baltico alla Bulgaria, non è limitata soltanto al livello militare ed economico, si tratta di una aggressione contro l’integrità dello stato russo, la identificazione di questo con la tradizione spirituale e culturale della Grande Madre Russia, la sua connotazione identitaria, il suo rifiuto del progetto mondialista e delle sue implicazioni con la negazione dei valori tradizionali, la famiglia, la spiritualità, i valori etici, la tradizione cristiana e ortodossa della Chiesa russa. Tutti valori che in Occidente e nell’unione Europea si vogliono sostituire con il relativismo morale, con la legalizzazione dei matrimoni gay, con la liberalizzazione totale dell’aborto, con l’eutanasia libera (applicata anche ai bambini come in Belgio) con il feticcio della società aperta e multiculturale. Le forze mondialiste non possono tollerare un Putin che fa dei discorsi pubblici come quello tenuto a Valdai ed in altre occasioni, ove lo stesso Putin, riferendosi all’Occidente ha testualmente dichiarato:“Ci siamo lasciati alle spalle l’ideologia sovietica senza ritorno, ma nello stesso tempo non ci ispiriamo al liberalismo occidentalista […]. Una neo-barbarie morale bussa alle porte e vuol distruggere le Patrie mediante la depravazione morale, soprattutto la parificazione della famiglia tradizionale e naturale con le coppie omosessuali, la perdita di fede in Dio e la credenza in satana. Occorre difendere i valori naturali e tradizionali […]. Ogni Stato deve avere forze militari, tecnologiche ed economiche, ma quel che conta soprattutto è la forza morale, intellettuale e spirituale dei suoi cittadini. Il tragico passato dell’Urss è stato dovuto soprattutto alla mancanza di valori morali e spirituali […]. Bisogna tornare alla mentalità della responsabilità verso se stessi, verso la società e il diritto; se non sapremo uscire dalla attuale crisi morale e spirituale non ci risolleveremo”. Questo spiega la strategia aggressiva delle forze mondialiste contro il governo di Putin, un governo che legifera a favore della famiglia, contro le unioni omosessuali, per l’incremento della natalità, contro l’aborto e la pornografia libera.

    Questo non gli viene perdonato e si scatenano contro di lui le varie organizzazioni finanziate dai vari Soros, come le Femen, con le manifestazioni di protesta sobillate a Mosca, dove più della metà dei partecipanti sono agenti della CIA e delle varie ONG finanziate dall’Occidente che manifestano con il pretesto di “violazione dei diritti umani” ed atre amenità, accusando Putin di essere un tiranno ma dimenticandosi che questi ha ottenuto l’appoggio alla sua politica dalla stragrande maggioranza dei cittadini russi anche grazie ad uno sviluppo economico del paese che non ha precedenti negli ultimi 30 anni e che ha notevolmente migliorato il livello di vita dei cittadini. Putin è in questo momento il principale ostacolo al progetto del NWO, visto che è la Russia il paese che appoggia l’asse della resistenza in Medio Oriente (Siria -Iran-Hezbollah) e che, assieme alla Cina, sostiene i paesi che cercano di affrancarsi dal dominio economico, militare e finanziario degli Stati Uniti e dell’Occidente in Asia come in America Latina. Ci saranno altri tentativi, oltre quello di infiltrazione dall’interno, per abbattere l’ostacolo e possiamo essere sicuri che i mondialisti non risparmieranno qualsiasi operazione, anche la più spregiudicata, con il reale rischio di un conflitto nucleare, pur di abbattere l’ostacolo oggi rappresentato da Vladimir Putin.

    Note
    [1] www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&view=article&id=295720:netanyahu-neoconservatorismo-a-neosionismo&catid=83:free&Itemi...

    Luciano Lago
    www.controinformazione.info/lelite-globalista-incontra-ostacoli-imprevisti-nel-suo-progetto-di-dominio-mondiale/#m...
    [Modificato da wheaton80 12/06/2014 23:32]
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    Un think tank statunitense rivela come gli USA hanno inventato la “primavera araba”

    Un documento rilasciato da un think tank statunitense rivela che la “primavera araba” è ben lungi dall’essere un movimento spontaneo di persone desiderose di un cambiamento politico, ma piuttosto una deliberata e orchestrata riconfigurazione da parte dell’amministrazione statunitense. L’organizzazione Middle East Briefing (MEB), basandosi su un rapporto ufficiale del dipartimento di Stato statunitense conferma il coinvolgimento della Casa Bianca nelle “rivoluzioni” che hanno scosso molti Paesi del Medio Oriente e Nord Africa. Il documento del 22 ottobre 2010 intitolato “Middle East Partnership Initiative: Panoramica“, è riservato ma MEB ha potuto visionarlo tramite il Freedom of Information Act. La terra dello Zio Sam ha ideato nei suoi uffici le tante strategie per sconfiggere i regimi nei Paesi mirati, basandosi sulla “società civile”controllata tramite il lavoro profondo delle organizzazioni non governativa (ONG). L’approccio statunitense è manipolare le ONG allineandole alla sua politica estera e ai suoi obiettivi riguardo la sicurezza interna, osserva MEB. “Il Middle East Partnership Initiative (MEPI) è un programma regionale che rafforza i cittadini del Medio Oriente e Nord Africa sviluppando società pluraliste, partecipative e prospere. Come dimostrato dai dati forniti in tale valutazione, il MEPI fu avviato nel 2002 per divenire uno strumento flessibile regionale per trarre un sostegno diretto dalle società civili indigene alla diplomazia del governo degli Stati Uniti nella regione“, si può leggere nella relazione del dipartimento di Stato che usa e abusa del linguaggio diplomatico per mascherare la natura egemonica di tale iniziativa. Nella sezione intitolata “Come funziona il MEPI” viene chiaramente spiegato come i principali obiettivi del MEPI siano “costruire reti di riformatori che condividano conoscenze e si aiutino a vicenda, catalizzando il cambio nella regione“.

    La sovversione finanziata dalle ambasciate statunitensi
    L’amministrazione Obama non lesina sui mezzi della sua ingerenza negli affari interni dei Paesi mirati. Le sovvenzioni locali “forniscono un sostegno diretto ai gruppi indigeni che ora rappresentano più della metà dei progetti del MEPI“, osserva il rapporto. “Agenti designati dalle ambasciate statunitensi gestiscono finanziamenti e collegamenti con vari ONG e gruppi della società civile” beneficianti di tali sovvenzioni. “I progetti specifici nei Paesi sono volti a soddisfare le esigenze di sviluppo locale, individuate dalle ambasciate, dai riformatori locali e dalla nostra analisi sul campo. Gli sviluppi politici in un Paese possono portare a nuove opportunità e nuove sfide nel raggiungimento degli obiettivi politici del governo degli Stati Uniti, e il MEPI trasferirà i fondi per soddisfare tali esigenze“, dice ancora. Va da sé che i promotori di tale programma sabotano le istituzioni e i governi locali. Viene infatti indicato che il MEPI ha interlocutori solo tra gli attori della società civile attraverso le ONG interessate negli Stati Uniti e nella regione. “Il MEPI non finanzia governi stranieri e non negozia contratti di assistenza bilaterale“, dice il rapporto. Secondo il MEB, il documento stabilisce un elenco di Paesi prioritari da colpire secondo gli obiettivi della dirigenza statunitense. Sono Yemen, Arabia Saudita, Tunisia, Egitto e Bahrayn. Libia e Siria furono aggiunti un anno dopo la redazione della relazione del dipartimento di Stato. Sull’Egitto si apprende che il governo degli Stati Uniti contattò i Fratelli musulmani considerati compatibili con la politica estera del governo statunitense. L’amministrazione Obama prevede anche un “servizio post-vendita” di tali “rivoluzioni” volte a ridisegnare il “Grande Medio Oriente” secondo la visione statunitense. L’ufficio del coordinatore speciale della transizione in Medio Oriente fu fondato nel settembre 2011. William B. Taylor ne fu nominato a capo. Il diplomatico sapeva di rivoluzioni dato che fu l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina durante la “rivoluzione arancione” del 2006-2009. Secondo il rapporto del dipartimento di Stato, l’Ufficio del coordinatore speciale della transizione nel Medio Oriente coordina l’assistenza del governo degli Stati Uniti presso le “democrazie emergenti” in Medio Oriente e Nord Africa, tra cui Egitto, Tunisia e Libia.

    Documento del Middle East Briefing (MEB): mebriefing.com/?p=789

    Sonia Baker, Algérie Patriotique – Tunisie Secret 14 giugno 2014
    Traduzione di Alessandro Lattanzio
    aurorasito.wordpress.com/2014/06/16/un-think-tank-statunitense-rivela-come-gli-usa-hanno-inventato-la-primaver...
    [Modificato da wheaton80 18/06/2014 04:20]
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    wheaton80
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    00 22/07/2014 19:00
    Usa, Fbi sotto accusa: pagava i musulmani per fare gli attentati

    Washington - L’Fbi ha incoraggiato, e qualche volta anche pagato, musulmani americani per commettere atti terroristici all’interno di numerose operazioni sotto copertura realizzate dopo l’11 settembre. È la denuncia contenuta in un rapporto di Human Rights Watch secondo cui le tattiche dell’Fbi non rappresentano solo «un abuso, ma risultano anche controproducenti». In molti dei 500 casi di terrorismo giudicati nei tribunali americani dopo l’11 settembre del 2001, «il dipartimento di Giustizia e l’Fbi hanno coinvolto musulmani americani in operazioni antiterroristiche clandestine, in modo che rappresenta un abuso, fondato sull’appartenenze religiosa ed etnica», si legge nel rapporto. Realizzato in collaborazione con il dipartimento di Risorse Umane della Columbia University, il documento ha esaminato 27 casi, dalle indagini al processo. «Agli americani è stato detto che il governo avrebbe garantito la loro sicurezza con azioni preventive e perseguendo atti di terrorismo negli Usa», ha detto Andrea Prasow, vice direttore per HRW a Washington. «Ma ad un esame più attento risulta che molte di queste persone non avrebbero mai commesso un crimine se non incoraggiati dalle forze dell’ordine, sotto pressione e, a volte, anche dietro pagamento». Nei casi esaminati, metà delle condanne risultano da operazioni sottocopertura e nel 30 per cento di quei casi, gli agenti infiltrati avevano un ruolo diretto nel complotto. Il rapporto quindi cita il caso di quattro musulmani di Newburgh, New York, accusati di pianificare attentati in sinagoghe e in una base militare americana. Il giudice di quel caso «ha detto che è stato il governo a denunciare il crimine, ha fornito le prove e ha rimosso tutti gli ostacoli e, durante il processo, ha trasformato in terrorista un buffone di dimensioni shakespeariane». Secondo HRW, spesso l’Fbi prendeva di mira anche persone vulnerabili, con problemi mentali o un quoziente intellettivo molto basso. E cita il caso di Rezwan Ferdaus, condannato a 17 anni di reclusione con l’accusa di voler attaccare il Congresso e il Pentagono con mini-droni caricati di esplosivo. Un agente dell’Fbi ha detto al padre del condannato che il figlio «evidentemente» aveva problemi mentali, ma questo non ha impedito a un agente sotto copertura di organizzare il complotto. «Il governo Usa dovrebbe smettere di trattare i musulmani americani come dei terroristi-in attesa», conclude il rapporto.

    22 luglio 2014
    www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2014/07/21/AR0nk4JB-attentati_pagava_musulma...
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