GALILEO E IL PRINCIPIO DI RELATIVITA'
Nel suo "Dialoghi sui Massimi Sistemi" Galileo Galilei dà una descrizione molto chiara del cosiddetto "principio di relatività galileiana". Egli immagina uno sperimentatore, rinchiuso nella stiva di una nave, che esegue una serie d'osservazioni sulla caduta dei gravi. Galileo spiega, molto chiaramente, come in nessun modo sia possibile per quest'osservatore trarre alcun'indicazione sulla velocità del moto (uniforme) della nave mediante esperimenti che si svolgano esclusivamente nel suo interno. La formulazione galileiana originale è descrittiva e segna tuttavia l'ingresso nella fisica moderna del concetto di relatività: "E' impossibile mettere in evidenza il moto assoluto di un oggetto e si può solamente parlare di velocità relativa di due oggetti". Il principio di relatività è verificabile nella vita di tutti i giorni; seduti nello scompartimento di un treno che sta partendo dalla stazione, con un altro treno a fianco, facciamo fatica a capire se ci stiamo muovendo noi o l'altro treno. La relatività galileiana è in perfetto accordo con la meccanica di Newton e con la legge di gravitazione universale. Non è dunque possibile stabilire lo stato di moto assoluto misurando la forza gravitazionale tra corpi. Il mondo relativistico può essere codificato da un'infinità potenziale d'osservatori, detti inerziali, e in moto relativo uniforme. Nessuno di questi ha preminenza sugli altri e le leggi della fisica si scrivono nello stesso modo per tutti. Nella relatività ristretta non sono ammessi osservatori in moto non uniforme e sarebbe invero possibile avvertire il moto della nave con il mare mosso. L'esistenza d'osservatori inerziali è un fatto empirico e al momento non discende da alcun principio superiore. La relatività galileiana è rimasta in ottimo accordo con i dati osservativi, sino alla fine dell'Ottocento, e continua a essere usata con successo per trattare i fenomeni non relativistici, ossia quelli che si svolgono con velocità molto inferiori a quella della luce (c = 299.792,458 km/s). A velocità prossime a c - dette relativistiche - essa si rivela invalida e occorre usare la relatività einsteiniana.
NEWTON E CONTEMPORANEI
Newton era convinto di poter dare una definizione di moto e di spazio e tempo assoluto usando un sistema di riferimento (o osservatore) ancorato rispetto alle stelle fisse. Nei Principia di Newton si legge che "Si postula l'esistenza di un corpo di riferimento, (o spazio di riferimento tridimensionale, rispetto cui studiare i fenomeni fisici che in esso si svolgono) di natura "sui generis", caratterizzato a priori dalle seguenti proprietà fisiche e geometriche: 1. Per definizione fisso, inerte rispetto all'evolversi in esso dei fenomeni fisici, rigido e trasparente alla penetrazione ottica. 2. Le sue proprietà geometriche si identificano con quelle di uno spazio euclideo tridimensionale." Tale corpo di riferimento è chiamato "PIATTAFORMA SPAZIALE" Inoltre si legge ancora che "Si postula l'esistenza di un ente fisico unidimensionale, che fluisce uniformemente ed indipendentemente dai fenomeni naturali e dallo stato di quiete o di moto della sede in cui essi si svolgono. Tale ente fisico è idoneo a stabilire senza ambiguità: 1. Se due eventi A e B sono simultanei oppure uno di essi precede o segue l'altro; 2. La durata di un fenomeno, intesa come intervallo temporale che separa due eventi.". Newton propose anche un esperimento concettuale con un vaso ruotante pieno d'acqua per mettere in evidenza il moto assoluto. Come fu osservato, questo metodo evidenzia solamente i moti accelerati. Un enunciato molto chiaro del principio di relatività si trova in Christiaan Huygens, che nel 1669 scriveva: "La quiete e il moto possono venire considerati solo relativamente e lo stesso corpo che uno dice in quiete rispetto a certi corpi può venir detto in movimento rispetto ad altri e ritengo che non ci sia più realtà di movimento nell'uno piuttosto che nell'altro".
ELETTRICITA' E MAGNETISMO
H.C. Oersted fu il primo a osservare la deviazione indotta sull'ago di una bussola da un filo conduttore percorso da corrente elettrica, mettendo così in luce una connessione nuova e profonda tra fenomeni elettrici e fenomeni magnetici. Dobbiamo a M. Faraday uno studio sistematico e profondo dei fenomeni elettromagnetici e una prima formulazione della teoria dei campi attraverso il concetto di linee di forza. La sintesi finale per i fenomeni elettromagnetici fu portata a termine da J.C. Maxwell nel 1865. Le equazioni di Maxwell mostrarono che la luce è un fenomeno elettromagnetico, permisero a H.R. Hertz di provare sperimentalmente l'esistenza delle onde radio, aprirono la strada alla relatività ma anche a una serie straordinaria di conquiste tecnologiche e scientifiche che non ha confronti nella storia. Secondo la convinzione corrente in quel tempo, e condivisa da Maxwell, il campo elettromagnetico altro non era che un modo molto preciso di descrivere le deformazioni, tensioni interne e propagazione ondosa in un mezzo ipotetico chiamato etere. In sostanza la luce si sarebbe propagata nell'etere in modo analogo alla propagazione del suono nell'aria. Ma poiché la velocità della luce è altissima, circa un milione di volte quella del suono, ne seguiva che l'etere doveva essere un mezzo allo stesso tempo rigidissimo e leggerissimo, e che doveva permeare tutti i corpi, anche i solidi, come prova il fatto che la luce e i campi elettromagnetici passano attraverso i vetri più densi. Le equazioni di Maxwell segnano l'inizio della crisi che ha condotto alla scoperta della relatività.
L'ESPERIMENTO DI MICHELSON E MORLEY
L'esistenza dell'etere agì come meccanismo di rottura e crisi entro la fisica tradizionale rappresentata dalla relatività galileiana. Si ragionava nel seguente modo: se l'etere esiste, allora dovrebbe essere possibile sostituirlo alle stelle fisse di Newton e dichiarare fermo in assoluto l'osservatore immobile rispetto all'etere. Quello che ci si attendeva era che quei fenomeni fisici che dipendevano dal moto dell'etere (o meglio rispetto all'etere) potessero venire usati per stabilire il moto assoluto dell'osservatore in contrasto con il principio galileiano. Tra questi fenomeni fisici il più adatto era la propagazione della luce. Se soffia vento sappiamo che dobbiamo sottrarre la velocità del vento a quella del suono se questo si propaga controvento, e dobbiamo aggiungerla se questo si propaga sottovento. Sostituendo la luce al suono e l'etere all'aria vediamo che in presenza di movimento rispetto all'etere (o "vento d'etere") la luce dovrebbe propagarsi con velocità diversa nelle varie direzioni. A.A. Michelson e E.W. Morley decisero appunto di misurare la velocità della luce in funzione della direzione nella speranza di mettere in evidenza il vento d'etere. Utilizzarono un interferometro costituito da una serie di specchi posti su due bracci ortogonali e di ugual lunghezza. L'apparato doveva mettere in evidenza il tempo impiegato dalla luce per percorrere (andata, riflessione e ritorno) un dato braccio e confrontarlo con quello impiegato a percorrere l'altro braccio. Il vento d'etere doveva causare una variazione nei tempi di transito che cadeva entro i limiti di precisione dell'apparato. L'intero apparato poteva ruotare su di una piattaforma in modo da scambiare il ruolo dei due bracci. L'esperimento fu ripetuto più volte ma nel 1887 dette un risultato nullo con grande delusione dei due sperimentatori e sorpresa nel mondo accademico. L'esperimento fu poi ripetuto con altre tecniche ma con gli stessi risultati.
LA CONTRAZIONE DI LORENTZ
H.A. Lorentz fu il primo a raggiungere una spiegazione del fallimento e una prima, sia pure incompleta, formulazione della relatività. Secondo Lorentz, che credeva nell'etere, il vento d'etere aveva anche altre conseguenze di rilievo. Egli concepiva i corpi materiali come composti da particelle dotate di cariche opposte e tenute insieme dalle forze elettromagnetiche. Se queste forze sono propagate dall'etere, dipendono dal vento d'etere (come d'altronde la propagazione della luce), allora anche la forma dei corpi deve dipendere dal loro stato di moto rispetto all'etere. In base ad alcune assunzioni sulle forze elettromagnetiche, egli dimostrò che il vento d'etere doveva produrre un accorciamento dei corpi lungo la direzione del vento. Questo accorciamento, pure predetto da G.F. Fitzgerald, alterava i tempi di percorso della luce entro l'apparato di Michelson e Morley in modo da nascondere completamente l'effetto cercato. L'etere possedeva dunque una proprietà straordinaria, quella di rendersi completamente inosservabile. Nel corso delle sue ricerche Lorentz dimostrò che il vento d'etere doveva alterare il ritmo degli orologi. Se dunque spirava il vento d'etere le misure convenzionali di spazio e tempo risultavano alterate ed erronee in modo tale da simulare una realtà fisica in cui l'etere appariva sempre immobile e la velocità della luce era ancora la stessa in tutte le direzioni. Questo risultato di Lorentz va sotto il nome di "principio degli stati corrispondenti". In sostanza asserisce l'esistenza dell'etere e di un sistema di riferimento privilegiato ancorato all'etere anche se non rilevabile attraverso esperimenti di natura elettromagnetica. In questo senso esso è in contrasto con il principio di relatività galileiano. Nella teoria di Lorentz, il moto dell'etere induceva delle distorsioni nell'apparato di misura per cui le trasformazioni di Galileo andavano corrette. Da questa analisi Lorentz dedusse delle nuove trasformazioni che portano il suo nome e che tengono conto del moto dell'etere e delle distorsioni da esso indotte. La teoria di Lorentz contiene molti dei punti essenziali della relatività einsteiniana ma rimane rivolta al passato.
LA RELATIVITA' RISTRETTA
Il lavoro di Albert Einstein ribaltò completamente il punto di vista di Lorentz e portò la crisi della fisica classica a compimento. Einstein abbandonò completamente il concetto di etere abbracciando la nozione positivista secondo cui un ente che in linea di principio non è osservabile non ha diritto all'esistenza. L'asserzione di Lorentz era tuttavia più debole e non escludeva a priori la scoperta di nuove forze o interazioni non elettromagnetiche capaci di rendere osservabile l'etere; in Einstein la non osservabilità dell'etere era invece elevata a principio costitutivo. Secondo Einstein le misure distorte di Lorentz erano quelle vere e la trasformazione di Lorentz soppiantava completamente quella di Galileo. La velocità della luce era una costante universale c, indipendente dallo stato di moto dell'osservatore; il principio di relatività veniva eletto a principio costitutivo; le contrazioni delle lunghezze e la dilatazione dei tempi erano parte essenziale della geometria dello spazio-tempo, una geometria nuova la cui natura precisa fu poi stabilita da H.Minkowsky. La nuova geometria si adattava perfettamente alle equazioni di Maxwell.
SINCRONISMO DEGLI OROLOGI
Una prima conseguenza di rilievo della relatività riguarda il sincronismo degli orologi. Consideriamo un aereo in volo da Milano a Reggio Calabria alla velocità v. Giunto a metà tragitto il pilota lancia un messaggio radio alle due città. Per il personale di terra i messaggi viaggiano alla velocità c in ambedue le direzioni e poiché devono percorrere la stessa distanza essi giungono nello stesso istante. Nella relatività galileiana e per il pilota la velocità dei messaggi verso Reggio Calabria risulta c-v e quella verso Milano c+v, in modo tale da compensare esattamente il moto delle città relativamente all'aereo: quindi i messaggi arrivano ancora sincroni come impone il buon senso ma non la fisica. Nella relatività einsteiniana la velocità della luce vale sempre c per cui il messaggio arriva prima a Reggio Calabria e poi a Milano; ne segue che alterando il nostro stato di moto perdiamo il vecchio sincronismo degli eventi e ne acquistiamo uno nuovo. Il pilota che si muove verso Reggio Calabria vede accadere in anticipo gli eventi reggini e in ritardo quelli milanesi (rispetto al personale di terra). Eventi simultanei per un osservatore non sono più tali per un altro in moto relativo. La differenza è minima alle velocità per noi usuali. Questo dissincronismo è legato agli altri effetti e non è possibile considerarlo separatamente.
COMPOSIZIONE DELLE VELOCITA'
Una conseguenza dei postulati della relatività einsteniana è che, quando si ha che fare con velocità prossime a quella della luce, le velocità non si sommano in maniera normale. Consideriamo una persona che cammina sui vagoni. Supponiamo, inoltre, che il treno corra a 80 km/h e che la persona cammini verso la testa del treno a 5 km/h; egli, rispetto al suolo, avrà allora una velocità di 85 km/h, pari alla somma della sua velocità e di quella del treno. Se camminasse verso la coda, la sua velocità sarebbe di 75 km/h, perché il suo spostamento sarebbe contrario a quello del mezzo in cui si trova. Supponiamo che adesso il nostro osservatore si trovi su un treno molto speciale, che viaggia alla velocità della luce (300.000 km/h) e supponiamo anche che indossi delle scarpe a razzo che gli consentano di spostarsi sui vagoni a 20.000 km/h orari. Secondo il senso comune, la sua velocità rispetto al terreno sarà allora di 320.000 km/h. Questo però non può accadere, perché andrebbe contro il primo postulato della relatività. La natura fa sì che un qualsiasi corpo non possa essere accelerato a una velocità maggiore di c, qualunque energia gli si trasmetta. La costanza della velocità della luce rappresenta il punto di rottura con la fisica tradizionale e con il nostro (erroneo) buon senso basato sulla nostra limitatissima esperienza quotidiana. Se accettiamo questo fatto siamo obbligati ad accettarne le conseguenze. Tra queste ritroviamo la contrazione di Lorentz e la dilatazione dei tempi.
CONTRAZIONE DELLE LUNGHEZZE E DILATAZIONE DEI TEMPI
Anche la contrazione delle lunghezze può essere esaminata con gli stessi criteri qualitativi. Per il pilota in volo Reggio Calabria è in anticipo e Milano in ritardo. Dunque Reggio Calabria ha avuto più tempo a sua disposizione per avvicinarsi all'aereo e Milano meno tempo per allontanarsi. Ne segue che la distanza tra le due città è minore per il pilota di quanto appaia a terra. Consideriamo infine un orologio posto sull'aereo e uno posto a terra. Per il pilota il viaggio è più breve perché la distanza Reggio Calabria-Milano è minore e il suo orologio indica una durata minore del viaggio di quanto faccia un orologio identico posto a terra. Il personale di terra ha dunque l'impressione che l'orologio dell'aereo vada a rilento e che i secondi da esso scanditi siano più lunghi e dilatati rispetto a quelli dell'orologio a terra. Dunque anche la dilatazione dei tempi è connessa agli altri effetti relativistici. La scelta tra relatività galileiana ed einsteiniana è un fatto empirico poiché ambedue hanno un elemento interno di coerenza assoluto ed entrambe sono esenti da paradossi interni. Solo l'esperimento poteva decidere tra le due e ha deciso in favore della relatività ristretta. Avvicinandosi alla velocità della luce il fattore di contrazione tende ad annullarsi; se v > c la formula perde significato, una chiara indicazione che la velocità della luce non è superabile.
IL PARADOSSO DEI GEMELLI
L'accettazione della teoria non fu immediata e ancora oggi esistono oppositori. Tra i vari paradossi apparenti ideati per mostrare delle contraddizioni nella teoria della relatività ristretta il più noto è quello dei gemelli. Il paradosso si presenta nel modo seguente. Sulla Terra vivono due gemelli, Mimmo e Sonia che al momento dell'esperimento hanno 20 anni e possiedono entrambi un orologio e un calendario. Supponiamo che Sonia decide di diventare astronauta mentre Mimmo rimane a terra. Sonia parte su di una astronave che viaggia a una velocità prossima a quella della luce; sull'astronave lei vede scorrere il tempo sul proprio orologio in modo normale e allo stesso modo vede scorrere i giorni sul calendario. Quando Sonia torna sulla Terra, però, ha una sorpresa imprevista: Mimmo, è molto più vecchio di lei! La differenza di età dipende da quanto tempo è durato il viaggio e dalla velocità alla quale si è svolto: più la velocità dell'astronave è stata vicina a quella della luce, maggiore è la differenza nel tempo sperimentata da due gemelli; addirittura Mimmo potrebbe essere morto da tempo e Sonia potrebbe ritrovarsi in quello che potremmo definire il suo "futuro". Il paradosso nasce dal ruolo apparentemente simmetrico dei due gemelli: ambedue possono sostenere, in base alla relatività del moto, di essere rimasti a riposo mentre l'altro faceva il viaggio. Ambedue possono sostenere che l'orologio dell'altro va a rilento. Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra Sonia e Mimmo: Mimmo è un osservatore inerziale mentre Sonia non lo è poiché frena e inverte la marcia per tornare sulla Terra. Il paradosso descritto è provato scientificamente. Naturalmente non è ancora possibile costruire astronavi che viaggiano alla velocità della luce, però è stato compiuto un esperimento, all'inizio degli anni '70, che ha consentito di misurare la dilatazione temporale. Due orologi atomici straordinariamente precisi sono stati sincronizzati; uno dei due è stato collocato a bordo di un velocissimo jet, mentre l'altro è rimasto a Terra. Al ritorno del volo, l'orologio sull'aereo era in ritardo rispetto a quello a Terra; naturalmente il ritardo era minimo perché la velocità di un aereo è molto piccola rispetto a quella della luce, tuttavia è stato possibile misurarlo. Il tempo, perciò, scorre in modo diverso se misurato in sistemi di riferimento diversi. Questo fatto è davvero sorprendente e rappresenta uno dei risultati più importanti della fisica eisteniana.
LA METRICA DI MINKOWSKY E IL TEOREMA DI PITAGORA
Più illuminante e profondo risulta il concetto di metrica introdotto da Minkowsky e che qui analizziamo in forma molto semplificata. In sostanza esso appare come una variante del teorema di Pitagora in cui il ruolo dell'ipotenusa è svolto dalla durata soggettiva del viaggio, detta anche tempo proprio. Più precisamente, secondo Minkowsky il quadrato del tempo proprio vale la differenza tra il quadrato del tempo trascorso sulla Terra e quello del percorso misurato in anni luce. Queste ultime due variabili giocano quindi il ruolo dei cateti con l'avvertenza fondamentale che occorre sostituire la somma con la differenza dei quadrati dei cateti. Se Sonia viaggiasse alla velocità della luce tale differenza sarebbe per definizione nulla e così pure la durata soggettiva del suo viaggio per cui il tempo rimarrebbe per lui congelato. Se Sonia tentasse di superare la velocità della luce diventando un tachione la differenza dei quadrati diventerebbe negativa e il concetto di tempo proprio perderebbe ogni significato.
L'EFFETTO FOTOELETTRICO
Fino alla fine del XIX° secolo si pensava che la luce fosse un fenomeno esclusivamente ondulatorio, secondo la teoria di Huygens. Nel 1887 il tedesco H.R. Hertz scoprì l'emissione di elettroni da parte di una sostanza colpita da una radiazione luminosa ("Effetto fotoelettrico"). Dall'analisi di questo fenomeno Einstein dedusse che l'energia della luce poteva essere assorbita o emessa solamente sotto forma di quanti o fotoni (atomi di luce) proponendo un ritorno all'ipotesi corpuscolare di Newton. Un fotone non può rallentare e non possiede massa e quindi energia di riposo. L'energia di un fotone è proporzionale alla frequenza della luce: diminuendo la frequenza e aumentando la lunghezza d'onda il fotone perde energia. In tutte le reazioni che coinvolgono particelle elementari dotate di carica vengono emessi fotoni la cui presenza va tenuta da conto nel valutare il bilancio energetico del processo.
L'EFFETTO DOPPLER
L'effetto Doppler fu previsto per la prima volta da C. Doppler per le onde sonore e si può rilevare con facilità confrontando il suono acuto di una sirena che si sta avvicinando con quello di una sirena che si sta allontanando. Esso rappresenta un cambiamento nella frequenza di un'onda rilevato quando la sorgente dell'onda e l'osservatore sono in movimento l'uno rispetto all'altro. L'effetto Doppler sussiste per un qualsiasi fenomeno ondoso e in particolare per la luce. Le linee dello spettro di un corpo luminoso, come una stella, risultano spostate verso il violetto, se esso si sta avvicinando alla Terra, e verso il rosso se si sta allontanando; misurando questo spostamento è possibile calcolare il moto relativo della stella rispetto al nostro pianeta. L'analisi degli spettri della radiazione proveniente da corpi celesti portò a risultati estremamente importanti in astrofisica, quali ad esempio la scoperta di stelle doppie non distinguibili neanche mediante strumenti ad alta risoluzione. La teoria della relatività introduce tuttavia delle correzioni che non hanno un analogo nel caso sonoro e che sono dovute al rallentamento dei tempi per la sorgente in moto. Per esempio una stella che si muove lateralmente mostra ancora uno spostamento verso il rosso che non sussiste per il suono. La misura dell'effetto Doppler rimane lo strumento principale per valutare la velocità di oggetti astronomici, stelle o galassie.
LA RELATIVITA' GENERALE
Nel 1915 Einstein formulò la teoria della relatività generale ampliando il principio di relatività, stabilendo che le leggi fisiche devono restare invariate passando da un osservatore ad un altro in moto qualsivoglia rispetto al primo, vale a dire per sistemi in moto accelerato l'uno rispetto all'altro. Essa trae origine dalla necessità di dare un'interpretazione razionale delle azioni gravitazionali, ponendo i suoi fondamenti nella geometria di Bernhard Riemann. Il tema centrale della teoria della relatività generale è la nozione che la materia influenzi la geometria dello spazio introducendo una curvatura che la fa discostare da quella euclidea. La costruzione completa e soddisfacente di una teoria relativistica della gravitazione fu raggiunta solamente alla fine della prima guerra mondiale. Sin dal 1907, Einstein si interessò alla gravitazione e si rese conto dell'importanza del principio di equivalenza, dette così una prima formulazione dello spostamento verso il rosso di natura gravitazionale ma ne fu poi in parte distratto dalle sue riflessioni sui fotoni (o quanti di luce) per i successivi quattro anni. Nel 1912 ritornò a Zurigo e incontrò il matematico M. Grossmann e C.F. Geiser, dai quali fu iniziato allo studio delle coordinate curvilinee di Gauss e alle loro generalizzazioni. Da lui apprese l'algoritmo del calcolo differenziale assoluto sviluppato dai matematici italiani G. Ricci e Tullio Levi-Civita. Dopo molti tentativi incompleti la versione finale della teoria fu pronta nel 1916; un anno dopo Karl Schwarzschild trovò la soluzione isotropa che porta il suo nome, la prima esatta mai ottenuta delle equazioni del campo, che descrive il campo gravitazionale generato da un corpo avente simmetria sferica e popolarmente nota come la soluzione del buco nero. La teoria ebbe una conferma sperimentale spettacolare nel 1919 durante una spedizione all'isola del Principe, nei mari del Sud, in cui venne misurata la deflessione dei raggi luminosi di alcune stelle sul bordo del Sole durante un'eclissi totale. Negli anni Venti la teoria fu applicata dallo stesso Einstein, da A.A. Friedmann alla cosmologia e condusse, sotto la spinta delle osservazioni di Edwin Powell Hubble, a nuove e sconvolgenti visioni sulla struttura a grande scala dell'universo. Nonostante questi successi la relatività generale ebbe sempre oppositori. Il successo straordinario della relatività generale indusse Einstein a tentare la costruzione di una teoria unificata in cui le interazioni gravitazionali ed elettromagnetiche apparissero come un tutto unico. Questi tentativi sono falliti ma rimane la spinta verso l'unificazione finale. Si pensa che fenomeni in cui l'elettromagnetismo e le forze tra particelle elementari sono direttamente collegati alla gravità possano essere osservati solamente a una scala di energie totalmente al di fuori della tecnologia attuale, la cosiddetta scala di Planck, miliardi di miliardi di volte più elevata di quella finora raggiunta dai più grandi acceleratori. Nelle collisioni ad altissima energia si ricreano per un istante brevissimo le stesse condizioni che caratterizzavano l'universo primordiale una frazione di secondo dopo il Big Bang. La fisica delle altre energie ci ha fornito dati essenziali per valutare più realisticamente i fenomeni che avvenivano all'inizio della storia universale. Viceversa è anche accaduto che dati cosmologici confermassero ipotesi (quali il numero di neutrini) elaborate nella fisica delle alte energie. La Teoria della relatività generale ha ottenuto conferme sperimentali ed attualmente è alla base dello studio della cosmologia e dell' astrofisica, con particolare riferimento a sistemi astronomici quali: pulsar, quasar e buchi neri.