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Un pò di giustizia in Italia

Ultimo Aggiornamento: 11/04/2024 10:34
26/02/2014 00:34
 
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‘Ndrangheta, uomini dello Stato al servizio della cosca. L’ordine era: “Non indagare”

Due anni di mancate indagini, omissioni, insabbiamenti, depistaggi. Obiettivo: favorire i Mancuso, uno dei clan più potenti della Calabria. Tradotto: uomini dello Stato al servizio della ‘ndrangheta. Poche righe per riassumere oltre duecento pagine di ordinanza cautelare con la quale oggi il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catanzaro ha disposto l’arresto di Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò, rispettivamente ex capo ed ex vice capo della squadra Mobile di Vibo Valentia. Per entrambi l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa. “Questi – ragiona il giudice – , nel periodo in cui hanno svolto le loro funzioni (2009-2011) non hanno mai ritenuto di avviare alcuna indagine su quella che era ed è la più pericolosa e sanguinaria cosca di ‘ndrangheta operante sul territorio calabrese”. In manette anche un legale indagato per 416 bis perché ritenuto dal gip Abigail Mellace membro effettivo della cosca. Antonio Galati, infatti, è lo storico avvocato della famiglia Mancuso. Ed è grazie alla sua “abile e paziente opera” che gli uomini della mafia si sono infiltrati “negli apparati investigativi, giudiziari e di pubblica sicurezza dello Stato” per “assicurare ai propri componenti trattamenti di riguardo e di favore”, acquisendo “informazioni riservate”, garantendo “la possibilità di continuare a operare in condizioni di massima tranquillità e clandestinità”. Galati ricopre un ruolo di cerniera tra i boss e le istituzioni.

Questo il ragionamento degli uomini del Ros di Catanzaro. Le indagini partono nel 2010 sotto il coordinamento del colonnello Giovanni Sozzo. Nel mirino i capi della cosca e in particolare la frangia che fa capo a Pantaleone Mancuso alias Scarpuni classe ’47. Ben presto, però, il piano criminale incrocia quello della cosiddetta zona grigia. Emerge la figura di Galati. Le intercettazioni svelano ruoli, rapporti e obiettivi. Fin da subito, il legale si dimostra il cardine principale attorno al quale ruota quello che lui stesso definirà “un ingranaggio” a disposizione dei boss. Relazioni, dunque. “Una rete impressionante di amicizie e frequentazioni che Galati con grande abilità è riuscito a intessere attorno alla sua persona”. Buona parte sono uomini delle istituzioni. Magistrati, ma anche poliziotti. Severissimo, in questo senso, il giudizio del gip: “Le variegate e trasversali relazioni abilmente intessute da Galati con esponenti delle istituzioni da un lato e della cosca Mancuso dall’altro” hanno “avuto l’effetto di creare un pericoloso ponte di collegamento fra due mondi che nella fisiologia del sistema devono essere totalmente distanti e incomunicabili”. Relazioni pericolose, dunque. A tal punto consapevoli da “inficiare la credibilità” delle istituzioni “ingenerando nei cittadini quella sfiducia nello Stato che è poi il terreno sul quale la mafia ha fondato e fonda il proprio arrogante potere e la sua eccezionale capacità intimidatoria”. Una chiacchiera, un caffè. Parole e circostanze fuori da qualsiasi contesto investigativo. Questa la fotografia scattata dalla Procura di Catanzaro nel rappresentare i rapporti tra i boss e i poliziotti. Capita, ad esempio, nel 2011, dopo la morte della moglie di Mancuso scarpuni. Il 16 aprile Santa Buccafusca si suicida bevendo dell’acido. Un mese prima, assieme al figlio, era andata dai carabinieri con l’intenzione di collaborare. Il 19 aprile a Mancuso viene notificato un atto relativo alla morte della moglie.

Un atto normale che gli viene consegnato direttamente dal capo della squadra Mobile. “Il dottore Lento – annuncia Galati al boss – perché scende lui personalmente, avete capito”. All’incontro, e per questioni lavorative, è presente un sostituto commissario, il quale, sentito a verbale racconta: “Dopo aver notificato l’atto a Mancuso, quest’ultimo si avvicinava al dottor Lento, al dottor Rodonò e all’avvocato Galati, rimanendo con loro appartati a una decina di metri dall’auto di servizio”. I protagonisti poi si salutano. Poco dopo Galati è al telefono con Mancuso. Il boss: “Digli che passano di qua che si prendono il caffè”. E se l’allora capo della Mobile va a casa del boss, il suo vice, assieme a Galati, addirittura passa le giornate estive nel villaggio turistico della famiglia Maccarone imparentata con i Mancuso. Giornata conviviale, dunque. In serata, al rientro, Galati commenta: “Grande Antonio (Maccarone ndr) ci ha mandato pure la bottiglia”. La risposta di Rodonò: “Fantastico”. Insomma, ragiona sempre il giudice, sia Lento che Rodonò si sono presentati come “soggetti vicini e compiacenti” che si relazionano su un piano paritario con i boss “prendendo un caffè” oppure “trascorrendo insieme una giornata al mare”. Una condotta definita “gravissima” e che “in punto di diritto integra in modo quasi scolastico il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa”. Perché se da un lato il caffè col boss ha “un significato simbolico devastante per il messaggio di complicità mafiosa espresso”, dall’altro ci sono le condotte che nel concreto hanno “rafforzato le capacità intimidatorie e operative del sodalizio”. Un’inerzia investigativa definita “imbarazzante” anche “a seguito dell’emersione di gravi indizi di reità a carico dei Mancuso che avrebbero invece imposto l’avvio di mirate e specifiche indagini”. Due gli elementi che secondo il giudice di Catanzaro confermano questo atteggiamento. Nel 2011 il Nucleo investigativo dei carabinieri di Vibo indaga sulla cosca Tripodi. Nel fascicolo confluiscono alcune intercettazioni effettuate dalla squadra Mobile in relazione a un danneggiamento.

Riascoltando le telefonate e rileggendo i brogliacci, i carabinieri si accorgono che alcune conversazioni sulla protezione mafiosa dei Mancuso non erano state trascritte. “E soprattutto – conclude il gip – riscontravano che tutte in ogni caso non erano state inserite né nella richieste di proroga delle intercettazioni né nell’informativa conclusiva”. A chiudere il cerchio un’intercettazione ambientale nella quale il vice capo della Mobile in auto con Galati dice: “Io sento parlare di personaggi come Luigi Mancuso, Diego Mancuso, Antonio Mancuso (…). Mi voglio togliere lo sfizio di leggermi la storia di questa gente su cui io non ho potuto indagare”. Quindi spiega: “Devi capire una cosa, io ho un debito di fedeltà, punto e basta. L’ho assolto. Fedeltà per motivi gerarchici. E tu sai a cosa mi sto riferendo”. Conclude il giudice: “Le affermazioni del dottor Rodanò lasciano annichiliti”.

Davide Milosa
25 febbraio 2014
www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/25/lordine-era-non-indagare-i-vertici-della-squadra-mobile-al-servizio-della-ndrangheta...
27/02/2014 00:41
 
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Ex capo dei vigili di Roma arrestato per corruzione



Roma. L’ex comandante dei vigili urbani di Roma, Angelo Giuliani, e altre tre persone sono finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione. L’indagine, condotta dai carabinieri, riguarda l’appalto del servizio di ripristino e pulizia della strade dopo gli incidenti che era stato affidato alla Sicurezza e Ambiente Spa. Nel 2011 Giuliani, secondo gli investigatori, sarebbe intervenuto in maniera irregolare nel procedimento amministrativo per l’affidamento del servizio in cambio di tangenti pagate dai titolari della società sotto forma di sponsorizzazione (30 mila euro) al circolo sportivo dei vigili, presieduto da Giuliani.

Ipotizzato anche il falso ideologico
Gli altri arrestati sono il dg della Sea (Angelo Cacciotti), il legale della società (Giovanni Scognamiglio) e il direttore (Iano Santoro). È indagato anche l’ex dg della Rai, Alfredo Meocci, in quanto come membro dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture avrebbe dato parere favorevole all’appalto in cambio di un’assunzione. Per l’ex comandante Giuliani i pm hanno ipotizzato anche il reato di falso ideologico in atto pubblico in riferimento all’improbabile verbale per la composizione della commissione incaricata di valutare gli aspiranti vigili del concorso bandito nel 2012. Giuliani temeva che l’incombente avvicendamento ai vertici dei vigili potesse impedire la sua nomina a presidente della commissione, «privandolo di quello che veniva considerato dallo stesso uno strumento di potere e di pressione personale». La stessa ipotesi di reato è attribuita ai dirigenti della Municipale Donatella Scafati e Maurizio Sozi, membri della commissione, nonchè a Gloria Conte e Alessandra Scione segretaria.

26/02/2014
www.metronews.it/master.php?pagina=notizia.php&id_notiz...
[Modificato da wheaton80 27/02/2014 00:43]
24/03/2014 23:58
 
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Finmeccanica: 4 arresti per tangenti


Lorenzo Borgogni

NAPOLI - Le dichiarazioni dei fratelli Maurizio e Sabatino Stornelli aprono un nuovo filone dell'inchiesta sul caso Sistri. Due ex dirigenti del gruppo Finmeccanica, fra cui l'ex capo delle relazioni esterne Lorenzo Borgogni, sono agli arresti domiciliari su richiesta dei pm di Napoli Catello Maresca, Marco Del Gaudio e Maurizio Giordano. Le indagini sono condotte dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza. Non è stato emesso alcun provvedimento restrittivo nei confronti dell'ex presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini, che risulta indagato. Nei suoi confronti sono in corso perquisizioni da parte della Guardia di Finanza. Oltre a Borgogni, sono agli arresti domiciliari anche l'ex direttore operativo di Selex, azienda del gruppo Finmeccanica, Stefano Carlini, e gli imprenditori Vincenzo Angeloni e Luigi Malavisi. Una perquisizione è stata disposta dai magistrati nei confronti di Guarguaglini e dell'imprenditore Giovanni Sabetti. Le accuse contestate sono di associazione per delinquere e corruzione. Dalle indagini è emerso che sarebbero stati costituiti fondi neri all'estero finalizzati al pagamento di tangenti destinate ai vertici del gruppo industriale. Sono stati sequestrati 28 conti correnti e due cassette di sicurezza.

24 marzo 2014
www.wallstreetitalia.com/article/1679890/cronache/finmeccanica-4-arresti-per-tange...
09/04/2014 19:59
 
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Milano, ergastolo a Brega Massone. L’ex primario della clinica degli orrori



L’ex primario di chirurgia toracica della clinica Santa Rita di Milano, Pier Paolo Brega Massone, è stato condannato all’ergastolo nel processo con al centro le accuse di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà per la morte di 4 pazienti e di lesioni per una quarantina di altri casi. Lo ha deciso oggi la prima Corte d’Assise. L’ex primario di quella che fu ribattezzata “La clinica degli orrori” è stato riconosciuto responsabile per tutti e quattro gli omicidi volontari che venivano contestati dai pm di Milano Tiziana Siciliano e Grazia Pradella. Secondo l’accusa, infatti, l’ex primario per «monetizzare» i rimborsi dal sistema sanitario nazionale avrebbe eseguito interventi inutili nei confronti di 4 pazienti di età compresa fra i 65 e gli 89 anni, fino ad ucciderli. Brega Massone era imputato anche per una quarantina di episodi di lesioni aggravate nei confronti di altrettanti pazienti, per truffa e falso. I giudici della prima corte d’assise di Milano (presidente del Collegio Anna Introini) lo hanno prosciolto solo per alcuni capi di imputazione (alcuni sono caduti in prescrizione) e lo hanno condannato all’ergastolo con 3 anni di isolamento diurno. La corte ha fatto cadere l’aggravante della crudeltà che era stata contestata dalla Procura per l’ex chirurgo. Brega Massone, già condannato a 15 anni e mezzo di carcere per truffa e per un’ottantina di casi di lesioni (si è in attesa della Cassazione) nel primo filone processuale, è stato anche dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e interdetto dall’esercizio della professione medica per 5 anni. I giudici hanno disposto anche la pubblicazione della sentenza a spese di Brega Massone e altri imputati tramite affissione pubblica, su alcuni quotidiani e sul sito del ministero della Giustizia. Le motivazioni saranno rese note tra 90 giorni. Brega Massone è stato arrestato dai carabinieri presenti al palazzo di giustizia di Milano. Nei suoi confronti è stata disposta infatti dai giudici l’esecuzione immediata della sentenza così come era stato chiesto dai Pm Tiziana Siciliano e Grazia Pradella. L’ex primario era in aula ed è stato subito prelevato dai militari e portato in carcere. «C’era la possibilità concreta che Brega Massone fuggisse. Per questo è stato arrestato. L’unica ipotesi di arresto, dopo una sentenza, è che ci sia il rischio del pericolo di fuga».

09/04/2014
www.lastampa.it/2014/04/09/italia/cronache/ergastolo-allex-primario-della-clinica-degli-orrori-uRqgu3Cn4SLKKX43KYIZ0O/pag...
04/06/2014 21:48
 
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Giovane pestato dopo Roma-Inter. Nove poliziotti condannati a 4 anni

Sono stati tutti condannati a quattro anni di reclusione ciascuno i nove agenti della polizia accusati di aver picchiato Stefano Gugliotta, il giovane di 26 anni arrestato il 5 maggio del 2010 durante gli incidenti avvenuti al termine della finale di Coppa Italia Roma-Inter. La procura aveva chiesto di condannare Leonardo Mascia a tre anni di reclusione; due anni la pena che era stata invece sollecitata dal pm nei confronti degli altri imputati. Non solo, il tribunale ha disposto che gli imputati risarciscano Gugliotta: 40mila euro la somma individuata dal collegio a titolo di risarcimento che dovrà essere versato in solido dagli imputati. Secondo l'accusa i nove (Leonardo Mascia, Guido Faggiani, Andrea Serrao, Roberto Marinelli, Adriano Cramerotti, Fabrizio Cola, Leonardo Vinelli, Rossano Bagialemani, Michele Costanzo) «tutti appartenenti al reparto Mobile della polizia, agendo con abuso di potere e violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione» avrebbero causato a Gugliotta «lesioni gravi» alla mandibola.

Quella sera il giovane, che è rappresentato dall'avvocato Cesare Piraino, al termine della finale di Coppa Italia tra Roma e Inter, partita che vide a casa, fu bloccato dalle forze dell'ordine e poi arrestato per resistenza a pubblico ufficiale. Il ragazzo sostenne di non essere stato quella sera allo stadio ma si esservi passato nelle vicinanze mentre, a bordo di uno scooter con un amico, si stava recando alla festa di un cugino. Sette giorni dopo l'arresto per resistenza a pubblico ufficiale, Gugliotta fu scarcerato. Secondo il pm, gli agenti in servizio di ordine pubblico per la partita dell'Olimpico,«in una zona non interessata agli scontri (viale Pinturicchio) e senza che ricorressero esigenze di tutela dell'ordine pubblico o di contrasto di particolare resistenza», intimavano l'alt al ciclomotore guidato dal giovane romano. Quindi l'aggressione da parte di uno degli agenti che avrebbe colpito il ragazzo al volto «schiaffi, manate e manganellate». Successivamente sono intervenuti gli altri 8 colleghi che «colpivano» il giovane «con calci, pugni e manganellate una delle quali particolarmente violenta alla testa che gli faceva perdere i sensi». Nel disporre le condanne, inoltre, il collegio ha escluso l'aggravante delle lesioni gravissime che avrebbero causato un danno permanente. Lo ha stabilito la X sezione del tribunale penale collegiale presieduta da Vincenzo Terranova.

«Giustizia è stata fatta»

Così Stefano Gugliotta commentando a caldo in lacrime la condanne a quattro anni di reclusione inflitte nei confronti di nove agenti accusati di averlo picchiato durante gli incidenti avvenuti al termine della finale di Coppa Italia Roma-Inter. Così anche la madre di Gugliotta, il padre, la fidanzata e alcuni amici presenti in aula che si sono stretti in abbraccio non riuscendo a trattenere la gioia e dicendosi tutti «soddisfatti». «Non si può mai essere contenti quando vengono condannate delle persone specie come in questo caso se agenti di polizia - ha commentato Cesare Piraino, avvocato di Gugliotta - Se l'impostazione accusatoria era corretta la pena da infliggere non poteva essere di modesta entità come chiesto dal pm». A sostenere la famiglia Gugliotta c'erano anche Lucia Uva e Claudia Budroni, familiari di altri persone che sarebbero decedute dopo interventi delle forze dell'ordine. «Noi siamo tutte unite», dice Claudia.

04 Giugno 2014
www.ilmessaggero.it/ROMA/CRONACA/stefano_gugliotta_2010_roma_inter_scontri_poliziotti_condanna_polizia/notizie/7261...
04/06/2014 21:51
 
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Roma, traffico internazionale di auto di lusso: sette arresti, anche poliziotto

ROMA – Gestivano un traffico di auto di lusso tra l’Italia, la Lituania e la Bielorussia con un sistema illegale che faceva entrare nelle casse dell’organizzazione guadagni milionari: la polizia stradale di Roma ha arrestato sette persone tra Roma, Benevento e Bari. Ai domiciliari è finito un poliziotto di 52 anni, in servizio nella Questura di Roma. Arrestati poi un 47enne bosniaco, un 46enne bielorusso e un 46enne romano ritenuti i “capi” dell’ organizzazione, mentre eseguivano gli “ordini” un campano di 61 anni e la compagna ucraina di 56 anni, oltre a un barese di 38 anni. Le indagini degli uomini del Compartimento di Polizia Stradale del Lazio, avvalendosi della collaborazione delle polizie straniere, sono durate circa un anno ed hanno permesso di accertare che la banda utilizzava due sistemi oramai consolidati: un primo “modus operandi” consisteva nell’impiego di un “prestanome”, che stipulava un contratto di locazione per un veicolo di grossa cilindrata. In questo caso il veicolo, che sarebbe dovuto rimanere sul territorio nazionale, veniva, invece, venduto, all’insaputa della società locatrice proprietaria del bene, ad un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato ed esportato in Lituania o Bielorussia. Sul posto il veicolo oggetto di appropriazione indebita veniva munito di falsa documentazione ed illecitamente immatricolato in quel paese. Contestualmente in Italia veniva denunciato il falso furto del veicolo, perfezionando in tal modo il reato di riciclaggio internazionale. La seconda modalità, invece, era quella di “agevolare” l’alienazione di veicoli di lusso da parte di privati che intendevano “disfarsene” in modo sbrigativo e conveniente. L’organizzazione si impossessava del veicolo con pochi soldi e lo faceva sparire, immettendolo, in tempi brevi, nel mercato straniero, munito di falsa documentazione e nuove targhe. Nel frattempo, il vecchio proprietario, non appena l’auto entrava nel territorio straniero, sporgeva denuncia di furto per ottenere l’indebito risarcimento dall’assicurazione, con ciò rendendosi responsabili – a vario titolo – di simulazione di reato, truffa, falso documentale e riciclaggio internazionale di veicoli. Le indagini hanno permesso di recuperare una decina di autovetture di lusso.

2 giugno 2014
www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/roma-traffico-internazionale-di-auto-di-lusso-sette-arresti-anche-poliziotto-...
12/06/2014 02:03
 
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GdF, arrestato un colonnello e indagati generali


Fabio Massimo Mendella

Arrestato un colonnello, indagati il comandante in seconda, generale Bardi, e il suo predecessore in questo incarico, il generale in pensione Spaziante, già coinvolto nell'inchiesta Mose: è ancora bufera sulla Guardia di Finanza. L'inchiesta, delegata alla Digos, è quella dei pm Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, con il coordinamento dell'aggiunto Alfonso D'Avino, su presunte anomalie nelle verifiche fiscali. Il colonnello Fabio Massimo Mendella, dal luglio scorso comandante provinciale di Livorno, quando era in servizio a Napoli avrebbe omesso di compiere controlli sulle società di alcuni imprenditori in cambio di un appannaggio mensile di 15mila, 20mila o 30mila euro; i soldi (in tutto un milione), secondo la ricostruzione accusatoria, sono stati versati al commercialista Piero Luigi De Riu, a sua volta arrestato. Per i due, i reati ipotizzati sono concorso in concussione per induzione e rivelazione di segreto di ufficio. Per corruzione è invece indagato il generale Vito Bardi, comandante in seconda della Guardia di Finanza, i cui uffici sono stati perquisiti in mattinata dagli agenti della Digos. Il generale Vito Bardi - già comandante regionale delle Fiamme gialle in Campania - era stato indagato nel 2011 con le accuse di favoreggiamento e rivelazione di segreto nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P4. L'anno successivo, tuttavia, la sua posizione fu archiviata dal gip su richiesta dello stesso pm Henry John Woodcock. Dopo l'esecuzione dell'arresto di Mendella, il procuratore di Napoli Giovanni Colangelo ha confermato al comandante generale della Guardia di Finanza Saverio Capolupo stima e apprezzamento incondizionato per le Fiamme Gialle. Totale fiducia nella Guardia di Finanza è arrivata anche dai ministri Padoan e Alfano. La nuova inchiesta si basa sulla denuncia di due imprenditori, i fratelli Giovanni e Francesco Pizzicato, noti a Napoli perché anche gestori di noti locali. Nella prima metà degli anni Duemila, Mendella, all'epoca maggiore, li avrebbe contattati tramite De Riu offrendo "protezione" in cambio di soldi e vacanze. Dopo il suo trasferimento a Roma, inoltre, Mendella avrebbe suggerito di spostare proprio nella capitale la società Gotha, attiva nel settore dei materiali ferrosi, per continuare a "seguirli".

11 giugno 2014
www.ansa.it/campania/notizie/2014/06/11/arrestato-comandante-gdf-livorno-accusa-concussione_4aa20770-8a31-4669-81e0-0ae1f2237...
[Modificato da wheaton80 12/06/2014 02:03]
03/09/2014 16:44
 
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Ustica – Dc9 Itavia, carte top secret:“Aerei militari liberi di scorazzare in volo”

Il Dc9 dell’Itavia incrociò le rotte che avrebbero potuto percorrere gli aerei militari americani “qualora non ‘scorazzassero’ liberamente”. Il virgolettato è contenuto in un memorandum sulle “questioni informative aperte” con gli Stati Uniti. Memorandum che nel 2000, vent’anni esatti dopo la strage di Ustica (27 giugno 1980, 81 vittime), i consiglieri diplomatici del ministero degli Esteri e i servizi segreti redassero in merito ai rapporti dell’Italia con Paesi esteri. Il documento, riversato dalla Farnesina all’Archivio centrale dello Stato, fa parte di un primo lotto di materiale desecretato dopo il decreto Renzi della primavera scorsa, quello relativo ad “atti su eventi significativi per la storia del Paese”. E da questi primi fogli emerge anche che già il 29 agosto 1980 il Sismi collegava il disastro aereo alla Libia di Muammar Gheddafi. Concentriamoci però sul memorandum scritto 14 anni fa. Da esso emerge che le rotte sono la Ambra 13, quella per i velivoli diretti a sud o a sud est, oppure la Ambra 14, per gli apparecchi in viaggio verso nord o nord est. “Da tener presente”, puntualizza il documento, “che il Dc9 nell’ultima fase di volo aveva dapprima percorso l’Ambra 14 e poi si era portato, sopra Ponza, sull’Ambra 13”. Ricordando poi che si trattava di evidenze emerse dopo la chiusura del lavoro del giudice istruttore romano Rosario Priore, “non è stato possibile richiedere informazioni agli Usa tramite rogatoria”. Ma di rogatorie in precedenza ce n’erano state parecchie e sfogliando le 33 pagine del documento – anticipato da Repubblica che ha esaminato i primi materiali a cui è stato rimosso il segreto – non si trova risposta alla domanda rimasta irrisolta: dato per appurato che il volo civile partito da Bologna venne abbattuto nel corso di un’azione di guerra, non c’è indicata la nazionalità dell’aereo che sparò il missile con cui fu abbattuto il Dc9. A questo proposito ha commentato Daria Bonfietti, presidente dell’associazione vittime di Ustica: “Le prime carte confermano i depistaggi, ma non dicono chi ha fatto cosa”. Ha ragione l’ex senatrice della Repubblica. È confermato infatti che gli Stati Uniti mentirono quando dissero che in volo sul Mediterraneo la sera della sciagura non c’erano mezzi militari appartenenti al loro Paese. Ce n’erano eccome.

Alcuni erano il Navy 61206, il Juliet Mike 169, “che lascia il territorio nazionale a breve distanza [...] dal disastro”, e tre apparecchi P-3C da ricognizione marittima decollati da Sigonella e che “durante la fase del rientro avevano chiesto assistenza alla navigazione”. A smentire le forze armate a stelle e strisce ci sono le conversazioni telefoniche ed emergono da “un successivo esame delle registrazioni tra siti [italiani] e in particolare da quelle provenienti dall’aeroporto di Napoli Capodichino”. Dal memorandum si delinea un traffico aereo che inizia nel primo pomeriggio del 27 giugno 1980, a partire dalle 14.30. E ai mezzi già citati si aggiungono aerei Novembre Uniform che possono essere sia “velivoli Grumman di soccorso (Uniform 16) che alcuni tipi di caccia”. E aggiunge il documento italiano:“Il giudice italiano ha rilevato, tuttavia, che è molto probabile – se non certo – che i traffici sopra elencati non coprano tutta l’attività dei velivoli militari statunitensi [...]. Inoltre occorre tenere conto che diversi velivoli militari non si qualificarono con immediatezza [...], bensì [usarono] nominativi radio che, a una prima analisi, apparivano come traffici civili”. Da qui discende che, se non anche i tempi dei voli non coincidono alla perfezione con quelli del disastro, “l’accertata presenza di questi [aerei] dimostra la continua attività Usa che sarebbe ben strano che si fosse fermata nell’intorno del tempo della caduta del Dc9”. Altrettanto accertata è la presenza – ancora una volta negata da Washington – di una portarei, e poi c’è la storia dei caschi. Il primo era bianco e all’esterno riportava la scritta John Drake. Un tenente colonnello italiano, Guglielmo Lippolis, accertò che un pilota con quel nome decollato da un mezzo navale esisteva davvero. Poi, a causa di un incidente verificatosi poco prima del disastro di Ustica, si era lanciato dal mezzo su cui si trovava perdendo il casco. Questo, una volta recuperato, “a seguito del trasferimento dei reperti da Palermo a Napoli, è andato smarrito o con più probabilità è stato fatto sparire”.

Intanto, nell’aprile 1993, le autorità americane affermarono di aver effettuato una ricerca che andava dal gennaio 1977 al marzo 1993 sugli incidenti aerei che avevano riguardato loro uomini che di cognome facevano Drake. “Nessuno, però, aveva il nome proprio che iniziasse con la lettera ‘J’ e tutti si verificarono all’interno degli Stati Uniti continentali”. Poi verificarono meglio e un John saltò fuori, ma non aveva avuto nessun incidente e semmai qualcosa del genere fosse avvenuto doveva essere precedente al 1977. “In caso contrario si trattava di una semplice congettura”. Il secondo casco, invece, era verde e fu recuperato nell’estate 1980 nelle acque davanti a Capaci. Nonostante fosse stato associato a materiale libico, chieste spiegazioni per rogatoria agli americani, questi risposero che apparteneva a una partita prodotta il 13 dicembre 1977 e acquistata dalla marina militare Usa, dalla guardia costiera a stelle e strisce e da una “non meglio specificata sezione militare spagnola”. E tranchant è il giudizio del memorandum del 2000 su questo pezzo di storia: “Il [loro] rinvenimento [...], la sparizione del primo e la collocazione del secondo nel Mig libico, [oltre ai] lacunosi accertamenti condotti dallo [Stato maggiore dell'aeronautica], inducono alla conclusione che quei reperti non ‘dovevano’ essere associati all’incidente Itavia. ‘Dovevano’ invece essere in qualche modo ‘dimenticati’, rendendo pertanto impossibile la spiegazione della reale provenienza”.

Antonella Beccaria
2 settembre 2014
www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/02/strage-ustica-carte-top-secret-memorandum-aerei-militari-liberi-di-scorazzare-in-volo/...
13/09/2014 17:28
 
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Positano abolisce la Tasi: niente tasse su case, negozi e imprese. «Non inganniamo i cittadini»

POSITANO - Da perla della Costiera Amalfitana a "paradiso" fiscale. Almeno per quanto riguarda le tasse sul mattone: a Positano hanno detto addio alla Tasi, la nuova imposta comunale istituita con l'ultima legge di stabilità. In altre parole i contribuenti del piccolo paese della provincia di Salerno non dovranno più pagare tasse sulla prima e sulla seconda casa così come sugli esercizi commerciali e sulle attività imprenditoriali. Una manovra che «porterà benefici alla comunità per almeno 350 mila euro», ha spiegato il sindaco-imprenditore, Michele De Lucia (Pdl). «Abbiamo chiuso il bilancio 2013 con un avanzo di 1,3 - 1,4 milioni di euro e pertanto possiamo permetterci di fare provocazioni politiche di questo genere». Questa decisione, ha proseguito, «è maturata dalla convinzione che i cittadini vanno tutelati e non ingannati, occorre governare con trasparenza, la strada giusta non è quella di soffocare i cittadini di tasse» e inoltre la prima casa è «un bene sacro». Il comune di Positano aveva imboccato questa strada già alla prima scadenza di maggio e con la delibera del consiglio comunale ha detto definitivamente 'no' alla Tasi. Secondo il comune di Positano, spiega una nota, «questa tassa non è che lo strumento fornito ai comuni per introitare, sotto altro nome, l'Imu sulle prime abitazioni. L'amministrazione ritiene che il Governo, attraverso slogan e rèclame, stia semplicemente gettando fumo negli occhi degli italiani, imboccando la strada sbagliata per rilanciare l'economia nazionale». Positano, ha concluso, «va decisamente controcorrente e rifiutando l'applicazione della Tasi si schiera come sempre e in maniera aperta e decisa dalla parte dei cittadini». In linea col paese della costiera amalfitana anche il comune di San Lorenzo del Vallo (Cosenza) che ha deciso di sopprimere questa imposta. «L'amministrazione comunale - spiega un comunicato, in coerenza con la politica di contenimento della pressione fiscale a carico delle fasce di popolazione più disagiata, ha deciso che la tassa per i servizi comunali indivisibili (Tasi) non verrà pagata», ha affermato il sindaco Luciano Marranghello.

4 settembre 2014
www.ilmattino.it/ECONOMIA/positano-abolita-tasi/notizie/8786...
02/12/2014 20:03
 
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Mafia, arrestato Massimo Carminati: l’anima nera del crimine capitolino più spietato e ramificato



Sembrava imprendibile e intoccabile. Le inchieste da almeno da più di 30 anni l’avevano indicato come l’”anima nera” del crimine capitolino più spietato e ramificato. E, oggi, grazie all’operazione dei Ros, è finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa. Lui è Massimo Carminati, 56 anni, sguardo di ghiaccio, comportamento freddo e distaccato, un passato fra i terroristi neri dei Nar ma soprattutto un esponente di spicco della famigerata banda della magliana, la holding criminale che ha imperversato a Roma con omicidi e traffici di ogni tipo fiancheggiata da servizi segreti e entità politiche. E gli arresti eccellenti di oggi dimostrano che il banditismo romano non è mai morto e che Carminati ne recitava un ruolo di primissimo piano come un ”puparo” che ne tirava silenziosamente i fili di morte e di affari da milioni di euro. Un arresto che sembrava impossibile quello di Massimo Carminati che è sempre riuscito a uscire indenne da qualunque inchiesta. Indagini storiche sulle stragi italiane e su altri fatti clamorosi. Vengono alla mente le assoluzioni per il depistaggio per la strage della stazione di Bologna e per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Massimo Carminati mentre era alla sbarra a Perugia per rispondere dell’omicidio Pecorelli, si macchiò di un un furto senza precedenti, un altro mistero d’Italia, che avvenne proprio a ridosso della sentenza. Era il 2000 quando Carminati con altri personaggi della banda della Magliana riuscì a svaligiare il caveau della banca all’interno della Città Giudiziaria di Roma. Furono aperte oltre duecento cassette di sicurezza di magistrati e avvocati. Un colpo che per gli inquirenti aveva la finalità di ottenere documenti scottanti e ricattatori. In carcere finirono anche alcuni carabinieri complici della banda che agì indisturbato nel fortino della Legge. Massimo Carminati l’intoccabile, il criminale complice di terroristi sanguinari come La Mambro e Fioravanti oggi è stato arrestato dopo anni che le informative degli inquirenti lo inquadravano come un boss romano fra i più temibili. La sua zona era quella di Corso Francia dove, sempre secondo gli investigatori, grazie alla sua impunità e al suo sangue freddo, era riuscito ad essere l’uomo cardine per gli affari criminali in città. «A Roma anche la ’ndrangheta e la camorra dovevano sentire il parere di Carminati per i loro affari», questo il parere di un inquirente. Così come era stato capace di costruire e di gestire un fiorente traffico di videopoker: affari per milioni di euro. La Distrettuale Antimafia ne aveva monitorato anche i rapporti con Michele Senese boss della camorra che ha spadroneggiato a Roma e ora recluso in carcere con l’ergastolo. Su di lui erano caduti i sospetti su alcuni recenti omicidi accaduti a Roma. Era soprannominato il ”cecato”: da giovane mentre trasportava la valuta della Magliana in Svizzera era stato crivellato di colpi dalla polizia e così aveva perso un occhio. Massimo Carminati è il ”Nero”: il killer spietato che spadroneggia nella ”fiction” sulla banda della magliana. Un arresto fondamentale quello di Carminati per bloccare il crimine romano più segreto e pericoloso.

Marco De Risi
2 Dicembre 2014
www.ilmessaggero.it/ROMA/CRONACA/mafia_arrestato_massimo_carminati/notizie/10446...
02/12/2014 20:16
 
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Roma, 37 arresti per mafia. Indagato anche Alemanno:“Estraneo alle accuse”

Una "cupola" tra politica, mafia ed ex pezzi dell' eversione di destra e della criminalità che costituiva una holding di affari sporchi nella capitale: 37 persone sono state arrestate nell' ambito di una inchiesta su un vero e proprio sodalizio di stampo mafioso a Roma. In manette anche l' ex ad dell' Ente Eur, Riccardo Mancini, e l'ex terrorista dei Nar, Massimo Carminati. Tra gli oltre 100 indagati nella maxi-inchiesta della Procura di Roma c'è anche Gianni Alemanno. All' ex sindaco della Capitale il gip contesta il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso. Gli inquirenti hanno proceduto anche alla perquisizione della sua abitazione. "Dimostrerò la mia totale estraneità ad ogni addebito e da questa incredibile vicenda ne uscirò a testa alta", dice Alemanno. "Sono sicuro che il lavoro della Magistratura, dopo queste fasi iniziali, si concluderà con un pieno proscioglimento nei miei confronti". "A Roma - ha detto il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone - non c'è un' unica organizzazione mafiosa a controllare la città. Ci sono diverse organizzazioni mafiose. Oggi abbiamo individuato quella che abbiamo chiamato Mafia Capitale, romana e originale, senza legami con altre organizzazioni meridionali, di cui però usa il metodo mafioso. Alcuni uomini vicini all' ex sindaco Alemanno sono componenti a pieno titolo dell' organizzazione mafiosa e protagonisti di episodi di corruzione. Con la nuova amministrazione il rapporto è cambiato ma Carminati e Buzzi erano tranquilli chiunque vincesse le elezioni". Tra i nomi c'è anche quello di Daniele Ozzimo (Pd), assessore capitolino alla casa, che si è dimesso. "Sono estraneo ai fatti ma per senso di responsabilità rimetto il mio mandato", ha dichiarato Ozzimo. Perquisizioni anche alla Regione Lazio e in Campidoglio.

I carabinieri del Ros hanno acquisito documenti presso gli uffici della Presidenza dell' Assemblea Capitolina e presso alcune commissioni della Regione Lazio. La Guardia di Finanza ha eseguito sequestro di beni riconducibili agli indagati per 200 milioni di euro. Una vera holding criminale che spaziava dalla corruzione, per aggiudicarsi appalti, all' estorsione, all' usura e al riciclaggio. Un sodalizio radicato a Roma con a capo il redivivo ex Nar ed ex Banda Magliana Massimo Carminati. Ai 37 indagati la Procura contesta i reati di associazione di stampo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d' asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e altri reati. Al centro dell' indagine del Ros, un sodalizio da anni radicato nella Capitale facente capo a Massimo Carminati, con infiltrazioni "diffuse" nel tessuto imprenditoriale politico e istituzionale. L' ex ad dell' Ente Eur, Riccardo Mancini, e l' ex amministratore di Ama, Franco Panzironi, rappresentano "pubblici ufficiali a libro paga che forniscono all' organizzazione uno stabile contributo per l' aggiudicazione degli appalti". Così i pm romani nel capo di imputazione che li riguarda. Gli inquirenti hanno documentato un sistema corruttivo finalizzato all' assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune di Roma e dalle aziende municipalizzate, con interessi anche nella gestione dei centri di accoglienza per gli immigrati. Sono 37 le ordinanze di custodia cautelare. In carcere sono finite 29 persone mentre otto sono state poste ai domiciliari.

I nomi degli arrestati: l'ex Nar e Banda della Magliana Massimo Carminati, l' ex ad di Ente Eur Riccardo Mancini, l' ex vicecapo di gabinetto del Campidoglio Luca Odevaine, l' ex ad dell' Ama Franco Panzironi, l' ex dirigente del servizio giardini del Comune di Roma Claudio Turella e il dirigente dell' Ama Giovanni Fiscon. E ancora in carcere Riccardo Brugia, Roberto Lacopo, Matteo Calvio, Fabio Gaudenzi, Raffaele Bracci, Cristiano Guarnera, Giuseppe Ietto, Agostino Gaglianone, Salvatore Buzzi, Fabrizio Franco Testa, Carlo Pucci, Sandro Coltellacci, Nadia Cerrito, Claudio Caldarelli, Carlo Maria Guarany, Emanuela Bugitti, Alessandra Garrone, Paolo Di Ninno, Pierina Chiaravalle, Giuseppe Mogliani, Giovanni Lacopo, Claudio Turella, Emilio Gammuto, Giovanni De Carlo.

Ai domiciliari sono finiti invece: Patrizia Caracuzzi, Emanuela Salvatori, Sergio Menichelli, Franco Cancelli, Marco Placidi, Raniero Lucci, Rossana Calistri, Mario Schina.

Massimo Carminati sembrava imprendibile e intoccabile ed è uno dei personaggi chiave del libro di Floriana Bulfon e Pietro Orsatti nell' inchiesta "Grande raccordo criminale". Le inchieste da almeno da più di 30 anni l’avevano indicato come "l’anima nera” del crimine capitolino più spietato e ramificato. Oggi, grazie all’operazione dei Ros, è finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa. Massimo Carminati sembrava imprendibile e intoccabile. Le inchieste da almeno da più di 30 anni l’avevano indicato come "l’anima nera” del crimine capitolino più spietato e ramificato. Oggi, grazie all’operazione dei Ros, è finito in manette con l’accusa di associazione mafiosa.

2 dicembre 2014
www.ansa.it/lazio/notizie/2014/12/02/roma-28-arresti-per-mafia.-indagato-anche-alemanno_36fd7abf-6a18-4ed7-a2e6-7423a2806...
17/03/2015 00:54
 
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ROS dei carabinieri arresta manager e imprenditori per corruzione (TAV e EXPO)

Il super-dirigente del Ministero dei Lavori Pubblici (ora consulente esterno), Ercole Incalza, è tra i quattro arrestati dell'inchiesta della Procura di Firenze e del ROS. Gli altri sono gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, e Sandro Pacella, collaboratore di Incalza. Tutte le principali Grandi opere - in particolare gli appalti relativi alla TAV ed anche alcuni riguardanti l'EXPO, ma non solo - sarebbero state oggetto dell' "articolato sistema corruttivo" messo in piedi dalle persone arrestate ed indagate dalla procura di Firenze e dai carabinieri del ROS. Anche dei politici figurano tra gli oltre 50 indagati nell'ambito dell'inchiesta della procura di Firenze sulle tangenti per gli appalti delle Grandi opere.

16 marzo 2015
www.ilnord.it/b5492_ROS_DEI_CARABINIERI_ARRESTA_MANAGER_E_IMPRENDITORI_PER_CORRUZIONE_TA...
01/05/2015 04:08
 
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Pensioni: legge Fornero bocciata dalla Corte Costituzionale

ANSA - La legge bocciata oggi dalla Corte Costituzionale in materia di perequazione delle pensioni è la cosiddetta norma Fornero contenuta nel ”Salva Italia”. L’impatto sui conti pubblici, stimato dall’Avvocatura dello Stato quando si tenne l’udienza pubblica, sarebbe di circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013. La norma che, per il 2012 e 2013, ha stabilito, “in considerazione della contingente situazione finanziaria”, che sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo INPS scattasse il blocco della perequazione, ossia il meccanismo che adegua le pensione al costo della vita, è incostituzionale. Lo ha deciso la Corte Costituzionale, ‘bocciando’ l’art. 24 del decreto legge 2010/2011. “L’interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio”, afferma la Corte nella sentenza 70 depositata oggi, di cui è relatore il giudice Silvana Sciarra.

30 aprile 2015
www.imolaoggi.it/2015/04/30/pensioni-legge-fornero-bocciata-dalla-corte-costitu...
02/05/2015 20:59
 
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G8 Genova, Corte Strasburgo condanna l'Italia:"Alla Diaz fu tortura, ma colpevoli impuniti"

STRASBURGO - Quanto compiuto dalle forze dell'ordine italiane nell'irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 "deve essere qualificato come tortura". Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l'Italia non solo per il pestaggio subìto da uno dei manifestanti (l'autore del ricorso) durante il G8 di Genova , ma anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura; un vuoto legislativo che ha consentito ai colpevoli di restare impuniti. "Questo risultato - scrivono i giudici - non è imputabile agli indugi o alla negligenza della magistratura, ma alla legislazione penale italiana che non permette di sanzionare gli atti di tortura e di prevenirne altri".


Il sangue sui pavimenti della Diaz dopo l'irruzione della polizia

Il ricorso
All'origine del procedimento c'era il ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, manifestante veneto che all'epoca aveva 62 anni e che rimase vittima del violento pestaggio da parte della polizia durante l'irruzione nella sede del Genova Social Forum. L'uomo, il 21 luglio 2001, era il più anziano dei manifestanti presenti nella scuola Diaz a Genova. Gli agenti lo sorpresero mentre dormiva, gli ruppero un braccio, una gamba e dieci costole durante i pestaggi. Nel ricorso, portato avanti dagli avvocati Nicolò e Natalia Paoletti, Joachim Lau e Dario Rossi, Cestaro afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell'ordine tanto da dover essere operato e subire ancora oggi le conseguenze delle percosse subite. Sostiene inoltre che le persone colpevoli di quanto ha subìto avrebbero dovuto essere punite adeguatamente, ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura o reati altrettanto gravi.

Il reato di tortura
I giudici gli hanno dato ragione in toto, decidendo all'unanimità che lo stato italiano ha violato l'articolo 3 della convenzione sui diritti dell'uomo dove recita:"Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". La Corte di Strasburgo ha stabilito dunque che il trattamento che è stato inflitto al ricorrente deve essere considerato come "tortura". Ma nella sentenza i giudici sono andati oltre, affermando che se i responsabili non sono mai stati puniti è soprattutto a causa dell'inadeguatezza delle leggi italiane, che quindi devono essere cambiate. La mancata identificazione degli autori materiali dei maltrattamenti è dipesa, accusano poi i giudici, "in parte dalla difficoltà oggettiva della procura a procedere a identificazioni certe, ma al tempo stesso dalla mancanza di cooperazione da parte della polizia". Nella sentenza si sottolinea quindi che la mancata considerazione di determinati fatti come reati non permette, anche in prospettiva, allo Stato di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze da parte delle forze dell'ordine.

Ritorno alla Diaz, parlano le vittime del pestaggio
In particolare per quanto riguarda il caso di Cestaro, "aggredito da parte di alcuni agenti a calci e a colpi di manganello", la Corte parla di "assenza di ogni nesso di causalità" fra la condotta dell'uomo e l'utilizzo della forza da parte della polizia nel corso dell'irruzione nella scuola e di maltrattamenti "inflitti in maniera totalmente gratuita" e qualificabili come "tortura"; reato per il quale non può essere prevista quella prescrizione che ha salvato anche i pochi responsabili delle violenze di quei giorni finiti sotto processo. L'azione avviata da Cestaro assume particolare rilevanza poiché è destinata a fare da precedente per un gruppo di ricorsi pendenti. L'Italia dovrà versare a Cestaro un risarcimento di 45mila euro.

Il commento di Cestaro
"I soldi non risarciscono il male che è stato fatto. E' vero, è un primo passo quello di oggi, ma mi sentirò davvero risarcito solo quando lo Stato introdurrà il reato di tortura", è stato il commento di Cestaro dopo la lettura della sentenza. "Oggi ho 75 anni, ma non cancellerò mai l'orrore vissuto. Ho visto il massacro in diretta, ho visto l'orrore con il volto dello Stato. Dopo quindici anni, le scuse migliori sono le risposte reali, non i soldi. Il reato di tortura deve essere introdotto nel nostro ordinamento".

La nuova legge

La proposta di legge che introduce nel codice penale il reato di tortura è all'esame del Parlamento da quasi due anni: approvata dal senato poco più di un anno fa, il 5 marzo 2014, dopo una discussione durata 8 mesi, ora è in seconda lettura alla camera dove il 23 marzo scorso è approdata in aula per la discussione generale. L'esame dovrebbe riprendere in settimana, dopo l'ok alla riforma del terzo settore, con i tempi contingentati e quindi certi e rapidi. Ma il testo, già modificato dalla Commissione giustizia di Montecitorio, dovrà tornare al Senato.

"Che tristezza, deve essere una "entità esterna" come la Corte di Strasburgo a spiegarci che a #Diaz e #Bolzaneto ci fu tortura". Così twitta Daniele Vicari, regista del film Diaz - Don't Clean Up This Blood, dopo il verdetto della Corte di Strasburgo.

Altre sentenze in arrivo
Le sentenze della Corte europea dei diritti umani sui fatti avvenuti a Genova dopo il G8 non sono ancora finite. Davanti ai giudici di Strasburgo pendono altri due ricorsi presentati da 31 persone per i pestaggi e le umiliazioni ai quali furono sottoposti nella caserma di Bolzaneto. La Corte non ha ancora deciso ufficialmente quando emetterà le sentenze, ma fonti di Strasburgo affermano che non tarderanno molto ad arrivare.

Giuliani:''Condanna positiva ma anche rabbia: la Corte bocciò nostro ricorso'
Secondo il Sap, il Sindacato autonomo di polizia, "Diaz non è stata sicuramente una bella parentesi, ma parlare di tortura mi sembra eccessivo". Il segretario nazionale del Sap, Gianni Tonelli, ha poi aggiunto:"In Italia la normativa c'è già ed è ampiamente presente - ha aggiunto - il problema è che non è stata ancora qualificata come tale perché si cerca di far passare un manifesto ideologico contro le forze dell'ordine". La sentenza di Strasburgo è stata commentata anche da Patrizio Gonnella, presidente dell'Associazione Antigone:"C'è una giustizia a Strasburgo. L'Italia condannata per le brutalità e le torture della Diaz che, finalmente in Europa e solo in Europa, possono essere chiamate tortura. In Italia questo non si può fare perché manca il reato nel codice penale. Un fatto vergognoso e gravissimo, lo avevamo detto più volte. Fra l'altro c'è un nostro ricorso analogo pendente a Strasburgo per le violenze nel carcere di Asti dove, ugualmente, la Corte ha rinunciato a punire in mancanza del reato. Speriamo che questa sentenza renda rapida la discussione parlamentare e ci porti ad una legge che sia fatta presto e bene, cioè in coerenza con il testo delle Nazioni Unite". Secondo Enrica Bartesaghi, presidente del Comitato 'Verità e Giustizia per Genova', l'associazione che riunisce i familiari delle vittime dei pestaggi durante il G8, la sentenza rappresenta un ‘risarcimento morale’:"Si tratta di un precedente ottimo. Un precedente che ci dà una risarcimento morale per le torture avvenute".

07 aprile 2015
www.repubblica.it/politica/2015/04/07/news/diaz_corte_strasburgo_condanna_l_italia_per_tortura-11...
05/06/2015 14:46
 
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Mafia Capitale: altri 44 arresti. Indagato anche Sottosegretario Castiglione. Oggi i primi interrogatori

C'è anche il Sottosegretario all'Agricoltura, Giuseppe Castiglione (NCD), tra i sei indagati per turbativa d'asta nell'inchiesta della Procura di Catania sull'appalto per la gestione del Cara di Mineo. Lo si rileva dagli atti dell'inchiesta. “Ora basta”, attacca l'esponente centrista, che chiede “di fare luce nel più breve tempo possibile sulla mia posizione visto il ruolo istituzionale che ricopro". Prima tornata di interrogatori di garanzia per i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare emesse nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta Mafia Capitale. Oggi saranno sentiti dal GIP Flavia Costantini tutti coloro che sono stati reclusi a Regina Coeli: tra questi Mirko Coratti, già Presidente dell'Assemblea Comunale; Francesco Ferrara, Dirigente della cooperativa "La Cascina"; il Dirigente Comunale Angelo Scossafava e l'ex Assessore della Giunta Marino, Daniele Ozzimo. Domani sarà la volta di tutti gli indagati condotti ieri nel carcere di Rebibbia. Indagata Gabriella Errico, la Presidente della cooperativa "Un sorriso", finita sotto i riflettori alcuni mesi fa durante le violente proteste scoppiate nel quartiere della periferia romana di Tor Sapienza tra i residenti e gli immigrati del centro d'accoglienza gestito dalla cooperativa. Il reato che le viene contestato è quello di turbativa d'asta, anche se il GIP ha deciso di rigettare la richiesta di misura cautelare spiegando che nei suoi confronti "possa essere effettuata una prognosi favorevole, in ordine all'astensione dalla commissione di ulteriori reati, tenuto anche conto della pena che ragionevolmente potrà essere irrogata".

La vicenda di Castiglione
La notizia anticipata dal quotidiano La Sicilia di Catania ha trovato riscontro nel decreto di perquisizione eseguito ieri da carabinieri del capoluogo etneo negli uffici comunali di Mineo, compresa l'acquisizione di tutti gli apparecchi informatici e i supporti digitali negli uffici in uso diretto e indiretto del sindaco, ed emesso dal Procuratore Giovanni Salvi e dai sostituti Raffaella Agata Vinciguerra e Marco Bisogni. Nel decreto di sette pagine, che vale anche come informazione di garanzia, ci sono i nomi dei sei indagati: Giuseppe Castiglione, che è anche Deputato Nazionale e Coordinatore di NCD in Sicilia, "nella qualità di soggetto attuatore per la gestione del Cara di Mineo"; Giovanni Ferrera, "nella qualità di Direttore Generale del Consorzio tra Comuni, Calatino Terra di Accoglienza"; Paolo Ragusa, "nella qualità di presidente della Cooperativa Sol. Calatino"; Luca Odevaine "nella qualità di consulente del presidente del Consorzio dei Comuni", e i sindaci di Mineo e Vizzini, Anna Aloisi e Marco Aurelio Sinatra. Nel decreto la Procura ipotizza che gli indagati "turbavano le gare di appalto per l'affidamento della gestione del Cara di Mineo del 2011, prorogavano reiteratamente l'affidamento e prevedevano gare idonee a condizionare la scelta del contraente con riferimento alla gara di appalto 2014". La Procura di Catania mantiene il massimo riserbo sull'inchiesta, limitandosi a richiamare quanto aveva scritto ieri durante le perquisizioni dei carabinieri del ROS di Catania "finalizzate a verificare se gli appalti per la gestione del Cara siano stati strutturati dal soggetto attuatore al fine di favorire l'ATI, condotta dalla cooperativa catanese Sisifo, così come emerso anche nelle indagini della Procura di Roma, con la quale è costante il coordinamento delle indagini".

Mafia Capitale, nuova ondata di arresti

Personaggi della politica con ruoli di raccordo tra l'organizzazione e le istituzioni, fiumi di denaro e cooperative coinvolte nel giro d'affari sporco, dove - si legge nell'espressione contenuta in un'intercettazione - "la mucca deve mangiare per essere munta". Una nuova ondata di arresti che scuote ancora il mondo politico, nel secondo capitolo dell'inchiesta "Mondo di Mezzo", su Mafia Capitale, condotta dalla procura di Roma e dai carabinieri del ROS: 44 gli arresti in Sicilia, Lazio e Abruzzo per associazione per delinquere ed altri reati. Oggi ci saranno i primi interrogatori in carcere. Ventuno gli indagati a piede libero. Sullo sfondo il business legato ai flussi migratori e alla gestione dei campi di accoglienza per migranti. Tra gli arrestati ci sono anche l'ex Presidente del Consiglio Comunale di Roma, Mirko Coratti, e Luca Gramazio, accusato di partecipazione all'associazione mafiosa capeggiata da Carminati, che avrebbe favorito sfruttando la sua carica politica: prima di capogruppo PDL al Consiglio di Roma Capitale ed in seguito quale capogruppo PDL (poi FI) presso il Consiglio Regionale del Lazio. In manette anche l'ex Assessore alla Casa del Campidoglio, Daniele Ozzimo e Angelo Scozzafava, ex Assessore Comunale a Roma alle Politiche Sociali. I ROS hanno arrestato anche i consiglieri comunali Giordano Tredicine, Massimo Caprari e l'ex Presidente del X Municipio (Ostia), Andrea Tassone. I provvedimenti hanno riguardato anche alti dirigenti della Regione Lazio come Daniele Magrini nella veste di responsabile del Dipartimento Politiche Sociali. Arrestati anche Mario Cola, dipendente del Dipartimento Patrimonio del Campidoglio e Franco Figurelli, che lavorava presso la segreteria di Mirko Coratti. Infine posto ai domiciliari il costruttore Daniele Pulcini. "Chi ruba, in galera, paghi tutto", commenta il premier Matteo Renzi. Il PD è sotto attacco ma mette in campo una difesa netta e chiara delle giunte Zingaretti e Marino.

Buzzi:'Consiglieri devono stare ai nostri ordini'
"I consiglieri comunali devono stare ai nostri ordini". Questa è la perentoria affermazione pronunciata da Salvatore Buzzi, in una telefonata con Massimo Carminati, intercettata e registrata dai carabinieri del ROS. "Ma perché dovrei stare agli ordini tuoi? Te pago!", replica Carminati dall'altro capo della cornetta. Poi l'intimidazione:"Dice, e se non rispetti gli accordi? Non rispetti gli accordi? Ma tu lo sai chi sono io? Ti ricordi da dove vengo?", sottolinea il leader dell'organizzazione, riferendosi ai trascorsi negli ambienti dell'eversione e della criminalità. Buzzi, ascoltando la minaccia, sorride. Carminati poi evoca "il rispetto". "Io gli accordi li rispetto - dice - ma dovresti rispettarli pure tu". Buzzi concorda:"Noi gli accordi li rispettiamo anticipati. Non so quanti sono quelli che li rispettano in anticipo". E conclude:"Abbiamo una grandissima credibilità".

'La mucca deve mangiare per essere munta'
"La mucca deve mangiare" per essere "munta". Lo dice il ras delle coop sociali Salvatore Buzzi in una telefonata intercettata con Franco Figurelli, componente della Segreteria dell'ex Presidente dell'Assemblea Capitolina Mirko Coratti (PD), entrambi, per i PM, a libro paga di Mafia Capitale. Buzzi:"Ahò, ma scusa, la sai la metafora? La mucca deve mangiare". Figurelli:"Aho ma questa metafora io gliela dico sempre al mio amico, mi dice:'Non mi rompere il ca.. perché se questa è la metafora lui ha già fatto, per cui non mi rompere'". Buzzi:"Aho, però diglielo:'Guarda che ha detto Buzzi che qui la mucca l'amo munta tanto'". Figurelli:"Allora, ieri me c'ha mannato aff... per avè detto sta cosa, tu non hai capito, me c'ha mannato aff..., dice:'Non ti può rispondere così l'amico Salvatore perché noi già fatto'". Secondo il ROS dei carabinieri, Buzzi avrebbe, tra le altre cose, assunto nelle sue cooperative una ragazza segnalata da Coratti, comunicando l'arrivo della giovane allo 'ndranghetista Rocco Rotolo, anch'egli inserito nelle coop.

'Carminati è un grande, ci fa fare un sacco di lavori'
"Massimo Carminati è un grande. Ci sta facendo fare un sacco di cose, un sacco di lavori", afferma Salvatore Buzzi, in una telefonata con il suo collaboratore Emilio Gammuto, intercettata dai ROS. "Su a Ostia - spiega Buzzi - anche se non direttamente ma attraverso un suo collaboratore, abbiamo preso un milione e due per il taglio del verde". "Per il campo nomadi ci ha messo pure i soldi, mi sa, eh?", chiede Gammuto. E Buzzi conferma:"Sì, ci ha messo 500mila euro di tasca sua". "Ma li ha ripresi?", chiede l'altro. "Ha ripreso tutto. A giugno ha ripreso tutto. E non solo: ci avrà guadagnato 300mila euro", spiega ancora Buzzi. "Eh, vabbé! Avrà anche aspettato, ma ne è valsa la pena", dice Gammuto. Nella stessa conversazione si parla anche di Luca Gramazio. "Avevamo un lavoro da due milioni di euro sui centri di prenotazione della ASL, come formula sociale", dice Salvatore Buzzi, spiegando che in un secondo momento è uscita la gara regionale. "Allora non abbiamo detto: scusa, facciamola insieme. Ce li lasci due milioni anche a noi, no?". A questo punto l'interlocutore, racconta sempre Buzzi, si sarebbe irrigidito. "Mi ha detto, 'ah no, a me me lo devono dire'. Ma come? E chi te lo deve dire? E insomma, non ce li ha voluti lasciare", dice Buzzi, che, visto l'intoppo, chiama subito Massimo Carminati. "Massimo è andato subito da Gramazio", conclude Buzzi, pronunciando, per precauzione, il nome del leader dell'organizzazione malavitosa a bassa voce. Il blitz dei carabinieri è scattato nelle province di Roma, Rieti, Frosinone, L'Aquila, Catania ed Enna. Nell'ordinanza di custodia cautelare, emessa su richiesta della procura distrettuale antimafia di Roma, vengono ipotizzati a vario titolo i reati di associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d'asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori ed altro. Altre 21 persone sono indagate per gli stessi reati.

Il ruolo di Gramazio
"Luca Gramazio svolge un ruolo di collegamento tra l'organizzazione da un lato e la politica e le istituzioni dall'altro, ponendo al servizio della stessa il suo 'munus publicum' e il suo ruolo politico", spiega il GIP Flavia Costantini nell'ordinanza di custodia cautelare per il Consigliere Regionale di Forza Italia. “Gramazio”, scrive il GIP, "può ricondursi al capitale istituzionale di Mafia Capitale: quel sistema di relazioni con uomini politici, apparati burocratici, soggetti appartenenti a vario titolo alle istituzioni, che costituiscono il contatto privilegiato dell'organizzazione con il mondo di sopra". L'esponente di FI rappresenta "un collegamento che, sul piano politico, si traduce nella costruzione del consenso necessario ad assecondare gli affari del sodalizio; sul piano istituzionale, in materia di iniziative formali e informali intese per un verso a collocare nei plessi - sensibili per l'organizzazione - dell'amministrazione pubblica soggetti graditi, per altro verso nell'orientare risorse pubbliche in settori nei quali il sodalizio, in ragione del capitale istituzionale di cui dispone, ha maggiori possibilità di illecito arricchimento". Per il gIP, elabora "insieme ai vertici dell'organizzazione le strategie di penetrazione della pubblica amministrazione".

Gramazio in un'intervista su La7



"Novantottomila euro in contanti in tre tranches (50.000-28.000-20.000); 15.000 euro con bonifico per finanziamento al comitato Gramazio; l'assunzione di 10 persone, cui veniva garantito nell'interesse di Gramazio uno stipendio; la promessa di pagamento di un debito per spese di tipografia". Sono alcune delle "utilità" che, secondo il capo di imputazione, avrebbe ricevuto Luca Gramazio per "porre le sue funzioni istituzionali al servizio" dell'associazione capeggiata da Massimo Carminati. In particolare, Gramazio è accusato di concorso in corruzione per una serie di atti contrari ai doveri d'ufficio di Consigliere Regionale (avrebbe favorito "la destinazione di risorse regionali destinate al Comune di Roma, poi orientate verso il X Municipio") e, soprattutto, comunale: in relazione allo stanziamento di un milione di euro per le piste ciclabili; alla proroga dei lavori sul verde pubblico alle cooperative sociali; al riconoscimento del debito fuori bilancio per l'emergenza dei minori non accompagnati provenienti dal Nord-Africa; all'assestamento del Bilancio di Previsione 2012 e pluriennale 2012-2014. Gramazio è poi accusato di aver partecipato all'associazione di stampo mafioso di Carminati con precisi compiti, indicati nel capo di imputazione:"Pone al servizio dell'organizzazione le sue qualità istituzionali, svolge una funzione di collegamento tra l'organizzazione, la politica e le istituzioni, elabora, insieme a Testa, Buzzi e Carminati, le strategie di penetrazione della Pubblica Amministrazione, interviene, direttamente e indirettamente nei diversi settori della Pubblica Amministrazione nell’interesse dell'associazione". Le indagini dei ROS hanno evidenziato "la straordinaria pericolosità di Luca Gramazio". E' quanto scrive il GIP di Roma, motivando le esigenze cautelari nei confronti di Gramazio; sottolinea il giudice:"Potrebbe sfruttare la rete ampia dei collegamenti per fornire nuova linfa alle attività delittuose e agli interessi dell'associazione" capeggiata da Massimo Carminati, "nonostante lo stato detentivo di numerosi sodali".

Perquisita anche sede cooperativa La Cascina, gestisce Centro Accoglienza per Richiedenti Asilo in Sicilia

Delle perquisizioni in corso nell'ambito di Mafia Capitale, una riguarda la cooperativa "La Cascina", vicina al mondo cattolico. Gestisce tra l'altro il Cara (Centro Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Mineo, in Sicilia. La perquisizione rientra nel quadro degli accertamenti sulla gestione degli appalti per i rifugiati. I manager della cooperativa 'La Cascina' erano "partecipi degli accordi corruttivi con Luca Odevaine" e hanno commesso "plurimi episodi di corruzione e turbativa d'asta" dal 2011 al 2014, mostrando così una "spiccata attitudine a delinquere" per ottenere vantaggi economici: è l'accusa che il GIP di Roma rivolge a Domenico Cammissa, Salvatore Menolascina, Carmelo Parabita e Francesco Ferrara, tutti manager della cooperativa. Per Ferrara è stato disposto il carcere, mentre nei confronti degli altri tre sono scattati i domiciliari. Secondo il GIP, Odevaine avrebbe ricevuto dai quattro "la promessa di una retribuzione di 10.000 euro mensili, aumentata a 20.000 euro mensili dopo l'aggiudicazione del bando di gara del 7 aprile 2014, per la vendita della sua funzione e per il compimento di atti contrari ai doveri del suo ufficio in violazione dei doveri d'imparzialità della Pubblica Amministrazione". Nello specifico, Odevaine avrebbe tra l'altro orientato le scelte del Tavolo di Coordinamento Nazionale sull'accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale, in modo da creare le condizioni per l'assegnazione dei flussi di immigrati alle strutture gestite dal gruppo La Cascina. Avrebbe inoltre fatto pressioni finalizzate a far aprire i centri per immigrati in luoghi graditi alla cooperativa e concordato con i manager il contenuto degli stessi bandi di gara, che venivano poi predisposti in modo da garantire l'attribuzione di un punteggio elevato alla stessa La Cascina.

Odevaine era il raccordo tra la cooperativa e il Viminale
Luca Odevaine sarebbe il 'raccordo' tra la cooperativa La Cascina e il Viminale. E' lo stesso appartenente al Tavolo di Coordinamento Nazionale sull'accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale a spiegarlo ai manager de La Cascina nel corso di diverse intercettazioni riportate nell'ordinanza di custodia cautelare del GIP di Roma. Nel capitolo dedicato ai rapporti tra Odevaine e i manager, il GIP sottolinea che è stato lo stesso indagato, in dichiarazioni spontanee ai magistrati, a parlare di questo ruolo, sostenendo che in realtà il Tavolo aveva solo una funzione politica. "Non aveva nessun potere - ha messo a verbale Odevaine - nell'attivare Centri o spostare immigrati da un centro all'altro, semplicemente dettava le linee generali della politica". Scelte che invece spettavano al Viminale. Ed in questo quadro, ha aggiunto, "quello che facevo io... era di facilitare il Ministero da una parte nella ricerca degli immobili che potessero essere messi a disposizione per l'emergenza abitativa". Insomma il suo era un ruolo di "facilitatore dei rapporti con la Pubblica Amministrazione... in ragione delle mie conoscenze maturate nel tempo". Nelle conversazioni con i manager della cooperativa, però, Odevaine è più chiaro. Il mio compito, spiega infatti ad un dipendente de La Cascina, "non è tanto stare direttamente dentro ai Centri... il lavoro che gli faccio è di collegamento con il Ministero dell'Interno soprattutto per trovare... poi... la possibilità di implementare il lavoro... e facciamo accordi sugli utili in genere... insomma ci si dividono un pò gli utili". Ad un suo collaboratore racconta invece cosa ha detto ai manager della cooperativa:"Vi dico sinceramente... c'ho richieste da parte del Ministero di apertura di altri centri e li sto dando ai vostri concorrenti".

'Mi dai un euro per ogni migrante'
"Se me dai... me dai cento persone facciamo un euro a persona". E' il "criterio di calcolo delle tangenti", secondo il GIP di Roma, che Luca Odevaine spiega ai manager della cooperativa La Cascina, interessati alla gestione dei Centri per gli immigrati e disposti, sempre secondo l'accusa, a pagare uno stipendio fisso a Odevaine. Nell'ordinanza di custodia cautelare ci sono decine di intercettazioni tra i manager della Cascina e lo stesso Odevaine, tutte centrate su quale debba essere la percentuale da corrispondere, non solo per 'l'aiuto' ottenuto per la gara relativa al Cara di Mineo ma anche per quanto Odevaine potrebbe fare per i centri di Roma e di San Giuliano di Puglia. Ed in una di queste conversazioni, con Domenico Cammisa (agli arresti domiciliari) Odevaine spiega quello che il ROS e il GIP definiscono "criterio di calcolo delle tangenti". "Allora altre cose in giro per l'Italia - dice Odevaine a Cammisa - ...possiamo pure quantificare, guarda... se me... se me dai... cento persone facciamo un euro a persona... non lo so, per dire, hai capito? E... e basta uno ragiona così dice va beh... ti metto 200 persone a Roma, 200 a Messina... 50 là... e... le quantifichiamo, poi". “Parole che”, sottolinea il GIP, "arrivano a prospettare un vero e proprio 'tariffario per migrante ospitato'."

Dal clan mille euro al mese per il Consigliere Comunale
Il clan di Carminati e Buzzi avrebbe garantito mille euro al mese e un posto di lavoro per un conoscente al Consigliere Comunale Massimo Caprari del Centro Democratico, della maggioranza del sindaco Ignazio Marino. E' quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare emessa a suo carico dal GIP Flavia Costantini. Il Consigliere, in cambio, avrebbe assicurato all'organizzazione "il suo voto favorevole al riconoscimento del debito fuori bilancio per l'anno 2014". In un colloquio intercettato tra Buzzi e il Vicepresidente della cooperativa "La Cascina", Francesco Ferrara, il braccio destro di Carminati afferma:"Te l'ho detto, Caprari è venuto da me: voleva tre posti di lavoro". Buzzi, scrive il GIP nel provvedimento, riferiva a Ferrara che, per accogliere le sue richieste, Caprari si era rivolto a lui chiedendogli in cambio l'assunzione di tre persone, che poi era stata ridotta a una sola, al che il rappresentante de La Cascina replicava dicendo che un posto di lavoro equivaleva a circa 30.000 euro l'anno". Concluso l'accordo e assunta la persona indicata da Caprari, lo stesso Buzzi, intercettato, avrebbe poi commentato:"Quello di Caprari l'ho preso per tre mesi, in tre mesi la mucca deve mangiare in tre mesi".

Alemanno chiese aiuto a Buzzi per le elezioni europee

Per le elezioni al parlamento europeo del maggio 2014, Gianni Alemanno chiese l'appoggio a Salvatore Buzzi. Quest'ultimo si sarebbe mosso per ottenere il sostegno alla candidatura anche con gli uomini della cosca 'ndranghetista dei Mancuso di Limbadi. E' quanto emerge dall'ordinanza di custodia in carcere dove vengono descritti i rapporti e le "cointeressenze di natura economico/criminali tra Mafia Capitale e la cosca calabrese". I 44 arresti di oggi scaturiscono dalla prosecuzione delle indagini avviate nel 2012 dal ROS e dalla Procura di Roma, che il 2 dicembre scorso avevano consentito di disarticolare l'organizzazione mafiosa capeggiata da Massimo Carminati. In quella occasione vennero arrestate 37 persone, accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d'asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio ed altri reati, con l'aggravante delle modalità mafiose e per essere l'associazione armata. Secondo gli investigatori, gli accertamenti successivi a quella tornata di arresti hanno confermato "l'esistenza di una struttura mafiosa operante nella Capitale, cerniera tra ambiti criminali ed esponenti degli ambienti politici, amministrativi ed imprenditoriali locali". In particolare le indagini hanno documentato quello che gli inquirenti definiscono un "ramificato sistema corruttivo finalizzato a favorire un cartello d'imprese, non solo riconducibili al sodalizio, interessato alla gestione dei centri di accoglienza e ai consistenti finanziamenti pubblici connessi ai flussi migratori".

Marino:'Non mi dimetto. Arresti in maggioranza? Bene se colpevoli'
"Dimissioni? Continuiamo in questo modo. Stiamo cambiando tutto", ha risposto il sindaco di Roma Ignazio Marino a chi gli chiede se avesse pensato di dimettersi dopo la nuova ondata di arresti per l'inchiesta su Mafia Capitale. "Credo che - ha aggiunto Marino - la politica nel passato abbia dato un cattivo esempio ma oggi sia in Campidoglio che in alcune aree come Ostia abbiamo persone perbene che vogliono ridare la qualità di vita e tutti i diritti e la dignità che la Capitale merita". "Non ho nessun giudizio da dare. Non spetta a me commentare il lavoro della Procura e della Magistratura, che deve fare il suo corso. Certamente se verranno individuate colpe e verranno puniti i colpevoli questo lo vedo estremamente positivo", ha detto il sindaco di Roma Ignazio Marino a chi gli ha chiesto un commento sulla nuova ondata di arresti, in cui figurano anche nomi di esponenti della maggioranza in Campidoglio.

05 giugno 2015
www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/06/04/-mafia-roma-44-arresti-business-su-immigrati-_eb2f8c9f-16c5-4072-940b-0dc90f4b9...
[Modificato da wheaton80 05/06/2015 14:48]
30/07/2015 01:20
 
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Finanza sequestra Porto turistico Ostia, vincolati beni per 400 mln


Mauro Balini

ROMA (Reuters) - La Guardia di Finanza ha annunciato oggi di aver sequestrato il Porto turistico di Roma, una marina da oltre 800 posti barca a Ostia, nell'ambito di un'inchiesta della Procura capitolina. L'inchiesta, che vede quattro arrestati tra cui il presidente del porto, l'imprenditore Mauro Balini, è partita nel 2012, spiega una nota. "I 4 arrestati sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, riciclaggio, impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori", dice la nota. Altre 9 persone sono state denunciate a piede libero. Gli agenti hanno sequestrato beni - tra cui posti barca, parcheggi, strutture amministrative, commerciali e aree portuali - all'interno del porto per un valore commerciale complessivo di oltre 400 milioni di euro. Nell'inchiesta, che non è legata a quella su Mafia Capitale che negli ultimi mesi ha visto l'arresto di esponenti politici, dirigenti amministrativi del Comune e imprenditori per una serie di presunte vicende di corruzione, ci sono anche 15 indagati, ha detto a Reuters un ufficiale della Finanza. Non è stato possibile raggiungere per un commento i legali di Balini. Secondo gli inquirenti, Balini e gli altri arrestati avrebbero portato a fallimento la società che ha realizzato il porto e che fino al 2008 era concessionaria dell'infrastruttura, attraverso la distrazione di fondi, finiti poi ad altre società di Balini.

29 luglio 2015
it.reuters.com/article/topNews/idITKCN0Q30OD20150729
21/01/2016 14:15
 
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Spartivano con i rom i soldi dei furti, arrestati due poliziotti

Spartivano con i rom i soldi dei furti commessi in Stazione Centrale a Milano. Per questo, due agenti della Squadra Mobile di Milano, che erano in servizio alla sezione di contrasto ai crimini diffusi e in particolare all'unità antiborseggio, sono finiti agli arresti domiciliari con le accuse di concussione e falso in atti d'ufficio. Il PM Antonio D'Alessio aveva chiesto per loro il carcere, ma il GIP di Milano Giuseppe Vanore ha disposto la misura meno afflittiva. Sono finiti in carcere, invece, 23 nomadi serbo-bosniaci, tra cui molte donne. Due di loro sarebbero state tra i promotori dell'associazione per delinquere finalizzata ai furti perché avrebbero selezionato le persone che dovevano compiere i colpi. "Fino a ieri i due agenti - ha spiegato il capo della squadra mobile Alessandro Giuliano - facevano parte di una sezione che produce grandi risultati nel contrasto ai crimini predatori e se verranno provate le accuse sarà una cosa molto grave, un tradimento verso coloro che svolgono sempre egregiamente e con onestà le loro funzioni". Il dirigente della POLFER Francesco Costanzo, invece, ha precisato che gran parte dei furti al centro delle indagini sono stati compiuti prima che alla stazione Centrale di Milano fossero introdotti, quando è iniziato l'Expo lo scorso maggio, i gate di accesso ai binari (per entrare bisogna mostrare di avere un biglietto per i treni). "Con l'introduzione dei gate - ha spiegato - i furti sono calati del 75%". L'indagine va avanti da ottobre 2014. I poliziotti osservavano l'attività criminosa e intervenivano successivamente per chiedere la consegna di parte della refurtiva in cambio del loro silenzio, minacciando i rom di far perdere loro i figli minori, che spesso li accompagnavano nell'operazione. Ad accusare i due agenti sono stati i rom, che che sarebbero stati da loro taglieggiati. Agli inquirenti hanno raccontato di un "sistematico" taglieggiamento, confermato da pedinamenti, intercettazioni e filmati. In un caso, i poliziotti si sarebbero fatti consegnare 600 euro, in un altro mille. Ogni appartenente della banda di nomadi riusciva ad accumulare un bottino tra i 500 e i 1.000 euro al giorno, rubando orologi e preziosi. Il furto record è quello di gioielli per 120mila euro sottratti al passeggero di un treno. Le vittime erano spesso turisti stranieri, anche giapponesi e americani, a volte derubati con la scusa di un aiuto a sistemare i bagagli.

17 dicembre 2015
www.ilgiorno.it/milano/poliziotti-arrestati-furti-rom-1....
14/02/2016 03:09
 
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Roma, carabinieri spacciavano la droga sequestrata dai colleghi: quattro arresti

La stessa droga che i loro colleghi sequestravano, loro tornavano a spacciarla con l’aiuto di quattro complici nell’antidroga. È quanto emerso da un’indagine molto complessa messa in atto dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Roma, che ha portato alla custodia cautelare verso 9 persone ritenute responsabili di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e peculato. L’indagine nasce da una verifica riguardante il coinvolgimento di quattro carabinieri nell’attività di cessione di stupefacenti. I militari in questione erano allo stesso tempo parte di una struttura investigativa volta a contrastare lo spaccio di droga e con loro sono stati individuati anche cinque complici, che si occupavano di custodire e poi commercializzare gli stupefacenti sequestrati. È stata la più nota unità investigativa romana, tuttavia, a scoperchiare il traffico illecito, dipanando una trama degna di un film giallo. I colleghi attuavano infatti strategie molto elaborate per non farsi scoprire, e solo un lavoro molto accurato da parte degli inquirenti è riuscito a far emergere questo losco traffico.

10 febbraio 2016
it.notizie.yahoo.com/roma-spacciavano-la-droga-sequestrata-dai-colleghi-quattro-arresti-200304...
02/03/2016 15:37
 
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Il Consiglio di Stato manda al tappeto Renzi e Poletti

Le indennità di accompagnamento e le pensioni legate a situazioni di disabilità non possono essere considerate nel reddito disponibile ai fini del calcolo dell’ISEE. Sono un sostegno e non una fonte di reddito. A mettere la parola fine al contenzioso è stato il Consiglio di Stato, depositando una sentenza che dà torto a Renzi e Poletti, per i quali era cosa buona e giusta chiedere a un cittadino disabile di inserire nell’ISEE il suo assegno di accompagnamento. Secondo il Consiglio di Stato, “l’indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all’accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un’oggettiva ed ontologica situazione d’inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest’ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una migliore situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa”. Esattamente il contrario della teoria Renzi-Polettiana sul presunto arricchimento di una famiglia con un disabile a carico a cui venga erogato l’assegno di accompagnamento. E’ stato dunque respinto il ricorso dell’Esecutivo contro una sentenza del TAR del Lazio dell’11 febbraio 2015, che aveva giudicato illegittima la riforma dell’ISEE (indicatore della situazione economica equivalente, che costituisce il riferimento per l’accesso ad aiuti e a prestazioni sociali agevolate), entrata in vigore a inizio 2015, nella parte in cui si dispone il “conteggio” nel reddito disponibile anche le pensioni legate a situazioni di disabilità, le indennità di accompagnamento e gli indennizzi INAIL. Il ricorso al TAR era stato a sua volta presentato da familiari di persone disabili. Incassa e porta a casa il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, che in una nota fa sapere che “come Governo non possiamo che prendere atto della sentenza appena depositata dal Consiglio di Stato e provvederemo ad agire in coerenza con questa decisione”. Una figuraccia che il suo politichese non può certo ridimensionare. Esulta Luigi Di Maio, del M5S:“Con la sentenza di ieri del Consiglio di Stato, che ha bocciato il provvedimento del governo Renzi, le famiglie italiane con a carico un disabile hanno vinto questa battaglia e ripristinato un principio di giustizia che il governo stava cercando di calpestare”. “Nel gennaio 2014, ricorda il Vicepresidente della Camera dei Deputati, il TAR del Lazio aveva già negato la possibilità di inserire le provvidenze assistenziali tra le voci del reddito per il calcolo dell’‎ISEE, ma il governo aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato e così oggi ne esce doppiamente sconfitto”. “Renzi, Poletti, Biondelli e gli altri parlamentari che hanno difeso l’indifendibile - conclude Di Maio - devono scusarsi con gli italiani e adesso cambiare subito la legge”.

Ernesto Ferrante
1 marzo 2016
www.opinione-pubblica.com/il-consiglio-di-stato-manda-al-tappeto-renzi-e-...
15/04/2016 21:44
 
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Il Consiglio di Stato boccia il decreto sul canone RAI in bolletta

ROMA - Il decreto ministeriale sul canone RAI riceve una sonora - seppure non definitiva - bocciatura dal Consiglio di Stato, che per legge deve dare un parere su questo atto prima che sia promulgato. Un giudizio che arriva a metà aprile, quando mancano ormai poche settimane alla prima bolletta elettrica con dentro l'imposta della TV, quella di luglio. In un suo atto, il Consiglio di Stato lamenta che il decreto - scritto dal Ministero dello Sviluppo Economico - non offre una "definizione di apparecchio TV". E neanche precisa che il canone si versa una volta sola, anche se abbiamo più televisori in casa. E' dunque indispensabile chiarire che la famiglia deve versare la gabella un'unica volta, e soltanto se possiede una TV che riceve i programmi in modo diretto "oppure attraverso il decoder". In questo modo, il decreto chiarirà una volta e per sempre che non si deve pagare niente quando si hanno uno "smartphone o un tablet", che pure riescono oggi a intercettare il segnale televisivo. Il Consiglio di Stato osserva anche che la riscossione del nuovo canone pone un problema di privacy, vista l'elevata mole di dati che si scambieranno gli "enti coinvolti (Anagrafe Tributaria, Autorità per l'Energia Elettrica, Acquirente Unico, Ministero dell'Interno, Comuni e società private)". Eppure il decreto ministeriale non prevede neanche uno straccio di "disposizione regolamentare" che assicuri il rispetto delle normativa sulla riservatezza. Sempre il Consiglio di Stato stigmatizza la scarsa chiarezza del decreto ministeriale che pure tratta una materia molto sentita dagli italiani. Oscuro, ad esempio, è il passaggio che definisce le categorie di utenti tenute al pagamento dell'imposta per Viale Mazzini. E poi c'è il capitolo della dichiarazione che bisogna inviare all'Agenzia delle Entrate per attestare di non avere il televisore. Gli adempimenti in capo a chi non deve versare la gabella TV sono tali da imporre allo Stato una campagna d'informazione capillare, che il decreto però si guarda bene dal chiedere.

Infine il Consiglio di Stato punta l'indice sul fatto che il Ministero dell'Economia non ha dato un formale via libera (attraverso il meccanismo del "concerto") al decreto scritto dal Ministero dello Sviluppo Economico. Il Ministero dell'Economia si è limitato ad una presa d'atto dell'esistenza di questo atto. In assenza del "concerto", però, si rischia di inficiare la "correttezza formale" dell'iter amministrativo. Il Sottosegretario alle Comunicazioni nega, però, che il Consiglio di Stato abbia prodotto una stroncatura:"Siamo di fronte a un utile suggerimento di integrazioni e chiarimenti - dice Antonello Giacomelli - peraltro nella prassi dei pareri del Consiglio stesso. Già in aula alla Camera il 6 aprile scorso avevo annunciato l'intenzione del governo di procedere ad una definizione di apparecchio TV più esplicita e meno tecnica". "Avevo dato notizia anche di una capillare campagna di comunicazione e di una proroga al 15 maggio del termine per la comunicazione alla Agenzia delle Entrate delle dichiarazioni di esenzione" da parte di chi non dovrà pagare. "Anche sulla privacy - conclude Giacomelli - il testo è all'attenzione del Garante e lavoriamo insieme con spirito costruttivo perché la questione è delicata e importante". In serata, batte un colpo anche il Consiglio di Stato, con una sua nota ufficiale: abbiamo "espresso un parere interlocutorio sullo schema di decreto del Ministero dello Sviluppo Economico" sul canone, c'è scritto. Questo parere evidenzia "alcuni profili che richiedono un approfondimento da parte dell'amministrazione, quali l'individuazione di cosa si debba intendere per apparecchio televisivo, la cui detenzione comporta il pagamento del relativo canone di abbonamento, e il rispetto della normativa sulla privacy".

Aldo Fontanarosa
14 aprile 2016
www.repubblica.it/economia/2016/04/14/news/canone_rai-13...
[Modificato da wheaton80 15/04/2016 21:45]
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