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Brexit, Gran Bretagna fuori dalla UE: esulta Farage, Cameron si dimette

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    wheaton80
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    00 24/06/2016 11:34

    Il Regno Unito è fuori dalla Comunità Europea, almeno secondo il popolo britannico consultato ieri tramite referendum. Il “Leave”, dato per spacciato dai primi Exit Poll, ha invece staccato di quasi quattro punti percentuali gli europeisti (51,9% a 48,1%). Ora inizia l’iter parlamentare e l’eventuale uscita concordata con l’UE, che avverrà secondo i trattati. Presto Cameron parlerà in conferenza stampa, mentre arrivano i complimenti della politica “euroscettica”: Marine Le Pen e Salvini festeggiano e si augurano Frexit e Italexit. Intanto la stampa inglese si scatena, al Sun va la palma del titolo più graffiante:



    Cameron ha annunciato in conferenza stampa le dimissioni da Primo Ministro inglese:“Il Regno Unito ha bisogno di una nuova leadership per contrattare l’uscita dall’Europa. È una decisione sofferta, che ho preso nelle ultime ore. Il referendum non era sulla leadership, ma solo sull’adesione all’Europa. Tuttavia adesso il Paese ha bisogno di stabilità”. Parla anche Tony Blair ai microfoni di Sky: “Il Regno Unito perde un grande mercato, come quello europeo”.

    24 giugno 2016
    www.opinione-pubblica.com/brexit-gran-bretagna-fuori-d...
    [Modificato da wheaton80 24/06/2016 11:36]
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    wheaton80
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    00 24/06/2016 17:45
    Brexit. Perché non è una vittoria delle xenofobie



    Infranto il "dogma" Unione Europea. Rifilato un sonoro schiaffo ai "chierici" dell'europeismo sempre e comunque, alle vestali del "ci vuole più Europa". Il risultato indebolisce - in prospettiva futura - anche il "terrorismo" mediatico, che puntualmente, con tutto il bagaglio catastrofista, viene sparso a piene mani in occasione di ogni appuntamento elettorale che coinvolge l'UE: il sole è sorto anche oggi e Londra non è sprofondata nell’Atlantico. Dato su cui riflettere: il "leave" vince con alte percentuali nelle zone di maggiore sofferenza sociale ed economica, in zone operaie e di voto tradizionalmente di sinistra. Vince, quindi, tra le vittime della restaurazione liberale e dell'offensiva del Capitale. Lasciamo alle destre razziste la critica all'Unione Europea del massacro sociale e della guerra?

    Diego Angelo Bertozzi
    24/06/2016
    www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=16254
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    00 24/06/2016 18:27
    Cambia la storia d'Europa e del mondo grazie al popolo britannico. E' un grande giorno per la Libertà e l'Indipendenza

    LONDRA - Dopo un testa a testa nella notte, il referendum della Brexit si trasforma in quello che temevano i pro-Bruxelles, con i britannici che scelgono il "Leave", scelgono cioé di lasciare l'Unione Europea con il 52% dei voti contro il 48% dei "Remain". La vittoria è ufficiale: come riportato dalla BBC, la distanza tra i due schieramenti è di un milione di voti circa e anche se il conteggio dei voti non è terminato in tutte le sezioni, è stato superato il quorum di 16,8 milioni di voti, necessario a determinare l'esito della tornata referendaria. Alla chiusura dei seggi - con un'affluenza del 71,8% e più di 30 milioni di persone chiamate a esprimere il loro parere - i primi opinion poll di YouGov davano i favorevoli alla Brexit in svantaggio: poi nella notte, con la conta effettiva dei voti, l'inversione di rotta e il trionfo degli scettici. Non si è trattato, tuttavia, di un voto omogeneo, con Londra e la Scozia che hanno fortemente votato a favore della permanenza in Europa contro, tuttavia, il resto del Paese, in primis nord Inghilterra e Galles, a favore della Brexit.

    Indipendence Day
    Lo aveva detto anche alla vigilia:"Sarà il nostro Independence Day", e lo ha ripetuto:"La vittoria rappresenta il nostro nuovo Indipendence Day". Il primo ad esultare è il leader dell'UKIP, Nigel Farage, che ha espresso la sua soddisfazione prima dei risultati definitivi:"Sarà una vittoria per le persone reali, una vittoria per la gente comune, una vittoria per la gente per bene. Abbiamo combattuto contro le multinazionali, contro le grandi banche d'affari, contro la grande politica, contro la menzogna, la corruzione e l'inganno. Ora possiamo cantare con fierezza il nostro inno senza che Bruxelles ci dica che abbiamo sbagliato".

    Esultano gli euroscettici
    "Hurrah per i britannici. Ora è il nostro turno. E' tempo per un referendum olandese", ha scritto su Twitter il leader degli euroscettici olandesi, Geert Wilders, invocando una "Nexit". Lo stesso fa Marion Le Pen, che scrive "Vittoria" sul social, aggiungendo che ora bisogna pensare alla "Frexit": "E’ ormai tempo di importare la democrazia nel nostro Paese. I francesi devono avere il diritto di scegliere". "Evviva il coraggio dei liberi cittadini! Cuore, testa e orgoglio battono bugie, minacce e ricatti", esulta Matteo Salvini su Twitter, ringraziando la Gran Bretagna e aggiungendo:"Ora tocca a noi".

    Cameron
    Alla vigilia del voto il Primo Ministro David Cameron aveva rassicurato tutti che sarebbe rimasto al suo posto anche in caso di Brexit. Questa mattina diversi media britannici riferiscono che l'inquilino di Downing Street starebbe pensando di dimettersi, anche se non immediatamente, almeno stando a fonti dei conservatori citati dai media britannici.

    Le reazioni dei pro-UE
    "Maledizione, un brutto giorno per l'Europa", ha twittato il vice ancelliere tedesco Sigmar Gabriel. "Per favore ditemi che sto ancora dormendo e che tutto questo è solo un brutto incubo", ha twittato l'ex Premier europeista finlandese Alexander Stubb, aggiungendo che "queste cose avanzano in tre stadi: crisi, caos e soluzione non ottimale, non so dove siamo a questo stadio".

    Contraccolpo sui mercati
    Borse asiatiche tutte in profondo rosso, con il Nikkei che a 30 minuti dalla chiusura è vicino al -8%. Il Ministro delle Finanze giapponese, Taro Aso, ha già detto che è pronto ad agire sui mercati valutari "se sara' necessario", dicendosi preoccupato "per i rischi sull'economia mondiale e sui mercati finanziari". Forte risalita per l'oro, in risalita al momento dell'8% fino a 1.359 dollari l'oncia.

    24 giugno 2016
    www.ilnord.it/c4915_CAMBIA_LA_STORIA_DEUROPA_E_DEL_MONDO_GRAZIE_AL_POPOLO_BRITANNICO_E_UN_GRANDE_GIORNO_PER_LIBERTA_E_LINDI...
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    wheaton80
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    00 29/06/2016 02:17
    La vera catastrofe post Brexit: i 400 più ricchi al mondo hanno perso 127 miliardi

    Per tutti coloro che hanno lanciato anatemi da fine del mondo imminente e minacce di ogni sorta contro la Brexit, inclusi i seguaci di George Soros italiani, come il vice-direttore del Fatto Quotidiano Stefano Feltri e la stampa italiana tutta, un dato interessante è emerso dal crollo dei mercati di ieri, che non è stato sottolineato a sufficienza: Londra è stata di gran lunga la migliore tra le borse europee. Non doveva essere il Regno Unito a temere di più la Brexit? Come sottolinea il blog finanziario Zero Hedge (http://www.zerohedge.com/news/2016-06-25/real-brexit-catastrophe-worlds-400-richest-people-lose-127-billion), in un mondo “in cui le banche centrali stanno cercando in tutti i modi di svalutare la propria moneta per acquisire competitività nel commercio mondiale, un collasso della sterlina è esattamente quello che la Banca d'Inghilterra deve auspicarsi per rilanciare l'economia inglese”. Quello che abbiamo visto venerdì è che chi perderà di più dalla Brexit non sarà il Regno Unito, ma l'Unione Europea. Ma chi sarà che perderà di più nello specifico? I dati pubblicati da Bloomberg sono eloquenti nella risposta (http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-06-24/world-s-400-richest-people-lose-127-billion-on-brexit-chart). I 15 cittadini britannici più ricchi hanno perso 5,5 miliardi. Il più ricco, Gerald Grosvenor, ha perso un miliardo, secondo il Bloomberg Billionaires Index. Ma, nello specifico, Bloomberg aggiunge che i 400 più ricchi al mondo hanno perso venerdì 127,4 miliardi. Nel complesso, i miliardari tycoon hanno perso il 3.2 percento del loro patrimonio complessivo; il più sfortunato è l'uomo più ricco d'Europa, Amancio Ortega, con oltre 6 miliardi di dollari di perdite. Quando George Soros minacciava ogni giorno, fino a giovedì, "Il Brexit vi renderà più poveri”, in realtà stava dicendo "mi renderà più povero”. Il famoso 1%, anzi lo 0,01%, dell'oligarchia al potere, si sta impoverendo per la decisione sovrana e democratica inglese. Un'altra notizia positiva della Brexit è che potrebbe migliorare la drammatica disuguaglianza sociale europea.

    25/06/2016
    www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=16274
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    wheaton80
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    00 05/07/2016 20:59
    Tranquilli, il Brexit è irreversibile. Lo dice il Barone di Richmond

    Come? Il popolo vota “Leave”, e si dimette il Premier Cameron, si ritira Boris Johnson, e adesso se ne va anche Nigel Farage? “Da qui se ne vanno tutti”, come dice una canzoncina. Un mio lettore mi scrive nel panico:“Il Brexit sarà una catastrofe; chi guiderà la Gran Bretagna?”. Panico comprensibile in un italiano, che non sa cosa sia una classe dirigente nazionale, un’aristocrazia capace di garantire la “continuity of government” da cinque secoli in qua. Di fronte a quello che controlla silenzioso il Regno Unito, qualunque altro “stato profondo” è una superficiale imitazione. Lì, si può grosso modo identificare con i “Lord” e con “Buckingham Palace”, con l’MI6, sempre gestito da un Pari (mai che ci mettano un plebeo), con il Rito Scozzese legittimista e fedelissimo alla Corte. Di rado questo stato profondo si manifesta. Stavolta s’è manifestato. Con una colonnina scritta sul Telegraph da Sir William Hague, Barone Hague di Richmond, con un seggio ereditario alla camera dei Lord, da sempre Ministro degli Esteri della monarchia. Titolo:“We Conservatives Are All Leavers Now. We Must Unite to Build a New and Better Britain”. Traduzione:“Noi Tories siamo tutti per il Brexit, adesso. Dobbiamo unirci per costruire una Gran Bretagna nuova e migliore”. (http://www.telegraph.co.uk/news/2016/07/04/we-conservatives-are-all-leavers-now-we-must-unite-to-build-a-ne/). Lo si legga, per apprezzare il tono sovranamente pacato di questa chiamata all’ordine e all’unità. “Chiunque sia il prossimo leader conservatore, noi stiamo lasciando l’Unione Europea”, assevera il Barone di Richmond. Chi manifesta per chiedere un nuovo referendum, chi spera che si tornerà indietro, si illude.

    La decisione è “irreversibile”, martella. E delinea per sommi capi la strategia di governo dei prossimi anni. Occorreranno “due forti posizioni di Segretario di Stato, una per gestire il negoziato con la UE e l’altra per i trattati commerciali con il resto del mondo e fare del regno un campione a tempo pieno di esportazioni”. Sdoppiamento del Ministero degli Esteri, dunque. Imprese inglesi temono di venire chiuse dal Mercato Unico Europeo? E’ un sacrificio che William Hague consiglia di accettare serenamente:“Non c’è modo di rassicurare queste imprese sull’accesso continuato al Mercato Unico Europeo, dal momento che quasi certamente sarà incompatibile col controllo dell’immigrazione”. Ascoltino, tali imprenditori, “la gara nel dibattito conservatore per sviluppare nuove idee per mantenere la Gran Bretagna alta nella classifica delle grandi Nazioni con cui fare affari”. Per intanto, propone una tassazione sulle imprese inferiore al 15%; anzi “del 12.5%, come nella Repubblica d’Irlanda”, ciò che certamente diminuirà la tentazione delle aziende di trasferire la sede a Francoforte. “Tutti in Gran Bretagna – conclude Hague – compresi quelli di noi che hanno votato ‘Remain’, devono ora fare il salto mentale di accettare ciò che è accaduto e lavorare a come compensare quel che abbiamo perso con nuovi vantaggi nazionali”.

    Meyssan ha dunque ragione?
    Questo conferma la tesi lanciata due settimane fa da Thierry Meyssan, e che allora è sembrata troppo campata in aria: che il Brexit sia una decisione strategica della “Gentry” e di “Buckingham Palace”, allo scopo di riposizionare la City come centrale globale dove si negozia lo yuan, la moneta cinese. Lo Stato profondo si allontanerebbe non solo dalla UE ad egemonia tedesca, ma soprattutto dagli Stati Uniti, che ormai giudica superpotenza finita, e senza futuro. “La City di Londra non è direttamente influenzata dal Brexit”, ricorda Meyssan. “Dato il suo status speciale di Stato indipendente sotto l’autorità della Corona, non ha mai fatto parte dell’Unione Europea. Certo, non potrà più ospitare le sedi sociali di certe aziende, che ripiegheranno verso l’Unione, ma al contrario potrà utilizzare la sovranità di Londra per sviluppare il mercato dello yuan. Già ad aprile, ha ottenuto i privilegi necessari firmando un accordo con la Banca Centrale della Cina. Inoltre, dovrebbe sviluppare le sue attività di paradiso fiscale per gli europei”. Una tesi affascinante e intelligente, tutta da leggere: www.voltairenet.org/article192535.html.

    Forse troppo intelligente, mi son detto, anche se Meyssan, che è stato uomo dei servizi francesi per parte di padre, non è mai da prendere sottogamba. A sostegno della sua tesi, ci sono alcuni indizi. La Regina Elisabetta s’è battuta a favore del Brexit, dalla sua neutralità super partes, con astute fughe di notizie accuratamente gestite da Buckingham Palace per farle giungere ai tabloid popolari, per far capire alle plebi monarchicissime cosa pensava sua maestà. La Hong Kong Shanghai Bank (HKSB, la storia banca imperiale della Guerra dell’Oppio) si è recentemente riposizionata a Hong Kong; l’interscambio del Regno con la Cina è passato in pochissimo tempo da 20 a 80 miliardi di sterline. Soprattutto, nel 2014, Londra ha voluto fortemente entrare – sorprendendo lo stesso governo cinese – come “socio fondatore” nella AIIB, Banca Asiatica di Investimenti e Infrastrutture, creata dal governo di Pechino per lo sviluppo della zona asiatica di sua egemonia, infischiandosene dell’altolà di una Washington irritatissima, perché la AIIB farà concorrenza al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale, gli storici strumenti del potere globale, finanziario e imperiale anglo-americano. “La City diverrà la prima clearing house per lo yuan fuori dell’Asia”, annunciò allora il Ministro Economico, Gerge Osborne, conservatore (https://next.ft.com/content/d33fed8a-d3a1-11e4-a9d3-00144feab7de).


    AIIB: i soci e gli esclusi

    Poi è arrivata la visita di Xi Jinping alla Regina, accolto con tutti gli onori, e con la decisione di farsi finanziare nel Regno Unito due centrali atomiche di fabbricazione cinese (il che ha segato le gambe alla europea Areva). Un cambio di paradigma del potere britannico, con un cambio di “relazione speciale” dagli USA alla Cina? Una “relazione speciale” tramite cui il Regno Unito porta alla Cina una dote ragguardevole. Come ricorda Meyssan, Elisabetta II è, nel Commonwealth, regina anche di Australia e Nuova Zelanda, delle Isole Salomone e di Papua Nuova Guinea (nella zona pacifica di interesse di Pechino) e per di più delle Bahamas, di Belize, di Grenadine e di relativi paradisi fiscali, Canada e Giamaica, Saint Lucia e Tuvalu… Insomma il Regno Unito, abbandonato dall’Europa, non resta solo soletto; torna al Commonwealth, che ha propaggini importanti nell’area del Pacifico in cui la Cina ha bisogno di riversare i suoi capitai in surplus, per farne l’epicentro mondiale del nuovo secolo, che non sarà più americano. “Il Brexit redistribuisce la politica globale”, per Meyssan.

    Il quale giunge a paragonare l’evento al crollo del Muro di Berlino nel 1989, che provocò quel che sapete; nel dicembre 1991 si dissolveva l’URSS, sei mesi dopo il Patto di Varsavia finiva, e si scioglieva il COMECON, il “mercato comune” fra Paesi comunisti. La UE, dice il francese, farà la fine del COMECON, di cui non fu nemmeno necessario negoziare lo scioglimento, perché il Paese che lo guidava non esisteva più, e la stessa URSS veniva smantellata, anzi la stessa Russia ha corso il pericolo di smembramento, a cui Putin si oppose con la guerra alla Cecenia. Spero che Meyssan abbia ragione, e non scambi i suoi (e nostri) desideri per realtà. Temo che la UE sia intessuta da interessi più forti e intricati del COMECON; basti dire che da quello tutti speravano solo di sfuggire, mentre qui, a parte tutte le classi politiche e le potenti burocrazie il cui destino è legato alla UE, persino nei Paesi europei più depredati dall’egemonia di Berlino persiste una maggioranza popolare a favore del “Remain” nella prigione dei popoli chiamata UE: e che in caso di referendum voterebbe per restare.



    Un altro punto in cui Meyssan forse non coglie nel segno: la Brexit annuncerebbe lo smantellamento della NATO e, con il riavvicinamento del Regno Unito al gigante cinese, anche i rapporti con la Russia miglioreranno, e sarà la fine delle provocazioni belliciste che USA, Londra e Stati europei stanno attuando contro Mosca. Lo stato profondo britannico ha da secoli un incubo, e una mira strategica fondamentale, che si esprime più o meno così: impedire alla Russia di affacciarsi sui “Mari caldi”, siano l’Oceano Indiano, il Pacifico, persino il Mediterraneo; lo ha fatto costantemente alleandosi nel caso coi più discutibili alleati (come ottomani, savoiardi e francesi nella guerra di Crimea), tentando di occupare l’Afghanistan per sottrarlo allo Zar (subendo uno storico disastro imperiale). E’ questo stato profondo che ha elaborato la teoria geopolitica che va sotto il nome di Sir Halford John Mackinder, e si esprime così:“Chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo: chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo”. L’Heartland, questa immane distesa di terra che, dal Baltico a Vladivostok, è l’incubo inglese, perché irraggiungibile dal mare e non controllabile con la flotta imperiale; la Russia e la Cina controllano l’Heartland; dunque, sono l’inciampo storico e inamovibile al potere globale britannico.


    Sir William Hague è a destra

    Londra inoltre – Lord Rothschild, precisamente – fornì a Khodorkovski le centinaia di milioni di dollari che bastarono allora ad impadronirsi del cespite petrolifero sovietico; era anche quello un modo geniale di impadronirsi del’Heartland e dunque di controllare il pianeta; Putin ha mandato a monte quel progetto. Londra non dimentica. Se davvero il dislocamento del Regno Unito cambierà i rapporti con Pechino, certo non li cambierà con Mosca. Anzi, temerei che uno degli scopi del grande “salto di paradigma” che Buckingham Palace ha operato, voltando le spalle ai neocon americani, possa essere di staccare la superpotenza cinese dalla Russia. Dopotutto, la Cina, materialista, edonista, assetata di speculazione finanziaria e di tutti gli altri giochi d’azzardo, è più “occidentale” della Russia. Nel senso in cui “occidentale” coincide col capitalismo terminale.

    Maurizio Blondet
    5 luglio 2016
    www.maurizioblondet.it/tranquilli-brexit-irreversibile-lo-dice-barone-r...
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    wheaton80
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    00 14/07/2016 03:41
    GB, Theresa May ha scelto i Ministri: Boris Johnson agli Esteri


    Boris Johnson e Theresa May

    Theresa May è ufficialmente il nuovo Primo Ministro del Regno Unito, seconda inquilina donna di Downing Street 26 anni dopo Margaret Thatcher. A Londra, il passaggio di consegne è avvenuto nel rispetto scrupoloso delle tradizioni. A Buckingham Palace la regina Elisabetta ha prima salutato il dimissionario Cameron, poi ha accolto per il 'baciamano' di rito la May.

    Hammond cancelliere dello Scacchiere

    La sessantenne neo-Premier in serata ha annunciato i suoi Ministri. Philip Hammond si aggiudica la poltrona più importante del governo: l'ex Ministro degli Esteri è stato nominato cancelliere dello Scacchiere, e quindi titolare del Tesoro, al posto di George Osborne, un fedelissimo di David Cameron, che resta fuori dal nuovo gabinetto.

    Johnson agli esteri
    L'ex sindaco di Londra, Boris Johnson, capofila dei filo-Brexit al referendum del 23 giugno, è a sorpresa il nuovo Ministro degli Esteri. Mentre Amber Rudd, già Ministra dell'Energia, è diventata la seconda donna più importante del gabinetto, ereditando dalla stessa May l'Home Office, cioè il dicastero dell'Interno. Alla Difesa conferma di Michael Fallon.

    Davis per la Brexit


    David Davis

    Theresa May ha poi scelto David Davis, veterano del Partito Conservatore e sostenitore del Leave al referendum sull'UE, per guidare il neonato Ministero per la Brexit, cui spetterà gestire il divorzio da Bruxelles. Davis era da tempo all'opposizione nel partito, in polemica su molti temi con la linea dello stesso Cameron.

    L’addio di Cameron

    In mattinata i Comuni avevano fatto da palcoscenico di congedo ai sei anni di Cameron a capo dell'esecutivo, con un ultimo question time consumatosi nel fair play generale sotto gli occhi della moglie Samantha - "l'amore della mia vita", come il Premier l'ha più tardi apostrofata lasciando Downing Street con un abbraccio familiare - e i tre figli, Nancy, Arthur e Florence

    13 luglio 2016
    tg24.sky.it/tg24/mondo/2016/07/13/theresa-may-premier-regno-unito-squadra-minis...
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    00 29/07/2016 17:25
    Brexit, il Regno Unito rinuncia al semestre di Presidenza del Consiglio dell'UE

    Un passaggio obbligato che è stato ufficializzato oggi dall'Ufficio del Primo Ministro Theresa May. Sarebbe stato paradossale vedere un Paese con un piede fuori dall'UE alla guida di una delle istituzioni più importanti, per questo durante l'incontro con il Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, Theresa May "ha proposto che il Regno Unito rinunci alla Presidenza a rotazione, attualmente prevista per la seconda metà del 2017, sottolineando che dovrebbe rendere prioritari i negoziati per lasciare l'UE". Tusk ha assicurato la Premier che aiuterà a rendere questo processo il più fluido possibile", fanno sapere dal gruppo di lavoro di May. Ogni sei mesi gli Stati membri dell'Unione Europea assumono a turno la Presidenza del Consiglio dell'UE, coordinandone il funzionamento e dettandone l'agenda. Fino a fine anno questo compito è affidato alla Slovacchia, dopodiché toccherà a Malta. Nel secondo semestre del 2017, appunto, sarebbe stato il turno del Regno Unito. Il Consiglio dell'Unione Europea è un organo diverso dal Consiglio Europeo. Quest'ultimo ha un Presidente che rimane in carica per due anni e mezzo (attualmente è Donald Tusk) ed è composto dai capi di Stato o di governo dei Paesi membri.

    Regno Unito, prima uscita all'estero da Premier per May

    Oggi la Premier britannica vedrà a Berlino Angela Merkel, nella sua prima visita all'estero. Dopo Berlino sarà la volta di Parigi, dove incontrerà François Hollande. "Queste riunioni saranno un'occasione per forgiare un solido rapporto di lavoro sul quale basarci e che conto di poter sviluppare con altri leader nell'Unione Europea nelle settimane e nei mesi a venire", ha fatto sapere May, che ha chiarito di non voler sottovalutare "la sfida di negoziare la nostra uscita dall'Unione Europea". "Credo fermamente - ha però detto - che poter parlare in modo franco ed aperto sulle questioni che dobbiamo affrontare sarà una parte importante di un negoziato di successo". Con Merkel, in particolare, oggi May avrà una cena di lavoro, in cui è molto probabile che la leader Tory ripeta quanto detto nel suo primo giorno di incarico da capo dell’esecutivo:"Faremo della Brexit un successo", erano state le sue parole. May, che a ottobre al Consiglio Europeo incontrerà per la prima volta gli altri 27 leader dei Paesi membri dell’Unione, ha intenzione di avviare il divorzio da Bruxelles, attivando l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, entro la fine del 2016. La Premier ha fatto sapere che la procedura sarà avviata solo dopo che Londra avrà concordato con Scozia, Galles e Irlanda del Nord (le altre tre Nazioni che oltre all’Inghilterra compongono il Regno Unito) le modalità di uscita dal recinto comunitario.

    Daniele Eboli
    20/07/2016
    www.ilgiornale.it/news/mondo/brexit-regno-unito-rinuncia-semestre-presidenza-consiglio-1287...
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    00 18/08/2016 19:12
    UK, la Brexit è una festa: vendite al dettaglio +5,9%

    Depressione post Brexit? Niente affatto, i consumatori britannici hanno invece festeggiato: le vendite al dettaglio a luglio sono cresciute dell'1,4% rispetto al mese precedente e del 5,9% su base annua. Entrambi i dati hanno nettamente battuto le attese (+0,2% m/m, +4,2% a/a). La sterlina si è subito rafforzata, salendo ai massimi da quasi due settimane sul dollaro a 1,3159. Al sorprendente risultato hanno contribuito il tempo particolarmente caldo e soleggiato e l'arrivo massiccio dei turisti dall'estero, favorito ovviamente dall'indebolimento della sterlina. Secondo l'agenzia di rating Moody's, d'altronde, non ci sarà nessuna recessione post Brexit, come aveva invece previsto la grande maggioranza degli analisti, e il Regno Unito quest'anno crescerà dell'1,5% e il prossimo dell'1,2%. Chi addossa alla Brexit la colpa del rallentamento dell'economia di altri Paesi sembra quindi avere sbagliato bersaglio. Intanto, secondo il quotidiano britannico The Times, Matteo Renzi vuole concretizzare al vertice di Ventotene uno scambio con Angela Merkel: il Presidente del Consiglio sarebbe pronto ad appoggiare la linea morbida della Cancelliera tedesca sulla Brexit per ottenere il sostegno tedesco a un allentamento delle regole di austerity.

    Il Times arriva a questa conclusione, in vista dell'incontro di lunedì prossimo tra Renzi, Merkel e il Presidente francese François Hollande a Ventotene, analizzando il cambio della posizione del Premier italiano sui tempi dell'uscita della Gran Bretagna dall'UE dopo il referendum del 23 giugno. All'esortazione a "non perdere neppure un minuto", il capo dell'esecutivo italiano, argomenta il quotidiano britannico in un articolo intitolato "Renzi si salva la pelle con un accordo sulla Brexit", ha optato per una linea più cauta, concordando in particolare con la neo-Premier Theresa May sulla possibilità di un'uscita dall'UE più lenta, anche per evitare una sovrapposizione con le elezioni tedesche dell'anno prossimo. "Accettando di sostenere la leader tedesca, Renzi ora spera che la Merkel l'aiuterà a sbloccare i fondi che potrebbero salvare la sua carriera politica. A Renzi servirà il superamento dei livelli di deficit concordati con Bruxelles per realizzare una serie di tagli fiscali promessi e aumenti retributivi, nel momento in cui i dati mostrano che l'economia italiana è di nuovo sull'orlo di una recessione". Secondo il Times, in particolare, "Renzi spera che rilanciare la spesa possa contribuire a conquistare il favore dell'elettorato prima del referendum di novembre con cui ha messo in gioco il suo futuro" politico.

    Marcello Bussi
    18/08/2016
    www.milanofinanza.it/news/uklabrexiteunafestavenditealdettaglio59201608181101048477?utm_source=dlvr.it&utm_medium=f...
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    00 30/09/2016 19:54
    GB: si dimette numero 2 del Tesoro



    Dimissioni di peso dal governo britannico di Theresa May: lascia la poltrona di Viceministro, e numero due del Tesoro, Jim O'Neill, che abbandona anche il gruppo Tory alla Camera dei Lord. Ciò sarebbe amputabile a presunti dissensi con la Premier sulla politica nei confronti della Cina e forse sulla Brexit. O'Neill, già capo economista della banca d'affari Goldman Sachs, è stato uno degli artefici della strategia di apertura ad accordi miliardari con Pechino quando a Downing Street c'era David Cameron. E secondo il Guardian non ha gradito le frenate e le cautele sul gigante asiatico dell'attuale Premier, che di recente ha sbloccato solo dopo molte esitazioni un accordo con Francia e Cina per una nuova centrale nucleare in Inghilterra. Vicino all'ex cancelliere dello scacchiere George Osborne, oggi in disgrazia, O'Neill potrebbe essere poi entrato in rotta di collisione con la Premier anche sulla Brexit, sullo sfondo delle ipotesi di accelerazione verso un divorzio secco da Bruxelles che i 'brexiters' più influenti del governo May invocano ormai apertamente. Proprio nelle ultime ore, parlando da Chicago, lo stesso Osborne è intervenuto sul tema UE in modo polemico, 'avvertendo' Theresa May che a suo giudizio gli elettori britannici al referendum del 23 giugno avrebbero detto "sì alla Brexit", ma "non a una hard Brexit".

    23.09.2016
    www.bluewin.ch/it/news/estero/2016/9/23/gb--si-dimette-numero-2-del-tesoro--dissidio-co...
    [Modificato da wheaton80 30/09/2016 19:57]
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    wheaton80
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    00 05/10/2016 05:36
    Brexit, May alla UE:“Ci riprenderemo la sovranità come vuole il popolo”

    La Gran Bretagna avvierà le procedure per l’uscita dall’Unione Europea entro marzo del 2017. Nei prossimi mesi abrogherà la legge che quarantaquattro anni fa ne aveva sancito l’ingresso nel blocco. E tornerà a controllare le sue frontiere. Di fronte a una platea gremita per l’avvio della conferenza del partito conservatore, Theresa May rompe gli indugi e fornisce le prime indicazioni sulla roadmap che traghetterà il Paese fuori dall’UE, si legge su La Stampa.

    “Ci riprenderemo la sovranità come vuole il popolo”
    Un discorso breve, circa 10 minuti, che offre garanzie ai Brexiteers che sperano in un’uscita netta dal blocco. E che infatti è piaciuto a molti di loro. A circa 100 giorni dallo storico referendum del 23 giugno, e dopo settimane di un sostanziale silenzio che aveva cominciato a innervosire gli investitori e alcuni partner europei, la Premier britannica mette a tacere le critiche («Non ha la minima idea di cosa fare sulla Brexit», aveva detto qualche giorno fa il veterano Tory Ken Clarke). Sicura di sé e pragmatica come nel suo stile, May nel primo pomeriggio è salita sul palco Centro Congressi Internazionale che si affaccia sui canali di Birmingham tra gli applausi sostenuti della platea.

    Ecco il «Brexit Sunday», come lo chiamano a Londra
    Non solo per il discorso del Primo Ministro ma anche dei due principali negoziatori per il divorzio: David Davis, Ministro per la Brexit, e Boris Johnson, Ministro degli Esteri già volto della campagna per il Leave. «Vi voglio dire tre cose sulla Brexit», ha cominciato May. Sui tempi, ha spiegato che l’articolo 50 del trattato di Lisbona, che apre la procedura di due anni di negoziati, sarà invocato «non più tardi del marzo del prossimo anno». Vuol dire che la Gran Bretagna sarà quasi sicuramente fuori dall’UE nella primavera del 2019. Sul secondo punto, la procedura, May ha rivendicato il ruolo esclusivo del Governo nel gestire il dossier, negando un ruolo ai Comuni o ai Lord, e impedendo così la possibilità che i membri del Parlamento blocchino o rallentino il processo. Inoltre ha spiegato che nel prossimo discorso della Regina, ad aprile circa, il Governo introdurrà una legge per abrogare lo «European Community Act»: è il testo che nel ‘72 ha introdotto l’applicabilità del diritto comunitario nell’ordinamento britannico. La nuova legge entrerà in vigore al momento dell’uscita dal blocco.

    3 ottobre 2016
    www.secoloditalia.it/2016/10/brexit-may-ue-ci-riprenderemo-sovranita-come-vuole...
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    wheaton80
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    00 18/01/2017 23:05
    Theresa May sceglie la «hard Brexit»: usciremo dal mercato unico UE. Voto finale del Parlamento

    Più hard di così non poteva immaginarla. La Brexit di Theresa May interpreta in modo ampissimo il mandato del referendum conferendo a quel voto la missione di togliere Londra non solo dalla UE, ma dal mercato interno europeo e, con qualche ambiguità residua, anche dall'unione doganale, almeno nella forma che conosciamo. La signora Primo Ministro ha rotto gli indugi e dal palco di Lancaster House ha annunciato al mondo che Londra non cercherà vie di mezzo e compromessi buoni per tutti, ma una cesura netta con l'UE per volteggiare libera in un modo globalizzato. Quello stesso mondo che minaccia ora di rinculare verso protezionismo ed autarchia.

    «Accordo di libero scambio con piena reciprocità»

    Theresa May non se ne cura troppo e conferma fin da subito che punto chiave del suo elenco di 12 obiettivi è «un accordo di libero scambio basato sulla piena reciprocità con i partner UE. Accordo per l'accesso al mercato UE che non potrà essere adesione al mercato interno». Perché? «Per il semplice motivo che significherebbe non lasciare l'Unione Europea». La Global Britain che Theresa May ha detto di voler perseguire aspira a restare “europea” seppur fuori dalle sue istituzioni, sulla scorta di un accordo che quando sarà raggiunto dovrà avere il sì di Westminster. «Il governo – ha detto – sottoporrà l'intesa al voto di Comuni e Lords». Se questo è il primo punto dell'agenda britannica, il secondo prevede il ritorno della sovranità britannica sulle corti europee mentre il terzo e il quarto passaggio scandito dalla signora Premier riguardano la condivisione del negoziato con tutte le Nazioni del Regno, dagli scozzesi ai gallesi, mentre sarà garantita – non si sa come – la common travel area con la repubblica d'Irlanda. Passaggio ostico, perché sarà un confine terrestre con l'Unione Europea.

    «Dobbiamo riprendere il controllo di chi entra nel Paese»
    Il quinto e il sesto paragrafo della road map di Theresa May riguarda l'immigrazione. «La Gran Bretagna è e resta un Paese aperto e tollerante e noi vorremo sempre immigrati soprattutto qualificati, ma il messaggio del referendum – ha ribadito – è stato chiaro: dobbiamo riprendere il controllo di chi entra nel Paese». Londra insiste invece per un rapido accordo a favore dei britannici che risiedono già nell'UE e gli europei che vivono nel Regno Unito. «È prioritario per noi e per altri Paesi, anche se non sembra esserlo per uno o due...».

    Il nodo del libero scambio

    Theresa May ha poi insistito sulla piena disponibilità a proteggere i diritti dei lavoratori e a collaborare con l'UE nella lotta al terrorismo e nello sviluppo scientifico. Ha tentennato invece sul libero commercio laddove, pur insistendo sul progetto di un “Free Trade Agreement” con l'UE, ha riaffermato la volontà di fare intese autonome con altri Paesi «per rimuovere quante più barriere e ostacoli sia possibile». Materia complessa che sbatte con i principi dell'unione doganale dalla quale Londra immagina di uscire per poi negoziare un accordo del tutto nuovo. Infine Londra punta ad ottenere un’intesa con l'UE a velocità variabile, per consentire aggiustamenti progressivi, evitando il rischio di una crash exit.

    «Condizioni punitive per Londra sarebbero autolesionistiche»
    E se non sarà così? «Meglio nessun accordo che un cattivo accordo», ha detto Theresa May, gettando sulla platea di diplomatici e giornalisti un minaccioso messaggio. «So che alcuni Paesi invocano condizioni punitive per Londra, sarebbe un atto di autolesionismo… perché noi siamo liberi di promuovere fiscalità e condizioni tali da attrarre investimenti e imprese». Lampi di guerra commerciale e dumping fiscale. Uno scenario che da ieri è d'improvviso emerso come probabile esito della partita anglo-europea.

    Leonardo Maisano
    17 gennaio 2017
    www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-01-17/theresa-may-abbandoniamo-ue-no-un-adesione-meta-parlamento-votera-brexit-113345.shtml?uuid...
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    00 25/01/2017 01:34
    Brexit, gli scenari futuri

    La procedura del Brexit ha subito una pesante battuta d’arresto da parte della Corte Suprema della Gran Bretagna. È stata pronunciata la sentenza da parte di Lord Neuberger, il rappresentante dei giudici che si sono espressi sulla vicenda. La Corte Suprema, con 8 voti favorevoli e 3 contrari, ha deciso. Il governo britannico non potrà appellarsi all’articolo 50 del Trattato di Lisbona senza la consultazione del Parlamento. L’articolo prevede infatti il meccanismo di recesso volontario e unilaterale dall’Unione Europea. Ovvero l’atto che il popolo britannico ha espresso attraverso il voto referendario dello scorso giugno. Un percorso che non avrebbe dovuto avere intoppi. Finché la top manager Gina Miller, lo scorso novembre, invocò il ricorso dell’Alta Corte di Londra. I giudici britannici accettarono la richiesta della Miller perché l’uscita dall’UE rappresentava un cambiamento della legislazione interna dello Stato britannico. Perciò l’iter ufficiale avrebbe dovuto richiedere l’approvazione parlamentare. Il governo di Theresa May si oppose alla sentenza facendo ricorso alla Corte Suprema, invocando la royal prerogative. Ovvero la facoltà che era del re e oggi del governo di esprimersi unilateralmente sui trattati internazionali. La Corte Suprema ha così rigettato le argomentazioni del Governo May. Un ulteriore bastone tra le ruote al processo del Brexit.

    Cosa succederà alla Camera dei Comuni
    Come cambiano ora gli scenari? Difficile pensare che possa esserci una retromarcia circa la volontà di uscire dall’Unione Europea, come già molti commentatori sperano. Anzi. Lo stesso Partito Laburista britannico, pur contrario al Brexit, come riportato da Bloomberg (https://www.bloomberg.com/politics/articles/2017-01-23/may-plans-short-brexit-bill-if-supreme-court-rules-against-her), ha già fatto sapere attraverso il suo rappresentante, Jeremy Corbyn, che “non bloccheremo l’Articolo 50 ma cercheremo di apporvi degli emendamenti”. Potrebbe dunque svanire il disegno paventato da Theresa May circa un hard-Brexit con uscita dal mercato unico europeo e dalla giurisdizione della Corte di Giustizia UE. Il Partito Laburista, insieme al partito dei Democratici Liberali, potrebbe infatti porre come clausola al Brexit proprio al permanenza nel mercato comune. L’unica nota positiva per il Governo di Londra è che la Corte Suprema ha deciso all’unanimità che i parlamenti di Scozia e Irlanda del Nord non avranno facoltà di voto sull’articolo 50. Una bella notizia per il fronte “Leaves”. Questo perché in entrambi i Paesi sia la maggioranza politica che dell’elettorato ha sempre fortemente osteggiato l’uscita dall’Unione Europea.

    La corsa contro il tempo per il Brexit
    La sentenza della Corte ridimensiona dunque quelle che erano le ambizioni del fronte hardline euro-skeptics, ma non mette in discussione la volontà popolare espressa con il referendum. Ora la difficoltà più grande per Theresa May sarà quella di affrettare i tempi. Il negoziatore UE Michel Barnier non è persona pronta a concedere sconti ai britannici e ha già annunciato di voler iniziare le trattative tassativamente entro marzo. Ciò significa che il Governo May non ha nemmeno due mesi di tempo per farsi approvare dal Parlamento la proposta di legge sul Brexit. Considerata la volontà dell’opposizione di aggiungere numerosi emendamenti, non sarà così facile per il governo rispettare i tempi. La decisione della Corte Suprema rappresenta dunque solo il primo degli ostacoli che si vorranno mettere al Brexit. Tra emendamenti futuri e trattative con Bruxelles il piano d’uscita della Gran Bretagna potrebbe diventare molto più ridimensionato.

    Michele Crudelini
    24 gennaio 2017
    www.occhidellaguerra.it/brexit-bocciato-dalla-corte-suprema-gli-...
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    00 25/01/2017 02:14
    Governo May:''Rispettiamo la Corte Suprema, ma calendario Brexit non cambia''

    LONDRA - Il governo britannico di Theresa May rispetta il giudizio della Corte Suprema che impone il voto del Parlamento per l'attivazione dei negoziati sulla Brexit ed esporrà le prossime tappe al Parlamento. Tuttavia, fa sapere Downing Street, la decisione della Corte Suprema non cambia il calendario della prevista uscita dall'UE e il governo attiverà l'articolo 50, come previsto, entro la fine di marzo. ''I britannici hanno votato per lasciare l'UE e il governo darà loro soddisfazione attraverso l'attivazione dell'articolo 50 (del Trattato di Lisbona) prima della fine del mese di marzo, come previsto. La decisione di oggi non cambia nulla'', sottolinea il comunicato del governo.

    24 gennaio 2017
    www.ilnord.it/b9841_GOVERNO_MAY_RISPETTIAMO_LA_CORTE_SUPREMA_MA_CALENDARIO_BREXIT_NO...
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    00 02/02/2017 01:41
    Brexit, sì della Camera dei Comuni all’avvio dei negoziati

    La Camera dei Comuni britannica ha votato stasera a favore del progetto di legge che autorizza il governo di Theresa May ad avviare i negoziati formali per la Brexit attraverso la notifica dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona all’UE. Ora, dopo le ulteriori letture tecniche, il testo passerà alla Camera dei Lord, ma in caso di modifiche l’ultima parola resta ai Comuni. La premier May, costretta dalla Corte Suprema al passaggio parlamentare, punta a un iter spedito per poi aprire la partita con Bruxelles entro fine marzo. La proposta di legge è stata approvata con un’ampia maggioranza: 498 voti a favore e 114 contrari. Si calcola che ci siano stati tra 40 e 50 deputati laburisti `ribelli´, che hanno optato per bocciare il provvedimento andando contro le indicazioni del loro leader Jeremy Corbyn. Molti meno rispetto ai 100 di cui si parlava. Prima della votazione più importante, era stato respinto un emendamento presentato degli indipendentisti scozzesi dell’SNP per bloccare la legge, per 336 voti contrari e 100 a favore. È stato così superato dal governo di Theresa May uno dei maggiori ostacoli lungo il cammino della proposta di legge che dopo la terza lettura ai Comuni, in cui non ci dovrebbero essere intoppi, deve approdare il 20 febbraio alla Camera dei Lord. Lì l’esecutivo conservatore potrebbe avere qualche problema in più perché non dispone di una maggioranza.

    01/02/2017
    www.lastampa.it/2017/02/01/esteri/brexit-s-della-camera-dei-comuni-allavvio-dei-negoziati-IVJAeQ1NbmzJN73bkYQf4I/amphtml/pagina....
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    00 09/02/2017 03:48
    Brexit, via libera finale dei Comuni. Ora palla ai Lord

    La Brexit va. Almeno alla Camera dei Comuni, dove si è chiusa oggi la pratica della Legge di Notifica del Ritiro dall'UE (European Union Notification of Withdrawal Bill), premessa dell'avvio formale del negoziato di divorzio da Bruxelles che la Premier Theresa May vuole far scattare a marzo invocando l'Articolo 50 del Trattato di Lisbona. Per il governo conservatore britannico, orientato verso un taglio netto con il Club dei 28 - mercato unico incluso - è stato un passaggio decisivo: schivati anche gli emendamenti più insidiosi, esso si è visto infatti confermare in terza e ultima lettura uno schiacciante voto favorevole (494 a 122) allo scarno testo presentato in aula per ottenere un via libera senza paletti. Le defezioni in casa Tory non sono aumentate. Mentre i mal di pancia, se non le divisioni, del Labour si sono allargati a figure di spessore della sinistra interna come i Ministri ombra Clive Lewis e Diane Abbott, recalcitranti come qualche decina di compagni alla linea di non ostruzionismo ordinata dal leader Jeremy Corbyn in nome del rispetto della volontà popolare espressa nel referendum del 23 giugno 2016. Tanto più dopo la bocciatura di tutti gli emendamenti messi sul tavolo dalle opposizioni per cercare almeno di limare il testo: ultimo quello che mirava a fissare per iscritto a priori gli impegni del governo a tutelare anche in futuro i cittadini UE residenti nel Paese.

    In ogni modo il risultato finale (al netto dei ‘no’ degli scozzesi dell'SNP, pronti a rilanciare a parole la sfida della secessione, e dello sparuto drappello Libdem) non è mutato: la maggioranza ha tenuto e la May può andare avanti. Ora la palla passa alla House of Lords, la Camera dei non eletti, al cui interno la Brexit non è sicuramente popolare. Ma in caso di modifiche inserite nell'ingranaggio dai pari del Regno la parola dovrà tornare alla Camera bassa. Dove i giochi, alla luce dei numeri di questi giorni, sembrano fatti. In effetti la prima approvazione del testo nella lettura introduttiva della settimana scorsa aveva già tracciato la strada. Mentre ieri l'esecutivo è riuscito a limitare ai minimi termini i timori di una rivolta interna dell'ala meno euroscettica del gruppo conservatore portando a casa pure la bocciatura (326 no, 293 sì) di una proposta chiave laburista che lo avrebbe obbligato a sottoporsi a un nuovo scrutinio vincolante di Westminster sui contenuti dell'accordo con Bruxelles dopo i due anni negoziali previsti. In cambio il Labour ha dovuto accontentarsi, facendo buon viso a cattivo gioco per bocca del Ministro ombra per la Brexit, Keir Starmer, d'un impegno verbale del governo May circoscritto al contentino di un voto 'prendere o lasciare' a fine negoziati.

    Voto che permetterà al Parlamento unicamente di mettere il timbro nel 2019 su un'intesa fatta, pena assumersi la responsabilità d'una Brexit (comunque non reversibile) a scatola chiusa. Cioè senza accordi preliminari di sorta con i vecchi partner europei. Restano certo tutte le incognite della transizione e del dopo. Ma per l'immediato lady Theresa pare avere insomma luce verde: forte anche della sponda USA, che spera di consolidare con un euroscettico istintivo come Donald Trump. A confermare la sua fiducia è stato anche il Question Time di oggi, dove la Brexit - in una giornata tanto cruciale - è stata quasi ignorata a beneficio di un botta e risposta May-Corbyn sulla crisi e le magagne della sanità pubblica (NHS). Uniche eccezioni, una replica sbrigativa al capogruppo SNP, Angus Robertson ("una Scozia indipendente non sarebbe comunque accolta nell'UE", lo ha sfidato la Premier); e una rassicurazione condizionata sui diritti dei cittadini europei già presenti nel Regno. Diritti che saranno garantiti, ha insistito May, a patto che vi sia "reciprocità" per i 'british expats' nel continente.

    8 febbraio 2017
    www.quotidiano.net/esteri/brexit-1.2879685
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    00 01/03/2017 01:45
    La Brexit sarà netta: lo ha deciso la Camera dei Lord

    LONDRA - Altro ostacolo superato per il governo di Theresa May, sulla strada dell'approvazione della legge sul via libera al negoziato con Bruxelles per una Brexit che la Premier afferma di volere senza se e senza ma: ieri sera la Camera dei Lord ha infatti respinto con un risultato più netto delle attese un emendamento immaginato per vincolare l'esecutivo a cercare di rimanere nel mercato unico pur divorziando dall'UE. Il provvedimento è stato bocciato con 299 no contro 136 sì. A favore ha votato una pattuglia di laburisti guidati dal vecchio blairiano lord Mandelson, secondo cui uscire dal mercato unico sarà "un disastro per l'economia del Regno Unito". Ma altri esponenti dell'opposizione, più vicini all'attuale leader del Labour, Jeremy Corbyn, hanno rifiutato d'associarsi, giudicando l'emendamento velleitario. No compatto, poi, da tutti i lord conservatori tranne uno: a dispetto della requisitoria fatta nel pomeriggio contro il divorzio dall'Unione dall'ex Premier John Major, che ha parlato di "errore storico" e che ha messo in guardia il governo May contro i suoi toni da "Hard Brexit".

    28 febbraio 2017
    www.cdt.ch/mondo/politica/172602/la-brexit-sar%C3%A0-netta-lo-ha-deciso-la-camera-...
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    00 15/03/2017 01:08
    La May ha vinto: Brexit dura

    La Premier del Regno Unito, Theresa May, riferisce il quotidiano britannico ''The Times'', ha in mano il potere di dare il via al processo di uscita dall'Unione Europea, dopo aver ottenuto l'approvazione parlamentare in seconda lettura della legge che autorizza il governo a invocare l'articolo 50 del Trattato di Lisbona. La Camera dei Comuni, con l'astensione di pochi conservatori ribelli, ha cancellato i due emendamenti introdotti dalla Camera dei Lord - uno sulla tutela dei diritti dei cittadini comunitari residenti in Gran Bretagna e l'altro su un ''voto significativo'' del parlamento sull'esito dei negoziati con l'UE - e rinviato il testo ai Pari, che hanno votato a maggioranza per rispettare la volontà dell'assemblea elettiva e bocciato il tentativo dei liberaldemocratici di difendere le modifiche apportate. Downing Street, tuttavia, non si avvarrà del suo mandato questa settimana, ma farà l'annuncio probabilmente nell'ultima settimana di marzo, un rinvio sgradito all'UE, che sperava di convocare un vertice straordinario il 6 aprile per definire la posizione negoziale e che invece dovrà rimandarlo a maggio. Il governo May varerà un programma legislativo, illustrato a maggio nel Discorso della Regina, che oltre al Great Repeal Bill per l'abrogazione dell'European Communities Act, l'atto col quale nel 1972 il diritto comunitario fu inglobato nell'ordinamento nazionale, prevede altri sei disegni normativi: benefit per gli immigrati provenienti dall'UE, accordi di reciprocità in materia di assistenza sanitaria, trasporto merci su strada, sicurezza nucleare, scambio delle emissioni inquinanti e trasferimento della spesa dai fondi europei ai singoli dipartimenti britannici.

    14 marzo 2017
    www.ilnord.it/i-5656_LA_MAY_HA_VINTO_BREXIT_DURA
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    00 16/03/2017 20:26
    La regina firma: E' Brexit!

    LONDRA - E' fatta. La regina Elisabetta II ha firmato la legge sulla Brexit, che autorizza il governo a comunicare a Bruxelles l'attivazione dell'iter di uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. È quanto riferisce il Parlamento. Da questo momento, il Primo Ministro britannico Theresa May può inviare in qualsiasi data la lettera ufficiale per comunicare alla UE l'abbandono da parte della Gran Bretagna dell'Unione. Lunedì scorso il Parlamento ha approvato la cosiddetta 'Legge dell'Unione Europea (notifica sull'uscita)': il testo era entrato alla Camera dei Comuni il 26 gennaio ed era stato trattato da deputati e Lord con carattere di urgenza. Nel corso dell'iter parlamentare, lunedì la Camera dei Comuni ha respinto gli unici due emendamenti che erano stati introdotti dai Lord, che prevedevano che il governo assicurasse i diritti dei cittadini comunitari e permettesse al Parlamento di votare sul futuro accordo dell'uscita dalla UE. Successivamente, la Camera dei Lord, a sua volta, aveva votato a favore della legge senza opporsi alla cancellazione delle modifiche. Da ora, è davvero Brexit. La firma della monarca, dopo il via libera del Parlamento, sta a significare che Theresa May è ora libera di avviare in qualsiasi momento la procedura di divorzio dall'Unione Europea. La Premier Theresa May ha detto nei giorni scorsi che avrebbe inviato entro la fine di marzo una lettera al Consiglio Europeo per informarlo della decisione del Regno Unito di lasciare l'Unione Europea, in base al risultato del referendum di giugno 2016. Addio, UE. A mai più.

    16 marzo 2017
    www.ilnord.it/i-5682_LA_REGINA_FIRMA_E_BREXIT
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    00 25/03/2017 00:34
    Attentato a Westminster: l’ISIS sbarca in Regno Unito in vista della Brexit

    A distanza di un anno esatto dagli attacchi terroristici di Bruxelles e a sette giorni dall’avvio dei negoziati per il divorzio tra il Regno Unito e l’Unione Europea, Londra è stata teatro di un attentato carico di significati: un’auto ha travolto i passanti sul ponte di Westminster, per poi schiantarsi contro i cancelli del Parlamento britannico. Cinque i morti, una quarantina di feriti ed un inequivocabile messaggio: la Brexit non destabilizzi ulteriormente la già moribonda Unione Europea. Che lo stesso Parlamento inglese, braccio politico della City per più di due secoli, sia oggetto di un attentato intimidatorio, è sintomo della degenerazione raggiunta dall’ordine mondiale “liberale”, sempre più vicino al collasso.

    Westminster e la City: mai così distanti
    Viviamo “anni interessanti” che, iniziati con la bancarotta di Lehman Brothers nel settembre 2008 e proseguiti sino ad oggi, coincidono con lo sfaldamento dell’impero angloamericano, di cui la UE/NATO sono la storica propaggine sul continente euroasiatico. È un periodo inquieto e tormentato, in cui si è assistito ad un’esplosione del terrorismo come non si vedeva dagli anni ‘70, quando la presa di Washington e Londra sul resto del mondo sembrò mancare una prima volta. Certo, il terrorismo si è adeguato ai tempi e anziché essere “marxista-leninista”, “fascista” o “palestinese”, è oggi “islamista”, opera del letale quanto sfuggente “Stato Islamico”. Sono così frequenti gli attentati e così spudoratamente maldestra la loro esecuzione, che è persino inutile dissipare energie per smontare la versione ufficiale degli attacchi terroristici: il lavoro di analisi può dare un valore aggiunto solo collocando i singoli episodi in una cornice allargata, uscendo dalla narrazione del terrorismo islamico per entrare nel territorio della guerra ibrida combattuta dall’establishment atlantico contro il resto del mondo. Gli attentati “islamisti” che hanno insanguinato la Francia a partire dal gennaio 2015 sono riconducibili, ad esempio, al tentativo di sedare una società, quella francese, in piena ebollizione a causa della disoccupazione record e delle riforme economiche di stampo neoliberistico. Attacchi terroristici di natura economica, come l’assalto a Volkswagen e a Deutsche Bank da parte delle autorità americane e di George Soros, sono dettati dalla volontà di piegare Berlino, nella certezza che la rigidità tedesca in fatto di conti pubblici porti, presto o tardi, al collasso dell’eurozona. L’attacco “islamista” di Berlino dello scorso dicembre va poi inquadrato nel braccio di ferro tra Germania ed euro-periferia sull’applicazione del “bail-in” e sulla garanzia europea dei depositi bancari. In questo quadro ci sono state sinora alcune eccezioni, significative e “razionali”: nessun attentato nell’euro-periferia, perché marginale rispetto al motore franco-tedesco, che decide le sorti dell’euro e già piegata dalla depressione economica, e nessun attentato nel Regno Unito, perché “isolato” dal resto del continente, in virtù della Manica e della sterlina.

    L’attentato del 22 marzo a Londra, prontamente rivendicato dall’ISIS come le stragi in Francia e in Germania, rappresenta un’anomalia rispetto alla storia recente, sebbene, ad essere rigorosi, non sia il primo episodio di terrorismo che interessi il Regno Unito e sia collegabile alle fibrillazioni europee: esiste un triste precedente, di cui l’ultimo attacco può essere considerato “il secondo atto”. Pensiamo, ovviamente, all’omicidio della deputata Jo Cox, perpetrato alla vigilia del referendum sulla permanenza di Londra nell’Unione Europea: un classico esempio di guerra psicologica con cui si cercò di influenzare (senza risultati) l’imminente voto. Riportiamo brevemente i fatti: è il pomeriggio del 22 marzo quando un SUV Hyundai Tucson esce dalla carreggiata del ponte di Westminster per immettersi sul marciapiede e falciare i passanti. L’auto finisce la corsa contro i cancelli del Parlamento inglese e l’attentatore, sceso dal veicolo, accoltella ancora a morte un poliziotto prima di essere liquidato dagli agenti di sicurezza: si contano in totale cinque vittime, compreso il terrorista. Trascorreranno meno di 24 ore prima che “il Califfato” rivendichi l’attentato attraverso il consueto canale del SITE Intelligence Group, la spudorata firma con cui i servizi segreti atlantici (CIA, MI6, Mossad, DGSE) siglano le loro operazioni sin dalla strage di Charlie Hebdo.



    La data, 22 marzo, è molto significativa, perché cade a distanza di un anno esatto dagli attentati che inseguirono Bruxelles e a sette giorni dall’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, per l’uscita formale del Regno Unito dall’Unione Europea. La dinamica dell’attentato è altrettanto significativa, perché la sua estrema semplicità (un’auto, un coltello, un terrorista) implica una preparazione molto rapida, se non frettolosa, dettata dall’urgenza di agire sull’onda di qualche evento esterno: risale infatti al 20 marzo, appena due giorni prima, la decisione di Downing Street di attivare il sullodato articolo 50.

    “Brexit, l’Inghilterra va avanti: dal 29 marzo il via ufficiale all’iter per l’uscita dalla UE”, titolava La Repubblica1. L’obbiettivo dell’attentato è strettamente collegato a quanto appena detto: si tratta del Parlamento inglese, lo stesso che ha avvallato l’iter per la Brexit ed influenzerà l’operato della Premier Theresa May nei prossimi mesi. Il profilo dell’attentatore si inquadra infine perfettamente nel nostro discorso: è il 52enne Khalid Masood, “già noto ai servizi segreti britannici, l’MI5, ma considerato un elemento marginale”2. Un pesce piccolo, “una figura periferica”, utilizzabile dai servizi segreti inglesi per un lavoro semplice e veloce come l’attentato di Westminster: un uomo di mezza età, “appassionato di giardinaggio”3, adescato probabilmente in moschea e portato sul ponte di Westminster forse lucido o, più facilmente, sotto l’effetto di sostanze allucinogene. Mai, in passato, si sarebbe verificato qualcosa di analogo nel Regno Unito: i servizi segreti, etichettati per l’occasione come “deviati”, agiscono contro il proprio governo solo nei Paesi a sovranità limitata, Stati subalterni che gravitano nell’orbita atlantica: Italia, Germania, Egitto, Turchia, ecc... Il famigerato Secret Intelligence Service è abituato ad interferire con attentati, omicidi e rivoluzioni colorate in Paesi terzi, non certamente ad intervenire a gamba tesa nell’agone politico inglese e mai, comunque, contro il Parlamento britannico inteso come istituzione. L’attentato del 22 marzo sancisce quella frattura interna al Regno Unito, tra la politica e la City, tra lo Stato-nazione inglese e la finanza cosmopolita che ha in Londra la propria sede principale, tra l’establishment nazionale e quello sovranazionale, mondialista e liberal delle grandi banche: dopo aver vissuto in simbiosi per secoli, i due vecchi alleati si sono separati sull’Unione Europea. Come negli Stati Uniti i servizi segreti, fedeli all’establishment liberal, non si fanno scrupoli nell’attentare alla Presidenza di Donald Trump con dossier e fughe di notizie, così nel Regno Unito i servizi segreti non hanno remore nell’inviare avvertimenti mafiosi alla camere in vista della Brexit. Già, perché non c’è alcun dubbio che l’attentato al Parlamento inglese non ruoti attorno ad una fantomatica guerra di civiltà tra l’ISIS e l’Occidente, ma attorno alla ben più concreta uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, edificata, passo dopo passo (CECA, CEE, UE), proprio dalla finanza cosmopolita che ha sede a Londra, la stessa che negli anni ‘20 del Novecento sovvenzionava il primo esperimento di federazione del Continente, la Paneuropa del conte Coudenhove-Kalergi.

    Si è cercato in ogni modo di depotenziare, se non di ribaltare tout court, il voto dello scorso 23 giugno: si sono raccolte milioni di firme per ripetere una seconda volta il referendum, si è ricorsi all’Alta Corte Britannica che ha vincolato la Brexit all’approvazione del Parlamento, si è cercato fino all’ultimo di indebolire l’azione del governo attraverso la Camera dei Lord, che avrebbe voluto vincolare l’accordo finale sulla Brexit ad un voto delle due camere. Tutto inutile, perché la Premier Theresa May ha infine ottenuto, il 13 marzo, che la Camera dei Comuni la investisse di pieni poteri per negoziare la Brexit senza vincoli di sorta: a distanza di una settimana Downing Street ha annunciato l’imminente attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona e nove giorni dopo, quando i media ricordavano gli attentati “islamici” di Bruxelles di un anno prima, si è consumato l’attacco a Westminster. Il messaggio sottostante all’attentato è inequivocabile: che i negoziati non destabilizzino ulteriormente un’Unione Europea che si dibatte tra crisi politiche, economiche e sociali sempre più lancinanti. Che la premier Theresa May non fornisca altra benzina ai “populisti” oltre Manica, col rischio di innescare un incendio di proporzioni continentali. Che la politica inglese non alimenti le spinte centrifughe che stanno divorando le istituzioni di Bruxelles. Subito dopo la Brexit, scrivemmo che l’ordine mondiale “liberale”, edificato dagli angloamericani del secondo dopoguerra e poggiante sul binomio UE/NATO, era entrato in crisi irreversibile: l’attentato del 22 marzo rafforza questa tesi, svelando un sistema internazionale così degenerato da sfiorare l’autocannibalismo, dove i servizi segreti atlantici sferrano un attacco persino contro Westminster, degradato ai livelli di un Parlamento sud-americano o africano qualsiasi. È la stessa agonia cui si assiste dall’altro lato dell’Oceano, dove la faida tra la Casa Bianca ed i servizi segreti sta assumendo toni sempre più drammatici. Si avvicina il crepuscolo dell’establishment liberal e nessuno può sentirsi al sicuro dai suoi colpi di coda: neppure il blasonato Parlamento inglese.

    Federico Dezzani
    23 marzo 2017
    federicodezzani.altervista.org/lattentato-a-westminster-lisis-sbarca-in-regno-unito-in-vista-della...
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    wheaton80
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    00 29/03/2017 15:01
    Brexit: Lettera a Bruxelles, inizia l'addio all'UE. May:“E' un momento storico, non si torna indietro”



    Il cammino verso la Brexit è partito. L'ambasciatore britannico all'UE, Tim Barrow, ha consegnato nelle mani del Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, la lettera di notifica dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, firmata da Theresa May, che segna l'inizio dell'iter formale di divorzio del Regno Unito da Bruxelles a 44 anni dal suo ingresso nell'allora Comunità Economica Europea. La Gran Bretagna si avvia a lasciare l'UE “secondo la volontà del popolo”, ha detto alla Camera dei Comuni la Premier Theresa May, confermando la consegna della lettera di notifica dell'Articolo 50 a Donald Tusk “pochi minuti fa”. “E' un momento storico, non si torna indietro". "I giorni migliori sono davanti a noi, dopo la Brexit”, ha detto ancora la Premier britannica. “Ho scelto di credere nella Gran Bretagna”, ha detto ancora nel suo discorso sull'avvio della Brexit, un passo che ha definito “storico” e che ha indicato come “un'opportunità” per il Regno: l'opportunità di essere “più forte, più equo e più unito”. Obiettivo: essere un grande Paese ‘globale’. “La Gran Bretagna - ha detto ancora - intende garantire al più presto possibile i diritti dei cittadini UE”. La Gran Bretagna non farà parte del mercato unico, uscendo dall'UE. Lo ha confermato Theresa May, sostenendo che si tratta di una opzione "incompatibile con la volontà popolare" manifestata nel referendum sulla Brexit di restituire al Regno il pieno controllo dei suoi confini e della sua sua sovranità. “L'UE ci ha detto che non possiamo scegliere” cosa tenere e cosa no, e “noi rispettiamo” questo approccio. Ribadita comunque la volontà di una nuova partnership e di rispettare diritti dei lavoratori e valori liberaldemocratici. "Dopo nove mesi il Regno Unito ha fatto la Brexit". Così il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk su Twitter dopo aver ricevuto dalle mani dell'ambasciatore britannico presso la UE, sir Tim Barrow, la lettera che invoca l'art.50 per l'uscita del Regno Unito dalla UE. “Non c'è ragione - ha detto - di pensare che oggi sia un giorno felice”. “La prima priorità sarà quella di minimizzare le incertezze provocate dalla decisione del Regno Unito per i nostri cittadini, le imprese e gli Stati membri”. “Cosa posso aggiungere? Ci manchi già...”.

    “Io e la Commissione abbiamo il forte mandato per proteggere gli interessi dei 27. Non c'è niente da vincere nel processo (del negoziato per l'uscita del Regno Unito dalla UE, ndr) e parlo per entrambe le parti”, ha detto Tusk nella sua dichiarazione dopo aver ricevuto la lettera del governo britannico. In essenza si tratta di limitare i danni. Il nostro obiettivo è chiaro: minimizzare i costi per i cittadini, le imprese e gli Stati membri della UE. Faremo tutto quanto in nostro potere ed abbiamo tutti gli strumenti per raggiungere questo obiettivo”. “Ci dispiace che la Gran Bretagna lascerà l'Unione Europea, ma siamo pronti per il processo che ora dovremo seguire”: così la dichiarazione dei 27 in risposta alla lettera di Londra che fa scattare la Brexit. “Per l'Unione Europea, il primo passo sarà ora l'adozione da parte del Consiglio Europeo delle linee guida per i negoziati” che “fisseranno le posizioni complessive e i principi alla luce di cui l'unione, rappresentata dalla Commissione Europea, negozierà con la Gran Bretagna”, si legge nella dichiarazione. Sulla Brexit “non siamo un Regno Unito”. Con queste parole il capogruppo degli indipendentisti scozzesi dell'SNP, Angus Robertson, ha contestato ai Comuni l'affermazione della Premier Theresa May, secondo cui l'uscita dall'UE potrà rendere il Paese “più unito”. Robertson ha insistito sulla richiesta di un referendum sull'indipendenza della Scozia, nel “rispetto del voto democratico” del parlamento di Edimburgo al riguardo e ha ricordato che il 23 giugno “2 nazioni del Regno hanno votato per la Brexit e 2 contro”. Ieri il parlamento scozzese ha votato in maggioranza a favore della richiesta di un referendum bis sulla secessione da Londra in risposta alla Brexit. La proposta era stata presentata dalla First Minister e leader indipendentista dell'SNP, Nicola Sturgeon. “Non apriremo i negoziati sulla proposta della Scozia”: è la risposta della Premier britannica, tramite un suo portavoce. “Ora non è il momento giusto”, ha ribadito il Primo Ministro, riferendosi all'inizio dei negoziati sulla Brexit.

    www.ansa.it/sito/notizie/speciali/2017/03/28/brexit-may-e-un-momento-storico.-scozia-chiede-referendum-bis-su-indipendenza_5bf3663a-e90d-4c6b-85f5-b29f68604...
    [Modificato da wheaton80 29/03/2017 15:02]
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