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Piccole riflessioni sull´evoluzione.....

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2008 19:41
08/05/2007 20:19
 
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suoi resti fossili rinvenuti nella Mongolia interna
Il primo mammifero campione di nuoto

Castorocauda lutrasimilis occupava una nicchia ecologica semi-acquatica già 164 milioni di anni fa

Un mammifero velenoso estinto
Un gruppo di ricercatori del Carnegie Museum of Natural History, e dell’Accademia cinese di scienze geologiche ha descritto lo scheletro fossilizzato di quello che si candida a essere il più antico mammifero nuotatore mai scoperto. Il Castorocauda lutrasimilis aveva, come dice il nome, una coda simile a quella del castoro, mentre l’aspetto complessivo richiamava quello della lontra e come questa si nutriva di pesci. Castorocauda apparteneva a un gruppo di mammiferi, i docodonti, vissuto fra il Giurassico medio e il tardo Cretaceo del quale oggi non esistono discendenti, e che non è neppure direttamente imparentato con i moderni mammiferi placentati. I suoi resti, scoperti nella formazione di Jiulongshan, nella Mongolia interna, risalgono a circa 164 milioni di anni fa. L’importanza paleontologica di Castorocauda è legata al fatto che si tratta del più antico mammifero in cui sia possibile riconoscere uno scheletro specializzato per una vita semi-acquatica: è la prima testimonianza che un mammifero occupasse questa nicchia ecologica fin dal Mesozoico, a prova del fatto che già allora esisteva una notevole diversificazione di specie. Ma non solo. Oltre allo scheletro, sono stati rivenuti anche frammenti fossili che riportano tracce della pelliccia, dalle quali si riesce a desumere la sua capacità idrorepellente. Lungo complessivamente 42,5 centimetri, con un cranio di 6, pesava probabilmente fra i 500 e gli 800 grammi, ben di più degli altri mammiferi suoi contemporanei finora documentati. Secondo Zhe-Xi Luo, curatore di paleontologia dei vertebrati del Carnegie Museum, “Castorocauda aveva probabilmente uno stile di vita assai simile a quello dell’odierno ornitorinco”.
08/05/2007 20:20
 
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L'aumento di ossigeno ha favorito i mammiferi

Lo studio dei campioni fossili rivela che 50 milioni di anni fa la quantità di ossigeno nell'atmosfera terrestre è cresciuta rapidamente

Cambia la storia dei mammiferi?
La prima registrazione continua ad alta risoluzione della concentrazione di ossigeno nell'atmosfera terrestre suggerisce che un rapido incremento di ossigeno circa 50 milioni di anni fa abbia fornito ai mammiferi la spinta evolutiva necessaria per dominare il pianeta. Lo sostiene Paul Falkowski, docente di scienza marina alla Rutgers University e autore principale di un articolo pubblicato sul numero del 30 settembre della rivista "Science". Falkowski e colleghi hanno misurato l'abbondanza di carbonio-13, un sottoprodotto della fotosintesi, in carote estratte dalle profondità oceaniche e risalenti fino a 205 milioni di anni fa. La presenza di carbonio-13 nei campioni fossili ha consentito agli scienziati di stimare con precisione quanto ossigeno si trovava nell'atmosfera in ogni dato momento. Da un valore stabile di 10 per cento - il livello nel periodo in cui prosperavano i dinosauri - la percentuale di ossigeno è salita al 17 per cento 50 milioni di anni fa, e al 23 per cento 40 milioni di anni fa. "Nelle registrazioni fossili - commenta Falkowski - si vede che questa crescita di ossigeno corrisponde esattamente a un rapidissimo aumento dei grandi mammiferi placentati. Riteniamo dunque che l'aumento di ossigeno nell'atmosfera abbia consentito ai mammiferi di diventare molto più grandi". Al tempo della grande estinzione dei dinosauri, infatti, i mammiferi placentati che vivevano sulla Terra erano creature piccole e limitate. Negli ultimi 10 milioni di anni, la percentuale di ossigeno nell'atmosfera terrestre è calata fino al 21 per cento. Secondo molti scienziati, la responsabilità è dei grandi incendi che hanno avvolto il pianeta circa 10 milioni di anni fa, riducendo il numero di alberi e, di conseguenza, la quantità di fotosintesi e di ossigeno.
08/05/2007 20:21
 
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Calo di ossigeno ed estinzioni di massa

La diminuzione dei livelli di ossigeno nell'atmosfera, fra 175 e 275 milioni di anni fa, avrebbe innescato la scomparsa del 90 per cento di tutte le specie sulla Terra

Scoperto il meccanismo dell'ultima grande estinzion
e
Scoperte recenti suggeriscono che l'ossigeno nell'atmosfera subì in tutto il mondo un forte calo fra 175 e 275 milioni di anni fa, precipitando a livelli estremamente bassi se confrontati con quelli odierni: abbastanza da rendere difficile respirare l'aria al livello del mare proprio come se ci si trovasse a un'altitudine elevata. Ora un paleontologo dell'Università di Washington ha presentato una teoria secondo la quale il poco ossigeno e i ripetuti aumenti di temperatura, brevi ma sostanziali, a causa dell'effetto serra sarebbero la causa di due grandi estinzioni di massa, una delle quali responsabile della scomparsa del 90 per cento di tutte le specie sulla Terra. Peter Ward, docente di biologia e di scienze dello spazio, ritiene inoltre che le condizioni particolari stimolarono in alcuni dinosauri, il gruppo dei saurischiani che comprende anche il brontosauro, lo sviluppo di un insolito sistema di respirazione. Al posto di un diaframma che spinge l'aria dentro e fuori i polmoni, i saurischiani avevano polmoni attaccati a una serie di sacche d'aria dalle pareti sottili che funzionavano come soffietti per muovere l'aria attraverso il corpo. Ward, che ha lavorato con il biologo Raymond Huey e il radiologo Kevin Conley, sostiene che questo sistema respiratorio, che si trova tuttora nei moderni uccelli, rese i saurischiani meglio equipaggiati dei mammiferi per sopravvivere alle dure condizioni di quel periodo, dove il contenuto di ossigeno nell'aria alla superficie terrestre era soltanto la metà del 21 per cento odierno.
08/05/2007 20:22
 
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Grazie a una nuova tecnica di indagine sui fossili che permette di risalire alle variazioni stagionali di temperatura
Scoperto il meccanismo dell'ultima grande estinzione

34 milioni di anni fa, scomparve il 90 per cento delle specie di conchigliferi, lasciando il posto ad altre. Oggi abbiamo una spiegazione dell'improvvisa catastrofe

La storia è una storia vecchia: 34 milioni di anni fa, almeno il 90 per cento dei piccoli organismi marini della costa del Golfo del Messico muniti di conchiglia si estinse, lasciando il posto a nuove specie di molluschi. Lo stesso accadde lungo le coste di tutto il mondo, segnando la più imponente estinzione di massa dall'epoca della sparizione dei dinosauri. E, fino a oggi, la ragione di questa estinzione di massa era del tutto sconosciuta. Ora un gruppo di ricerca dell'Università del Michigan e della Syracuse University è venuto a capo dell'enigma, grazie a una nuova tecnica che sta rivoluzionando i metodi di studio del clima e delle variazioni di temperatura. Causa della grande estinzione fu un brusco abbassamento della temperatura durante le stagioni invernali lungo la costa del Golfo, nel periodo geologico che separa l'Eocene e l'Oligocene. La ricerca, pubblicata sul numero di «Nature» di domani, è basata sull'analisi della composizione chimica degli otoliti - letteralmente pietre-orecchio - fossili di un gruppo di pesci sopravvissuto all'evento. Questa tecnica ha permesso ai ricercatori di determinare la temperatura dell'acqua nelle diverse stagioni, cosa che non era mai stato possibile fare in precedenza. «Abbiamo scoperto - scrive Linda C. Ivany, professore di scienze della Terra alla Syracuse University - che, mentre in estate non si verificarono variazioni, le temperature invernali scesero di circa 4 gradi. I paleontologi avevano sempre sospettato che le variazioni di temperatura fossero all'origine dell'estinzione, ma non erano mai riusciti a provarlo. Le registrazioni della temperatura media annuale in quell'epoca non mostravano alcun segno di cambiamento, ma non dicevano nulla sulle possibili variazioni stagionali.» Kyger C. Lohmann, collega della Ivany, ha sviluppato un metodo per raccogliere microcampioni di carbonato di calcio che possono essere analizzati chimicamente per la loro stabile composizione isotopica. William Patterson, un collaboratore di Lohmann, ha raffinato la tecnica e l'ha applicata agli otoliti fossili, costituiti appunto da carbonato di calcio, per determinare le condizioni climatiche stagionali durante la vita di un pesce. Dato che la composizione chimica degli otoliti cambia con la temperatura dell'acqua in cui il pesce vive, i ricercatori hanno potuto risalire ai valori di temperatura. Il materiale si forma, negli otoliti, ad anelli di accrescimento, più o meno come nelle piante. Quando l'acqua è fredda, il materiale accumula ossigeno 18 in misura maggiore, in proporzione, rispetto all'isotopo più leggero di peso atomico 16. Analizzando campioni di carbonato di calcio ricavatio dai singoli anelli di accrescimento, si può risalire alle variazioni stagionali della temperatura. «È la prima volta - aggiunge Patterson - che qualcuno guarda alle variazioni stagionali come a una possibile causa di estinzione a cavallo tra due ere geologiche. Noi abbiamo dimostrato che furono le temperature invernali responsabili dell'evento. I pesci sopravvissuti alla catastrofe hanno le prove registrate nei loro fossili.» La Ivany, ora, pensa di applicare la stessa tecnica nel Mare del Nord e in Antartide per capire come i cambiamenti climatici su scala globale abbiano influenzato quella lontana epoca. Marco Cattaneo
17/05/2007 19:02
 
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Altro elemento della vita l´acqua...
L’acqua gioca un ruolo molto importante sul peso di ogni individuo vivente, essendone circa il 70/ 95 % del peso stesso.
L’acqua rappresenta anche un elemento molto importante nelle attivita’ organiche e le molecole delle sostanze disperse in essa possono agevolmente passare dentro e fuori le cellule creando e mantenendo in vita le cellule.
L’osmosi è un fenomeno per cui le sostanze cristalloidi sciolte in acqua- non quelle colloidali- riescono a diffondersi attraversando una membrana semipermeabile. Se in un recipiente contenente acqua distillata immergiamo un tubetto permeabile contenente dell’acqua con sciolto del sale da cucina, si potrà constatare che:
· Una parte dell’acqua del recipiente è penetrata nel tubetto ed ha reso meno salata l’acqua del tubetto
· Una parte di sale del tubetto è uscita ed ha reso salata l’acqua distillata del recipiente.
In pratica dopo qualche tempo sia il liquido nel recipiente che quello nel tubetto, hanno assunto una identica concentrazione salina. L’osmosi ha una grandissima importanza in molti processi fisiologici del nostro organismo, riguardanti specialmente la diffusione del sangue e della linfa, la formazione dell’urina, etc…
La situazione nelle cellule viventi è molto più complessa di quella vista sopra. La caratteristica delle membrane viventi cambia con la temperatura, l’età, le condizioni generali della cellula; le cellule hanno diverse membrane ed ognuna si comporta a seconda delle sue caratteristiche particolari. A seconda del tipo si definiscono semipermeabili o a permeabilità differenziata, significando che alcune molecole possono passare più agevolmente di altre.
Nella maggioranza dei casi l’acqua si muove attraverso la membrana esterna così come si è detto prima. Ponendo dei globuli rossi in acqua normale essi si gonfieranno perché la loro membrana esterna permette all’acqua di entrare ma non le permette di uscire. Come risultato le cellule si gonfieranno fino a scoppiare. Se le stesse cellule fossero poste in acqua molto salata o molto zuccherata, l’acqua all’interno dei globuli rossi ne uscirebbe ed essi avvizzirebbero.
L’acqua copre il 70% del globo e perciò non finirà mai, cambierà solo la qualità dell’acqua. Il ciclo dell’acqua è noto a tutti quindi si può soprassedere. Non tutti sanno che alcune sorgenti sono ricche di acqua antica (vedi Gran Sasso in Abruzzo). Altri luoghi con acque antiche sono i due poli.
Il legame chimico dell’acqua è un legame anomalo: per togliersi la curiosità basta sfogliare qualsiasi libro di scuola media inferiore.
L’acqua naturale si distingue per avere un piccolo contenuto di solidi disciolti, misurate in ppm. In generale l’acqua sotto 1000 ppm è considerata naturale; sotto 500 ppm è adatta per bere.
Una molecola d’acqua, è stato calcolato, che abbia il seguente ciclo “vitale”.
· Nell’atmosfera 9 gg
· Nei fiumi 2 settimane
· Nel suolo da 2 a 52 settimane
· Nei grandi laghi 10 anni
· Nei pozzi sotterranei da 10 a 100 anni
· Nell’oceano, fino a 15 m., 120 anni
· Negli oceani da 3000 a 5000 anni
· Nella calotta artica da 10000 a 100000 anni.
Diversi minerali sono disciolti nell’acqua; la loro composizione e percentuale dipende dal luogo di origine.
Così vi sono acque acide ed alcaline, acque ferruginose e carboniche, acque radioattive e solforate, etc.
Per composizione di minerali, invece si dividono in.
· Minimamente minerali
· Oligominerali
· Mediominerali
· Minerali.

La durezza delle acque non è positiva, soprattutto per gli organismi, oltre che per gli elettrodomestici che usano o producono acqua calda.
Consigli per scegliere un acqua imbottigliata.
A volte le etichette sono scritte con caratteri molto piccoli, al limite del leggibile
17/05/2007 19:05
 
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Sempre acqua....
Le piante e l'acqua

di valeria bracco

L’acqua è indispensabile per la vita delle piante: serve per far circolare il nutrimento e per mantenere attive le funzioni vitali delle cellule, permettendone la riproduzione e la crescita. Dove si trova e a che cosa serve

L'acqua è contenuta, in quantità variabili, in tutti i tessuti vegetali, e quindi in tutte le cellule.

L'acqua è presente nel terreno come soluzione in cui sono disciolti sali minerali e sotto questa forma è assorbita dalle radici.

Dalle radici, le soluzioni ricche delle sostanze assorbite arrivano a tutte le parti del vegetale grazie ad un sistema di vasi conduttori.

Nella fisiologia dei vegetali l'acqua ha una funzione insostituibile perché tutte le reazioni vitali sono possibili solo tra sostanze disciolte.

Le sostanze elaborate nei processi di sintesi, come la fotosintesi, sono via via disciolte nella soluzione acquosa circolante ed è così che possono poi raggiungere tutte le parti della pianta, grazie ad altri vasi conduttori, per nutrirle.

L'acqua permette agli enzimi di svolgere la loro azione insostituibile nei processi del ricambio cellulare e serve per le funzioni di accumulo delle sostanze di riserva, come l'amido delle patate, che possono al bisogno essere riconvertite in zuccheri, in seguito a reazioni d'idrolisi in cui è necessaria l'acqua.

La moltiplicazione cellulare è possibile solo se ci sono adeguate quantità d'acqua all'interno delle cellule, che ne sono ricche sia a livello del plasma che della parete cellulare. L'elevata presenza di acqua nelle cellule che costituiscono gli organi più attivi nei processi di accrescimento, gli apici vegetativi, si può osservare soprattutto in primavera quando spuntano i germogli, teneri e facili alla rottura.

L'acqua, che è presente in abbondanza nelle cellule, conferisce turgore e consistenza meccanica agli organi che non hanno tessuti di sostegno, come gli steli d'erba.

Permette inoltre, grazie all'evaporazione, che le parti aeree delle piante non si riscaldino troppo, quando il sole batte e la temperatura ambientale è elevata.

La mancanza d'acqua porta all'appassimento del vegetale, uno stato di sofferenza che può essere temporaneo, se la pianta trova in breve tempo la quantità d'acqua necessaria a ripristinare un normale metabolismo, o permanente, quando ciò non avviene e le normali reazioni metaboliche non possono più avvenire. Si tratta in questo secondo caso di uno stato irreversibile, che porta alla sua morte.

La natura vitale dell'acqua è evidente anche quando si osserva il comportamento di organi quiescenti come i semi: conservabili per lunghissimi periodi se mantenuti in ambiente secco, sono di nuovo in grado di germinare in presenza di acqua.

Quanta ce n'è

La percentuale di acqua presente nei vegetali è variabile.

I fusti di alcune piante delle zone aride, come i cactus, ne contengono fino al 97-98% del loro peso e costituiscono delle vere e proprie scorte viventi. Una spessa cuticola e le foglie trasformate in aculei permettono di ridurre al minimo i fenomeni di evaporazione e traspirazione.

Al contrario, i semi sono di solito le parti vegetali che ne contengono pochissima ( i semi di senape il 7%, i semi di ricino il 6%), caratteristica che ne garantisce la lunga conservabilità.
17/05/2007 19:09
 
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acqua e piante....
LE PIANTE (Regnum Plantae o Embryobionta)

Le piante terrestri o Embryobionta sono organismi eucariotici autotrofi pluricellulari. Hanno pareti costituite
di cellulosa, clorofilla a e b e carotenoidi come pigmenti, amido come sostanza di riserva e sono rivestite di
cutina sulla superficie esterna. Sono formate da cellule organizzate in tessuti, a loro volta uniti a formare organi.
Il ciclo è aplodiplonte; le due generazioni (gametofito e sporofito) non sono rappresentate da individui
indipendenti ma tra di loro esistono legami trofici. Le meiospore sono munite di parete ispessita e i gameti sono
prodotti all’interno di gametangi pluricellulari: anteridi e archegoni. La riproduzione è oogama e la gamia
avviene all’interno del gametangio femminile, dove si forma lo zigote che si sviluppa in un giovane sporofito
(embrione) che dipende dal gametofito per il nutrimento, almeno nelle prime fasi di sviluppo. Non esiste
riproduzione vegetativa per mezzo di mitospore o conìdi, mentre è diffusa quella per frammentazione. Si ritiene
che le Embryobionta si siano originate a partire da organismi del tipo delle alghe verdi (Chlorophyta), a
organizzazione pluricellulare, ciclo aplodiplonte e riproduzione oogama.

Seguendo il filo dell’evoluzione – 2: l’emersione dall’acqua.
Le spinte evolutive delle piante terrestri
Si può dire che il cammino evolutivo delle piante (Embryobionta), a partire da quelle alghe verdi che
nel Paleozoico (probabilmente tra 450 e 500 milioni di anni fa) tentarono l’avventura della vita in
ambiente non acquatico, sia la storia di una serie di adattamenti sia vegetativi che riproduttivi
all’aridità.
Le linee guida del processo sono state essenzialmente due:
- il raggiungimento di una maggiore produttività e resa della fotosintesi;
- il perfezionamento dei meccanismi riproduttivi.
È stata proprio la possibilità di una maggiore efficienza fotosintetica la molla che ha fatto
scattare il lungo processo di emersione dall’acqua: i vantaggi dell’ambiente subaereo rispetto a quello
acquatico erano essenzialmente la maggiore disponibilità di CO2 e di luce e la mancanza di
concorrenza. A fronte di questi vantaggi c’era però il problema di come garantire alle cellule
clorofilliane l’approvvigionamento di acqua, l’altro fattore necessario per lo svolgimento della
fotosintesi. In altre parole: come portare le cellule fotosintetizzanti fuori dall’acqua, garantendo loro
l’apporto di acqua come se fossero sommerse? Nel corso del lungo cammino dell’evoluzione, la
soluzione è consistita in pratica nel rinchiudere progressivamente l’ambiente acquatico all’interno
dell’organismo, anziché averlo a disposizione all’esterno.
Quanto all’affinamento dei processi riproduttivi, questi sono legati all’essenza stessa
dell’evoluzione, che consiste nel premiare con una discendenza più numerosa l’individuo, cioè
l’insieme di caratteri (sia forme che funzioni), che risulta più adatto ad un determinato ambiente. Ma
forme e funzioni non sono altro che l’espressione di combinazioni geniche; e quindi la possibilità di
evoluzione di nuove forme sarà legata alla possibilità di esprimere nuove combinazioni da sottoporre
alla sperimentazione della selezione. D’altra parte, le nuove combinazioni geniche si originano
essenzialmente nei processi di ricombinazione genetica che avvengono in sede di meiosi
(riassortimento e crossing-over) e di gamia (costituzione di nuove coppie di cromosomi) e che sono
quindi legati alla riproduzione sessuale. Di conseguenza, quanto più sono efficienti e rapidi i
meccanismi riproduttivi, tanto maggiore sarà la possibilità di insorgenza di nuove combinazioni da
sottoporre al vaglio della selezione.
È sotto l’azione della pressione esercitata soprattutto da queste due spinte evolutive principali che
le piante svilupperanno soluzioni innovative. La diversità delle forme vegetali che sono presenti oggi
sulla Terra è il risultato dell’azione della selezione sulle innumerevoli soluzioni comparse nel corso
dell’evoluzione. Di queste, la stragrande maggioranza non ha avuto nessun seguito, perché
rappresentava un peggioramento, cioè una soluzione meno adatta alle condizioni ambientali del
momento. Altre hanno avuto uno sviluppo più o meno esteso nel tempo e sono poi scomparse, in
seguito al cambiamento delle condizioni ambientali e/o alla comparsa di forme più adatte,
evolutivamente vincenti. È così che è avvenuta l’estinzione di interi gruppi di vegetali. Solo una
piccolissima parte delle forme comparse sulla terra sono ancora presenti: alcune quasi immutate
rispetto ai predecessori presenti milioni di anni fa, perché tuttora adatte al proprio ambiente di vita;
altre caratterizzate da caratteri molto diversi come risultato di ulteriori evoluzioni. Si può dire che ogni
gruppo vegetale attuale rappresenti una innovazione premiata dalla selezione, o in altre parole una
tappa evolutiva.
Come risolvere il problema dell’approvvigionamento di acqua?
Il primo problema che si trova ad affrontare il vegetale al momento dell’emersione dall’acqua è la
difesa dal disseccamento: si sa bene che un’alga portata a terra si dissecca rapidamente. La prima
soluzione adottata dalle piante terrestri è stata la cutinizzazione delle pareti esterne per renderle
impermeabili: la cutina è una sostanza presente in tutte le Embryobionta. Un ulteriore passo evolutivo
è stata la comparsa di tessuti specializzati nella protezione: un’epidermide cuticolarizzata nelle forme
erbacee, i tessuti secondari di protezione (sughero) quando compaiono forme legnose. Naturalmente
era necessario che la protezione non impedisse gli scambi gassosi con l’esterno, necessari al
metabolismo della pianta. Ecco che quindi la pressione selettiva ha provocato la comparsa sulla
superficie impermeabilizzata di piccole aperture, inizialmente molto semplici e poi via via sempre più
complesse, fino ad arrivare a stomi con apertura regolata dal turgore delle cellule di guardia. Questi si
ritrovano in forma abbastanza simile in tutte le piante terrestri, a partire dagli sporofiti di alcune
Briofite.
Cosa c’entrano il ciclo ontogenetico e il rapporto fra sporofito e gametofito?
Le piante terrestri sono tutte aplodiplonti. Gametofito e sporofito fuori dall’ambiente acquatico
hanno seguito due cammini evolutivi molto diversi, in funzione del diverso destino delle cellule da loro
prodotte: rispettivamente, gameti e spore.
I gameti hanno come unica funzione quella di unirsi nella gamia. Per questo motivo non possono
dotarsi di una parete spessa e impermeabile, che impedirebbe la fusione delle due cellule: la gamia
deve quindi necessariamente avvenire in ambiente umido. Se questo non è un problema in ambiente
acquatico, le cose si fanno più difficili nelle piante terrestri, che svilupperanno soluzioni per far sì che
la gamia avvenga sempre in ambiente protetto e mai direttamente in ambiente subaereo. Il tipo di
gamia premiato dalla selezione in ambiente terrestre è l’oogamia, dove almeno uno dei due gameti
(l’oosfera) resta immobile, non viene mai liberata all’esterno e può essere costantemente protetto dal
gametangio femminile (archegonio).
Dal momento che i gameti non possono avere una parete spessa e impermeabile, sono cellule
particolarmente esposte al rischio di disseccamento. Ecco perché il gametofito delle piante terrestri
sarà obbligato a vivere in ambiente umido, e finché sarà costituito da un organismo indipendente dallo
sporofito (Briofite), dovrà crescere appressato al suolo, assumendo portamento fondamentalmente
plagiotropo.
Le spore, invece, nelle prime forme di vita terrestre hanno la funzione di diffondere l’organismo.
Potendosi difendere dal disseccamento per mezzo di una spessa parete impermeabile e resistente
costituita di sporopollenina, le spore sfruttano il vento come vettore per rendere la diffusione più
efficiente e portare la specie a colonizzare territori più lontani. Inoltre, poiché la diffusione per mezzo
delle spore è avvantaggiata da una maggiore elevazione, lo sporofito subirà una forte pressione
selettiva verso lo sviluppo in altezza e il portamento ortotropo.
Così i destini delle due generazioni si separano fin dall’inizio, ma il cammino evolutivo delle piante
terrestri ha selezionato organismi che hanno scelto due strade evolutive diverse: la prevalenza del
gametofito nelle briofite, quella dello sporofito nelle piante vascolari (tracheofite).
Fig. 3 – Il regno vegetale (Embryobionta). Le linee indicano i possibili legami filogenetici tra le piante.
LE BRIOFITE (Bryophyta)
È probabile che le prime piante terrestri fossero organismi simili a briofite, comparsi in ambienti umidi vicini
all’acqua. Ci sono tuttavia studiosi che non condividono questa visione e ritengono possibile la derivazione delle
briofite da tracheofite (piante vascolari) primitive.
Nell'insieme, le briofite comprendono poco meno di 20.000 specie. Si tratta di piante piccole, a crescita
essenzialmente plagiotropa, prive di tessuti vascolari lignificati. L’assorbimento e il trasporto dell’acqua e dei
soluti avvengono soprattutto per capillarità e interessano tutta la superficie della pianta. Anche se mancano veri
tessuti conduttori, in molti muschi (Bryopsida) e in alcune epatiche (Marchantiopsida) possono essere presenti
cordoni centrali di cellule con funzione conduttrice, costituiti da idroidi a maturità privi di protoplasma
circondati da leptoidi, cellule vive con nuclei degenerati e pareti trasversali con perforazioni. Idroidi e leptoidi
sono funzionalmente analoghi a xilema e floema, anche se meno efficaci e privi di funzione di sostegno, dal
momento che mancano di ispessimenti di lignina. La fase dominante del ciclo ontogenetico delle briofite è il
gametofito.
Riproduzione e ciclo. La diffusione avviene per mezzo di meiospore. Queste sono tutte uguali fra loro
(piante isosporee) e possono rimanere quiescenti per lunghi periodi in attesa delle condizioni di umidità
favorevoli alla germinazione. Nei muschi, che sono il gruppo più numeroso di briofite, dalla spora si origina
inizialmente un gametofito filamentoso poco differenziato (il protonema), simile nell’aspetto a un’alga verde
ramificata. Sul protonema si sviluppa il gametofito adulto (detto anche gametoforo), che porta nelle forme più
comuni formazioni laminari funzionalmente simili a foglie (foglioline o fillìdi), inserite con disposizione in
genere spiralata su strutture simili a piccoli fusti (fusticini o caulìdi). I fillìdi vengono da alcuni autori
considerati vere foglie, ma si differenziano da queste essenzialmente per la mancanza di tessuti vascolari. Sono
per lo più costituiti da un solo strato di cellule con cuticola sottilissima; nei muschi (Bryopsida) hanno una
nervatura mediana e sono privi di stomi. Sui gametofori sono presenti anche i rizoidi, strutture piliformi uni- o
pluricellulari il cui aspetto ricorda quello delle radici; i rizoidi hanno funzioni principalmente di ancoraggio al
substrato e solo parzialmente di assorbimento. (Altre briofite hanno gametofiti a organizzazione più semplice e
di aspetto più simile a alghe laminari, come le forme “tallose” di alcune epatiche e degli antoceroti, prive di
organi differenziati simili a radice, fusto e foglia.) I gametofiti adulti di molte briofite sono micorrizzati e in
genere hanno durata di vita pluriennale. I gameti vengono prodotti per mitosi entro gametangi avvolti da una
parete pluricellulare: gametangi maschili (anteridi) e gametangi femminili (archegoni). Esistono briofite
omotalliche o monoiche1, cioè con gametofiti che portano anteridi e archegoni sullo stesso individuo; e briofite
eterotalliche o dioiche, con gametofiti che portano solo anteridi o solo archegoni. Nell’archegonio, che ha in
genere una forma più o meno a fiasco, è contenuta una sola oosfera (chiamata anche ovocellula o uovo), che
rimane immobile nella cavità basale (ventre) dell’archegonio. Negli anteridi vengono prodotti numerosi gameti
maschili biflagellati (spermi o spermatozoidi), che a maturità vengono espulsi dal gametangio e sfruttando un
velo d’acqua nuotano fino al collo dell’archegonio, attratti da stimoli chemiotattici. Le cellule all’interno del
collo e del ventre dell’archegonio gelificano, formando un mezzo liquido che consente l’arrivo del gamete
maschile fino all’oosfera, nel ventre dell'archegonio. Qui avviene la gamia (o fecondazione) e la formazione
dello zigote e del successivo embrione, che si sviluppa all’interno dell’archegonio e viene da questo nutrito. La
necessità della presenza di un velo d’acqua per consentire la sopravvivenza del gamete maschile fuori
dell'anteridio e il suo percorso fino all’archegonio è uno dei fattori che limitano la diffusione delle briofite ad
ambienti umidi. Dall’embrione si sviluppa, senza che vi siano soste nell’accrescimento, lo sporofito adulto, in
genere costituito da un piede inserito nel ventre dell’archegonio con funzione di assorbimento del nutrimento dal
gametofito; da una seta non ramificata con funzione di sviluppo in altezza, in genere dotata di un cordone
conduttore interno di idroidi e leptoidi; e da una capsula, spesso dotata di stomi ad apertura regolabile. La
capsula è costituita essenzialmente dallo sporangio, all’interno del quale avviene la meiosi: numerose cellule
madri delle spore si dividono per dare origine alle meiospore. Lo sporofito è in genere di breve durata e rimane
per tutta la sua vita ancorato al gametofito e dipendente da questo per il nutrimento. A maturità la capsula si
apre, in genere con meccanismi di deiscenza regolati da meccanismi igroscopici (opercolo, peristoma) e libera le
spore nell’aria. Nei muschi ogni capsula può contenere anche qualche milione di spore. Di alcune specie di
briofite non si conosce lo sporofito: è possibile che abbiano perso la capacità di riprodursi per via sessuata e si
propaghino solo per via agamica.
1 Per alcuni autori, i termini monoico e dioico dovrebbero essere riservati alle sole spermatofite (piante a seme).
È importante ricordare che nelle briofite ogni gametofito essendo aploide forma ogni anno gameti con
corredo genico sempre identico, con grande limitazione delle possibilità di insorgenza di nuovi caratteri e
quindi di evoluzione. Inoltre, nelle specie omotalliche che portano sia anteridi che archegoni sullo stesso
gametofito, è estremamente probabile l’incontro di gameti identici, con formazione di sporofiti
completamente omozigoti in cui i fenomeni di ricombinazione genica sono inefficaci, consistendo
semplicemente nello scambio di cromosomi o di porzioni di cromosomi perfettamente identici. In questi
casi, l’unica possibilità di comparsa di nuovi caratteri sarà legata alle mutazioni spontanee.
Le briofite possono propagarsi anche vegetativamente, per frammentazione del tallo o per formazione di
gemme, gruppi di cellule specializzate destinate a questo scopo, che in alcune epatiche sono contenute in
apposite strutture a forma di scodelletta poste sulla superficie del gametofito.
Sistematica. Le briofite comprendono i tre gruppi dei muschi, delle epatiche e degli antoceri, da molti
considerati a livello di classi: Bryopsida, Marcanthiopsida e Anthocerotopsida. Altri autori le considerano
invece come tre divisioni a sé stanti: Bryophyta, Marchantiophyta (o Hepatophyta), Anthocerophyta. Questo
sulla base della convinzione che le briofite non rappresentino tutte le linee originate a partire da un antenato
comune.
I muschi (Bryopsida), con oltre 10.000 specie circa, sono il gruppo di briofite più diffuso ed a loro in
particolare si riferiscono le caratteristiche descritte precedentemente. Comprendono anche il gruppo degli sfagni,
piantine che vivono negli ambienti acidi e freddi delle torbiere (vedi più avanti). Gli sfagni hanno pareti
impregnate di fenoli, sostanze antisettiche che rendono i loro tessuti resistenti alla decomposizione.
Nelle epatiche (Marchantiopsida), che comprendono circa 8.000 specie, i gametofiti a morfologia
dorsoventrale hanno portamento particolarmente appiattito al suolo. Possono essere fogliosi, ma con foglioline di
aspetto diverso da quelle dei muschi, oppure privi di foglie e di aspetto talloso nastriforme, simile a quello di
alcune alghe verdi. Sull’epidermide possono essere presenti aperture (pori), funzionalmente simili a stomi
rudimentali, ma privi di cellule di guardia e sempre aperti. Gli sporangi sono spesso privi di seta.
Nel piccolo gruppo delle Anthocerotopsida (un centinaio di specie) i gametofiti sono tallosi, di aspetto simile
a quelli di alcune epatiche. Gli sporofiti a forma di cilindri sottili e privi di seta sono verdi e fotosintetizzanti e
hanno epidermide con stomi muniti di cellule di guardia. Questi sporofiti vivono per alcuni mesi, accrescendosi
grazie ad un meristema intercalare presente alla base. Sono considerati sporofiti particolarmente evoluti rispetto
a quelli delle altre briofite, soprattutto perché mostrano la tendenza a divenire perenni e autonomi dal gametofito.
Interesse ecologico e applicativo. Le briofite sono presenti in ambienti diversi, come il sottobosco delle
foreste, i prati, le rocce, i tronchi degli alberi. Dal momento che non hanno radici o altri organi ipogei che si
approfondiscono nel terreno, questi vegetali non necessitano di un terreno profondo e riescono a vivere anche su
substrati sottilissimi, purché vi sia umidità sufficiente. La mancanza di tessuti conduttori e la fisiologia della
riproduzione che necessita della presenza di acqua per l’incontro dei gameti limitano infatti la loro diffusione a
ambienti con presenza di umidità. La maggior parte delle briofite è tuttavia in grado di superare periodi anche
prolungati di mancanza di acqua e altre condizioni ambientali estreme in uno stato disidratato di vita latente, per
poi riprendere la normale attività vegetativa nel giro di poche ore in presenza di acqua. Questo grazie alla grande
capacità di assorbimento rapido tipica di queste piante. La possibilità di sottrarsi alle condizioni sfavorevoli in
forma di vita latente conferisce a molte briofite spiccate caratteristiche di piante pioniere, come è dimostrato dal
fatto che sono particolarmente diffuse negli ambienti inospitali delle elevate altitudini e latitudini (tundre artiche
e alpine), dove le più evolute ma più esigenti piante vascolari non sono in grado di vivere. In alcune cenosi
forestali di climi freddi e umidi, come alcuni tipi di boschi di abete rosso, le condizioni ambientali del sottobosco
con elevata umidità e acidità, scarsa illuminazione e basse temperature fanno sì che la vegetazione sia dominata
da briofite, che svolgono anche l’importante ruolo ecologico di difendere il terreno dall’erosione. Tipi di
vegetazione come le torbiere sono dominati da sfagni e altre briofite. Spesso sono briofite, insieme a licheni, i
primi organismi che colonizzano suoli vergini come rocce nude e lave, oppure innescano le successioni
secondarie. Come altri organismi che assorbono attraverso tutta la superficie, anche molte briofite sono sensibili
all’inquinamento e tendono a rarefarsi nelle città, dando luogo ai cosiddetti “deserti di briofite” degli ambienti
urbani. Alcune specie, sensibili selettivamente a determinati inquinanti, possono essere usate come bioindicatori.
L’interesse economico e applicativo delle briofite è legato soprattutto all’utilizzazione della torba, materiale
organico molto assorbente, usato come substrato per la coltivazione delle piante, come ammendante dei terreni
troppo pesanti o alcalini, come combustibile. La torba viene estratta dalle torbiere, che sono comunità dominate
da muschi del tipo degli sfagni presenti in ambienti freddi e umidi e caratterizzate da un pH estrememente acido,
anche inferiore a 4. L’acidità limita la crescita di altre piante e unita alla presenza di sostanze antisettiche
prodotte dagli sfagni impedisce la decomposizione dei residui di queste piante, che si accumulano a costituire la
torba. Anche eventuali resti di altre piante e di animali vengono conservati quasi inalterati nelle torbiere, che per
questo motivo costituiscono ambienti ideali per la raccolta di dati per gli studi paleontologici e in particolare
paleobotanici: attraverso lo studio dei pollini fossili prelevati nei diversi strati delle torbiere riferibili a epoche
diverse è stato possibile sapere quali specie erano presenti nel passato in determinati territori e ricostruire i tipi di
vegetazione succedutisi nel tempo. Le torbiere rappresentano habitat di notevole interesse naturalistico e possono
ospitare specie vegetali specializzate (tra cui numerose piante insettivore) ad areale ristretto o frammentato.
L’estrazione incontrollata della torba può rappresentare una minaccia per la sopravvivenza di questi habitat e
attualmente in molti paesi è vietata o regolata per legge.
INQUADRAMENTO SISTEMATICO
- Se si ritiene che le briofite siano monofiletiche:
DIVISIONE Bryophyta (briofite)
CLASSE Bryopsida (muschi)
Marchantiopsida (epatiche)
Anthocerotopsida (antoceri)
- Se si ritiene che le briofite siano polifiletiche:
DIVISIONE Bryophyta (muschi)
Marchantiophyta o Hepatophyta (epatiche)
Anthocerotophyta (antoceri)
È importante notare come con il termine “Bryophyta” si intendano due cose diverse, a seconda che si adotti
l'uno o l'altro schema tassonomico.
?? Sui testi:
RAVEN EVERT, EICHHORN:
Cap. 18 Le briofite (p. 414-421, 426-429, 430-436)
escluso: Le epatiche tallose complesse ..., Le epatiche fogliose ... I muschi del granito ...
CRONQUIST:
Cap. 17 Bryophyta
Introduzione agli Embryobionta, storia, caratteri delle briofite (p. 233-236)
Anthocerotopsida
Definizione (p. 236), lo sporofito (solo i caratteri generali) (p. 237-239)
Marchantiopsida
Definizione, Habitat (p. 239-240)
Bryopsida
Definizione, Habitat (p. 163-164)
Gametofito, sporofito (solo i caratteri generali) (p. 246-249)
Commenti finali
Importanza economica (p. 252)
17/05/2007 19:14
 
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acqua e iodio.....
IODIO nella EVOLUZIONE: Evoluzione degli antiossidanti nella alimentazione.


L’atomo di iodio (Simbolo I; P.A.126.9; N.A 53) è costituito da 53 elettroni, 53 protoni e 74 neutroni, e rappresenta una sorta di “cenere nucleare”. Infatti, deriva da un processo di nucleo-sintesi avvenuto più di 10 miliardi di anni fa’ in una stella-supernova, che esplodendo lo ha disperso nel pulviscolo primordiale, il quale condensandosi, circa 5 miliardi di anni fa’, ha formato il nostro pianeta-Terra. Lo iodio è uno degli atomi più ricchi di elettroni presenti nel nostro corpo ed è indispensabile nella dieta di tutti gli esseri viventi animali. Lo iodio (I) è scarsamente reperibile nella superficie terrestre, perché nel corso di centinaia di milioni di anni è stato dilavato, da piogge e glaciazioni, e trasportato dalla crosta terrestre verso il mare, il quale si è arricchito progressivamente di iodio, sotto forma di ioduri (I-) e di iodati.




Fig 1. Struttura atomica dello iodio


Infatti le acque marine sono ricche di iodio, circa 50-60 microgrammi (mg) per litro, mentre le acque terrestri: estuari, fiumi, laghi, ne contengono quantità da 10 a 200 volte inferiori ( 5 - 0.2 mg/L). Una piccola parte di iodio evapora nell’aria (anche come iodo-metano gassoso) e precipita nel suolo con le piogge, soprattutto in vicinanza delle zone costiere. Il ciclo geo-biologico dello iodio, è in parte simile a quello del selenio. Lo iodio viene captato dalle cellule come ioduro (I-) soprattutto tramite il NIS (sodium iodide symporter), ma anche altri trasportatori sono oggi stati identificati. Il NIS è il trasportatore glicoproteico transmembrana dello ioduro, la cui molecola, nell’uomo, è stata clonata e caratterizzata da Dai e coll.(1996) e Smanik e coll.(1996). Essendo presumibilmente molto antico, il NIS è poco specifico e secondo Wolff (1964) non è in grado di distinguere lo ioduro da altri atomi o piccole molecole, come i nitrati, i nitriti, i fluoruri, i tiocianati, i pertecnati ecc., aventi stessa carica elettrica e simili dimensioni atomiche o molecolari, che sono “in competizione” con lo ioduro, comportandosi come “pseudo-ioduri”. La caratteristica elettrochimica dello iodio è quella di attirare e cedere facilmente un elettrone (con un potenziale redox di -0.54 Volt). Questa proprietà lo rende un efficiente donatore-accettore di elettroni, che è una delle caratteristiche fondamentali delle sostanze antiossidanti. Infatti:


2 I- -> I2 + 2 e- (elettroni) = - 0.54 Volt ;

2 I- + Perossidasi + H2O2 + 2 Tirosina -> 2 Iodio-Tirosina + H2O + 2 e- (antiossidanti) ;

2 e- + H2O2 + 2 H+ (della soluzione acquosa intracellulare) -> 2 H2O


Tab. A







2 I- + Peroxidase + H2O2 + Tyrosine, Histidine, Lipids, Carbons ->

-> Iodo-Compounds + H2O + 2 e- (antioxidants)


Iodo-Compounds: Iodo-Tyrosine, Iodo-Histidine, Iodo-Lipids, Iodo-Carbons


Tab. B





Tab. A e Tab. B. Meccanismi biochimici antiossidanti degli ioduri, probabilmente uno dei più antichi meccanismi di difesa dai radicali liberi dell’ossigeno, già presenti nei Cianobatteri circa 3 miliardi e mezzo di anni fa’ (Venturi, 1985)




Le alghe marine sono in grado, tramite enzimi alo-perossidasici, di catalizzare l’incorporazione dello ioduro in alcuni idrocarburi producendo iodio-metano gassoso (CH3I) e altri alo-idrocarburi, nella atmosfera. Secondo Petersén (1996), Colin et al (2003), Gall et al., (2003) Kuepper e coll. (1998) questa produzione è il risultato della primitiva fotosintesi, della produzione di ossigeno e della respirazione cellulare, iniziate oltre tre miliardi di anni fa’; ed è dovuta allo scopo di ridurre il danno dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS), come il perossido di idrogeno (H2O2), i superossidi ed i radicali ossidrilici. Recentemente una altra via metabolica è stata descritta, tramite la quale lo ioduro viene incorporato negli acidi grassi poli-insaturi (PUFA) delle membrane cellulari, proteggendoli dalle perossidazioni (Cocchi, Venturi, 2000). Sia le cellule tiroidee che quelle di altri tessuti I-captanti, come le cellule della mucosa gastrica e delle ghiandole salivari ecc., sono in grado di produrre "in vitro" mono-iodio-tirosina (MIT) e di-iodio-tirosina (DIT) legate a proteine e anche alcuni poco conosciuti iodio-lipidi, che sembrano avere una importante funzione strutturale e metabolica come secondi messaggeri. In particolare il delta-iodiolattone (acido 6-iodio-5-idrossi-eicosatrienoico) è un potente inibitore della proliferazione delle cellule tiroidee e secondo Cann e coll. ( 2000) e Venturi (2001) gioca anche un ruolo nel controllo antiproliferativo dei tessuti extratiroidei I-concentranti.




Fig. 2. Iodio ed evoluzione. Più di tre miliardi di anni fa’ le alghe verdi-azzurre furono le prime cellule procariote a produrre ossigeno (allora tossico) e iodio-composti, tra cui iodo-metano (CH3I) gassoso, nella atmosfera terrestre. Da circa 800-700 milioni di anni la tiroxina (T4) è presente nell’esoscheletro degli invertebrati marini (spugne, coralli, conchiglie ecc.) senza possedere alcuna conosciuta azione ormonale. Circa 500-400 milioni di anni fa’, alcuni primitivi cordati iniziarono a risalire dal mare (ricco di iodio) le acque I-carenti degli estuari e poi dei fiumi. Circa 400-300 milioni di anni fa’ alcuni di questi primitivi vertebrati cominciarono ad evolversi in anfibi e poi in rettili, che poi popolarono permanentemente l’ habitat terrestre I-carente. Allora questi vertebrati terrestri ebbero bisogno di un nuovo efficiente organo dove poter accumulare il poco iodio presente nell’ habitat terrestre: il follicolo “tiroideo”. I vertebrati cominciarono poi ad utilizzare la T4 come trasportatore nelle cellule periferiche dello ioduro antiossidante, ed in seguito iniziarono a utilizzare la T3, grazie a i suoi nuovi recettori. La T3 divenne così l’ormone attivo nella metamorfosi e nella termogenesi, per un migliore adattamento al nuovo habitat terrestre (Venturi, 2004).




L’organismo umano contiene circa 25-50 milligrammi di iodio, di cui meno di 10-15 mg sono presenti nei follicoli della tiroide e meno di 1 mg negli ormoni tiroidei circolanti. La maggior parte, il 60-70 % di tutto lo iodio del corpo umano, è presente in sede extratiroidea ed è captato da diversi organi non-follicolari: stomaco, epidermide, mammella, ghiandole salivari, arterie, timo ecc. in cui, sembra ormai accertato, svolge una azione diretta antiossidante, non ormonale, ancora poco conosciuta. Tale azione, era già presente, secondo Venturi (1985), Petersen e coll. e Kuepper e coll. più di tre miliardi di anni fa nelle alghe verdi-azzurre (cianobatteri) e probabilmente ha costituito uno dei più antichi meccanismi antiossidanti di difesa dai ROS. Infatti queste alghe, ricche di iodio, furono le prime a produrre ossigeno, fino ad allora assente nella atmosfera terrestre. Per cui la cellula algale doveva possedere degli antiossidanti, efficaci e facilmente reperibili, per difendersi dalla tossicità dell’ossigeno. Gli ioduri, ed il selenio, diffusi e ben reperibili nelle acque marine, hanno avuto in ciò un ruolo determinante. Infatti, il selenio è presente nelle perossidasi e nelle deiodasi intracellulari, le quali sono capaci di estrarre elettroni dagli ioduri, e queste ultime gli ioduri dalle iodio-tironine. La vita nel nostro pianeta-Terra è iniziata nel mare circa 4 miliardi di anni fa’, e per tre miliardi e mezzo di anni è stata esclusivamente marina, solo negli ultimi 300-400 milioni di anni fa’, alcuni esseri viventi, protetti dai raggi ultravioletti solari dallo scudo dell’ozono (O3), iniziarono ad emergere dalle acque marine e ad abitare la terraferma (carente di iodio): prima i vegetali poi gli animali.


Fig. 3. La vita nel nostro pianeta è iniziata nel mare circa 4 miliardi di anni fa’ e per tre miliardi e mezzo di anni è stata esclusivamente marina, solo negli ultimi 300-400 milioni di anni, alcuni esseri viventi iniziarono ad emergere dalle acque marine e ad abitare la terraferma carente di iodio e di altri antiossidanti marini.


Si creò allora una grave crisi nutrizionale di iodio, ma anche di selenio e di altri meno conosciuti antiossidanti “marini”.
Infatti, mentre nel mare tutti gli esseri viventi, potevano utilizzare lo iodio ed il selenio, con il trasferimento sulla terraferma si è interrotta la catena alimentare nutrizionale marina che li trasferiva (insieme agli acidi grassi omega-3), dal fitoplancton fino ai pesci marini. I vegetali “terrestri” hanno superato questa crisi nutrizionale di antiossidanti marini, perfezionando ed utilizzando sostanze antiossidanti alternative, alcune già elaborate negli estuari I-carenti, come i polifenoli, i flavonoidi, l’acido ascorbico, i carotenoidi, i tocoferoli ecc. di cui alcuni sono diventati fattori “vitaminici”, essenziali per l’uomo, come le vitamine C, A, E ecc. Infatti lo iodio non divenne più indispensabile per diverse specie vegetali terrestri. Alcuni antiossidanti ebbero una evoluzione “filogenetica” continua fino alle più recenti sostanze antiossidanti come il licopene e molti polifenoli, carotenoidi ecc. che si sono sviluppati solo recentemente nei pigmenti colorati antiossidanti presenti nei fiori e nella frutta delle piante angiosperme ( derivate dalle più antiche piante gimnosperme) che sono comparse sulla terra solo da circa 200-100 milioni di anni e sono divenute oggi il tipo di piante più numeroso. Gli animali, invece, hanno superato questa crisi nutrizionale, cercando anche di migliorare e di ottimizzare le scarse quantità di iodio disponibili sulla terraferma, mediante 3 meccanismi adattativi:


1) la creazione del follicolo tiroideo;

2) l’utilizzazione della Tiroxina (T4) come trasportatore di ioduri;

3) la formazione dei recettori della T3 e quindi della sua “nuova” funzione ormonale.


La somiglianza tra stomaco e tiroide è dovuta proprio alla comune filogenesi ed embriogenesi, essendo le cellule “tiroidee” derivate proprio dall’intestino primitivo, che era ed è capace di captare iodio e formare composti iodati
. Questo spiega le comuni caratteristiche tra cui: la polarità e i microvilli apicali, la capacità di captare e di secernere iodio, la secrezione di ormoni aminoacidici e di simili glicoproteine (tireoglobulina e mucina) e inoltre la capacità di digerire tramite peptidasi e di riassorbire (tireoglobulina e cibo) ed infine i comuni antigeni di membrana e le malattie immunologiche associate.




Fig. 4. Metamorfosi dell’ammocete (larva di ciclostoma) in lampreda adulta, con neoformazione del follicolo "tiroideo" derivato dalle cellule gastroenteriche della larva. La formazione del follicolo-deposito di iodio sembra sia originata negli estuari, in preparazione della migrazione nelle acque dolci (iodo-carenti) dei fiumi terrestri. (da Magni M.A, 1985).




1) La formazione del follicolo tiroideo, che origina infatti dall’intestino I-captante primitivo, come efficiente forma di deposito dello iodio (iniziato nei primitivi cordati, sembra negli estuari, prima di migrare nelle acque interne terrestri I-carenti). È proprio grazie al deposito-riserva di iodio nei follicoli tiroidei, che noi uomini possiamo vivere per molte settimane senza assumere iodio e senza avere sintomi clinici di carenza.

2) La utilizzazione della T4, che non è , come gli ioduri, in competizione (a livello del NIS) con gli anioni monovalenti vegetali, ma ha un diverso, più moderno e specifico recettore. Infatti, la dieta vegetale terrestre è ricca di antagonisti dello ioduro sul NIS come i nitrati, nitriti, tiocianati, cianati, glicosidi ecc. sviluppatisi come strategia di difesa antiparassitaria. Questo nuovo meccanismo della T4 si è integrato, senza sostituirlo, a quello più antico del trasportatore dello ioduro (NIS), che è sempre funzionante, come si può ben vedere anche nelle I-scintigrafie total-body sotto riportate. La tiroxina, che prima veniva spesso secreta ed eliminata dalla cellula “marina”, diventa così un trasportatore endocellulare dello ioduro, molto più efficiente, come hanno dimostrato Evans e coll. Ricerche di Tseng e Latham e di Oziol e coll. hanno documentato, inoltre, un potere antiossidante ed inibitore della perossidazione lipidica della T4 e della rT3 (ma non della T3) superiore alle vitamine C ed E ed al glutatione; e Virgili e coll. hanno riportato che il trattamento con tiroxina protegge dai danni perossidativi intestinali indotti dalla carenza di zinco nei ratti. Inoltre gli ioduri difendono le cellule cerebrali dai danni perossidativi nei ratti ( Katamine, 1985) e sono stati utilizzati nella terapia di molte malattie umane degenerative su base perossidativa come arteriosclerosi, vasculopatie, artrosi ecc. in numerosi studi clinici degli anni ’50 in Europa, in cui a differenza degli USA, non era allora praticata la iodioprofilassi. Recenti studi stanno oggi evidenziando le basi biochimiche della azione antiossidante degli ioduri (Winkler e coll). Secondo Kahaly (2000) e Hak e coll.(2000) lo iodio e la funzionalità tiroidea sono importanti nel metabolismo dei lipidi, del colesterolo e nel ridurre l’aterosclerosi e l’ipertensione, mentre l’ipotiroidismo anche subclinico è oggi ritenuto causa importante di morbilità cardiovascolare. Recentemente Cann (2006) ha pubblicato una importante review su “iodio e malattie cardio-vascolari” riportandone numerose esperienze di efficacia preventiva e terapeutica. La I-concentrazione nella parete elastica della aorta presente ancora dopo 14 giorni dalla somministrazione di radio-ioduro-131 , visibile nella fig. 9 (in basso) ci fornisce anche, insieme alle proprietà antiossidanti dello ioduro, un razionale di questa azione anti-aterosclerotica.

3) Infine la formazione dei recettori nucleari della T3 (TH-Rs = geni e relative proteine), che hanno permesso un migliore adattamento dei vertebrati all’ambiente terrestre. Infatti, negli anfibi, tramite la metamorfosi, le branchie si sono lentamente trasformate in polmoni e le pinne in arti. La maggiore gravità terrestre ha stimolato inoltre la ossificazione degli arti e dello scheletro. Mentre le maggiori escursioni termiche terrestri hanno sviluppando l’azione calorigena della T3, come protezione degli animali terrestri più evoluti: uccelli e mammiferi.

E’ importante qui ricordare che i TH-Rs geni sono anche c-erbA oncogeni, che sono implicati come geni onco-soppressori in diversi tumori umani non-tiroidei, in particolare gastrici e mammari (Wang et al., 2002; Li et al. 2002). Nel 2001, Hays ha riportato sulla rivista statunitense “Thyroid” che “ è sorprendente che il contenuto totale dello iodio nel corpo umano sia ancora oggi incerto, e che dopo molti anni di ricerche, il metabolismo cellulare dello iodio ed il pool dello iodio extra-tiroideo siano ancora materia di speculazione e così pure la composizione chimica dello iodio extratiroideo sia ancora sconosciuta”. Questa affermazione fa risaltare le ricerche di Gribble (1996) e di Dembitsky e Tolstikov (2003) che hanno recentemente descritto più di 110 composti iodati presenti in organismi viventi animali e vegetali. Le due maggiori specie chimiche dello iodio presenti nell’interno delle cellule hanno differenti proprietà fisico-chimiche: lo iodio molecolare (I2) è idrofobo ed è capace di iodinare i doppi legami degli acidi grassi poli-insaturi delle membrane cellulari (PUFA), formando iodio-lipidi. Invece l’acido ipoiodico (HOI) è idrofilo e solubile nell’acqua. Recentemente Aceves e coll. (2005) hanno riportato, per la prima volta, che la percentuale di radio-iodio presente negli omogenati di tessuto mammario è del 40 % nella frazione lipidica, del 50 % nella frazione proteica e del 8 % nella frazione nucleare; e che negli omogenati di tessuto mammario di ratte la somministrazione di ioduri diminuisce significativamente la perossidazione lipidica. I pesci marini (come i selaci) sono ricchi di iodio e hanno anche meno tumori dei pesci di acqua dolce. Il 7 ottobre 1999 il Comitato del Senato USA ha ufficialmente dichiarato: “ Il Comitato ha notato la inusuale bassa incidenza di cancro in pesci marini (ricchi di iodio: NdT) come squali e razze , per cui incoraggia ricerche sul sistema immunitario di questi pesci per individuare sostanze anti-tumorali attive anche nell’ uomo”.


Fig. 5. Scintigrafie con I-123 total body sequenziali umane. La I-captazione in tutti i tessuti captanti è mediata dal NIS delle membrane cellulari. Nelle scintigrafie si notano oltre alla tiroide, altri tessuti iodiocaptanti: alla ventesima ora circa il 70 % dello radioiodio iniettato in vena è presente in sede extratiroidea: nella mucosa gastrica, epidermide, plessi coroidei cerebrali, ghiandole salivari ed inoltre, qui non visibili, nel timo fetale e nelle ghiandole mammarie (solo in gravidanza ed allattamento).




Nelle scintigrafie corporee con radio-iodio si notano oltre alla tiroide, altri tessuti iodiocaptanti: alla ventesima ora circa il 70 % dello radioiodio iniettato è presente in sede extratiroidea: nella mucosa gastrica, epidermide, plessi coroidei cerebrali, ghiandole salivari ed inoltre, qui non visibili, nel timo fetale e nelle ghiandole mammarie ( captanti solo in gravidanza ed allattamento). La tiroide capta in modo progressivo, mentre gli altri organi hanno un rapido accumulo ed una rapida dismissione del radio-iodio. La I-captazione è dovuta alla azione dei rispettivi simporter dello ioduro (NIS), che pur essendo simili, nella tiroide è filogeneticamente ed embriologicamente più evoluto, infatti è più affine per lo ioduro e risponde allo stimolo del più “moderno” TSH. Solo la tiroide, però, possiede il follicolo tiroideo che gli consente l’accumulo e il deposito di iodio-composti (TG). La iodiocaptazione tiroidea nel feto umano è infatti presente solo dalla 12° settimana di vita fetale e la formazione filogenetica della tiroide è anch’essa relativamente recente, risalendo a solo 400-500 milioni di anni fa’, quando i primi vertebrati marini cominciarono a popolare le acque degli estuari e poi dei fiumi terrestri carenti di iodio. In tale epoca della evoluzione i pesci di acqua dolce hanno cominciato ad utilizzare la vitamina C (acido ascorbico), che i vegetali avevano probabilmente allora iniziato ad produrre a scopo antiossidante. Infatti i pesci d’acqua dolce soffrono di “scorbuto” e di anomalie vertebrali causate da carenza di vitamina C, le quali regrediscono se tali pesci vengono rimessi in acque marine. In ambiente marino tali pesci possono utilizzare antiossidanti marini più primitivi, che sono in grado compensare il deficit alimentare di vitamina C. Infatti molti biologi ora ritengono che gran parte dei vertebrati si siano sviluppati morfologicamente e metabolicamente proprio nelle acque degli estuari (Purves e coll, 1998).


Fig. 6 . Salmoni coltivati in acqua dolce che mostrano sintomi di “scorbuto” ed anomalie della colonna vertebrale (scoliosi e lordosi) causate da carenza di vitamina C.




Fig. 7. Espressione del NIS, evidenziata da anticorpi colorati anti-NIS, nelle membrane plasmatiche in sede baso-laterale di: A: Tiroide; B: Mucosa gastrica; C: Mammella in allattamento; D: Ghiandola salivare ( Wapnir, 2003 ).




Storia evolutiva dello iodio negli esseri viventi: Dai più antichi: le alghe, gli invertebrati, i pesci, gli anfibi, i rettili, ai più recenti: i mammiferi fino all’ Homo Sapiens moderno.




Le alghe captano e trattengono gli ioduri in modo omogeneo e diffuso, le Laminarie contengono circa 1-3 % del peso secco di iodio. Le alghe marine (alghe verdi-azzurre) furono i primi esseri viventi a produrre ossigeno ( più di 3 miliardi di anni fa’), per cui hanno utilizzato efficaci e reperibili sistemi antiossidanti tra cui gli ioduri e il selenio (Pedersén e coll. e Kuepper e coll). Le alghe producono circa 80 % dell’ossigeno atmosferico, e costituiscono il primo anello della catena alimentare nutrizionale marina che trasferisce iodio, selenio e acidi grassi n-3 ai pesci e agli animali. Le acque salso-bromo-iodiche delle sorgenti termali del nostro entroterra (Salsomaggiore, Abano, Castrocaro ecc.) derivano da enormi praterie di alghe che durante la formazione della penisola italiana (circa 20-30 milioni di anni fa’) sono state ricoperte e sollevate da altri strati geologici, mantenendone però gli elementi algali primitivi mineralizzati come lo iodio, il bromo, il sale, il metano ecc. Risalendo la scala evolutiva filogenetica, possiamo vedere, circa 800 milioni di anni fa’, la comparsa di una notevole iodocaptazione nell’esoscheletro della conchiglia, e anche delle spugne e dei coralli (Brown-Grant, 1961). Roche (1951) aveva dimostrato negli invertebrati la presenza di MIT, DIT e T4, che vengono secreti ed espulsi dalle cellule nell’esoscheletro, dopo aver ceduto l’elettrone dello ioduro. Circa 500 milioni di anni fa’ nei pesci marini è comparsa una iodiocaptazione generalizzata, con minimo accumulo tiroideo, poco necessario per la facile reperibilità di ioduri nel mare. I follicoli, qui non ancora “tiroidei”, sono privi di capsula e si presentano scarsi e diffusi negli organi interni addominali. I pesci marini contengono alte quantità di iodio in gran parte inorganico circa 500-800 microgrammi (mg) per kg. Alcuni pesci marini migratori (anadromi) come le lamprede (Youson et al.,1997) , i salmonidi ecc. risalgono dal mare i fiumi fino alle sorgenti, dove muoiono inspiegabilmente dopo essersi riprodotti. In questo modo tali pesci marini riportano nei territori I-carenti dell’interno notevoli quantità di iodio e di selenio ( e anche di omega-3), consentendo la vita ed il benessere di altre specie animali tra cui gli uomini che, tramite loro, assimilano tali essenziali oligoelementi. Circa 400 milioni di anni fa’ quando, per la ricerca di cibo o per sfuggire ai predatori, alcune specie di pesci cominciano a lasciare il mare per abitare le acque dolci e I-carenti dei fiumi terrestri iniziano anche le malattie da carenza di iodio e di altre sostanze di origine marina. Nei pesci d’acqua dolce (in cui lo iodio è carente) i follicoli tiroidei sono più numerosi ed aggregati spesso tra le branchie. I loro tessuti contengono molto meno iodio rispetto ai pesci marini (circa 20 mg/ kg) ed è in gran parte iodio organico ( MIT, DIT , T4 ). I pesci d’acqua dolce I-carenti presentano inoltre anche difetti della immunità e maggiori malattie infettive, parassitarie, arteriosclerotiche e tumorali dei pesci marini (selaci). Infatti i selaci e i pesci marini in genere soffrono molto più raramente di neoplasie. L’alimentazione con pesce di mare è inoltre utile nella prevenzione di alcune importanti patologie tumorali, cardiache ed arteriosclerotiche nell’uomo.




Fig. 8. Metamorfosi della rana da animale acquatico (il girino) a rana terrestre. La quantità ambientale di iodio, necessario a formare la tiroxina endogena, innesca il meccanismo della metamorfosi. È evidente la “spettacolare” apoptosi (morte programmata) della coda, delle pinne, delle branchie che si trasformano negli arti ed anche dello stomaco, che da stomaco primitivo erbivoro si trasforma in stomaco pepsino-acido secernente proprio dei mammiferi carnivori. (Circa 300-400 milioni di anni fa’) (Ishizuya-Oka et al., 2003)




Lo studio della azione dello iodio nello sviluppo e metamorfosi degli anfibi è importante e riassume la strategia evolutiva di adattamento degli animali acquatici (pesci) in animali terrestri. Gli anfibi hanno una vita larvale nell’acqua dolce ( non esistono anfibi marini !) ed una vita adulta “terrestre” da circa 370 milioni di anni fa’. È esclusivamente la quantità ambientale di iodio, che consente la formazione della tiroxina endogena, ad innescare il meccanismo della metamorfosi, adattando così gli anfibi adulti alla vita “terrestre”con la formazione di polmoni, di epidermide lubrificata, arti deambulanti ossificati, di idonea circolazione cardio-polmonare ed anche di mucosa gastrica acido-pepsino-secernente, simile a quella dei mammiferi. Il girino carente di iodio non riesce a metamorfosare e muore presto come girino. C’è stata anche una evoluzione “morfologica” macroscopica dei follicoli della ghiandola tiroidea, i quali durante l’evoluzione (dai pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi) sono diventati sempre più definiti, incapsulati ed organizzati nella tiroide in sede pre-tracheale.




Fig. 9. Distribuzione dello iodio-125 (in bianco) nella autoradiografia di una topolina gravida dopo 1 ora dalla iniezione endovenosa dell0 I-125. È evidente la alta I-captazione nella mucosa orale e nelle ghiandole salivari, nella placenta e nelle mucose gastriche dei feti. (Autoradiografie di Ullberg ed Ewaldsson, 1964. Riprodotte per cortesia di Acta Radiologica).


Lo studio autoradiografico di Ullberg ed Ewaldsson (sopra riportato) è importante in quanto studia il comportamento dello iodio e del NIS anche durante la gravidanza, e nella mammella ed in particolare nei tessuti fetali dei mammiferi, la cui origine risale a circa 200 milioni di anni fa’. Dopo un solo minuto dall’iniezione endovenosa dello I-131, si evidenzia la precocissima e rilevante captazione degli epiteli orale, salivare e gastrico e successivamente anche della ghiandola mammaria, della topolina gravida. La I-captazione della mucosa gastrica è molto alta, e dalla mucosa gastrica lo iodio viene secreto nel succo gastrico e riversato nell’intestino, dove viene riassorbito e ricaptato dallo stomaco, oltre che dalla tiroide, creando così una circolazione (NIS mediata) salivare e gastro-enterica-tiroidea dello iodio, che si perpetua fino ad eliminazione completa per via reno-vescicale ( Hays et al, 1965; Josefsson e coll., 2006). Quindi lo stomaco, più della tiroide, sembra avere un primitivo ruolo centrale nel metabolismo dello iodio su scala evolutiva. Dopo 5 giorni lo radioiodio è ancora ben visibile nelle pareti della aorta, e dopo 14 giorni è visibile solamente nella tiroide, nell’aorta e nella pelliccia dei ratti. In queste sedi lo iodio è presente sotto forma di iodo-composti, probabilmente proteici e lipidici, tuttora chimicamente non identificati.





FIG. 10. Autoradiografie con I-131 sequenziali nel ratto. La autoradiografia con I-131 nel ratto mostra la cospicua I-captazione della parete arteriosa della aorta, ben evidente anche dopo 5-14 giorni dalla iniezione del radioiodio, che potrebbe chiarire la sede della azione antiossidante ed anti-aterosclerotica dello ioduro. (Da Pellerin, 1961; Riprodotte per cortesia di Path. Biol.)


Le autoradiografie con radio-iodio evidenziano che della mucosa gastrica la parte I-captante è costituita solo dalle cellule muco-secernenti della superficie e dei colletti delle ghiandole gastriche, che costituiscono proprio quelle foveole gastriche da cui si originano i carcinomi gastrici. Evans e coll. hanno dimostrato in ratte tiroidectomizzate che la tiroxina (T4) è molte volte piu’ efficace dello iodio inorganico (iniettato sottocute) nel ripristinare la normalità in molteplici funzioni fisiologiche, come la funzione ovarica e la crescita corporea, il metabolismo, il ritmo cardiaco, e le funzioni riproduttive, surrenali, timiche e ipofisarie. Inoltre Goethe e coll. hanno dimostrato che i recettori ormonali nucleari della T3 non sono indispensabili per la vita nelle cavie. Secondo i fisiologi, al contrario dello iodio in sé, la ghiandola tiroidea, anche se importante, non è indispensabile per la vita e gli effetti della sua asportazione si manifestano tardivamente, solo dopo 2-3 settimane. Mentre lo iodio e la T3 sono capaci di trasformare il girino acquatico in una rana terrestre strutturalmente “più evoluta”, la tiroidectomia e l’ipotiroidismo nei mammiferi sembrano costituire (al contrario della azione pro-evolutiva della metamorfosi) una sorta di “rettilizzazione”, cioè quasi una regressione filogenetica allo stadio precedente di rettile, di cui vengono riacquistate alcune caratteristiche fisiche e metaboliche come: la pelle ispessita, secca, squamosa e con perdita di peli, e la digestione, i riflessi, il battito cardiaco rallentati, con riduzione di tutto il metabolismo, accumulo di lipidi, ipotermia ed infine iperuricemia metabolica (Venturi, 2000). Nei primati e nei uomini la tiroide è ben organizzata e a forma di farfalla, in sede pre-tracheale, dove, come un rudimentale termostato, può meglio avvertire e rispondere alle variazioni termiche ambientali. Negli uomini affetti da cretinismo endemico da carenza iodica sono evidenti i danni fisici, neurologici, mentali, immunitari (Marani e Venturi, 1985) e riproduttivi. Nel 1998 su Geographical Review, Dobson ha ipotizzato che la scomparsa dell’uomo di Neanderthal avvenuta circa 35.000 anni fa’, sia stata favorita dalle maggiori capacità fisiche, intellettive e di adattamento dell’ homo sapiens moderno, dovute al maggiore intake iodico. Ciò grazie anche al miglioramento dietetico e genetico del NIS, divenuto più efficiente nel captare lo iodio. Infatti, negli scheletri dell’uomo di Neanderthal, Dobson ha rilevato le stigmate ossee del cretinismo endemico, con arti corti e tozzi e microcefalia. A differenza del Neanderthal, l’homo sapiens moderno aveva habitat più vicino ai mari e dieta ricca di pesce marino ricco di iodio. Broadhurst (2002) e Cunnane (2005) hanno recentemente riportato che lo iodio è stato l’elemento più importante insieme agli acidi grassi poli-insaturi (omega-3) nel favorire il processo di evoluzione del cervello umano e del conseguente sviluppo dell’intelligenza umana, permettendone così un migliore adattamento ambientale.




FIG. 11 Mappa mondiale delle aree di endemia di gozzo da carenza iodica (ombreggiate obliquamente) spesso circostanti a catene montuose (in blu), prima della effettuazione della iodio-profilassi nel mondo (da Kelly e Snedden, OMS, 1960).




Fig. 12. Mappa mondiale delle Nazioni riguardo alla attuale nutrizione iodica ( Da ICCIDD - OMS, 2003)




Ancora oggi secondo l’OMS, più di tre miliardi di persone sulla terra vivono in aree distanti dal mare e con carenza ambientale di iodio e soffrono di tireopatie, di danni neurologici e somatici ed inoltre di diminuzione delle difese immunitarie e di ridotta fertilità con danni alla prole; inoltre tali persone sembrano più soggette a patologie tumorali della tiroide, dello stomaco, della mammella e alle patologie delle ghiandole salivari e della bocca con anche una maggiore perdita dei denti (Venturi e al. 2000, 2001; Aceves e al.,2006; Szybinski e al., 2004; Abnet e al., 2005.a, 2005.b, 2006). La supplementazione iodica, con sale da cucina iodato, con foraggio o con concime composto di alghe marine ricche di iodio, è in grado di prevenire questi danni negli animali ed anche nei vegetali per quanto riguarda la loro suscettibilità a infezioni microbiche e parassitarie aumentandone i meccanismi di difesa antiossidante (Saker e al. 2001; Fike e al., 2001; Cabello e al., 2003; Food and Nutrition Board of USA, 2001).

E’ ipotizzabile che nella vasta gamma degli antiossidanti naturali vi sia una sorta di “gerarchia filogenetica”, in cui gli antiossidanti primitivi marini come lo iodio, il selenio ecc. svolgano un ruolo più importante nella vita riproduttiva e nello sviluppo fetale di quelli che si sono evoluti più recentemente ( ad esempio il licopene, le antocianine, il resveratrolo, molti polifenoli ecc.), come hanno riportato a proposito dello iodio Dunn e Delange (2001). Nei territori I-carenti invece tali patologie coesistono sia negli uomini che negli animali, in particolare negli erbivori. Tutto ciò fa’ supporre che il processo di adattamento evolutivo dei vertebrati terrestri alla carenza iodica ambientale non sia ancora terminato.





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17/05/2007 19:18
 
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l´evoluzione cellulare......
Le testimonianze fossili dimostrano che gli eucarioti si sono evoluti dai procarioti tra 1,5 e 1 miliardo di anni fa. Una delle questioni più importanti per i biologi è capire in che modo l'evoluzione sia avvenuta, ed in particolare, come si sono originati gli organuli circondati da membrane delle cellule eucariote. Secondo una delle teorie più accreditate, le cellule eucariote sono il prodotto di due processi combinati, il primo processo, noto come modello autogeno, prevede che il sistema di membrane interne della cellula eucariote (cioè tutti gli organuli circondati da membrane ad eccezione dei mitocondri e cloroplasti) si sia evoluto da ripiegamenti interni della membrana cellulare di una cellula procariote. Il secondo processo, il modello endosimbiontico, è molto differente e sembra aver dato origine ai primi mitocondri e cloroplasti. La simbiosi è una stretta associazione tra organismi di due o più specie (in greco, il termine significa vivere insieme, e per endosimbiosi si intende che una specie vive all'interno di un'altra chiamata ospite). Sembra che i cloroplasti ed i mitocondri si siano evoluti da piccoli procarioti che si erano stabilito dentro procarioti più grandi. Gli antenati dei mitocondri possono essere stati procarioti eterotrofi in grado di utilizzare ossigeno e liberare, mediante respirazione cellulare, la grande quantità di energia presente nelle molecole organiche. Ad un certo punto, alcuni di questi piccoli procarioti potrebbero essere diventati parassiti interni di eterotrofi più grandi, oppure potrebbero essere stati ingeriti da una cellula primitiva; se qualcuna di queste cellule più piccole fosse risultata non digeribile, essa avrebbe potuto continuare a vivere e a svolgere processi respiratori all'interno della cellula ospite. In modo analogo, i piccoli procarioti fotosintetici antenati dei cloroplasti potrebbero aver trovato dimora all'interno di una cellula ospite più grande. Non è difficile immaginare come una simbiosi tra una cellula aerobia inglobata ed una cellula ospite più grande possa essere risultata vantaggiosa per entrambe. Le cellule inglobate sarebbero diventate sempre più dipendenti dalla cellula ospite per quanto riguarda le molecole e gli ioni inorganici necessari a svolgere le attività biochimiche, mentre la cellula ospite avrebbe ricavato sempre più nutrimento dalle cellule fotosintetiche e sempre più ATP dalle cellule che svolgono i processi respiratori. Poiché le cellule di queste comunità procariote divennero sempre più interdipendenti, esse potrebbero essersi trasformate dando vita ad un unico organismo costituito di componenti inseparabili tra loro. Il modello endosimbiontico è supportato da forti prove circostanziali. I mitocondri ed i cloroplasti odierni sono per molti aspetti simili agli eubatteri, essi contengono ,infatti, piccole quantità di DNA, di RNA e di ribosomi, che hanno più caratteristiche in comune con le cellule eubatteriche che con quelle degli eucarioti. Queste componenti permettono ai cloroplasti e ai mitocondri di mantenere una certa autonomia nella loro attività, tali organuli infatti trascrivono e traducono il proprio DNA e si riproducono all'interno della cellula tramite un processo che assomigli alla scissione dei batteri.

I Protisti

Analizzando al microscopio una goccia d'acqua prelevata da una pozzanghera, si noterà che questa presenta una certa varietà di protisti, un particolare gruppo di eucarioti essenzialmente unicellulari, classificato nel regno protista. Alcuni protisti, chiamati alghe, sintetizzano il loro nutrimento mediante la fotosintesi, mentre altri protisti, i protozoi, sono eterotrofi e si nutrono di batteri, di altri protisti o di materiale organico in sospensione o in soluzione nell'acqua. Nel regno protista si trova anche un certo numero di eucarioti coloniali o pluricellulari i cui antenati prossimi erano unicellulari. Quasi tutti gli ambienti acquatici ospitano un gran numero di protisti, la maggior parte di questi è aerobia. Altri protisti invece sono anaerobi, e vivono nel fango sul fondo dei laghi e delle pozze d'acqua stagnante, oppure si sviluppano nel tubo digerente di alcuni animali, uomo compreso. In quanto eucarioti, i protisti sono più complessi di qualsiasi procariote: le loro cellule hanno un nucleo circondato da una membrana (contenente diversi cromosomi) ed altri organuli caratteristici delle cellule eucariote. I protisti occupano un posto di primo piano nella storia della vita, essi si sono evoluti dai procarioti e i loro discendenti hanno dato origine alle piante, ai funghi e agli animali, oltre che ai protisti attuali. Poiché la maggior parte dei protisti è unicellulare, essi possono essere giustamente essere considerati gli eucarioti più semplici, anche se le cellule di molti protisti sono tra le più sofisticate. In realtà, questo livello di complessità cellulare non sorprende, in quanto ogni protista unicellulare è un organismo eucariote completo, analogo a un intera pianta o un animale. Durante lo scorso decennio gli studi molecolari e cellulari hanno scosso le fondamenta della tassonomia protista in modo analogo a quanto è successo con quella procariote. Per esempio, gli studi sull'RNA ribosomiale hanno suggerito che da differenti procarioti ancestrali, si siano evoluti specie differenti di protisti, nel complesso sembra che i protisti siano il risultato di vari "esperimenti" avvenuti nel corso dell'evoluzione delle cellule eucariote. I ricercatori stanno attualmente discutendo se modificare la tassonomia protista in modo che rifletta maggiormente un'impostazione evolutiva, ma finora non hanno ancora trovato un accordo su un nuovo criterio di classificazione.

Gli organismi pluricellulari (alghe marine, piante, animali e la maggior parte dei funghi) sono fondamentalmente diversi da quelli unicellulari. In un organismo unicellulare, infatti, tutte le attività vitali avvengono all'interno di una singola cellula, mentre in uno pluricellulare varie cellule specializzate svolgono funzioni differenti e sono dipendenti una dall'altra; per esempio, alcune cellule conferiscono all'organismo la propria forma, mentre altre producono o procurano il cibo, trasportano sostanze o consentono il movimento. La pluricellularità si è probabilmente evoluta all'interno del regno dei protisti nel corso di molti eventi separati, e quindi le attuali specie di alghe marine, piante animali e funghi si sono originate da tipi diversi di protisti unicellulari. La maggior parte delle alghe marine, alcune piante e moltissimi animali possiedono cellule flagellate ed è quindi probabile che i loro antenati fossero flagellati, invece i funghi non hanno flagelli, e probabilmente derivano da organismi non flagellate. Secondo l'opinione più diffusa il legame tra gli organismi pluricellulari ed i loro antenati unicellulari è rappresentato da libere aggregazioni coloniali di cellule interconnesse. Un'antica colonia potrebbe essersi formata, come le attuali colonie dei protisti, nel momento in cui una cellula si divise ed i suoi discendenti rimasero uniti tra loro. In seguito, le cellule della colonia si sarebbero specializzate rendendosi dipendenti le une dalle altre, con alcuni tipi di cellule sempre più indirizzate a svolgere compiti specifici e limitati. Le cellule che rimasero in possesso del flagello potrebbero aver assunto funzioni quali l'ingestione o la sintesi del cibo. Più tardi, un'ulteriore specializzazione tra le cellule della colonia avrebbe portato ad una distinzione tra cellule sessuali (gameti) e cellule non riproduttive (somatiche).



Età dei fossili (milioni di anni) Evento
400
<- Comparsa delle piante sulla terraferma
500 <- Comparsa di organismi pluricellulari sulla terraferma
<- Presenza nei mari di alghe, funghi ed animali pluricellulari
600 <- Estinzione di massa

700 <- Comparsa dei più antichi organismi pluricellulari (alghe rosse ed animali con il corpo molle)






La scala cronologica basata su reperti fossili che vedete sopra riassume alcune delle tappe fondamentali dell'evoluzione delle alghe pluricellulari, delle piante, degli animali e dei funghi. Osservate che i primi organismi pluricellulari di questa scala, risalenti a circa 700 milioni di anni fa durante l'epoca precambriana, furono le alghe rosse ed animali simili ad i coralli, alle meduse e ai vermi. Sebbene non se ne sia trovata traccia nelle testimonianze fossili, è probabile che a quell'epoca vi fossero già altri tipi di alghe pluricellulari, e che i primi organismi pluricellulari siano comparsi anche più di un miliardo di anni fa. Un periodo di estinzione di massa separò l'epoca cambriana da quella paleozoica, ma ben presto la vita pluricellulare ricomparve, a partire da circa 500 milioni di anni fa, infatti, vari animali, funghi ed alghe pluricellulari hanno cominciato a popolare l'ambiente terrestre. Fino a circa 500 milioni di anni fa, tutta la vita era acquatica, fu in quel periodo che cominciò il lento passaggio verso le terre emerse, probabilmente quando alghe verdi che vivevano insieme ai funghi lungo le rive dei laghi diedero origine alle piante primitive.

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Radice (botanica)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La radice è l'organo della pianta specializzato nell'assorbimento di acqua e sali minerali dal terreno, fondamentali per la vita delle piante. Ha anche funzioni principali di ancoraggio e di produzione di ormoni (citochinine e giberelline) che segnano il forte legame tra lo sviluppo della radice e lo sviluppo del germoglio.

Formazione
In tutte le cormofite, lo sviluppo dei tre organi del cormo inizia allo stadio embrionale quando, a un certo punto, si notano due poli opposti: il polo caulinare (o caule) e il polo radicale. Essi sono costituiti da cellule meristematiche che daranno origine al fusto e alla radice. Nel fusto si ha andamento geotropico negativo, nella radice positivo. Dall’attività dell’apice radicale si formerà la radice principale. L’embrione raggiunge un livello di massimo sviluppo nel seme e poi si arresta.

Tipi di radice
Quando il seme germina i due poli proliferano, nella giovane pianta già si notano ramificazioni della radice primaria. L'insieme delle radici forma l'apparato radicale che può essere di due tipi:

Apparato allorizico: la radice primaria (derivante dall’embrione) permane viva e funzionante per tutta la vita della pianta e forma radici secondarie che a loro volta possono formarne altre. È presente nelle gimnosperme e nelle dicotiledoni.Se ne possono distinguere tre tipi.
a fittone, se la radice principale supera sempre per potenza e lunghezza le radici secondarie. Spesso il fittone è anche ricco di parenchimi di riserva (= radice tuberizzata)
fascicolato se le radici secondarie sono della stessa potenza della primaria e si approfondano altrettanto
a disco se la radice principale si sviluppa poco in lunghezza e le radici secondarie, molto sviluppate, tendono a restare in superficie
Apparato omorrizico: la radice primaria degenera precocemente e viene sostituita da numerose radici avventizie che si differenziano nella zona del colletto o dei primi internodi del fusto e che possono a loro volta formare radici secondarie. È tipico delle monocotiledoni.
Se a partire dalle radici avventizie si sviluppanno numerose radici secondarie si forma così l’apparato radicale omorizzico fascicolato molto utile per impedire il dilavamento del terreno.

Funzioni
La radice ha molteplici funzioni. È soprattutto un organo per l’assorbimento di acqua e sali minerali (sottoforma di linfa eleborata e linfa grezza) , ma anche di conduzione, riserva, ancoraggio al terreno.

Radici specializzate
Possono esistere radici specializzate, generalmente legate a particolari ambienti: l'organizzazione interna di tali radici rimane costante dal punto di vista anatomico, ma le funzioni sono molto diversificate. Alcuni esempi sono:

Radici tuberizzate - il parenchima corticale si specializza come tessuto di riserva. Es Ipomea batata (ingrossamento radice secondaria), rapa, carota e barbabietola (ingrossamento radice primaria)

Pneumatofori - radici respiratorie, proprie di alcune specie che vivono in ambienti acquitrinosi. Presentano un geotropismo negativo (crescono verso l'alto), un parenchima aerifero e delle lenticelle.

Austori - sono tipici di piante epiparassite (es. Cuscuta, Vischio. Si inseriscono nel floema della pianta parassitata.

Radici contrattili - servono per l'interramento della base del fusto (es. piante con bulbo. Hanno un parenchima corticale in cui avvengono cambiamenti dello stato di turgore

Struttura
L’apice della radice è protetto da una struttura detta cuffia (o caliptra), messa come un cappuccio. Proprio la presenza della cuffia e l’assenza dei primordi differenziano l’apice radicale dall’apice del fusto; il primo è molto più semplice e lineare. Nella cuffia sono presenti due popolazioni di cellule, una centrale che appartiene alla zona della columella e altre laterali con le cellule delle fiancate. Le cellule della columella sono grosse, cubiche, con grosso nucleo, molto citoplasma e grossi granuli di amido detti statoliti (responsabili dell’andamento geotropico positivo). Le cellule delle fiancate hanno aspetto nastriforme, compresse tangenzialmente, hanno pareti ricche di mucillagini che a contatto con il terreno si sfaldano formando una massa mucillaginosa che svolge azione lubrificante facilitando la penetrazione della radice nel terreno. Queste cellule si rinnovano, altre si riformano dai meristemi apicali e la dimensione della cuffia rimane costante. La cuffia è presente anche nelle piante acquatiche nelle quali non funge da lubrificante, ma da protezione.

Teorie sulla formazione della radice
Per spiegare la formazione della radice sono nate due teorie:

nel 1868 nacque la teoria di Hanstein (o teoria degli istogeni) secondo la quale tutto il complesso dell’apice si origina da una o poche cellule iniziali che si dividono asimmetricamente dando origine a due cellule. Una di queste rimane cellula iniziale, l’altra va a far parte dl complesso meristematico che la circonda. Le iniziali più le dirette derivate prendono il nome di promeristema.
Si possono individuare tre sistemi meristematici chiamati istogeni (generatori di tessuti) che sono già determinati ovvero già si sa a quale regione anatomica daranno origine: il dermatogeno (origina il rizoderma), il periblema (origina il cilindro corticale della radice) e il pleroma (origina la porzione più interna). La cuffia a volte si origina da un istogeno proprio, il caliprogeno, altre volte dal dermatogeno che in questo caso si chiamerà dermacaliprogeno. Per il fusto ci sono altri termini istogeni che possono andar bene anche per la radice in quanto non si riferiscono a regioni anatomiche ma a tessuti: il protoderma (per l’epidermide), il meristema fondamentale (per il parenchima) e il procambio (per il cambio vascolare). Nelle monocotiledoni ci sono tre gruppi iniziali, quello esterno dà origine alla cuffia, quello intermedio al cilindro corticale e all’epidermide e quello interno al cilindro centrale. Nelle gimnosperme, invece, c’è un solo gruppo iniziale.

nel 1950 prese forma la teoria del centro quiescente secondo la quale nella zona distale (dove si pensava fossero molto frequenti le divisioni mitotiche ma che si è osservato essere molto rare), esiste un centro quiescente bordato dalle cellule iniziali e dalle dirette derivate in due regioni: il meristema distale (dalla parte della cuffia) e quello prossimale (dalla parte dell’organo). Il centro quiescente servirebbe come riserva di iniziali nel caso quelle attive si guastassero e a fornire una geometria per distribuire le cellule in formazione. Questa teoria non annulla quella precedente ma semplicemente distribuisce gli istogeni in maniera differente.


Le zone della radice
La zona liscia della parete è la zona di allungamento per distensione, è liscia perché non sono presenti peli radicali. Le cellule di questa zona si originano dai meristemi determinati, il procambio, il protoderma e il meristema fondamentale. Nella zona pilifera le cellule sono ormai completamente differenziate, sono tessuti adulti di origine primaria. Nella cellula adulta si può notare un grosso vacuolo centrale con citoplasma e nucleo periferici. In sezione trasversale si notano tre zone concentriche, il rizoderma, il cilindro corticale e il cilindro centrale. Il cilindro corticale è molto sviluppato rispetto al centrale e appare piuttosto omogeneo in quanto formato esclusivamente da parenchima di riserva. Vi si trovano strutture secernenti, a volte canali secretori. Il cilindro centrale è rigido perché ci sono elementi di conduzione. Nello strato più interno c’è l’endoderma dove si nota la banda del Caspary . Lo strato più esterno è detto periciclo che è un parenchima ma dal punto di vista funzionale può essere considerato un meristema in quanto può dare origine al cambio cribro-vascolare, alle radici laterali e talvolta al cambio subero-fellodermico. All’interno del periciclo troviamo il parenchima che accoglie i fasci conduttori, chiamati arche, che nella radice sono semplici. I fasci di legno e cribro sono disposti alternativamente in un anello. Il numero di arche può variare, generalmente nelle gimnosperme e dicotiledoni è basso (2-7), al contrario è alto nelle monocotiledoni dove si parla di radice poliarca. Il numero di arche è diagnostico per la determinazione di una specie. Le arche di legno hanno dimensioni variabili a seconda dell’altezza. I primi (protoxilema) sono disposti esternamente, i nuovi (metaxilema) si dispongono in seguito sempre più internamente. Nelle dicotiledoni il differenziamento delle arche può procedere fino al centro della radice formando una struttura stellata. Nelle monocotiledoni le arche di legno non confluiscono mai al centro dove rimane sempre del parenchima che costituisce il midollo centrale (altro carattere diagnostico).

Evoluzione
Rispetto agli altri organi la radice ha avuto un’evoluzione più lenta poiché il terreno è meno soggetto alle variazioni ambientali; questo spiega la relativa omogeneità delle radici nelle varie piante. Nonostante l'omogeneità di struttura tra le radici delle piante, si può verosimilmente ritenere che la radice sia un organo evolutivamente più recente rispetto alla parte aerea, costituita dal fusto e dalle sua appendici (rami e foglie). Essa quindi potrebbe essersi formata come specializzazione del fusto, per assicurare la funzione fulcrante, cioè lo stabile ancoraggio della pianta al suolo, forse prima ancora che una funzione legata all'assorbimento dell'acqua e dei sali (che, vale la pena ricordare, è limitata solo al breve tratto della zona pilifera). Resta comunque valido il discorso legato ad una sorta di "primitività" di organizzazione rispetto al fusto in quanto alla struttura. I fusti più primitivi presentano gli elementi conduttori del fascio cribro-vascolare nella zona centrale. Anche nelle radici gli elementi conduttori restano nella parte centrale, benché xilema e floema si alternino in una struttura radiale. Viceversa, i fusti si evolvono spostando gli elementi conduttori (e quelli di sostegno che li accompagnano) verso la periferia, venendo incontro a due esigenze: la prima di ordine anatomico, perché si deve favorire il collegamento con le foglie, che sono appendici esogene; la seconda è di ordine strutturale, cioè di rinforzo, poiché, come per gli edifici, è più efficace un sostegno posto alla periferia che al centro. Viene da sé che nella radice il sostegno offerto dal terreno e la presenza di appendici endogene (radici laterali) spiegano come mai in questo organo la disposizione degli elementi conduttori è rimasta più simile a quella dei fusti primitivi e non ha subito sostanziali cambiamenti nel corso dell'evoluzione.




17/05/2007 19:28
 
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Nobel per la Chimica, premiata la scoperta dei meccanismi vitali delle cellule
Il riconoscimento è stato assegnato agli americani Peter Agre e Roderick MacKinnon per 'le scoperte concernenti dei canali nella membrana cellulare'

Ancora un Nobel alla scoperta dei meccanismi vitali delle cellule. Questa volta il riconoscimento va alla scoperta dei canali che, come pori che si aprono e si chiudono sulla membrana della cellula, lasciano entrare o uscire sostanze indispensabili come l'acqua e i sali.
Un campo di ricerca giovane, così come giovani sono i due ricercatori premiati, i biochimici americani Peter Agre, 54 anni, dell'Università Johns Hopkins di Baltimora e Roderick MacKinnon, 47 anni, della Rockefeller University di New York. Al primo si deve la scoperta dei canali che permettono il passaggio dell'acqua nella cellula; il secondo ha individuato i canali che permettono il passaggio dei sali (chiamati canali ionici), oggi di fondamentale importanza nello studio delle cellule del cervello e di molte malattie neurologiche.
Per rendersi conto di quanto il passaggio di acqua e sali sia di vitale importanza per la cellula, è sufficiente pensare che di acqua e sali è composto il 70% dell'organismo. E' fondamentale, quindi, per le cellule, dosare esattamente l'ingresso di queste sostanze al loro interno.

Comprendere questo meccanismo vuol dire conoscere più a fondo il funzionamento di molti organi e avere nuovi strumenti di cura. Ad esempio, queste conoscenze si sono dimostrate fondamentali per comprendere come vengono generati e trasmessi i segnali elettrici nelle cellule nervose, così come hanno permesso di capire più a fondo il funzionamento di muscoli, cuore e reni.
L'esistenza di canali addetti al trasporto di acqua nelle cellule era stata sospettata più di un secolo fa. Tuttavia il primo a dimostrarne l'esistenza, dati alla mano, è stato Peter Agre. Nel 1988, infatti, isolò una proteina di membrana che, dopo oltre un anno di ricerche, riconobbe essere un canale per il passaggio dell'acqua. Quella scoperta decisiva dette il via ad una serie di numerosissime ricerche di biochimica, fisiologia e genetica sui canali per il trasporto dell'acqua nei batteri, nelle piante e nei mammiferi. I progressi sono stati tali che oggi è possibile seguire nei dettagli il viaggio di una molecola d'acqua attraverso la membrana cellulare e comprendere perché determinati canali possono essere attraversati solo dall'acqua e non da molecole più piccole, come gli ioni.
Il primo a vedere ioni di potassio attraversare la membrana cellulare è stato Roderick MacKinnon, appena sei anni fa. Era il 1998, infatti, quando riuscì a determinare la struttura spaziale di un canale per il potassio. Grazie a questa prima osservazione, che allora sorprese la comunità scientifica, oggi è possibile osservare e studiare il passaggio degli ioni attraverso la membrana cellulare, con ripercussioni importantissime in molti settori della ricerca, primo fra tutti quello delle neuroscienze.
17/05/2007 19:31
 
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Acqua....
Le proprietà dell'acqua











L'acqua è il componente più abbondante in tutti gli organismi viventi cui rappresenta anche più del 70% del peso. Essa è quindi il mezzo di dispersione della materia vivente.

È ormai generalmente accettato che i primi organismi hanno avuto origine negli oceani primordiali quasi quattro miliardi di anni fa. È quindi evidente che l'evoluzione delle prime forme di vita sulla terra è stata fortemente influenzata dalle proprietà del mezzo in cui hanno avuto origine. Infatti, le proprietà chimiche e fisiche dell'acqua condizionano tutti gli aspetti della struttura e della funzione della cellula.

La vita comporta un gran numero di reazioni chimiche che hanno luogo contemporaneamente in ciascuna delle cellule di un organismo vivente, in funzione delle loro necessità. Questo richiede che le biomolecole siano capaci di muoversi rapidamente e di incontrarsi frequentemente. Per questo la vita richiede un ambiente fluido e l'acqua è incredibilmente adatta a questo scopo.

Come tutti sanno una molecola d'acqua (H-O-H) è costituita da un atomo di ossigeno e due di idrogeno, ciascuno dei quali è strettamente legato all'ossigeno. Dato che i due elettroni (piccolissime particelle dotate di carica negativa) responsabili del legame tra idrogeno e ossigeno tendono a passare più tempo in prossimità dell'ossigeno piuttosto che dell'idrogeno, avremo che l'atomo di idrogeno possiede una parziale carica negativa (-0.82) e l'idrogeno una parziale carica positiva (+0.41). A causa di tale proprietà possono formarsi dei legami di natura elettrostatica tra l'ossigeno parzialmente carico negativamente di una molecola d'acqua e l'idrogeno parzialmente carico positivamente di un'altra. Legami di questa natura vengono definiti "legami a idrogeno" e sono responsabili delle proprietà chimico-fisiche dell'acqua. Una importante caratteristica del legame a idrogeno è la sua elevata "direzionalità", che è molto importante nell'organizzazione delle strutture biochimiche, ad esempio le strutture a elica che si osservano nelle proteine.

La maggior parte delle proprietà dell'acqua dipendono proprio dal legame a idrogeno. A causa del legame a idrogeno le soluzioni acquose mostrano una elevata "coesione intermolecolare". Anche se un singolo legame a idrogeno ha una forza relativamente bassa, pari a circa il 5% di quella del legame intramolecolare che unisce i due atomi di idrogeno all'atomo di ossigeno nella molecola d'acqua, il gran numero di legami che possono instaurarsi tra le molecole d'acqua conferisce alle soluzioni acquose una notevole coesione interna. Ad esempio, l'alto grado di coesione interna dell'acqua viene utilizzato dalle piante per trasportare i nutrienti disciolti dalle radici alle foglie.

Le interazioni deboli causate da legami di idrogeno sono fondamentali per i processi biologici, dato che possono facilmente formarsi e rompersi continuamente in condizioni fisiologiche. La dinamica della vita richiede cambiamenti rapidi delle interazioni intra- o intermolecolari che non possono aver luogo se le interazioni in gioco comportano forze di legame troppo elevate.

Perché una specie biologica possa propagarsi nel tempo è necessario che il suo patrimonio genetico sia conservato in forma stabile e venga trasmesso alla progenie con la massima fedeltà possibile. Sono proprio i legami a idrogeno responsabili dell'appaiamento tra le due eliche del Dna, della fedeltà del processo di replicazione (nel quale il corredo genetico di ogni cellula in fase di divisione, costituito dal Dna, viene duplicato per essere trasmesso alle due cellule figlie), della trascrizione (sintesi delle molecole di Rna che dirigeranno poi la sintesi delle proteine) e della traduzione (sintesi delle proteine). Questi sono i processi fondamentali che governano il flusso della informazione genetica fino alla costituzione di un essere vivente.

In conseguenza dei forti legami a idrogeno intermolecolari l'evaporazione dell'acqua richiede una quantità di energia insolitamente grande per una molecola delle sue dimensioni. Questo fa sì che sia l'evaporazione che l'ebollizione richiedano temperature sorprendentemente elevate permettendo all'acqua di rimanere allo stato liquido alle temperature che si riscontrano nella maggior parte delle stagioni sulla maggior parte della superficie terrestre. Alcuni vertebrati, tra i quali l'uomo, usano l'elevato calore di evaporazione per eliminare l'eccesso di calore corporeo sotto forma di sudore.

Le interazioni intermolecolari dovute ai legami a idrogeno fanno sì che l'acqua allo stato solido, il ghiaccio, assuma una struttura cristallina estremamente regolare che gli conferisce una insolita proprietà:

L'acqua allo stato liquido è più densa del ghiaccio. Questa proprietà è della massima importanza per la vita sulla terra. Se l'acqua si comportasse come la maggior parte delle sostanze, risultando più densa nello stato solido, il ghiaccio che si forma sulla superficie dei laghi e degli oceani (si pensi alla calotta polare artica) precipiterebbe sul fondo dove si accumulerebbe nel tempo fino a quando i laghi, i fiumi e i mari gelerebbero completamente portando alla completa distruzione di ogni forma di vita in essi contenuta. Dato che il ghiaccio è meno denso dell'acqua nello stato liquido, esso si forma a partire dalla superficie verso il basso. In tal modo il ghiaccio funge da ottimo isolante: uno strato di ghiaccio sulla superficie di uno stagno protegge gli organismi acquatici dalle rigide temperature esterne.

Un'altra importante proprietà dovuta alle interazioni intermolecolari è che nel caso dell'acqua sono necessarie cospicue quantità di calore sia per variarne la temperatura che per modificarne lo stato di aggregazione (solido, liquido o gassoso). Questo comporta che le fluttuazioni termiche all'interno delle cellule siano minime, anche se la temperatura dell'ambiente fluttua o se viene prodotto calore come sottoprodotto del metabolismo, e questo dal punto di vista biologico è di grande importanza dato che le reazioni biochimiche avvengono in un ristretto intervallo di temperatura.

Un'altra importantissima caratteristica dell'acqua è costituita dalle sue eccezionali proprietà di solvente, cruciali per i processi biologici che richiedono la solubilizzazione di un'ampia varietà di ioni e di molecole grandi e piccole. Tutte le molecole in grado di formare legami idrogeno saranno solubili e vengono definite "idrofile", mentre le molecole che non hanno tale capacità saranno generalmente insolubili e vengono definite "idrofobe". L'acqua è un eccellente solvente anche per i sali.

Tale capacità dipende dalle proprietà isolanti dell'acqua che impediscono la riassociazione tra le particelle cariche positivamente e negativamente (cationi e anioni) che costituiscono i sali.

L'interazione tra le molecole d'acqua e particolari composti dotati sia di caratteristiche idrofiliche che idrofobiche, come i lipidi delle membrane biologiche, è stata cruciale per l'origine dei primi organismi viventi monocellulari. Tali molecole in acqua possono formare delle membrane a doppio strato che si organizzano in vescicole dove l'acqua si trova sia all'interno che all'esterno. Le membrane biologiche a doppio strato, infatti, circondano tutte le cellule e separano i vari compartimenti cellulari. L'acqua non è soltanto il solvente in cui avvengono tutte le reazioni degli organismi viventi, essa molto spesso partecipa anche direttamente alle reazioni. Ad esempio alcune reazioni di dissociazione (idrolisi) o di condensazione generalmente consumano o producono molecole d'acqua. I prodotti terminali dell'ossidazione delle sostanze nutrienti come gli zuccheri, che forniscono l'energia necessaria per la nostra sopravvivenza, sono l'anidride carbonica e l'acqua. L'acqua che si forma in questo modo è in qualche caso sufficiente alla sopravvivenza di alcuni animali in ambienti particolarmente secchi (es. cammelli). Le piante verdi usano l'energia della luce solare per trasformare acqua e anidride carbonica negli zuccheri (processo della fotosintesi) che verranno utilizzati per l'alimentazione degli organismi animali.

In conclusione, possiamo senz'altro affermare che l'influenza dell'acqua nel corso dell'evoluzione biologica è stata determinante. Se altre forme di vita si sono evolute in altre parti dell'universo è molto probabile che abbiano trovato un ambiente ove vi fosse disponibilità di acqua allo stato liquido e che quindi rassomiglino alle forme di vita presenti sulla terra.

In caso contrario, si può pensare che l'evolversi della vita non sia stato possibile a meno di ipotizzare forme di vita completamente diverse e che difficilmente possiamo immaginare.

17/05/2007 19:40
 
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Sole acqua evoluzione
Il glucosio, per un organismo vivente, può essere paragonato ad un conto in banca: porti in banca le monete e impingui il conto ed al bisogno la banca ti dà le monete che occorrono.

Assimilare glucosio e saperlo utilizzare significa mangiare energia solare.

In altri termini la clorofilla ed altri pigmenti nelle ore diurne, attraverso il processo di fotosintesi, depositano nella cellula l'energia raccolta formando glucosio; nei momenti di bisogno l'energia presente nel glucosio si sprigiona nell'organismo in quantità maggiore di quella consentita in quel momento dall'insolazione per soddisfare le esigenze contingenti.


6 CO2 + 6 H2O + energia >> C6H12O6 + 6 O2

Noi siamo abituati a considerare l'ossigeno allo stato libero (cioè non combinato con altri elementi) una sostanza preziosa ed indispensabile, ma esso costituisce in realtà un tossico pericoloso, molto reattivo e capace di attaccare e distruggere.

Quando i primi organismi capaci di produrre la reazione di fotosintesi liberarono ossigeno questo andò ad ossidare le rocce (e ci volle un bel po' di tempo), ma poi le rocce si saturarono e l'ossigeno libero prese ad accumularsi nell'acqua e nell'atmosfera. Quasi certamente il grande cambiamento ambientale provocò la scomparsa di molte forme viventi, mentre altre riuscirono a sopravvivere solo perché erano nascoste negli strati profondi del fango, dove il contatto con l'ossigeno era meno probabile, protette da una membrana resistente.

A partire dalla comparsa di ossigeno libero ogni formazione di molecole organiche fuori dagli organismi già viventi diventò impossibile.


L'origine della vita dalla non-vita diventò da allora impossibile, mentre per quegli organismi che trovarono un sistema di difendersi dall'ossigeno, che ne emanavano per la propria esistenza, questo cambiamento dell'ambiente fu invece una condizione di successo.

La presenza di ossigeno libero nell'acqua (che aumentava con l'aumentare dell'ossigeno libero nell'atmosfera) permetteva a certi organismi di ricavare energia attraverso la reazione

C6H12O6 + 6 O2 >> 6 CO2 + 6 H2O + energia

che è il contrario della fotosintesi, che sprigiona una grande quantità di energia e che è la reazione che consente un totale riciclo dei materiali per realizzare la reazione inversa: era stata "inventata" la respirazione aerobia
.

Gli organismi che seguirono la ricetta "energia solare (come fonte di energia) ed utilizzo dell'acqua (come condizione ambientale favorevole e fonte di idrogeno)" seppero formare associazioni complesse ed evolvere verso la cellula nucleata.

Si può dire dunque che la ricetta "energia solare e utilizzo dell'acqua", che inizialmente fu soltanto una tra le tante ricette, si rivelò poi come l'unica capace di aprire le strade verso un'evoluzione sempre più complessa.


Un po' di numeri

4600 milioni di anni
formazione del pianeta Terra

3200 milioni di anni
fossilizzazione di molecole organiche ritenute di origine biologica

2700 milioni di anni
da allora fossili di batteri e alghe azzurre (liberazione di ossigeno)

1800 milioni di anni
depositi minerali che testimoniano la presenza di ossigeno libero in tracce nell'atmosfera

1400 milioni di anni
depositi minerali che si possono formare solo con ossigeno libero in atmosfera almeno pari all'1% dell'attuale

1200 milioni di anni
fossilizzazione di cellule dotate di nucleo
(la comparsa di nucleo è possibile in condizioni di ossigeno piuttosto simile all'attuale)



Il ciclo biologico

Oggi, e già da un po' di tempo, la vita ha raggiunto un suo equilibrio nel quale quasi tutto il glucosio viene prodotto grazie all'energia solare. Dal punto di vista qualitativo gli organismi che praticano la chemiosintesi (cioè la produzione di glucosio mediante energia non solare) hanno la loro importanza perché nelle proprie file comprendono quelli che provvedono al riciclo dell'azoto.

C'è un grande deposito di azoto libero nell'atmosfera, e batteri e alghe azzurre lo trasformano in nitrati disciolti nel terreno; le piante, che ne ricavano amminoacidi e basi azotate, vengono mangiate dagli animali. I residui organici delle piante e degli animali tornano al terreno, dove batteri di specie diverse "lavorano" le scorie azotate ritrasformandole in nitrati che, o vengono riacquisiti dalle piante o forniscono all'atmosfera azoto libero.

Quando in precedenza è stato scritto che il processo fotosintesi-respirazione delle piante assicura il riciclo completo dei materiali, non è stata scritta una cosa proprio esatta. Va detto che non tutto il glucosio, l'alimento energetico sintetizzato, viene adoperato per ricavare energia: in parte esso viene polimerizzato in forma di cellulosa, oppure ne viene fabbricata lignina, con funzioni di sostegno.

Le piante, in genere, devono "stare in piedi": se stanno per terra molte di esse vengono danneggiate o perché il terreno umido infradicia le foglie o perché non riescono a farsi illuminare dal Sole o perché non riescono ad affidare il proprio polline al vento. Perciò non solo stanno in piedi ma cercano di stare "in punta di piedi": in altri termini sono avvantaggiate se hanno delle strutture rigide che consentono una posizione verticale del tronco o dello stelo.

Sarebbe potuta essere questa una soluzione evolutiva pericolosa: la cellulosa o la lignina, polimeri del glucosio sarebbero stati cibo (riserva d'energia) per le piante stesse, proprio come se una stufa a legna fosse costruita di legno. Ma se dovessimo per forza costruire una stufa di legno escogiteremmo una vernice antincendio: analogamente le strutture cellulosiche e lignee sono difficilmente commestibili e digeribili. Tendono perciò ad accumularsi: lo dimostra l'esistenza di carbone fossile e petrolio.



Sistemi semplici e complessi

Per comprendere meglio quanto spiegato successivamente facciamo un esempio.

Un tipo di ecosistema semplificato è quello sub-artico, dove la fotosintesi avviene esclusivamente nel lichene. Il lichene viene mangiato esclusivamente dalla lepre zampa-da-neve, la lepre viene mangiata esclusivamente dalla lince zampa-da-neve. Siccome il lichene è molto sensibile alle macchie solari, ha un ciclo undecennale come appunto le macchie: in undici anni esso cresce al massimo e poi decresce sino ad un minimo. Ogni undici anni si arriva all'orlo della catastrofe nel senso che lepri e linci vedono in pericolo la propria sopravvivenza perché a corto di lichene.

Il sistema sarebbe più stabile se fosse più complesso: se cioè comprendesse diverse varietà a diversi livelli (fotosintetico, erbivoro e carnivoro).


Ritorniamo alle piante: se la produzione di cellulosa e lignina è più facile del loro consumo, il sistema tende a squilibrarsi. L'equilibrio viene ritrovato attraverso un aumento della complessità del sistema.

L'evoluzione naturale favorisce gli ecosistemi dotati di complessità, oltre che di velocità di riciclaggio.

Per questo motivo il problema di riequilibrare la particolare difficoltà di digerire la cellulosa e la lignina per farli rientrare nel ciclo fu risolta aumentando la complessità. Lo sviluppo dei funghi provvide a ritrasformare la lignina.
Le difficoltà inerenti la cellulosa vennero affrontate invece da microrganismi che, proprio per l'arduo compito, si svilupparono in una specie di "incubatrice" a temperatura di 36/38 gradi e con elevato grado di umidità. Queste incubatrici semoventi sono gli animali erbivori che provvedono a catturare la cellulosa, triturarla e macerarla, e che ospitano i microrganismi nel proprio apparato digerente, i quali a loro volta in cambio ricevono sostanze nutritive.

Collocati in posizione intermedia fra le piante, produttrici di glucosio e gli organismi unicellulari decompositori, gli animali svolgono una funzione di accelleratori del ciclo.

L'insieme dei produttori, dei consumatori (accelleratori del ciclo) e dei decompositori assicura che l'equilibrio tra l'attività dei cloroplasti (la fotosintesi) e l'attività dei mitocondri (la respirazione) venga raggiunto attraverso un circuito che sia il più possibile veloce, ma al tempo stesso il più possibile complesso e, quindi, stabile.


La catena del pascolo

La fissazione di un grammo di anidride carbonica nella fotosintesi esige la traspirazione , attraverso la pianta, di 100 grammi d'acqua. Questo lavoro esige non solo energia impiegata nella fotosintesi ma anche quella dovuta agli effetti termici solari: effetti locali per avere una temperatura ambientale che consenta la traspirazione dell'acqua da parte della pianta ed effetti a distanza perché l'acqua di cui si serve la pianta viene da lontano (dai mari attraverso le nuvole sospinte dai venti = energia solare per l'evaporazione e per la creazione di gradienti termici).

Se in una giornata di primavera, quando le piante crescono, guardiamo un prato di primo mattino e poi torniamo a guardarlo di sera, possiamo notare che la biomassa è aumentata visibilmente. La differenza di peso dell'erba dovuta alla crescita non corrisponde al prodotto di tutta la fotosintesi operata ma ad una parte, circa un decimo.
Infatti l'erba per crescere ha dovuto trasformare energia, cioè respirare: lo stelo si è allungato, le foglioline si sono allargate, è stata sintetizzata nuova cellulosa, sono stati fabbricati degli enzimi.

Possiamo dire che quel che c'è sul terreno alla fine della giornata è quel che c'è a disposizione della lepre. L'energia solare che ha investito il prato si è divisa in tre parti: quella che ha determinato effetti termici o è stata riflessa (circa la metà); quella che è stata utilizzata dalla pianta nel suo lavoro; quella che è rimasta nei legami chimici del glucosio e della cellulosa (che è un suo polimero), a disposizione della lepre.

Ma anche l'energia che rimane a disposizione della lepre si divide in tre parti: una parte va perduta come dispersione termica; una parte serve alla lepre per vivere (la lepre lavora più dell'erba: si muove, deve allattare, ecc.); infine una parte rimane nel corpo della lepre sotto forma di proteine e grassi, che possiamo chiamare quel che rimane a disposizione della volpe.

Ogni preda mette a disposizione del proprio predatore soltanto la decima parte, all'incirca, dell'energia che le è riuscito catturare e trasformare. In ogni territorio esiste mediamente una certa biomassa di organismi produttori (fotosintetici), una biomassa inferiore (circa un decimo) di consumatori di primo grado (animali erbivori) e una biomassa ancora inferiore (circa un decimo degli erbivori ossia un centesimo delle piante) di organismi consumatori di secondo grado (animali carnivori).

Se le piante, attraverso la fotosintesi, riescono a fissare nel proprio corpo il 5% dell'energia che investe il territorio, l'animale erbivoro ne fissa il 5 per mille e il carnivoro il 5 per diecimila, cioè una sola caloria su duemila.

Un animale carnivoro che mangiasse animali carnivori dovrebbe quindi spaziare su un territorio vastissimo per acquisire l'energia occorrente per vivere: perciò sulla terraferma i carnivori che mangiano carnivori sono pochissimi, e quei pochi sono uccelli rapaci che volano molto in alto e controllano un grande territorio con vista, appunto, di falco.

Tutto questo riguarda la catena del pascolo, cioè l'insieme degli organismi produttori e degli organismi consumatori che vivono a spese degli organismi viventi, uccidendoli o no: i consumatori che uccidono sono chiamati predatori, quelli che non uccidono sono chiamati parassiti. La lepre nei confronti dell'erba è un parassita, la volpe che mangia i leprotti è un predatore, le pulci della volpe sono parassiti.


La comunità vivente ed un nuovo arrivo

Oltre alla catena del pascolo c'è poi la catena del detrito, cioè l'insieme degli organismi che vivono a spese delle scorie di altri organismi o a spese di organismi morti: essa comprende mammiferi come i topi, uccelli come i corvi, insetti, funghi e batteri.

L'insieme degli organismi produttori (fotosintetici), più la catena del pascolo, più la catena del detrito costituiscono la comunità vivente, che è una macchina formata da varie parti, e cattura energia per poi disperderla in forma di calore.

Il ciclo della materia, sostenuto dal flusso di energia solare, è organizzato in maniera tale che si raggiunge il massimo possibile di biomassa e il massimo possibile di stabilità.

Un'infinità di spinte contrastanti: la crescita delle lepri inibisce la crescita dell'erba, la crescita delle volpi inibisce la crescita delle lepri e favorisce la crescita dell'erba, la crescita dei falchi inibisce la crescita delle lepri e delle volpi favorendo o inibendo la crescita dell'erba secondo che si nutrano più di lepri o più di volpi, ecc.

Se tutte queste spinte contrastanti riescono mediamente, con oscillazioni più o meno ampie, ad ottenere il massimo di biomassa col massimo di stabilità, questo avviene perché il processo evolutivo ha avuto a disposizione, a partire dall'inizio della vita, più di tre miliardi di anni.

Su questo sfondo appare ad un certo punto, circa dieci milioni di anni fa, il Ramapiteco, l'animale che non avrà altri discendenti che noi esseri umani.



mandibola di Ramapithecus

sito di Rudabanya in Ungheria
luogo di ritrovamento di frammenti di Ramapithecus

L'inizio dell'evoluzione culturale

Gli equilibri raggiunti rimasero press'a poco invariati nei milioni di anni in cui i discendenti del Ramapiteco andarono via via evolvendo la propria capacità di impiegare strumenti, poi di fabbricarli, poi di organizzarsi socialmente.


cranio di australopithecus robustus rinvenuto a Olduvai (Tanzania)

sito di Olduvai (Tanzania)

All'incirca 200.000 anni fa, con la comparsa di Homo Sapiens, ebbe inizio una nuova modalità di evoluzione, l'evoluzione culturale.

La particolare capacità di organizzazione sociale anzitutto e poi la capacità di fabbricare strumenti, facendo superare lo svantaggio della debolezza muscolare, della scarsa velocità, della mancanza di zanne e di artigli, fece ridurre notevolmente la grande mortalità infantile che molti animali hanno: maggiore difesa, maggiore capacità di procurarsi cibo.


confronto tra australopithecus e homo sapiens sapiens


La prima astuzia dell'Homo Sapiens, che chiameremo da ora in poi uomo, fu quella di eliminare i concorrenti, decapitando la piramide alimentare di ogni altro carnivoro. Sterminare i lupi, i leoni, le linci non costituiva tanto una forma di difesa contro i predatori, quanto un modo per avere a propria disposizione tutta o quasi la biomassa degli erbivori cacciabili senza doverla dividere con i rivali. Riuscire a collocarsi in posizione monopolistica come ultimo anello della catena del pascolo: l'attuazione di questa strategia richiese centinaia di migliaia di anni. In Europa lo sterminio dei carnivori è ormai concluso da due secoli circa, e i soli carnivori che sopravvivono sono le volpi, che però si sono adattate a contendere ai ratti il ruolo di animali-spazzini.

Con lo sterminio dei concorrenti si aprì un'epoca di grande prosperità per l'uomo: branchi di cervi, di daini, di cinghiali, nel migliore dei casi mettevano a disposizione praticamente solo dell'uomo il 10% dell'energia che questi riuscivano a impossessarsi brucando l'erba dei pascoli o rufolando fra le ghiande dei querceti d'Europa, che era il 10% dell'energia che erano riuscite a fissare le piante con la fotosintesi, e questa a sua volta era circa il 50% al massimo, dell'energia radiante che aveva investito i prati e i querceti.

La prosperità così conquistata fece aumentare la popolazione: e siccome la specie umana è molto adattabile a situazioni climatiche diverse riuscì a estendere il proprio territorio di caccia a tutti i continenti.



l'Homo Sapiens Sapiens alla conquista della Terra


Venne così a trovarsi in condizioni di insolazione molto differenti, e quindi a dovere risolvere un problema molto delicato: quello del rapporto con la radiazione ultravioletta.

Come gli altri viventi, anche l'uomo può sopravvivere sulle terre emerse solo in quanto il mantello di ozono lo protegge dalla maggior parte della componente ultravioletta dello spettro solare. Però, al pari degli altri mammiferi, non potrebbe sopravvivere in assenza totale di ultravioletto: in tale condizione infatti non riuscirebbe a sintetizzare le sostanze che provvedono a fissare il calcio nei tessuti ossei (ormoni).

A differenza di altri mammiferi, l'uomo ha particolari difficoltà in questa sintesi: gli è necessario, per operarla, catturare ultravioletti su gran parte della propria superficie corporea, che infatti è nuda di peli.

Abbandonare le savane originarie, fortemente insolate, e addentrarsi nell'ombra della selva europea, determinò un'insufficienza di esposizione agli ultravioletti, con fenomeni di rachitismo. Ci fu una gravissima mortalità selettiva: il freddo e le nebbie provocavano malattie dell'apparato respiratorio che diventavano facilmente mortali per i bambini ai quali il rachitismo aveva impedito di sviluppare bene la gabbia toracica; inoltre il rachitismo riusciva frequentemente mortale alle donne, che per cattiva conformazione del bacino morivano nel partorire.

Ricevettero un premio selettivo individui che nei territori d'origine sarebbero stati dei malati: quelli che per scarsità di pigmentazione cutanea sarebbero stati incapaci di difendersi da un eccesso di ultravioletti nelle savane, proprio per tale anomalia seppero utilizzare al meglio la componente ultravioletta nella scarsa insolazione europea. Si selezionò così una strana razza bianca e bionda, con bambini dalle guance rosa e ragazze dalle labbra rosse: il rosa e il rosso denotavano una vasodilatazione locale che portava maggiori quantità di sangue in superficie a catturare l'ultravioletto del quale proprio i bambini in crescita, e le ragazze che stanno per affrontare le gravidanze - con la conseguente perdita di calcio - hanno maggior bisogno.

La tendenza a schiarirsi non è altrettanto importante nelle regioni più settentrionali e nelle regioni desertiche, dove ghiacciai e deserti riflettono maggiori quantità di luce, anche nelle bande a breve lunghezza d'onda. Nelle regioni settentrionali del continente sorsero però altri problemi: l'uomo riusciva a sopportare il freddo solo in quanto si copriva di pesanti pellicce ma impellicciandosi si precludeva ogni possibilità di fruire dell'ultravioletto attraverso la pelle esposta. Rimediò attraverso la dieta costituita prevalentemente di pesce, del quale i mari settentrionali abbondano. I pesci, vivendo nell'acqua, hanno selezionato un'alta capacità di fabbricarsi le sostanze calcio-fissatrici anche in ambiente poverissimo di ultravioletti. Così gli esquimesi, pur non esponendosi mai al sole, evitano i pericoli dei rachitismo attraverso il particolare regime alimentare.

Il differenziarsi delle razze umane sarebbe dunque principalmente, secondo questa ricostruzione degli avvenimenti, il risultato di differenti adattamenti alle differenti condizioni d'insolazione.

L'aumento della popolazione, col conseguente aumento dell'attività di caccia, cominciò a creare delle difficoltà per scarsità di prede. Così gli uomini cominciarono a praticare la caccia controllata, vale a dire una caccia che non compromettesse il potenziale riproduttivo del branco: impararono a risparmiare le femmine e gli individui troppo giovani, e per ottenere questo scopo ricorsero a forme nuove di caccia, cioè a trappole che permettevano di selezionare gli animali, liberando quelli che ancora dovevano finire di crescere e quelli che servivano alla riproduzione.


utensile del Paleolitico - bifacciale

industria litica del Neolitico - punte di freccia


Prelevare gli interessi senza intaccare il capitale

La pratica della pastorizia fece poi comprendere empiricamente che il parassitismo è energeticamente più redditizio della predazione, in quanto permette di aggirare i rigori della legge dei 10%. Infatti il predatore, uccidendo la preda, consegna alla catena del detrito una gran parte della carcassa animale: la pelliccia, lo scheletro, le articolazioni, i tendini e in quei tempi, in assenza di frigoriferi, consegnava alla catena dei detrito anche una parte dei muscoli, quella che non riusciva a mangiare subito.

Invece, trasformandosi in parassita - cioè mungendo le femmine, e persino succhiando il sangue dei maschi, come ancora oggi fanno in Africa i Masai - l'uomo riusciva a procurarsi l'energia alimentare senza distruggere l'impianto che gliela metteva a disposizione.
Il latte: un alimento a costi energetici inferiori rispetto alla carne.

La popolazione umana si accrebbe ancora, e anche la pastorizia non bastò più. Dopo l'invenzione della caccia controllata e l'invenzione della pastorizia e della mungitura, fu allora la volta di quella che fu forse la più grande invenzione dell'umanità: una nuova dieta, la dieta a base di carboidrati.

Dopo essersi guadagnato la posizione monopolistica di ultimo anello della catena del pascolo, l'uomo capì che poteva avere un anello di meno, culminando nel consumatore di primo grado anziché nel consumatore di secondo grado.

L'uomo può utilizzare in maniera diretta soltanto le molecole che già nella pianta hanno funzioni energetiche, cioè i polimeri brevi e i monomeri (amidi e zuccheri) nonché i grassi.
Gli amidi servono in generale alla pianta stessa che li fabbrica, come scorta energetica accumulata nelle radici e nei semi

Gli zuccheri sono disponibili in forma concentrata soprattutto nei materiali che le piante offrono agli animali in cambio dei loro servigi: il nettare per gli insetti impollinatori, la polpa dei frutti per gli animali che accettano di mangiare il frutto (l'oliva, la ciliegia) per andare a defecare il seme più lontano.

I cacciatori al tempo della grande prosperità mangiavano i frutti, probabilmente più per il profumo che per il contenuto energetico, e ne ricavavano l'indispensabile vitamina C che i primati non sanno elaborare (ma la maggior parte degli altri mammiferi sì).

Ma non poterono affrontare una dieta amidacea senza un adattamento di carattere culturale: infatti l'organismo umano non ha molta capacità di utilizzare gli amidi, se non li sottopone a una specie di pre-digestione fuori dai propri visceri, cioè se non li cuoce.

Fu dunque la scoperta dei fuoco, con la conseguente invenzione della cottura, a rendere possibile quel "salto in giù" lungo la piramide alimentare che moltiplicava il cibo disponibile.

I cacciatori-pescatori diventarono dunque raccoglitori di frutti e semi, anzi più esattamente dovremmo dire che quelli che erano prevalentemente cacciatori-pescatori diventarono prevalentemente raccoglitori di frutti e semi.

In un primo tempo erano stati rivali dei lupi e si erano dati da fare per sterminare i lupi; poi avevano allevato pecore e vacche, e avevano fatto diminuire fortemente le popolazioni di cervi e di altri erbivori selvatici, rivali delle pecore e delle vacche; adesso si trovavano a essere rivali delle proprie stesse pecore e vacche, e ne diminuirono l'allevamento.

Il passaggio successivo fu probabilmente agevolato dalle modalità di organizzazione sociale: il fatto di vivere in campi-base, ai quali periodicamente tornavano nel lento ciclo della transumanza, mostrò loro che nei mucchi di rifiuti crescevano con particolare densità le piante che erano loro più utili. Così compresero in prima approssimazione le proprietà dei semi, fatto sufficiente a trasformare il raccoglitore in agricoltore.

L'agricoltore compie anzitutto un lavoro di selezione: seleziona le piante utili e impedisce la crescita delle loro rivali, le piante che non sono utili all'uomo. E' un'opera che richiede informazione, ma anche energia: l'energia necessaria - per esempio - a diserbare.

La valutazione dell'utilità delle specie vegetali è però un'operazione logica piuttosto complessa. Se infatti la coltivazione viene integrata dall'allevamento la quota proteica viene a comprendere anche la carne e il latte; e non solo, ma bisogna calcolare anche la produzione di lana, e l'animale da lavoro come fonte energetica.

L'attività dell'agricoltore può anche essere descritta come un'accelerazione del ciclo della materia organica, e più esattamente come un'accelerazione della catena del detrito che aumenta la resa della catena dei pascolo (con la concimazione) e la accelerazione della catena del detrito può essere ottenuta in maniere diverse secondo la presenza o meno di animali domestici.

Un altro po' di numeri

3.000.000 anni australopithecus

700.000 anni homo erectus

400.000 anni uso del fuoco

200.000 anni homo sapiens

65.000 anni prime sepolture

30.000 anni nascita dell'arte

15.000 anni primi pastori

10.000 anni primi agricoltori - inizio del neolitico

4000 anni uso dei metalli


L'uomo e il problema dell'energia

Oggi l'umanità possiede una cultura che le permetterebbe di fare tutti i calcoli necessari a gestire l'ecosistema nel modo più vantaggioso, ma non lo fa.

In passato, non avendo gli strumenti culturali necessari, procedette per prova ed errore, pagando cari gli errori ed elaborando così modelli sociali diversi.

... continua

Nella III parte esamineremo schematicamente alcuni diversi modelli antichi, percorreremo brevemente l'evoluzione economica e culturale dell'uomo rapportata alla fonte naturale di energia che è il nostro Sole, con alcune conclusioni (condivisibili o meno, naturalmente).
Avete letto com'è nata la vita?
Non siete rimasti affascinati da questa storia?
Pensate che ciò è avvenuto in un tempo enorme per il metro umano, un miliardo di anni.
Anche a dirlo o a leggerlo non ci rendiamo conto di quanto tempo sia.
L' Homo Sapiens Sapiens (ironia del nome) negli ultimi 5000 anni ha distrutto un equilibrio in maniera irreversibile; avremo occasione di riparlarne …


energia solare = il sale della vita e, giocando con le parole, possiamo dire "il sole della vita".


Bibliografia: Astronomia - alla scoperta del cielo - Curcio Editore ; Origini ed evoluzione dell'uomo - Jaca Book

Per gli argomenti già trattati vedi GIA' VISTO IN RUBRICA
19/05/2007 16:01
 
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non ti incazzare ma...
tra un p'ò finiremo come le patate? [SM=x268928]

tu ti incazzi ma è proprio cosi siamo gia come le patate [SM=x268919]
e se mangi troppo yoghurt poi diventi acido e non capisci le stronzate "realta" che dico!

patate non intese come passera logicamente [SM=x268940]

ciao amisci [SM=x268948] every body smoke a joint now! [SM=x268948]
FucK tHe SysTem...SmAsH A dIsKo
fuck fuck fuck fuck your haed...
l'unico scopo che mi sono imposto è salire il fiume a retroso fin li dove nasce il vento,
per poi lascarmi cullare nella candida valle. ThC_
22/05/2007 15:18
 
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I principi della vita....
sono la base dell´evoluzione.....

acqua....energia solare....iodio....idrogeno.....ossigeno...alimentazione...sono elementi che consentono la vita sulla terra.

Io sto solo cercando di fare una ricerca approfondita su quelli che sono i fattori che garantiscono la vita sulla terra....

Se questo vi fa sentire delle patate non so che dirvi.....le cellule eucariote cosi funzionano.....

E la complessita del vivente deriva dalla capacita di combinare questi fattori in maniera da ottenere sufficente energia per il mantenimento delle stesse forme.......

questo in barba all´entropia....... [SM=x268951]
30/05/2007 15:37
 
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1. Professor Gould, qual è l'effettivo contributo che la paleontologia ha dato alla biologia evolutiva? E quali sono i legami fra la paleontologia e la biologia evolutiva?

Darwin considerava i documenti fossili più come un impaccio che come un aiuto per la sua teoria dell'evoluzione. Ne L'origine delle specie ci sono due capitoli dedicati alla geologia, ma si trovano in quella sezione del libro che parla delle difficoltà di accettare la selezione naturale e l'evoluzione. Ora, il problema principale con i documenti fossili è costituito dalla loro estrema imperfezione. Al punto che, nonostante sia certamente visibile uno scenario della vita che si trasforma, molte connessioni non si riescono a scorgere. Darwin ha contribuito a diffondere un argomento classico che spiega questo fatto: i documenti fossili sono così imperfetti che una transizione lineare e continua attraverso un migliaio di stadi intermedi viene registrata sotto forma di pacchetti discontinui.

Perciò, secondo una metafora prediletta, la testimonianza fossile è come un romanzo di cui ci restano poche pagine; se di 1000 gradini, abbiamo il gradino 1, abbiamo perso i 999 intermedi, e passiamo direttamente al gradino 1000, è evidente che l'apparenza di un cambiamento improvviso deriva dal fatto che si sono perse le forme intermedie. C'è, però, un'altra argomentazione che ha a che fare con un errore rilevante imputabile allo stesso Darwin. Egli era molto legato alla nozione di gradualismo impercettibile, lento e continuo. Sosteneva che bisogna collegare ogni progenitore e ogni discendente attraverso quelli che chiamava gli stadi intermedi più sottili e progressivi. Oggi, tuttavia, si è raggiunta la convinzione che l'evoluzione non sempre funziona in questo modo. Rispetto alla scala dei tempi umani può darsi che ci sia quella continuità, ma le cose stanno diversamente se si suppone una transizione attraverso stadi intermedi su una scala di un migliaio di anni - una distanza che, nel linguaggio geologico, rappresenta un istante, un secondo, un intervallo di tempo praticamente non misurabile: ciò che accade in mille anni finisce su un singolo strato geologico, senza distribuirsi su livelli geologici diversi. Perciò, se si prende una transizione lineare della durata di un migliaio di anni, la sua manifestazione geologica sarà un salto improvviso. La maggior parte di questi salti apparentemente improvvisi sono quindi in realtà un riflesso del modo in cui avviene l'evoluzione, non dell'imperfezione dei documenti fossili. Sono del parere che Darwin confuse la difesa dell'evoluzione con il fenomeno del cambiamento lento e graduale. Ciononostante, anche tenendo conto di questi due argomenti - in primo luogo che i documenti fossili sono molto imperfetti e, in secondo luogo, che la velocità del cambiamento evolutivo è molto variabile e spesso così rapida che non può essere risolta su una scala temporale geologica -, i documenti fossili restano ancora un'importante fonte di sostegno per l'evoluzione perché, dopo tutto, sono la sola testimonianza diretta che abbiamo dell'effettivo scenario dei cambiamenti che rappresentano la storia della vita.

Vorrei citare un esempio: si fa un gran parlare oggi della possibilità di ricostruire le sequenze evolutive misurando le differenze nel DNA fra organismi moderni. In effetti, si può misurare il grado di differenza di DNA, la cosiddetta differenza molecolare, fra uno scimpanzè e un uomo e ricavarne la probabile distanza di tempo dall'antenato comune, basata su indici di mutamento delle due forme che risultano andare dai 6 agli 8 milioni di anni. Tuttavia, quella prova molecolare non potrà mai dirci a chi assomigli l'antenato, in quanto ci sarebbe di nuovo bisogno della testimonianza diretta dei fossili. I fossili sono dunque il solo archivio disponibile degli eventi effettivi della storia della vita.



2. Se, contrariamente a quanto pensava Darwin, le forme di vita possono variare piuttosto rapidamente, quale teoria, oggi, è in grado di rendere conto di questo fatto?

Thomas Henry Huxley, il più importante sostenitore di Darwin, comprese l'esistenza di questo problema nella formulazione darwiniana: egli riteneva che Darwin avesse fatto troppo affidamento sulla gradualità del cambiamento per difendere l'evoluzione in generale. Subito dopo aver letto L'origine delle specie - di cui aveva ricevuto una copia in anticipo - Huxley scrisse una lettera a Darwin in cui di essersi "gravato di una difficoltà non necessaria adottando così senza riserve Natura non facit saltum". Huxley stava avvertendo Darwin del rischio di andare incontro a grosse difficoltà nel convincere la gente dell'ipotesi della selezione naturale.

Il problema era quello di legare tale ipotesi a una credenza non necessaria e falsa nell'impercettibile gradualismo di lungo periodo del cambiamento. Nel 1972, io e Niles Eldredge proponemmo una teoria che chiamammo degli "equilibri punteggiati" (punctuated). In base a tale teoria, sostenemmo che in effetti, sebbene il cambiamento sia continuo rispetto alla scala della nostra vita (cioè da una generazione all'altra), le concezioni correnti sulla natura della speciazione e la teoria evoluzionistica suggeriscono una visione più articolata: infatti, poiché le nuove specie sorgono di solito dalle scissioni di piccole popolazioni alla periferia della zona abitata dal ceppo d'origine, la maggior parte delle specie ha avuto origine in piccole popolazioni isolate su una scala temporale che, anche se lunga rispetto alla durata delle nostre vite, sarebbe istantanea nella percezione geologica.

Questo fa sì che la maggior parte delle specie finisca per comparire improvvisamente nei documenti fossili. A mio parere molti paleontologi, pur non avendo accolto del tutto questa teoria, riconoscono almeno che si tratta di un fenomeno che si verifica molto di frequente nei documenti fossili. Ritengo quindi che sia stato un argomento vincente e che abbia aiutato a risolvere molti enigmi dei documenti fossili che risalgono fino a Darwin.



3. Professor Gould, si può dire che, in pratica, Lei accoglie le idee della moderna sintesi evoluzionista su come nascono le nuove specie, ma sottolinea nello stesso tempo che questa forma di speciazione avviene in periodi di tempo determinati e isolati l'uno dall'altro. È così?

Devo dire che, per quel che riguarda le modalità di speciazione nel tempo ecologico, io concordo con la concezione di Ernst Mayr. In effetti, la teoria degli equilibri punteggiati non fa che prendere la teoria di Mayr e tradurla opportunamente nella prospettiva geologica. L'errore che si commetteva in passato consisteva nel non tener conto dell'effetto di scala. Di primo acchitto, sembrava che bastasse modificare la teoria tradizionale interna alla moderna teoria della speciazione (che parlava di una speciazione lenta in termini umani - migliaia di anni), traducendola sul piano geologico in trasformazioni lente e continue: questo approccio si è rivelato insostenibile. Occorre, per di più, tener conto che lo spazio temporale di alcune migliaia di anni in quasi tutte le condizioni geologiche costituisce un momento, un singolo strato geologico: è una transizione irrisolvibile. La novità del modello degli equilibri punteggiati, a mio avviso, consisteva nell'operare una traduzione corretta della teoria ordinaria della specie nel tempo geologico.

Ora, una volta fatto questo, ne scaturiscono alcune implicazioni teoriche radicali riguardanti la comprensione dei modelli evoluzionisti di lungo periodo all'interno della concezione uniformista o "estrapolazionista" di Darwin: secondo tale concezione, qualunque cosa accada all'interno di una popolazione in un dato momento può essere facilmente estrapolato dal tempo per ottenere delle tendenze. In base a un'affermazione di Darwin, a me molto cara, la selezione naturale esamina ogni giorno e ogni ora tutte le variazioni, seleziona quelle buone ed elimina quelle cattive, e noi non vediamo i risultati del suo lavoro fino a quando la lancetta del tempo non ha percorso un lungo intervallo di anni.

Per Darwin è molto importante che una tendenza evolutiva sia vista come l'accumulazione lenta e continua di un semplice cambiamento. Ma è evidente che se la teoria degli equilibri punteggiati è vera non si può spiegare una tendenza in questo modo. Una tendenza non è una popolazione che lentamente e progressivamente si adatta attraverso immensi periodi di tempo. Una tendenza è piuttosto il successo differenziale di certi tipi di eventi di speciazione istantanei e, pertanto, va spiegata a partire dal successo differenziale di alcune specie nella speciazione, ossia nel loro ramificarsi più spesso di altre. È una tesi molto diversa da quella del perfezionamento adattivo della forma del corpo. Se una tendenza è potenziata dal successo nella speciazione, che cosa ha a che fare tutto ciò con la selezione naturale di Darwin all'interno delle popolazioni? Non molto, credo. Ed è questa la tesi più radicale suggerita dal modello degli equilibri punteggiati.



4. Professor Gould, le scoperte dei fossili provano che i tipi di vita, o almeno la morfologia - l'organizzazione principale, come si diceva nel XIX secolo - mostrano una complessità che pone dei problemi nel razionalizzare quello che oggi conosciamo sulla vita.

È vero. La concezione tradizionale è legata a un forte pregiudizio, tipicamente occidentale, consistente nel vedere la storia della vita come una crescita progressiva di complessità. Secondo il punto di vista tradizionale, si comincia con alcune stirpi che rappresentano i precursori primitivi di forme che verranno più tardi e la storia della vita si espande poi lentamente verso l'alto e verso l'esterno, crescendo in complessità e diversità di disegno. Ora, da quel punto di vista ci si aspetterebbe che le prime creature pluricellulari siano semplici e poche, e rappresentino solo gli antenati di gruppi che nasceranno più tardi. La prima storia della vita multicellulare è davvero peculiare e non risponde affatto a quella aspettativa: le scoperte fatte a questo riguardo sono state fra le cose più eccitanti della mia professione di paleontologo. Innanzitutto la vita è molto vecchia: sulla superficie terrestre, essa ha tre miliardi e mezzo di anni. Tuttavia, per i cinque sesti di quel tempo abbiamo a che fare solo con la storia di creature monocellulari e di alcune alghe pluricellulari.

Gli animali pluricellulari, invece, cominciarono ad emergere all'incirca solo cinquecentocinquanta milioni di anni fa: quando emersero lo fecero con notevole velocità, nello spazio di quei pochi milioni di anni che caratterizzano ciò che i geologi chiamano "esplosione cambriana", durante la quale apparvero - come sappiamo dai documenti fossili - tutti i disegni degli organismi moderni. Grazie a una fortunata conservazione di fossili di molluschi, rinvenuti principalmente in una famosa località chiamata Burgess Shale, nel Canada occidentale, siamo a conoscenza del fatto che la gamma di diversità anatomiche riscontrate in questi primi organismi pluricellulari è molto più ampia di quanto si sia mai creduto. È esattamente il contrario di quanto comunemente pensiamo.



5. Professor Gould, mi sembra di capire che, mentre un certo pregiudizio tradizionale assume che le prime forme debbano essere alcuni dei semplici e primitivi precursori, in realtà, la documentazione fossile ha mostrato che i primi animali pluricellulari, sebbene non includano molte specie, abbracciano una gamma di diversità anatomiche molto più grande di quella mostrata dagli organismi di oggi. È così?

Direi di sì. Oggi vi sono molte più specie, ma sono ordinate in pochi gruppi anatomici stereotipi. Un esempio: il principale gruppo di animali sulla terra, oggi, non è quello dei vertebrati e degli umani, ma quello degli insetti, o artropodi. Ci sono fondamentalmente tre gruppi di artropodi: il gruppo che comprende gli insetti, quello degli aracnidi, che comprende i ragni e gli scorpioni, e il gruppo degli artropodi marini chiamati crostacei - aragoste, gamberi e simili. Ora, nei fossili rinvenuti a Burgess Shale ci sono altri venti tipi di artropodi che non sono sopravvissuti; il che mostra come vi fosse una gamma di disegno assai più vasta a quel tempo. Oltre a quelli di Burgess Shale, vi sono poi dieci o quindici tipi di organismi talmente strani che non sappiamo come classificarli: essi, in definitiva, rappresentano gli esperimenti conclusi con un fallimento. Certo, si potrebbe dire che anche questi elementi suffraghino l'idea di progresso, nel senso che le tre specie sopravvissute erano ovviamente superiori ed erano destinate a sopravvivere, mentre le altre diciassette erano inferiori e furono chiaramente condannate. Tuttavia, quanto più i paleontologi studiano queste creature tanto meno possono giustificare questa concezione. Non sembra, cioè, che quelli che perirono fossero in nessun senso "inferiori" - in nessuno dei significati che possiamo attribuire al termine.

Quanto si è verificato sembra più simile ad una lotteria che al risultato di una selezione basato su un criterio di superiorità biologica. Forse ciascuno di questi venti gruppi acquistò un biglietto di una lotteria e i vincitori furono i più fortunati piuttosto che i meglio dotati: una simile ipotesi, ovviamente, significa che, se si potesse far scorrere di nuovo il nastro della vita a partire da quel periodo, ne verrebbe fuori ogni volta un insieme differente di sopravvissuti. In questo senso ogni stirpe presente oggi sulla terra non è il prevedibile risultato di una crescente complessità, ma il caso fortunato della sopravvivenza della sua stirpe. Ora, nel record fossile di Burgess Shale, troviamo il primo cordato, che è il primo membro del nostro phylum, un animale chiamato "pikaia". È una creatura molto poco appariscente, molto rara. Se allora ci fosse stato un paleontologo non credo che avrebbe predetto il suo successo; d'altra parte, se questo animale fosse morto, nessuno di noi vertebrati sarebbe qui oggi.



6. In effetti, la biologia evolutiva e la paleontologia non solo hanno mostrato la mancanza di un piano, ma le loro ricerche hanno anche dato al termine "caso" un significato più ampio. Lo stesso Darwin aveva avuto a che fare con il concetto di caso ma probabilmente non si rese conto di quanti tipi di casualità vi fossero.

Questo è un punto importante. In effetti, il caso è un fenomeno molto importante in Darwin ma non ha niente a che fare con la direzione del cambiamento evolutivo. Nel darwinismo classico il caso è solo una fonte che fornisce un materiale rozzo. Il caso produce variazioni e poi la selezione naturale deve convertire quella variazione in cambiamento: il caso è materiale rozzo, ma il cambiamento è prodotto da un processo direzionale chiamato selezione naturale. Al contrario, la reinterpretazione dei fossili di Burgess Shale suggerisce anche che il caso è una componente importante nel determinare l'effettiva direzione di ciò che accade. Tutto ciò ci allontana parecchio dal darwinismo.

Non voglio dire che il successo di un certo phylum è accidentale in senso tecnico. Penso che i gruppi vivano o muoiano per delle ragioni, ma sono ragioni locali - ad esempio, lo stagno in cui vivono può prosciugarsi. Si tratta di ragioni locali non traducibili nella prevedibilità basata sulla complessiva superiorità del disegno anatomico. Un pesce, per quanto molto ben progettato, morirà se lo stagno si prosciuga: la selezione naturale può averlo reso il pesce migliore che ci sia mai stato, ma esso morirà comunque di fronte a una catastrofe ambientale. Ci sono quindi delle ragioni locali che spiegano perché alcuni scompaiono e altri sopravvivono, ma non penso che siano traducibili a un livello più alto nel successo prevedibile basato sulla superiorità anatomica o su un qualsiasi criterio standard di progresso convenzionale: è in questo senso che entra in gioco la fortuna. Ciò che accade ha un senso ed è il risultato finale della storia della vita; i gruppi che ora ci circondano sono creature ben disegnate le cui storie hanno certamente un senso, tuttavia non era affatto prevedibile dall'inizio quello che sarebbe accaduto e se si potesse riavvolgere il nastro e azionarlo di nuovo si otterrebbe un risultato completamente diverso, che avrebbe anch'esso un senso. Questa è la natura della contingenza storica nella storia della vita.

Pertanto, ritengo che la paleontologia abbia molte affinità nei suoi modelli esplicativi con il lavoro degli storici. Non voglio dire che non vi sia un'ampia gamma di prevedibilità nella storia della vita: ad esempio, posso prevedere che, comunque vadano le cose, vi saranno predatori e prede, o animali bilateralmente simmetrici; e sono anche disposto ad ammettere che, ad esempio, l'occhio conoscerà ancora nuove forme di evoluzione, dal momento che ha già conosciuto venti o trenta forme di evoluzione.

Tutto questo riguarda il dominio della contingenza storica e in questo senso è vero che i nostri metodi esplicativi sono più vicini a quelli degli storici. Affermare che qualcosa è contingente non significa dire che è casuale o inesplicabile, significa semplicemente dire che ciò che accade è così irripetibilmente complesso, talmente dipendente da ciascuno dei mille stadi precedenti, ognuno dei quali si sarebbe potuto svolgere in modo diverso, che non è possibile prevederne il risultato sulla base di invariabili leggi di natura; si può solo conoscerne il risultato dalla serie effettiva degli stadi antecedenti. In altre parole, si può spiegare ma non prevedere, ma si può spiegare con un rigore maggiore di quello consentito in altre scienze, purché la testimonianza degli stadi storici precedenti sia sufficientemente completa.



7. Professor Gould, Lei si è occupato molto della complessa questione riguardante le relazioni fra fattori ideologici e scienze della vita. In particolare, si è occupato del modo in cui è stata concettualizzata la storia del genere umano e di come idee apparentemente scientifiche sono state utilizzate nella sfera sociale. Può illustrarci alcuni elementi di questa riflessione?

Penso che il grado di incidenza dei fattori sociali nelle diverse scienze vari a seconda della forza con cui essi e i loro argomenti influiscono sulle nostre vite. Non credo che i dettagli della teoria atomica abbiano necessariamente una componente sociale, anche se i suoi risultati - come le bombe nucleari - ne hanno sicuramente una. Tuttavia ci sono certi campi, come la biologia evolutiva, che sono fortemente collegati ad argomenti che stanno molto a cuore agli esseri umani, la cui storia è sempre stata fortemente legata alle preferenze sociali, alle speranze psicologiche, alle pratiche culturali.

Dopo tutto è la biologia evolutiva che tenta di rispondere, per quanto sia possibile alla scienza, a interrogativi quali: perché siamo qui? Perché ci comportiamo in questo modo? Qual è la base biologica o di altro genere delle nostre strutture sociali? Nessuno può evitare di interessarsi alla biologia evolutiva. Il problema naturalmente risiede nel fatto che qualsiasi gruppo di persone sia al potere utilizzerà qualunque argomento disponibile per difendere e conservare il potere. Forse è vero che per la maggior parte della storia dell'Occidente gli argomenti preferiti sono stati quelli religiosi e filosofici, ma la scienza è stata un'istituzione così potente negli ultimi tre secoli che gli argomenti scientifici - spesso degli pseudo-argomenti - sono stati più volte utilizzati da coloro che erano al potere per conservare i loro privilegi. Probabilmente nel mio campo della biologia evolutiva il cattivo uso più diffuso di argomenti scientifici negli ultimi due secoli è stato il razzismo "scientifico" in un'ampia gamma di varietà, dalle giustificazioni utilizzate dalle potenze europee per l'espansione coloniale nel diciannovesimo secolo all'evento più odioso della recente storia umana, il tentativo di Hitler di annientare un intero popolo, quello ebraico, considerato inferiore e pericoloso. Sfortunatamente è storia vera e non solo un argomento accademico: chi aveva il potere si compiaceva di sostenere di averlo in virtù della sua innata superiorità, mentre coloro su cui il potere veniva esercitato ne erano privi - si sosteneva - a causa di un'inferiorità biologica. E questo argomento è stato utilizzato in molte sfere: contro le razze nell'espansione coloniale, contro le donne nei pregiudizi sessuali della cultura occidentale, contro i gruppi etnici e in alcune rivolte contro l'immigrazione.



8. Quali sono, a Suo avviso, gli aspetti della prospettiva tradizionale darwiniana che hanno bisogno di essere rivisti o ampliati?

I problemi principali con il darwinismo sono tre. In primo luogo, c'è la sua insistenza sul fatto che la selezione naturale funziona su organismi che lottano per il successo riproduttivo. Credo che oggi comprendiamo che non è così evidente che la selezione operi su organismi: ci sono molte unità e gerarchie in natura. Ci sono i geni, ci sono le popolazioni, le specie, e la selezione naturale può operare su tutte queste unità. Non è vero, dunque, che tutte le selezioni operino su organismi, giacché la selezione naturale può funzionare su una varietà di livelli.

La seconda importante critica riguarda la teoria dell'adattamento di Darwin: la sua insistenza sul fatto che il cambiamento evolutivo sia guidato dagli adattamenti prodotti dalla selezione naturale di fronte alle modifiche dell'ambiente circostante. Ora, se è vero che questo succede - ed è anche molto importante -, tuttavia Darwin non presta abbastanza attenzione alle costrizioni dello sviluppo interno, al fatto che, dato il modo in cui la genetica e l'embriologia funzionano, l'organismo può modificarsi solo in un numero limitato di modi che rappresentano le costrizioni interne alle loro forme. Nel darwinismo c'è una metafora secondo la quale gli organismi sono palle da biliardo che vengono colpite dalla stecca della selezione naturale e rotolano dovunque quest'ultima le diriga. Nel XIX secolo, però, Francis Galton, cugino di Darwin, fornì un'interessante metafora alternativa: gli organismi sono come poliedri che poggiano su una faccia; possono ancora aver bisogno della selezione naturale che li spinga, che li metta in movimento, tuttavia, in quanto poliedri, potranno spostarsi soltanto in certe direzioni obbligate. Il modello del poliedro è una metafora delle costrizioni interne.

Gli organismi non sono liberi di modificarsi in tutte le direzioni, essi sono fortemente incanalati a modificarsi attraverso determinati sentieri; i biologi evolutivi devono studiare lo stato interno degli organismi molto più attentamente di quanto fanno adesso. In particolare riacquista interesse la biologia dello sviluppo. Il terzo problema è il bisogno di Darwin di sostenere che si possa estrapolare questo processo di selezione naturale per adattamento continuo e graduale nel tempo, e pertanto prendere le modifiche che avvengono su scala generazionale come modelli per le tendenze evolutive di lungo periodo. Purtroppo, non risulta che tutto questo accada nell'immensità del tempo geologico.



9. Un'evidenza che sembra in particolare contrasto con il gradualismo evolutivo darwiniano è rappresentata da un importante fenomeno evolutivo come l'estinzione di un'intera specie. Cosa può dirci in proposito?

Ci sono stati cinque importanti eventi nei quali alte percentuali di organismi pluricellulari sono morti molto rapidamente, uno dei quali annientò, circa duecentoventicinque milioni di anni fa, più del 95 per cento delle specie marine invertebrate. Secondo le stime più attendibili, un altro famoso evento, che ebbe luogo sessantacinque milioni di anni fa, ovvero l'estinzione dei dinosauri, fu probabilmente provocato dall'impatto di un corpo extraterrestre, un evento dunque assolutamente improvviso. È molto difficile sostenere che la selezione naturale possa decidere chi sopravviverà a queste estinzioni di massa, specialmente se vi sono eventi catastrofici improvvisi ai quali, in linea di principio, gli organismi non possono essere preparati. Pertanto, per sopravvivere a un'estinzione di massa, bisogna avere la fortuna di possedere certe caratteristiche sviluppate in precedenza, per altre ragioni, in condizioni di normalità. È solo la buona sorte a permettere di avere la meglio nel nuovo ambiente creato da una catastrofe imprevista. Così, se si accetta una teoria della estinzione catastrofica di massa bisogna rivedere profondamente le premesse gradualiste e basate sul concetto di adattamento proprie del darwinismo classico.

La selezione naturale - il meccanismo darwiniano - è potente e agisce certamente nell'evoluzione, ma non è così onnicomprensivo come pensava Darwin. Per spiegare l'intero scenario dell'evoluzione della vita attraverso il tempo geologico bisogna chiamare in causa molti altri princìpi, inclusa una buona dose di fortuna e vari altri meccanismi.



10. Professor Gould, se - come sostiene una teoria accreditata - la scomparsa dei dinosauri deve essere attribuita a una collisione di origine astronomica, l'affermarsi dei mammiferi non costituisce più, darwinianamente, l'affermarsi di una specie biologicamente superiore, bensì sembra il risultato di un evento fortuito.

È così; e ciò apre uno scenario molto diverso da quello immaginato da Darwin. Egli sostiene che le faune successive hanno vinto la corsa per la vita, sostituendo quelle che le hanno precedute: ecco perché sono più in alto nella scala della vita. Ma se i dinosauri furono davvero annientati da una catastrofe imprevista, provocata da una collisione astronomica, allora l'interpretazione darwiniana non potrà essere corretta, e si dovrà dire che i mammiferi hanno probabilmente avuto la meglio per buona sorte. Prima di tutto, non è vero che i mammiferi entrarono in scena più tardi nel regno dei dinosauri e ne presero il posto in seguito ad una competizione. Non si è mai ben compreso, sebbene sia un fatto importante, che i mammiferi si sono evoluti contemporaneamente ai dinosauri. I mammiferi vissero per cento milioni di anni con i dinosauri, senza mai avere molto successo nel rimpiazzarli: durante cento milioni di anni i mammiferi furono piccole creature che vivevano nei cantucci e nelle fessure di un mondo di dinosauri, senza fare alcun progresso nella lotta contro di essi. Le cose sono andate così per sessantacinque milioni di anni prima della collisione dell'asteroide. Quindi, se non ci fosse stata quella collisione io presumo che i dinosauri sarebbero ancora dominanti e i mammiferi sarebbero ancora piccole creature relegate ai margini di quel mondo. Ma la cometa colpì, i dinosauri morirono e i mammiferi sopravvissero. Si potrebbe dire: è naturale che i mammiferi sopravvissero, dal momento che erano superiori ed erano destinati alla sopravvivenza.

Non c'è nessuna ragione per pensarla così. Semmai è vero il contrario. Come ho detto, i dinosauri hanno avuto la meglio sui mammiferi per cento milioni di anni. Non sappiamo in effetti perché i mammiferi prevalsero e i dinosauri morirono, ma posso ipotizzare uno scenario che illustri il carattere incerto, non progressivo della storia della vita. I dinosauri erano tutti animali di grandi dimensioni e i mammiferi tutti di piccole dimensioni - persino il più piccolo dinosauro era più grosso del più grande mammifero di quel tempo. Ora, gli animali di grandi dimensioni hanno una piccola popolazione - non possono esistere molti brontosauri e devono esserci molte più formiche che elefanti. Gli animali di grosse dimensioni tendono a essere pochi, gli animali di piccole dimensioni tendono a essere molti. Ne segue che in un'estinzione catastrofica di massa il fatto di avere una grande popolazione è una delle migliori protezioni contro l'estinzione. È possibile quindi che i dinosauri morirono perché a causa della loro taglia la loro popolazione era molto piccola. Forse i mammiferi ebbero la meglio perché la loro popolazione era numerosa, come conseguenza della loro piccola taglia e questo li aiutò a sopravvivere alla catastrofe. Ma perché i mammiferi erano piccoli? Non già perché sapevano che una cometa avrebbe colpito la terra dopo dieci milioni di anni e che ciò sarebbe tornato loro utile! Semmai, essi erano piccoli per una ragione negativa: e cioè perché i dinosauri avevano avuto la meglio su di loro in tutti i tipi di competizione per l'ingresso nello spazio ecologico dei vertebrati di grande taglia. In questo esempio quindi i mammiferi sarebbero sopravvissuti come conseguenza di una caratteristica negativa rispetto al predominio dei dinosauri. E la storia della vita è piena di esempi come questo.



11. Professor Gould, secondo alcune concezioni della storia del genere umano, che sono ancora oggi prevalenti, il genere umano ha avuto la meglio perché il cervello si è progressivamente sviluppato. Qual è la sua idea su questo punto?

Non voglio negare che il cervello sia la nostra più importante invenzione evolutiva ed è quella che ha fatto le nostre città e le nostre civiltà e che può alla fine ucciderci dopo una permanenza molto breve in termini geologici su questo pianeta; ma non è certamente vero che una volta che comincia a verificarsi un ingrandimento del cervello sia inevitabile il passaggio allo stadio umano. Basta guardare alla storia umana: fino a duecentomila anni fa eravamo solo una piccola popolazione in Africa che non aveva un grande ed evidente successo, per quanto il nostro cervello avesse già iniziato a ingrandirsi.

Ma, secondo gli ultimi calcoli, è solo all'incirca centomila anni fa che l'uomo attuale comincia a diffondersi su tutta la terra. Non voglio negare che il potere del cervello costituì un vantaggio molto importante in quella diffusione, ma fino a pochissimo tempo fa noi siamo stati una specie piccola e molto trascurabile in Africa. A conti fatti, siamo solo una razza che ha da sei a otto milioni di anni: è questa la stima più attendibile del momento della separazione della razza umana dagli scimpanzè e dai gorilla. Non è un tempo molto lungo. Oggi esiste una sola specie umana, nel senso che gli homo sapiens sono tutti membri della stessa specie. In passato ce ne furono tre o quattro che vivevano contemporaneamente. Perciò, da questo punto di vista, siamo meno di allora, anche se la nostra specie ha avuto una diffusione maggiore e una popolazione più numerosa.


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Abstract

Nel delineare i rapporti tra paleontologia e biologia evolutiva, Stephen J. Gould ricorda innanzitutto la posizione di Darwin sui fossili, riassunta dal noto argomento della "imperefezione della testimonianza. T. H. Huxley mise in guardia Darwin dal non fare troppo affidamento sulla gradualità dei cambiamenti e considerò le caratteristiche della speciazione anche relativamente alla documentazione fossile. Sulle modalità di speciazione, Gould concorda con la tesi di Mayr e con il suo modello degli "equilibri punteggiati", più adeguato rispetto all'idea darwiniana di un'evoluzione lenta e continua. Secondo Gould, il pregiudizio di un progresso continuo delle specie va corretto; se si guarda alla storia della vita pluricellulare, a quanto è successo dopo l'esplosione cambriana, ci si rende conto del fatto che le specie non sopravvissute non sono quelle inferiori ma quelle più sfortunate. Per Darwin il caso fornisce solo il materiale di base per le variazioni che la selezione trasforma poi in cambiamenti. Gould sottolinea invece il ruolo fondamentale svolto dal caso nel processo evolutivo. Assai più importanti di un preteso criterio di superiorità, sono le ragioni locali ed ambientali che guidano tale processo. In tal senso, la vita, per come è oggi, è il risultato di una contingenza storica. La paleontologia, nei suoi modelli esplicativi, ha molte affinità con la scienza storica: più che prevedere sulla base di ipotetiche leggi di natura, il paleontologo può infatti spiegare ciò che è accaduto nella contingenza di eventi complessi ed irripetibili. Gould riflette quindi sull'incidenza sociale della biologia evolutiva e sull'uso che ne può fare il potere per conservare privilegi, come già è avvenuto del resto con le teorie razziste, che continuano a giustificare discriminazioni. Gould parla quindi della necessità di rivedere la prospettiva darwiniana, affrontando in particolare il tema della selezione naturale operante solo sugli organismi, la teoria dell'adattamento e la pretesa gradualità temporale di selezione ed adattamento, in riferimento anche alle estinzioni di massa causate da catastrofi improvvise. L'essenza dell'argomentazione è che la selezione naturale di Darwin non basta da sola a spiegare l'evoluzione della vita .Si affronta quindi il tema della "successione" dei mammiferi rispetto ai dinosauri: se non ci fosse stata la catastrofe astronomica i dinosauri sarebbero, per Gould, ancora dominanti; i mammiferi sopravvissero probabilmente solo perché più piccoli -carattere questo di per sé negativo - e pertanto più numerosi. Infine, Gould non nega l'importanza evolutiva rappresentata dallo sviluppo del cervello per la specie umana, ma ricorda che, a fronte di una spiccata crescita encefalica, ancora ducentomila anni fa, la specie umana era una piccola e trascurabile popolzione dell'Africa.

USA Cambridge - Harvard University , 1992

30/05/2007 15:40
 
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Ornithomimosauria
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Ricostruzione moderna di Struthiomimus
Classificazione scientifica
Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Classe: Reptilia
Ordine: Saurischia
Sottordine: Theropoda
Infraordine: Tetanurae

Gli ornitomimosauri (Ornithomimosauria) sono un gruppo di dinosauri vissuto nel Cretaceo, comunemente noti come "dinosauri - struzzo" per le loro caratteristiche.


I dinosauri - struzzo
Questi dinosauri assomigliavano superficialmente ai moderni struzzi: erano molto veloci, con zampe posteriori molto allungate, un corpo compatto e un lungo collo sormontato da una piccola testa munita di un becco privo di denti. Uniche rilevanti differenze, la lunga coda, le zampe anteriori artigliate e, forse, l'assenza di piumaggio. Gli ornitomimosauri erano probabilmente onnivori o erbivori, e vissero nei continenti settentrionali, in particolare in Asia e Nordamerica.

Il cranio era piuttosto piccolo, dotato di grandi orbite (forse per una buona visione notturna); la bocca, tranne qualche specie primitiva (ad es. Pelecanimimus e Harpymimus), era priva di denti. Le zampe anteriori erano lunghe e robuste, e terminavano in potenti artigli. Le "mani" erano stranamente specializzate per il fatto che il metacarpale del pollice era lungo quanto gi altri, diversamente dalla maggior parte degli altri teropodi. Le zampe posteriori erno estremamente allungate e adatte alla corsa, con un piede allungato e dita corte e forti, terminanti in artigli ricurvi. Gli ornitomimosauri erano probabilmente i più veloci tra i dinosauri e, se attaccati, potevano affidarsi alla corsa, mancando completamete di armi di difesa. La coda di questi animali era molto specializzata, ed era irrigidita nella età posteriore. Come molti altri celurosauri, erano probabilmente ricoperti di piume e non di scaglie.

Evoluzione
Il gruppo degli ornitomimosauri apparve per la prima volta nel Cretaceo inferiore, e perdurò fino al termine del periodo. Questi animali sembrerebbero essere imparentati con celurosauri meno specializzati come Compsognathus, Coelurus e i tirannosauroidi. Membri primitivi del gruppo includono lo spagnolo Pelecanimimus, il cinese Shenzhousaurus, Garudimimus e Harpymimus della Mongolia e probabilmente il gigantesco Deinocheirus, noto solo per le mostruose zampe anteriori. Le specie più evolute, invece, appartengono alla famiglia degli ornitomimidi e includono gli asiatici Gallimimus, reso noto da Jurassic Park, Archaeornithomimus, Sinornithomimus, Anserimimus e i nordamericani Struthiomimus, Ornithomimus e Dromiceiomimus.


Antica ricostruzione di Struthiomimus
Dieta
Gli ornitomimosauri probabilmente ottenevano la maggior parte delle calorie necessarie al loro sostentamento attraverso piante, ma potrebbero essersi nutriti anche di piccoli vertebrati e insetti. Henry Fairfield Osborn suggerì che le lunghe zampe anteriori simili a quelle dei bradipi avrebbero potuto essere usate per tirare verso di sé le fronde degli alberi per il nutrimento; gli artigli, altresì, potrebbero essere stati una pericolosa arma. La grande abbondanza di ornitomimidi - sono tra i fossili di teropodi più comuni in Nordamerica - favorisce l'idea che essi fossero erbivori, dal momento che di solto gli erbivori sovrastano i carnivori in un ecosistema. La presenza di gastroliti all'interno di alcuni fossili di alcuni ornitomimidi (incluso Sinornithomimus) rinforza quest'ipotesi; gli ornitomimosauri potrebbero aver posseduto uno stomaco muscoloso. Recenti ritrovamenti di un tessuto morbido nel becco di un esemplare di Gallimimus, inoltre, sembrerebbero suggerire una struttura simile a quella delle oche, con funzioni di filtro.


Possibili parentele
Alcuni paleontologi, come Paul Sereno, considerano gli enigmatici Alvarezsauridi come stretti parenti degli ornitomimosauri, e li pongono insieme nella superfamiglia Ornithomimoidea. In passato il più antico ornitomimosauro era considerato il primitivo Elaphrosaurus del Giurassico superiore africano, ma recentemente questa forma, nota per uno scheletro privo di cranio, è stata avvicinata ai ceratosauri. In Olanda e in Australia, inoltre, sono stati rinvenuti femori molto simili a quelli degli ornitomimosauri, a cui sono stati dati i nomi, rispettivamente, di Betasuchus e Timimus, ma anche queste forme potrebbero essere esempi di convergenza evolutiva.

30/05/2007 15:50
 
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Mammalia
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In zoologia i Mammiferi (Mammalia, Linnaeus 1758) sono una classe del phylum dei Cordati.


Caratteristiche
I Mammiferi sono dotati di varie caratteristiche comuni che consentono di separarli dalle altre classi animali:

Le caretteristiche fondamentali sono la presenza di peli e di mammelle tramite le quali le femmine allattano i piccoli
Hanno un cuore a quattro scomparti, due atrii e due ventricoli.
Sono omeotermi.
Possiedono il diaframma, lamina muscolare che divide il torace dall'addome e contribuisce alla respirazione.
Posseggono sempre 7 vertebre cervicali; le uniche eccezioni sono i bradipi tridattili che ne hanno 9 ed i bradipi didattili che ne hanno 6.
Posseggono ghiandole sebacee, che secernono una sostanza grassa, il sebo, che serve a lubrificare il pelame.
Sono provvisti di peli, che svolgono la stessa funzione delle piume degli Uccelli; tali peli possono essere di qualsiasi colore, ma non è mai esistito un mammifero dal pelo blu o verde. Fanno eccezione i bradipi didattili, nei quali il verde della pelliccia è dato dalla presenza di un'alga simbionte, e varie specie di antilopi e scimmie, nelle quali il colore blu si rivela da vicino una sfumatura di grigio.
La mandibola si articola direttamente con il cranio; l'osso quadrato, che nei rettili sta tra i due, nei mammiferi si è trasformato in uno dei tre ossicini dell'orecchio medio.
I denti hanno la struttura complessa che riscontriamo nell'uomo; sono di diversi tipi: incisivi, canini, premolari e molari (Eterodontia).
Le femmine secernono un liquido mammario (da cui il nome della classe) per il nutrimento della prole.

Origini ed evoluzione
I mammiferi si svilupparono a partire dagli amnioti, in particolare dal gruppo dei sinapsidi che si distingue dagli altri per la forma del cranio; infatti questi animali avevano un singolo buco (finestra temporale su ciascun lato del capo, all'attaccatura dei muscoli della mascella). I dinosauri, gli uccelli e gran parte dei rettili, invece, sono diapsidi - posseggono due finestre temporali, una per ogni lato del capo -, mentre le tartarughe sono anapsidi - non possiedono finestre temporali.

Proprio dai sinapsidi discendono i probabili precursori dei mammiferi (Archaeothyris), i terapsidi, più specificatamente gli eucinodonti, vissuti circa 220 milioni di anni fa, nel Triassico.

Con l'evoluzione, la finestra temporale dei sinapsidi aumentò di dimensioni. nei cinodonti era già molto più estesa rispetto, ad esempio, ai pelicosauri. La postura eretta fu adottata verso la metà del Permiano dai terapsidi, assieme al secondo palato(ad esempio i terocefali avevano entrambe queste caratteristiche) ed il pelo, probabilmente sviluppatosi a partire dalle scaglie. Gli organi uditivi iniziarono ad evolversi nella forma attuale probabilmente all'inizio del Triassico, in seguito alla trasformazione della mascella in un osso unico (animali come sinapsidi e terapsidi avevano tre ossa nella mascella, così come i rettili attuali). Infatti, le due ossa residue della mascella iniziarono a rimpicciolirsi e, pur restando nella loro sede originaria, iniziarono ad essere utilizzate per captare suoni (un esempio è il Probainognathus), per poi (sicuramente nell'Hadrocodium, probabilmente già in Morganucodon) unirsi all'unico osso dell'orecchio per formare gli attuali martello, incudine e staffa.


I primi mammiferi
La prima specie di mammifero esistita è, molto probabilmente, il Megazostrodon, vissuto verso la fine del Triassico. Si pensa fosse di abitudini notturne; forse possedeva una pelliccia e le ghiandole mammarie, ed era un animale a sangue caldo. In ogni caso, il Megazostrodon deponeva uova simili a quelle dei rettili, con guscio di consistenza simile a cuoio.

La maggior parte dei primi mammiferi (ad esempio Morganucodon, Adelobasileus, Megazostrodon, Eozostrodon, Sinoconodon, Hadrocodium e Fruitafossor) aveva dimensioni e comportamento simili a quelli dei toporagni, con le significative eccezioni rappresentate da Steropodon, Kollikodon, Repenomamus e Castorocauda (di dimensioni superiori al mezzo metro).

Nel corso del Mesozoico i mammiferi si svilupparono in una quantità di forme e adattamenti per ambienti diversi, ma mantennero comunque un piano corporeo basilare e di solito le loro dimensioni erano quelle di un ratto. Già nel Giurassico esistevano molti gruppi primitivi, come i docodonti (Docodonta), i simmetrodonti (Symmetrodonta), i triconodonti (Triconodonta) e i driolestidi (Dryolestidae), tutti riconoscibili dalla forma dei denti e dal tipo di dentatura; tutti questi gruppi, comunque, si estinsero dopo alcuni milioni di anni.

Tra i gruppi attuali, i primi a differenziarsi dovettero essere i monotremi, eccezionalmente primitivi, ma sono conosciuti solo a partire dal Cretaceo inferiore (circa 120 milioni di anni fa) in Australia. Alla stessa epoca sembrano risalire i marsupiali e i placentati. Un altro gruppo primitivo, quello dei multitubercolati, comprendeva animali simili a scoiattoli e topi: apparvero almeno nel Giurassico medio (circa 160 milioni di anni fa) e si estinsero solo nel Cenozoico inoltrato, durante l'Oligocene (30 milioni di anni fa); rappresentano quindi il più longevo gruppo di mammiferi.


Dopo i dinosauri
Dopo l'estinzione di massa del Cretaceo, 65 milioni di anni fa, si ebbe una rapida diversificazione di forme e dimensioni, anche se per tutto il Paleocene i piccoli mammiferi continuarono a dominare la scena. Le eccezioni, in ogni caso, non mancavano: i pantodonti, ad esempio, erano un gruppo che comprendeva anche forme lunghe due metri. Nel corso dei successivi milioni di anni si sviluppò un gran numero di mammiferi primitivi, che non hanno corrispondenti nella fauna attuale. Tra questi gruppi, da citare i teniodonti e i tillodonti, che potevano raggiungere le dimensioni di un orso ma con musi che li facevano assomigliare a giganteschi roditori, i dinocerati (simili a rinoceronti mostruosi) e i pantolesti, strani animali simili a lontre comprendenti anche forme velenose.

Tutti questi "esperimenti", tuttavia, si estinsero presto, e iniziarono a svilupparsi i primi rappresentanti degli ordini attuali: artiodattili, primati, cetacei, carnivori, roditori, perissodattili e altri ancora. Intanto, Sudamerica e Australia erano separate dal resto dei continenti e diedero luogo a faune endemiche; in Australia i marsupiali e i monotremi, mentre in Sudamerica i marsupiali e alcuni placentati primitivi (xenartri e meridiungulati). Nei restanti continenti, i cambiamenti climatici portarono alla formazione di grandi praterie e all'estinzione di molti mammiferi arcaici; al contempo, si diffusero enormemente i rappresentanti degli attuali carnivori, artiodattili e perissodattili.


Tassonomia

Il tentativo di Simpson
Il primo tentativo di fare una classificazione completa dei mammiferi fu fatto da George Gaylord Simpson nel 1945 prendendo spunto dalle presupposte affinità fra le famiglie animali diffuse all'epoca. Su questa classificazione sono infuriate molte polemiche non ancora sopite, soprattutto dopo l'avvento della nuova concezione della cladistica. Nonostante l'opera di Simpson sia uscita progressivamente di scena con l'avvento delle nuove teorie, ha ancora un grande valore per la classificazione dei mammiferi.


Classificazione standard
Nei libri di mammalogia viene adottato un sistema standardizzato di classificazione dei mammiferi:

Classe Mammalia

Sottoclasse Prototheria (mammiferi che depongono uova: monotremi)
Sottoclasse Theria (mammiferi che partoriscono piccoli vivi)
Infraclasse Metatheria (marsupiali)
Infraclasse Eutheria (placentati)
Nonostante i nomi Prototheria, Metatheria ed Eutheria siano stati privati di validità (presuppongono il concetto che i placentati derivino dai marsupiali, che a loro volta discenderebbero dai monotremi), questa sistematizzazione è utilizzata dalla maggior parte dei testi scolastici ed universitari, oltre che in paleontologia (specialmente nell'ambito degli animali del Mesozoico).


McKenna & Bell
Nel 1997 due studiosi, Malcom McKenna e Susan Bell, utilizzarono le sistematiche precedenti e le relazioni fra i vari gruppi di mammiferi (viventi ed estinti) per realizzare una nuova classificazione della classe, basata su una gerarchia fra i vari taxon.

La nuova classificazione (detta McKenna/Bell) fu accettata da larga parte dei paleontologi, poiché rifletteva fedelmente il percorso storico dei mammiferi. Tale classificazione comprende sia generi estinti che ancora viventi; inoltre vengono introdotti i nuovi ranghi di legione e sublegione, posizionati fra classe ed ordine.

Classe Mammalia

Sottoclasse Prototheria
Sottoclasse Theriiformes
Infraclasse Allotheria †
Infraclasse Triconodonta †
Infraclasse Holotheria
Theria
Marsupialia
Superordine Australidelphia
Superordine Ameridelphia
Placentalia
Superordine Xenarthra
Superordine Epitheria
Ordine Anagalida
Ordine Ferae
Ordine Lipotyphla
Ordine Archonta
Ordine Ungulata
Sottordine Tubulidentata (incertae sedis)
Sottordine Eparctocyona
Sottordine Meridiungulata †
Sottordine Altungulata

[modifica] Classificazione molecolare dei Placentati
Recenti studi basati sull'analisi del DNA, specialmente tramite l'analisi dei retrotrasposoni, hanno rivelato nuove parentele inaspettate fra le varie famiglie animali. Tali parentele non hanno ancora trovato dimostrazione a livello fossile, quindi non ci sono ancora prove tangibili che corroborino queste nuove ipotesi.

Secondo i risultati delle analisi, il primo gruppo a divergere dai placentati del Cretaceo fu quello degli Afrotheria, 110-100 milioni di anni fa. Gli Afrotheria continuarono ad evolversi nell'isolamento del continente Afro-arabico; nel frattempo (100-95 milioni di anni fa) gli Xenarthra sudamericani si staccarono dai Boroeutheria. Secondo un'osservazione recente, gli Afrotheria e gli Xenarthra sono strettamente collegati fra loro, tanto da formare un gruppo (Atlantogenata) parallelo a Boroeutheria. Questi ultimi si divisero in Laurasiatheria ed Euarchontoglires 95-85 milioni di anni fa; entrambi questi gruppi vivevano nel supercontinente della Laurasia.

Dopo la collisione dell'Africa-Arabia con l'Eurasia, vi fu un rimescolamento di Afrotheria e Boroeutheria: con la comparsa dell'Istmo di Panama, inoltre, facilitò il grande scambio americano.

Questa nuova classificazione manca di prove morfologiche e quindi non è accettata da alcuni sicenziati, tuttavia l'analisi della presenza dei retrotrasponsoni suggerisce che l'ipotesi degli Epitheria (che propone gli Xenarthra come primo gruppo a differenziarsi) potrebbe essere vera.

Supergruppo Atlantogenata

Gruppo I: Afrotheria
Afroinsectiphilia
Ordine Macroscelidea
Ordine Afrosoricida
Ordine Tubulidentata
Paenungulata
Ordine Hyracoidea
Ordine Proboscidea
Ordine Sirenia
Gruppo II: Xenarthra
Ordine Xenarthra
Supergruppo Boreoeutheria

Gruppo III: Euarchontoglires (o Supraprimates)
Superordine Euarchonta
Ordine Scandentia
Ordine Dermoptera
Ordine Primates
Superordine Glires
Ordine Lagomorpha
Ordine Rodentia
Gruppo IV: Laurasiatheria
Superordine Ferae
Ordine Pholidota
Ordine Carnivora
Ordine Insectivora
Ordine Chiroptera
Ordine Cetartiodactyla
Ordine Perissodactyla

[modifica] Classificazione comune
Per gli articoli di Wikipedia, è stata adottata la seguente classificazione:

Classe Mammalia

Sottoclasse Monotremata
Ordine Monotremata (ornitorinco ed echidna)
Sottoclasse Marsupialia
Ordine Didelphimorphia (opossum)
Ordine Paucituberculata(opossum toporagno)
Ordine Microbiotheria (colocolo)
Ordine Notoryctemorphia (talpa marsupiale)
Ordine Dasyuromorphia (marsupiali carnivori)
Ordine Peramelemorphia (bandicoot)
Ordine Diprotodontia (marsupiali erbivori)
Sottoclasse Placentalia
Ordine Afrosoricida (tenrec e talpa dorata)
Superordine Xenarthra
Ordine Cingulata (armadillo)
Ordine Pilosa (formichieri e bradipi)
Superordine Glires
Ordine Rodentia (roditori)
Ordine Lagomorpha (conigli, lepri e pika)
Superordine Euarchonta
Ordine Primates (primati)
Ordine Scandentia (tupaia)
Ordine Dermoptera (galeopiteci)
Ordine Erinaceomorpha (ricci)
Ordine Soricomorpha (talpe e toporagni)
Ordine Chiroptera pipistrelli
Ordine Carnivora (animali carnivori)
Ordine Pholidota (pangolini)
Superordine Ungulata
Ordine Macroscelidea (macroscelidi)
Ordine Tubulidentata (oritteropo)
Ordine Hyracoidea (procavie)
Ordine Proboscidea (elefanti)
Ordine Sirenia (dugongo e lamantini)
Ordine Perissodactyla (erbivori a dita dispari)
Ordine Cetartiodactyla
Sottordine Artiodactyla (erbivori a dita pari)
Sottordine Cetacea (cetacei)
30/05/2007 15:52
 
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Una lenta evoluzione di oltre 4000 specie
di ALESSIA MANFREDI



ROMA - Non è stata l'estinzione dei dinosauri a determinare lo sviluppo e la diversificazione dei mammiferi sulla Terra. Il gigantesco meteorite caduto nella penisola dello Yucatan che circa 65 milioni di anni fa causò, secondo una delle teorie più note, la scomparsa degli animali preistorici non ha giocato un ruolo chiave sulla sorte dei mammiferi. Che già convivevano con i dinosauri e si sono poi diffusi sul pianeta in modo graduale e prolungato nel tempo, non improvvisamente dopo la loro fine.

Il mistero della scomparsa dei rettili preistorici continua ad affascinare e a far discutere la comunità scientifica e ora, a dare un nuovo contributo al dibattito, arriva una ricerca pubblicata su Nature. Il lavoro, che coinvolge diversi atenei internazionali fra cui l'Imperial College e la Zoological Society di Londra, e coordinato da Olaf Bininda-Emonds dell'Università di Tubinga in Germania, suggerisce che i mammiferi abbiano impiegato molto più tempo ad assumere le forme moderne, iniziando a diversificarsi già 100-80 milioni di anni fa e non di punto in bianco, una volta lasciato libero il campo dai dinosauri. A questa conclusione i ricercatori sono arrivati studiando le distanze genetiche e compilando un nuovo, ampio "albero della vita", che raccoglie la storia di oltre il 99 per cento delle 4.500 specie che esistono oggi sulla Terra.

Ci sono voluti dieci anni per mettere a confronto i dati, partendo dai fossili e utilizzando analisi molecolari di nuovo tipo. E il risultato indica che già 85 milioni di anni fa esistevano gli antenati genetici dei mammiferi che conosciamo oggi, anche se nel periodo del Cretaceo, dominato dai dinosauri, queste specie erano ancora poche.

I nostri progenitori, secondo i ricercatori, iniziarono effettivamente a diffondersi sulla Terra circa dieci milioni dopo la scomparsa dei dinosauri, ma in quel periodo si registrò un aumento improvviso della temperatura del pianeta, che potrebbe aver dato un impulso importante alla loro crescita.

Potrebbe essere stato una sorta di "surriscaldamento terrestre - e non la scomparsa dei dinosauri - a far sviluppare le diverse specie che conosciamo oggi" spiega il professor Andy Purvis, dell'Imperial College di Londra. Una scoperta, secondo il professore, che "riscrive il nostro modo di comprendere come ci siamo evoluti sul pianeta".

"La diatriba tra chi sostiene la teoria di un'improvvisa estinzione di massa dei dinosauri e chi invece è favorevole ad una ipotesi più articolata per spiegare l'ascesa dei mammiferi, è di vecchia data" commenta il professor Carmelo Petronio, docente di Paleontologia dei vertebrati all'Università La Sapienza di Roma.

Se negli Stati Uniti prevale la teoria di Alvarez, più spettacolare e scenografica, "questo studio molecolare conferma invece la posizione dei paleontologi diffusa in Europa, che propende per una spiegazione più graduale, che comunque non coincide con la fine del Cretacico, quando i dinosauri sono scomparsi". "E' vero - continua il professore - che, nel Cenozoico, dopo l'estinzione della maggior parte dei dinosauri, c'è stata un'esplosione dei mammiferi, ma di quelli, come noi, Placentati. I più antichi fra questi, Insettivori come il toporagno, ad esempio, hanno convissuto per decine di milioni di anni con i rettili preistorici. Possiamo anche dire che un Primate americano, Purgatorius, il nostro più antico antenato, ha conosciuto i dinosauri". Che, del resto, non sono scomparsi in modo fulmineo. "Già da prima di 65 milioni di anni fa i dinosauri mostravano segni di decadenza e alcune forme continuarono ad esistere anche dopo quella data. E ancora oggi, in qualche modo sotto forma di uccelli, noi osserviamo i loro diretti discendenti".

(28 marzo 2007)
30/05/2007 15:53
 
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Origine dei Mammiferi

I Cinodonti. È stato detto che i Terapsidi dettero origine a più linee evolutive che svilupparono diversi caratteri mammaliani. Sicuramente la linea che portò però ai Mammiferi è quella dei Cinodonti, Rettili carnivori che ebbero il loro sviluppo tra la parte più alta del Permiano superiore e il Trias in Russia prima, e poi nel sud dell’Africa e dell’America, allora ancora unite in un unico continente. In essi si può seguire una progressiva evoluzione di varie parti dello scheletro. Il condilo occipitale, unico, si divise in due parti che si incastrano tra l’arco neurale e l’intercentro della prima vertebra cervicale, l’atlante. Le ossa mascellari e palatine produssero un setto orizzontale che separa la cavità boccale da quella nasale. L’osso dentale prese il sopravvento sulle altre ossa della mandibola, anche se l’articolazione con il cranio era ancora affidata al quadrato e all’articolare. Gli arti assunsero definitivamente la posizione tipica dei Mammiferi, con omero diretto obliquamente all’indietro e il femore in avanti. Le dita ridussero il numero delle falangi a due per il primo dito e a tre per le altre. E infine modificazioni molto importanti furono quelle che riguardarono il cavum epiptericum, che nei Terapsidi si trova lateralmente, esterno alla cavità cerebrale, mentre nei Mammiferi viene incluso in tale cavità. Poiché il passaggio da rettile a mammifero è avvenuto gradualmente, si è assunto come criterio di demarcazione di queste due classi la struttura dell’orecchio medio e, di conseguenza, l’articolazione della mandibola con il cranio. Nei Rettili quadrato e articolare sono le ossa che articolano la mandibola con il cranio e l’orecchio medio è fatto dalla sola staffa; nei Mammiferi il dentale si articola direttamente con il temporale (squamoso) e l’orecchio medio, oltre alla staffa, ha l’incudine, che si originò dal quadrato, e il martello, che è omologo dell’articolare. Inoltre la bulla timpanica si originò dall’angolare dei Rettili.

Il cinodonte che ha caratteri più prossimi ai Mammiferi è Probainognathus, del Trias superiore dell’America del Sud, in cui, nonostante la presenza di quadrato e articolare fra mandibola e cranio, anche il dentale aveva assunto funzioni articolari dirette con lo squamoso.

Gli Ictidosauri. L’evoluzione dei Cinodonti è particolarmente interessante perché nel Trias superiore in Sudafrica prima e poi nell’America del Nord portò a una serie di piccole ma evolute forme rimarchevolmente mammaliane, note come Ictidosauri. In essi manca il forame pineale, il palato secondario è già ben formato e si è creata anche la fossa temporale grazie alla perdita di quella barra d’osso postorbitale, che forma nei Rettili un caratteristico anello attorno alle orbite.

Secondo alcuni autori degli Ictidosauri fanno parte i Tritilodonti, che sono le forme più affini ai Mammiferi, nonostante abbiano ancora un’articolazione rettiliana fra cranio e mandibola. Questi Rettili, particolarmente evoluti, sono stati per lungo tempo considerati dei Multitubercolati, perché possiedono strette somiglianze dentarie con questo gruppo di Mammiferi.

Il reperto più noto appartiene al genere Tritylodon, del Trias superiore del Sudafrica e dell’Arizona. Animali simili sono Bienotherium del Trias della Cina e Oligokyphus del Lias dell’Inghilterra.

Secondo gli studi più recenti, i Tritilodonti potevano sdraiarsi, come i cani e i gatti; tale posizione, legata a movimenti vertebrali, permetteva all’animale di raggiungere con la bocca quasi tutte le parti del corpo. Questa grande mobilità è caratteristica dei Mammiferi carnivori che si leccano la pelliccia e si tolgono le spine dal corpo. Le costole di questi Rettili inoltre mostrano un’elasticità che suggerisce una respirazione ritmica. Tutto ciò fa pensare all’acquisita capacità di regolare la temperatura del corpo (omeotermia).

Per altri autori, i Tritilodonti, pur rimanendo nella linea evolutiva dei Mammiferi, sono distinti dagli Ictidosauri.

Fino a oggi sono state individuate le successive modificazioni che hanno portato da un’organizzazione anatomica rettiliana a una mammaliana. Ciò che non è stato ancora precisato è se i Mammiferi abbiano avuto origine da uno o più gruppi di Rettili Sinapsidi.


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