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Gli huthi hanno preso il potere nello Yemen

Ultimo Aggiornamento: 16/03/2024 17:47
23/02/2015 19:36
 
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Con fiducia gli huthi continuano a rafforzare le loro posizioni in Yemen. Il 6 febbraio hanno adottato una dichiarazione costituzionale, che rafforza politicamente il loro potere stabilito per mezzo della forza. Secondo Paesi occidentali e del GCC, questi passi hanno interrotto il dialogo politico con gli altri partiti, in procinto di completarsi. Chiaramente, ciò era pianificato da tempo, gli insorti semplicemente attendevano il momento giusto. Le principali organizzazioni politiche in Yemen, GPC e movimento Islah, hanno respinto la dichiarazione, ma hanno espresso la volontà di proseguire i contatti per raggiungere la riconciliazione nazionale. Tuttavia, gli huthi sono disposti a condurre il dialogo solo su tale base. In queste condizioni, l’occidente ha spinto le Nazioni Unite e il suo rappresentante Jamal Benomar, a fare pressione sugli huthi, accusandoli d’interrompere il processo di negoziazione con l’adozione della dichiarazione costituzionale, sciogliendo il parlamento e controllando le istituzioni statali. Tuttavia, in risposta, il capo dei ribelli Abdulmaliq Huthi ha emesso un messaggio in cui esorta i governi stranieri “a considerare gli interessi dello Yemen, e ad accogliere la dichiarazione come “storica e unico passo giusto“; allo stesso tempo ha minacciato vari Paesi di “perdere” le relazioni con lo Yemen. A conferma delle sue parole, si è messo al lavoro. Il 7 febbraio, il Consiglio rivoluzionario huthi ha adottato un decreto per formare il Comitato Supremo per la sicurezza, con a capo l’ex-segretario della Difesa Mahmoud al-Subayhi, e costituito da militari e dal ministro degli Interni. Il secondo decreto ha nominato due ministri (dimissionari) capi temporanei dei loro ministeri. Con ciò viene sollevata la questione del riconoscimento delle nuove autorità, tanto più che gli huthi hanno promesso di creare un consiglio presidenziale e un governo. Il 10 febbraio, una nuova dichiarazione di Abdulmaliq Huthi attaccava duramente le azioni di “forze esterne e interne” per il malcontento per la proclamazione della dichiarazione costituzionale. Secondo lui, tali “forze” cercano di distruggere l’economia dello Yemen. Ha anche criticato un certo numero di ambasciate straniere, che diffondono appelli a lasciare Sana, anche se la situazione nella capitale, in termini di sicurezza, è migliorata in modo significativo. Ovviamente intendeva statunitensi, inglesi e sauditi. Dopo di che, senza preavviso formale, l’11 febbraio le ambasciate di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna, Italia, Arabia Saudita, Quwayt ed Emirati Arabi Uniti hanno chiuso a Sana. Così occidente e Paesi del CCG apertamente isolano politicamente ed economicamente lo Yemen, con l’obiettivo di minare il governo degli huthi a Sana. Tuttavia, tale politica ha immediatamente causato l’effetto opposto, portando ad un indurimento delle posizioni degli huthi e alla sostanziale degradazione della situazione. Successivamente, Turchia e Giappone hanno deciso di chiudere le loro missioni diplomatiche.

Occidente e CCG all’unanimità insistono sul fatto che la loro fede nel successo dei negoziati, sotto gli auspici del consigliere speciale del Segretario Generale per le Nazioni Unite, Jamal Benomar, tra le forze politiche yemenite per raggiungere la riconciliazione nazionale, è completamente persa. Anche se i negoziati sono ripresi, sono al di fuori del quadro della dichiarazione costituzionale; inoltre, essendo diventati gli unici governanti a Sana, gli huthi controllano la sicurezza nella capitale yemenita. Di conseguenza, i Paesi occidentali e del GCC hanno deciso di recidere i legami con gli huthi, attuando una linea per minare la stabilità dello Yemen, creandogli problemi e isolandolo. E’ ovvio che dietro tutto questo vi sia Washington, che praticamente ha ordinato agli alleati occidentali e arabi di seguirla. E in silenzio seguono, come in Ucraina. E’ possibile che gli statunitensi abbiano deciso la chiusura dell’ambasciata su pressione della maggioranza repubblicana al Congresso, dove c’è la totale paura del ripetersi dell’incidente in Libia, con l’assassinio dell’ambasciatore degli Stati Uniti, con tutte le conseguenze per l’immagine di Washington, che non potrebbe rispondervi adeguatamente. Dopo aver distrutto la Libia, gli Stati Uniti persero la possibilità di influenzare la situazione. La stessa cosa in Yemen: dopo aver organizzato la rivoluzione colorata, Washington vi ha semplicemente perso influenza. Molti definiscono l’attuale situazione in Yemen vuoto di potere, anche se non è così. Gli huthi controllano le province centrali e settentrionali del Paese. Solo il meridione non obbedisce alle istruzioni, ma allo stesso tempo non s’immischia nel conflitto. Non è impossibile che gli huthi, attraverso contatti con le province meridionali e la sotterranea presa del potere, possano sottomettere l’intero Paese. Tanto più che alle spalle hanno un Paese potente: l’Iran. E i Paesi del CCG, primo fra tutti l’Arabia Saudita, vicino più prossimo dello Yemen, non possono influenzare la situazione. Se cercassero d’intervenire, è probabile che le truppe huthi e loro sostenitori, tra cui gli sciiti nelle province limitrofe saudite, semplicemente passerebbero il confine. E Riyadh non ne ha bisogno, visto che il re è appena morto e il nuovo re praticamente inscena un colpo di Stato eliminando figure chiave della cerchia dell’ex-monarca. Le apparenze indicano che ci vorranno 2-3 mesi per capire la situazione nello Yemen e se gli huthi avranno la vittoria totale. In questo momento, almeno, sono al potere e con fiducia vanno avanti. Non è escluso che presto creeranno un consiglio presidenziale e un nuovo governo. Gli Stati Uniti subirebbero un’altra sconfitta nella regione.

Viktor Titov, New Eastern Outlook
20/02/2015
aurorasito.wordpress.com/2015/02/21/gli-huthi-in-yemen-hanno-preso-il...
[Modificato da wheaton80 23/02/2015 19:37]
18/06/2015 01:49
 
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Uccisi 20 ufficiali israeliani che partecipavano all’aggressione saudita contro lo Yemen


Combattenti yemeniti

Secondo fonti yemenite (agenzia Lahjnews), almeno 20 ufficiali delle forze aeree israeliane che cooperavano con l’Esercito Saudita nell’offensiva contro lo Yemen sono morti in un attacco a sorpresa effettuato dagli yemeniti contro una base aerea situata nel sud dell’Arabia Saudita. “Le forze dell’Esercito con l’appoggio dei combattenti del Movimento Popolare Yemenita Ansarollah, hanno lanciato dieci giorni fa un missile Scud contro la base aerea saudita di Jamis Mushait, nella provincia di Yazan, provocando la morte di 20 ufficiali delle forze aeree del regime di Israele”, questo il comunicato fatto lunedì scorso dall’agenzia locale Lahjnews, che ha citato il comandante dell’Esercito yemenita, Mansur Awaz. Nello scorso 6 giugno, in risposta all’offensiva militare saudita, i combattenti di Ansarollah e l’Esercito Yemenita hanno attaccato con missili Scud la succitata base aerea che ha fatto suonare le sirene d’allarme nella città saudita di Jamis Mushait. Il funzionario yemenita ha annunciato che i militari israeliani si trovavano nella base e stavano collaborando con i loro pari sauditi per lanciare bombardamenti contro la zona di Naqum, a Sana'a, la capitale dello Yemen, giusto nel momento in cui il missile Scud sparato dalla parte yemenita ha colpito la base aerea saudita, causando un’esplosione che ha ucciso gli ufficiali israeliani e vari sauditi. Inoltre ha affermato che i sauditi normalmente utilizzano i caccia bombardieri tipo F16 delle Forze Aeree Israeliane per effettuare gli attacchi con bombe proibite dalle convenzioni internazionali contro il popolo yemenita.


Missili Scud lanciati dallo Yemen

La cooperazione tra il regime israeliano e la monarchia saudita, nella sua offensiva contro lo Yemen, non è nulla di nuovo, già che, fin dall’inizio dell’aggressione saudita allo Yemen, il regime di Israele ha fornito servizi di Intelligence all’Arabia Saudita; inoltre il Primo Ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, ha espresso pubblicamente il suo appoggio a tale offensiva militare. Il portale indipendente Veteranstoday ha rivelato che gli aerei del regime israeliano potrebbero aver attaccato utilizzando una bomba ai neutroni sul territorio yemenita. Lo scorso 25 aprile, Riyad ha utilizzato la bomba denominata MOAB, considerata l’arma non nucleare più potente al mondo, in un attacco contro lo Yemen. Inoltre il regime saudita ha riconosciuto di aver utilizzato bombe a grappolo nel corso delle sue offensive contro lo Yemen. Da circa tre mesi l’Arabia Saudita , con il pretesto di ricollocare al governo l’ex Presidente yemenita fuggitivo, Abdu Rabu Mansur Hadi, ha iniziato i bombardamenti sullo Yemen ma fino ad oggi non ha ottenuto il suo obiettivo, causando però la morte di circa 4.000 yemeniti. Al contrario, le forze yemenite ed il Movimento Popolare Ansarollah hanno condotto una ostinata resistenza contrattaccando anche sul territorio saudita, provocando molte perdite e danni alle forze saudite, che hanno dovuto ritirarsi da molte posizioni collocate ai confini con lo Yemen.

Fonte: Hispan TV
Traduzione: Luciano Lago

16 giugno 2015
www.controinformazione.info/uccisi-20-ufficiali-israeliani-che-partecipavano-all-aggressione-saudita-contro-l...
06/09/2015 02:49
 
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Prosegue la resistenza dello Yemen all’aggressione saudita sostenuta dall’Occidente

Nello Yemen prosegue la tenace resistenza delle forze popolari yemenite del movimento Houthi contro l’aggressione dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. Le forze yemenite hanno distrutto due elicotteri Apache, forniti dagli USA all’Esercito Saudita, nella provincia yemenita di Marib (centro Ovest), lo ha comunicato la catena televisiva Al-Masirah. Secondo tale fonte, gli elicotteri sauditi sono stati obiettivo di vari missili in una operazione in cui sono state distrutte anche tre piattaforme di lancio di missili dell’Esercito Saudita. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU), che partecipano all’offensiva contro lo Yemen, hanno annunciato la morte di 22 dei loro soldati nella stessa provincia di Marib, confermando così ufficialmente la presenza di un corpo di spedizione terrestre degli EAU nel Paese. Non si conosce invece il totale delle perdite subite dall’Esercito Saudita, dove si riscontra un alto numero di disertori che hanno abbandonato le postazioni di fronte alla controffensiva yemenita. I missili sparati dallo Yemen hanno colpito anche la base militare saudita di Hashed, le postazioni di artiglieria saudita e le installazioni militari di Hamdan, entrambe ubicate nella regione di Nayran, nel sud dell’Arabia Saudita. Inoltre le postazioni militari saudite nella regione di Jizan sono cadute sotto il fuoco dei missili dell’esercito yemenita e del movimento popolare Ansarollah, che difendono il loro Paese dall’aggressione miltare di Riyadh e dei suoi alleati. La superiorità dei mezzi e degli armamenti impiegati dai sauditi e dai loro alleati non è riuscita fino ad ora ad avere ragione della resistenza yemenita, che ha ottenuto anche il risultato di colpire, nelle scorse settimane, un’importante base aerea di Al Sulayyl, in territorio saudita, distruggendo installazioni e causando la morte di vari militari sauditi ed il ferimento dello stesso Ministro della Difesa del governo di Riyadh, il quale si trovava casualmente nella base. Inoltre le forze yemenite erano riuscite ad abbattere, nei giorni scorsi, un caccia F-16 dell’Aviazione Saudita, dimostrando una capacità di interdizione superiore alle previsioni. Il comando militare di Riyadh si trova in difficoltà nonostante abbia chiesto l’aiuto militare degli USA, che hanno fornito (assieme ad Israele) assistenza logistica, rifornimenti e Intelligence alle forze saudite. Dal marzo di quest’anno, l’Arabia Saudita ha iniziato una massiccia campagna di bombardamenti contro lo Yemen causando oltre 2.150 vittime civili, fra cui diverse centinaia di bambini, e distruzioni di zone residenziali ed infrastrutture del Paese arabo.

La campagna di bombardamenti viene appoggiata dagli USA, dalla NATO e da Israele per riportare al governo l’ex presidente yemenita rovesciato da una rivoluzione popolare capeggiata dal movimento Ansarollah (sciita), considerato vicino all’Iran. Una brutale e palese aggressione contro un Paese che è il più povero del Medio Oriente e che viola tutte le regole del diritto internazionale e della carta dell’ONU. A questa campagna si associano un blocco aereo navale che ha causato l’isolamento del Paese ed una situazione di crisi umanitaria della popolazione che si trova, oltre che sotto i bombardamenti, anche priva di alimenti, di acqua potabile, di generi di prima necessità e medicinali. La situazione umanitaria è stata definita dall’Organizzazione “Medici senza Frontiere” come disastrosa e al limite del collasso ed ha portato le Nazioni Unite, soltanto negli ultimi giorni, attraverso il portavoce Stephane Dujarric, a muoversi finalmente con una presa di posizione per richiedere l’instaurazione di una tregua per portare aiuti umanitari della Croce Rossa alla popolazione stremata. Anche l’Italia ha svolto il suo ruolo nel massacro della popolazione civile yemenita e nel dare sostegno al governo di Riyadh, al quale il Ministro Gentiloni, pochi giorni addietro, ha manifestato la sua “comprensione” per l’intervento militare effettuato nello Yemen, e a cui le imprese italiane forniscono materiali militari. In particolare risulta che l’Italia fornisca parti delle bombe che vengono utilizzate per bombardare lo Yemen attraverso alcune fabbriche in Italia che hanno stretti rapporti commerciali con Riyadh, a cui il governo ha rilasciato licenza di esportazione, secondo quanto ha dichiarato anche da uno dei responsabili di Amnesty International, Patrick Wilken a Reported l.y. La questione non tocca il governo italiano, da sempre schierato con gli interessi degli USA, di Israele e dell’Arabia Saudita, uno di regimi più assolutistici, totalitari e violatori dei diritti umani che esiste al mondo ma ricchissimo di petrolio e petrodollari. Una ricchezza che alimenta il business della monarchia saudita con i suoi alleati e sostenitori occidentali, i quali chiudono non uno ma entrambi gli occhi di fronte alle violazioni dei diritti umani commesse nello Stato arabo. Il governo italiano e gli esponenti della sinistra mondialista, da Matteo Renzi alla Boldrini, sempre molto attenti ai “diritti umani” quando si tratta di gay o di migranti clandestini, non manifestano la stessa solerte attenzione nei confronti delle popolazioni colpite dai bombardamenti della NATO e dei suoi alleati, che sia in Yemen o in Libia o altrove. Uno “strano” caso di sensibilità a comando di interessi esterni. Fuori d’ogni dubbio che la popolazione civile dello Yemen avrà “sincera gratitudine” per il governo italiano, complice dei massacratori sauditi.

05/09/2015
www.stopeuro.org/prosegue-la-resistenza-dello-yemen-allaggressione-saudita-sostenuta-dalloc...
16/12/2015 13:54
 
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Distrutto il centro di comando saudita in Yemen



Un missile SS-21 di fabbricazione sovietica - OTR-21 ‘Tochka’ - ha colpito e distrutto il centro di comando delle forze saudite nell’aera di Bab el Mandeb nella provincia di Taizz in Yemen. L’attacco condotto dalle forze di liberazione nazionale yemenite e dai comitati popolari ha completamente distrutto la base eliminando centocinquanta unità saudite, due batterie antimissile “Patriot” di fabbricazione USA, tre elicotteri Hughes Ah-64 e numerosi altri veicoli. Sembra che nell’attacco siano stati eliminati fra gli altri il colonnello Adullah al-Sahayan, capo delle forze speciali saudite e il suo omologo degli Emirati Arabi Sultan al Kitbi. Fonti non confermate parlano di numerosi contractor stranieri appartenenti alla famigerata compagnia di sicurezza e Blackwather rimasti uccisi.



Pur disponendo di enormi somme di denaro e di una superiorità tecnologica, carri armati Abrams e LeClerc, blindati Bradley, cacciabombardieri F-15, F-16, Typhoon e Tornado e di una Intelligence nettamente superiore, le forze di invasione saudite in Yemen stanno registrando numerose battute d’arresto a quella che era stata immaginata dai Sauditi come una semplice azione di restaurazione politica dell’ormai fuggiasco ex Presidente Mansour Hadi. A questa ingerenza, in aperta violazione della sovranità statale dello Yemen, si oppongono da molti mesi le milizie sciite degli Houthi affiancate dalle unità dell’esercito regolare yemenita raccoltesi intorno alla organizzazione patriottica Ansarullah. L’attacco di domenica sembra anche dimostrare come i continui “cessate il fuoco” dichiarati unilateralmente dai sauditi non siano il frutto di alcuna politica distensiva tra le parti ma che anzi coprano le avanzate delle truppe della coalizione saudita ai danni della popolazione yemenita.

Alberto Palladino
16 dicembre 2015
www.ilprimatonazionale.it/esteri/distrutto-centro-comando-saudita-yeme...
24/12/2015 01:43
 
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Yemen, L’UNHCR condanna l’Arabia Saudita

Prosegue in Yemen la contr'offensiva delle truppe anti-saudite. Le forze yemenite, con l'aiuto del movimento popolare Ansarullah, recuperano il controllo di una zona montuosa nella provincia di Taiz, sud-Ovest dello Yemen. Stamani un altro missile yemenita, probabilmente rifornito dall'Iran, si è schiantato contro una base militare in territorio saudita. Ieri l'Alto Commissariato per i rifugiati ha condannato l'Arabia Saudita, dinanzi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per il "numero sproporzionato" di attacchi sulle zone ad alta concentrazione di civili in Yemen. Zeid Raad al-Hussein, rappresentante dell'UNHCR, ha messo in guardia il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla situazione incadescente, generata dai continui raid della coalizione del Golfo a guida saudita, che potrebbe agevolare l'ingresso nel paese di Daesh. Domenica scorsa il primo round dei colloqui di pace sotto l'egida dell'ONU è stato interrotto. L'inviato speciale delle Nazioni Unite nel Paese, Ismail Ould Cheikh Ahmed, ha annunciato che le due parti si incontreranno di nuovo il 14 gennaio 2016.

23.12.2015
it.sputniknews.com/mondo/20151223/1778630/yemen-unhcr-condanna-arabia-saud...
18/01/2016 17:18
 
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Come i missili sovietici distruggono i carri armati statunitensi nello Yemen

Le operazioni “Tempesta Decisiva” e “Rinascita della Speranza”, svolti nello Yemen dalla coalizione saudita, si sono seriamente impantanate. L’assenza di grandi successi, numerose perdite di personale e di blindati, scarsissimo coordinamento, sono alcuni dei motivi delle operazioni militari tra le più disastrose in Medio Oriente.

Un esercito da operetta
La maggior parte degli esperti ritiene l’invasione dello Yemen un’operazione mal concepita, e anche nei primi scontri con i ribelli huthi, frettolosamente armati e il cui comando è assai meno efficiente di quello di un esercito regolare, hanno dimostrato che le truppe della coalizione saudita non sono disposte a combattere. Nonostante la decisione di creare l’ennesima alleanza, questa volta per combattere il SIIL in Siria, le forze armate saudite non hanno sufficiente esperienza per condurre una grande guerra, e le decisioni dei comandanti rendono le truppe un bersaglio facile sul campo di battaglia. “Quando ho letto il libro del principe saudita e generale Qalid Ibn Sultan “Desert Warrior”, notai che era meno preoccupato dell’esito del combattimento rispetto alle varie regole cerimoniali”, ha detto l’esperto militar-politico Aleksandr Perendzhiev, secondo cui sarebbe prematuro parlare di alta professionalità militare saudita, dato che né i soldati né i comandanti hanno un addestramento adeguato, le cui operazioni sono principalmente di facciata. Il motto dell’esercito, secondo Perendzhiev, potrebbe benissimo essere:“Dobbiamo combattere, ma non vincere!”. Inoltre, l’Esercito Saudita ha certi rituali che ne ritardano le decisioni sul campo di battaglia. “Ai loro incontri è fondamentale decidere chi siede dove, e quanto alte siano le poltrone. E’ anche importante chi riferisce a chi e come va fatto il rapporto; sono estremamente sensibili sulla questione della subordinazione: un comandante superiore non vuole far rapporto a un giovane ufficiale”, spiega Perendzhiev. Peculiarità simili si possono incontrare nel modo in cui le informazioni vengono diffuse. Alcuni comandanti non vogliono ricevere segnalazioni dai sistemi di comunicazione e preferiscono i rapporti personali.

Bersagli corazzati
Il basso livello di addestramento del personale e lo scarso coordinamento sul campo di battaglia creano un altro problema che si riscontrerebbe in molte occasioni: le perdite di blindati, sproporzionatamente pesanti, e la bassa efficienza dei carristi che, secondo gli specialisti, è vicina allo zero. Gli specialisti notano anche che, se le forze saudite usano armi degli Stati Uniti, non ne seguono le tattiche. Il contrasto con le operazioni corazzate degli USA in Iraq è colossale. Le forze degli USA in Iraq si muovevano rapidamente, facendo soste nel minor tempo possibile nelle operazioni offensive. I sauditi non operano così. Essi invece dimostrano incompetenza totale ed assenza di coordinamento, permettendo agli huthi di utilizzare i missili anticarro sovietici, come il Faktorija e il Konkurs, per distruggere i carri armati M1 Abrams da distanze di sicurezza. “Se in Iraq i carristi statunitensi erano per lo più preoccupati dal tiro di RPG da poche decine di metri, nello Yemen la combinazione di terreno montuoso e scarso addestramento saudita creano una situazione in cui i difetti sauditi vengono immediatamente sfruttati dagli avversari usando gli assai efficaci missili sovietici. Numerosi video mostrano che anche armi obsolete possono distruggere un carro armato statunitense in pochi secondi“, dice l’ex-capitano dell’esercito russo Aleksej Fedjukin, specialista della cooperazione tecnico-militare.

Guerra per alcuni, soldi per altri
La commercializzazione delle operazioni di combattimento è almeno altrettanto importante, secondo gli specialisti, come i fattori religiosi, politici e altri, dietro tale guerra. La scarsa efficacia degli attacchi aerei sauditi non è che una componente della nuova guerra commerciale. Nella migliore tradizione dei bombardamenti statunitensi, i sauditi riescono a distruggere un ospedale locale di Medici Senza Frontiere, un corteo nuziale e vari edifici civili. Anche se il quartier generale della coalizione a Riad riceve regolarmente le coordinate di importanti obiettivi civili che non vanno bombardati, tali errori continuano. La coalizione araba manca anche di personale sufficiente per controllare i territori occupati, motivo per cui l’Arabia Saudita coinvolge attivamente Paesi terzi nella guerra: Colombia, Marocco, Sudan, Senegal, Giordania. Questi Paesi inviano con entusiasmo i loro mercenari, che combattono per chi li paga. Tuttavia, i mercenari non fanno la differenza perché sono ancora meno disposti a rischiare la vita di coloro che credono che la lotta in nome delle monarchie del Golfo sia un dovere. Inoltre, i militari sauditi sono afflitti da una corruzione sempre più difficile da nascondere. “Raggiunge i comandanti sauditi, corrotti per trasmettere certi ordini e ritardare la segnalazione dei risultati delle operazioni“, spiega Perendhziev. Data tale corruzione, non sorprende che le truppe della coalizione vendano le armi che riferiscono come distrutte in battaglia. Gli esperti prevedono che se l’attuale conflitto e relativo supporto estero continuassero, lo Yemen prossimamente diverrebbe un altro Iraq, Libia o Siria, e l’escalation del conflitto non contribuirà alla stabilità del Medio Oriente.

Dmitrij Jurov
13.01.2016
Fonte: southfront.org/13733/

Traduzione: Alessandro Lattanzio
aurorasito.wordpress.com/2016/01/16/come-i-missili-sovietici-distruggono-i-carri-armati-statunitensi-nell...
01/02/2016 18:54
 
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L’Esercito Yemenita che resiste ai sauditi uccide il comandante USA dei mercenari della Blackwater


Reparti della Blackwater

Le forze yemenite che combattono sul terreno, resistendo all’aggressione dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati statunitensi e britannici, hanno inflitto ieri un duro colpo all’esercito di mercenari utilizzato dagli USA per venire in aiuto dei sauditi, in forte difficoltà per la resistenza opposta dagli yemeniti, un popolo di guerrieri. Risulta essere stato ucciso infatti, nella provincia di Lahij, sud-est del Paese, Nicholas Butros, il Comandante statunitense dell’impresa privata Blackwater, che ha traferito i suoi reparti di mercenari nella penisola arabica affiancando le forze saudite. La TV yemenita Al-Masirah ha informato di questo episodio, comunicando che:“E’ stato ucciso il Comandante delle forze statunitensi della Blackwater, nel corso di un attacco lanciato dalle forze yemenite contro la base di Al-Anad, nella zona di Lahij, nel corso del quale sono stati utilizzati missili Tochka”. Non è la prima volta che mercenari di questa impresa USA muoiono durante i combattimenti nello Yemen. Lo scorso 9 dicembre del 2015, un militare argentino ed il suo Comandante messicano, entrambi al servizio della Blackwater, sono morti nel corso degli scontri armati avvenuti nella città di Taiz (nel sud-est). La società nordamericana utilizza fra le sue fila molti elementi arruolati, di nazionalità colombiana, messicana e panamense che sono stati inviati in Yemen e in altri teatri di operazioni dove la Blackwater ha ricevuto incarichi per “missioni speciali”. Inoltre, durante questo attacco, sono rimasti uccisi vari altri miliziani sauditi. L’utilizzo di questi missili da parte delle forze yemenite ha inflitto forti perdite all’Esercito Saudita e, nel corso degli ultimi due mesi, sono stati abbattuti almeno tre aerei militari sauditi e distrutti vari camion cisterna e mezzi blindati. Secondo la TV Al-Masirah, l’ultimo attacco è stato realizzato giusto quando i circa 4mila mercenari che appoggiano l’aggressione saudita contro lo Yemen stavano ultimando i loro preparativi per lanciare una operazione su vasta scala contro la città di Taiz. In questa operazione, le unità missilistiche dell’Esercito Yemenita hanno distrutto completamente cinque imbarcazioni militari saudite nelle acque di Al-Mokha, nella provincia di Taiz.

Nella stessa operazione le truppe yemenite hanno distrutto due carri armati sauditi e si sono impadroniti di un altro carro armato nella piana di Al-Mesraj, a Taiz. Inoltre, dopo un duro scontro a fuoco con i mercenari americano-sauditi, le forze yemenite hanno preso il controllo delle postazioni militari di Al-Rafed, al-Rafis, Nayd al-Qoba e Al-Suq, nella stessa città. L’aggressione dell’Arabia Saudita contro lo Yemen era iniziata nel marzo del 2015, con la luce verde e con l’appoggio degli Stati Uniti, a cui si sono aggiunti la Gran Bretagna e Israele, fornendo aiuti, logistica, servizi di Intelligence e mercenari. L’obiettivo dei sauditi è quello di rovesciare il governo del Movimento Popolare (sciita) Ansarollah e restaurare il governo dell’ex Presidente Abdu Rabu Mansur Hadi, fedele alleato di Riyad, estromesso dal potere da oltre un anno e mezzo. L’aggressione saudita, che si è sviluppata con bombardamenti indiscriminati sulle zone civili, ha causato fino ad oggi circa 10.000 vittime di cui buona parte civili, donne e bambini, con distruzione di scuole, ospedali ed edifici residenziali. Inoltre le autorità saudite, con la collaborazione di unità navali USA, hanno imposto un blocco militare aereo-navale sul Paese, che ha prodotto una gravissima crisi umanitaria per la popolazione, che manca di cibo, di acqua e di generi di prima necessità. Un conflitto del tutto oscurato dai media occidentali e dai governi europei (di solito molto attenti ai “diritti umani”) che non vogliono “disturbare” i buoni rapporti d’affari esistenti con la monarchia Saudita, un fedele alleato della NATO e dell’Occidente.

Fonti:
www.hispantv.com/newsdetail/Yemen/203237/yemen-ansarullah-matan-mercenarios-bl...
syrianfreepress.wordpress.com/2015/12/11/blackwater-killed/

Traduzione e sointesi: Luciano Lago
31 gennaio 2016
www.controinformazione.info/lesercito-yemenita-che-resiste-ai-sauditi-uccide-il-comandante-usa-dei-mercenari-della-bla...
10/02/2016 23:16
 
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I mercenari della Blackwater si ritirano dallo Yemen

La Blackwater ha deciso di ritirare i suoi mercenari dalla provincia di Taiz, nel sud-ovest dello Yemen, dopo aver subito pesanti perdite. Diverse decine di mercenari, tra cui alcuni comandanti, sono rimasti uccisi durante i combattimenti con la Resistenza yemenita. Il New York Times del 25 novembre aveva pubblicato la notizia secondo la quale gli Emirati Arabi avrebbero ingaggiato almeno un battaglione di combattenti latino-americani, per lo più colombiani, inquadrato da ufficiali di varie nazionalità, per combattere in Yemen con uno stipendio di mille dollari la settimana e la promessa della cittadinanza emiratina. Il ricorso ai mercenari della Blackwater, la famigerata agenzia di “contractors” vicina al Pentagono che in Iraq ed Afghanistan s’è macchiata di crimini atroci, è l’ennesima dimostrazione del disastroso andamento della guerra per i sauditi e i suoi alleati. Gli Emirati, non potendo intensificare il proprio sforzo militare in Yemen, sia per le gravi perdite già subite, sia per la modestia delle proprie forze armate già anche troppo provate, adesso sono costretti a ricorrere ai mercenari di un’agenzia privata. Ma è tutta la coalizione saudita ad essere in gravissime difficoltà malgrado sempre nuovi Stati, dietro lauto pagamento, stiano mandando contingenti in Yemen. La lista è ormai chilometrica: accanto alle truppe di Riyad, Emirati, Qatar, Bahrain, sono arrivate quelle dell’Egitto, del Senegal, del Sudan, della Mauritania ed ora del Marocco. Raschiando il fondo del barile per trovare uomini, anche centinaia di terroristi fuggiti dalla Siria in Turchia sono stati trasferiti ad Aden con un ponte aereo gestito da Qatar ed Emirati.

10 febbraio 2016
www.ilfarosulmondo.it/i-mercenari-della-blackwater-si-ritirano-dall...
04/03/2016 17:06
 
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Yemen, il Vietnam dei Sauditi

L’abusato parallelo con la tragica esperienza statunitense in Indocina inizia ad apparire realistico in riferimento all’invasione dello Yemen a opera dei Sauditi, iniziata un anno fa con arroganti pretese di Blitzkrieg, e sempre più lontana dal raggiungimento degli obiettivi prefissi. Come accaduto agli Americani intervenuti a supporto del Vietnam del Sud, infatti, non solo le forze armate del Regno dei Saud non sono riuscite nell’intento di schiacciare la ribellione degli Houthi e delle forze fedeli al deposto presidente Ali Abdullah Saleh, ma stanno subendo ripetuti attacchi all’interno dei loro confini, hanno perso almeno un centinaio di uomini, vittime soprattutto degli attacchi missilistici dei ribelli, e hanno rafforzato l’immagine dell’Iran, principale rivale di Riad per il predominio nel Medio Oriente. Inoltre, il regime di Re Salman già nell’autunno scorso ha iniziato a mostrare qualche crepa, con prese di posizione molto critiche nei confronti dell’avventura yemenita da parte di membri della famiglia reale, e si trova costretto dagli eventi, come avvenuto nei giorni scorsi a Taiz, a scendere a patti con Al Qaeda, fattore che mina la credibilità del colosso Saudita sull’intero scacchiere arabo. Il tutto a fronte di una superiorità militare che – anche attraverso la proficua alleanza con la Gran Bretagna, di cui si è scritto qualche settimana fa – avrebbe dovuto garantire un facile successo contro rivali dipinti come barbari retrogradi, successo che avrebbe rafforzato le mire saudite sulla regione, e segnatamente sulla guerra di Siria, e che invece si stanno dimostrando un osso durissimo. Da quanto si è potuto vedere sul campo, persino la conquista di San’a da parte delle forze della coalizione guidata da Riad, rischierebbe di trasformarsi in un boomerang micidiale, in quanto trasformerebbe i ribelli, comunque inferiori negli scontri campali, come ha dimostrato l’illusoria riconquista di Aden, in imprendibili guerriglieri. La paranoia anti-iraniana dei Sauditi, che vedono agenti di Tehran praticamente ovunque, ha forse sopravvalutato il supporto dell’Iran agli Houthi (per quanto questi facciano parte della grande famiglia sciita, sono comunque visti come “eretici” dagli Ayatollah), ma è comunque molto probabile che qualche consigliere di Hezbollah affianchi i ribelli, e in questo caso l’esperienza maturata dal Partito di Dio negli scontri con i soldati israeliani potrebbe risultare deleteria per l’esercito di Riad.

L’effetto peggiore peraltro è un’enorme perdita di consenso a livello di immagine, proprio nei mesi in cui l’arcinemico iraniano esce dal quarantennale isolamento seguito alla Rivoluzione di Khomeini e si presenta come interlocutore serio per molti partner occidentali. Così, al danno rappresentato dalle pesanti perdite inflitte alla coalizione da parte dei ribelli, capaci di tenere testa agli attacchi nemici e, più recentemente, di colpire addirittura la città saudita di Najran (fra l’altro popolata in prevalenza da Sciiti, da decenni discriminati dai Saud, e capoluogo di una regione storicamente rivendicata dallo Yemen), costringendo i Sauditi a schierare migliaia di uomini a ridosso del confine, si aggiunge la beffa di vedersi additati come uno Stato assassino da parte dei media di tutto il mondo. Non passa giorno che qualche ONG non sottolinei il numero di morti in Yemen a causa dei raid aerei sauditi, ed è sempre più frequente l’accusa di fare apertamente fronte comune con le bande di Al Qaeda, per cercare di avere la meglio sugli Houthi. Giovedì, nonostante un accorato appello dell’ambasciatore saudita a Bruxelles, il Parlamento Europeo ha votato a larghissima maggioranza una risoluzione che, pur senza essere vincolante, invita esplicitamente gli Stati membri a non esportare armi in Arabia Saudita. E senza le generose forniture militari britanniche, le cose, per Riad, potrebbero pure peggiorare. Il tutto senza considerare gli attacchi che la coalizione a guida saudita subisce alle spalle, da parte dello Stato Islamico che, per quanto minoritario rispetto ad Al Qaeda, trova terreno fertile per una rapida crescita nelle aree sunnite del Paese. Ed è inevitabile che questa situazione, nel momento in cui da Riad si sono alzate minacce di intervento militare diretto in terra siriana, abbia contribuito alla malcelata ironia degli Iraniani, e alla beffarda risposta, da parte dello Stato Maggiore di Damasco, che si è dichiarato pronto a rispedire a casa in poco tempo tutti i soldati sauditi. Dentro altrettante casse di legno.

Mattia Pase
27 febbraio 2016
www.ilprimatonazionale.it/esteri/yemen-vietnam-sauditi-40639/
07/03/2016 22:31
 
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Yemen, bombe a grappolo sui civili

Le notizie dalla guerra nello Yemen arrivano a fatica fino ai giornali. Quando ci arrivano, scompaiono quasi subito. Ma se scompare in un lampo anche la notizia dell'assassinio delle quattro suore di Madre Teresa (e dei loro 12 collaboratori) che ad Aden lavoravano in un ospizio per anziani, allora siamo messi davvero male. Le suore sono state uccise ad Aden, il grande porto tra Mar Rosso e Oceano Indiano, da cui qualche mese fa le forze fedeli al Presidente Abdel Rabbo Mansour Hadi sono riuscite a cacciare i ribelli sciiti Houthi. Hadi (che per sei anni fu il vice del dittatore Ali Abdullah Saleh, a quel tempo amorevolmente accudito dai sauditi) è appoggiato da una coalizione militare di dieci Paesi guidata dall'Arabia Saudita (Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Qatar, Egitto, Giordania, Marocco, Senegal e Sudan), a loro volta sostenuti con armi e intelligence da USA, Gran Bretagna, Francia e Canada, oltre a un congruo numero dei contractors americani già visti in Iraq. Gli Houthi, a loro volta, sono sostenuti dall'Iran. Aden, come si diceva, è nelle mani dei "governativi" filo-sauditi, che però non riescono a impedire alle versioni yemenite di Al Qaeda e dell'ISIS di colpire in modo pesante. Nel dicembre scorso, per esempio, l'ISIS aveva già eliminato il governatore della città Jafar Mohammed Saad, saltato in aria insieme con sei guardie del corpo, e il Presidente della Corte d'appello Mohsen Eluan. Mentre i qaedisti controllano ancora vaste zone dell'Est del Paese. In gennaio, di nuovo ad Aden, un kamikaze si è fatto esplodere davanti alla residenza di Hadi facendo 12 vittime.

In altre parole, l'alleanza già sperimentata nelle fasi iniziali della crisi della Siria (Arabia Saudita e monarchie del Golfo Persico con USA e Paesi occidentali) sta ottenendo anche nello Yemen gli stessi risultati: poco o nulla nella lotta contro il jihadismo sunnita, poco o nulla contro lo spauracchio sciita, da queste parti rappresentato dai ribelli Houthi. Da notare la diversa valenza del termine "ribelli" tra Siria e Yemen. In Siria, per come sono descritti in Occidente, i "ribelli" sono i legittimi eredi delle proteste della Primavera Araba del 2011 e della contestazione al regime di Bashar al-Assad. Nello Yemen, invece, è successo questo: la Primavera Araba riuscì a far cadere Saleh, ma sauditi e americani, con vari maneggi, riuscirono a organizzare un'elezione che aveva come unico candidato (democratico, no?) appunto Hadi, il vice di Saleh. Gli Houthi chiesero il boicottaggio dell'elezione-farsa, poi parteciparono a una conferenza di pace, infine protestarono contro un'estensione del mandato del Presidente fintamente provvisorio Hadi. Loro, però, a differenza di quelli siriani, sono ribelli e basta, e vanno stroncati in ogni modo. E l'espressione "in ogni modo" va presa alla lettera. Nessuno sembra aver notato il rapporto di Human Rights Watch che accusa le forze aeree della coalizione a guida saudita di aver usato cluster bombs contro gli affollati quartieri alla periferia della capitale Sanaa.

Anzi, per dirla con Steve Goose, esperto di armamenti della ONG, "l'uso ripetuto da parte della coalizione di cluster bomb nel mezzo di una città affollata suggerisce l'intenzione di colpire i civili, il che è un crimine di guerra". Le cluster bomb, o "bombe a grappolo", sono bombe che contengono altre bombe. Quando esplodono compiono una prima distruzione. Nello stesso tempo disseminano altri ordigni più piccoli che si disperdono e compiono ulteriori disastri. Questo se funzionano. Perché molto spesso gli ordigni più piccoli non scoppiano subito ma solo quando li prende in mano un bambino, li calpesta un passante, sono urtati in un modo qualunque. Per dare un'idea: in Afghanistan stanno ancora cercando di eliminare del tutto quelli seminati dagli apparecchi sovietici; nell'ultimo conflitto nel Sud del Libano, circa il 50% degli ordigni interni alle cluster bomb rimase inesploso all'impatto. Non a caso nel 2008 è stata varata una Convenzione sulle cluster bomb che vieta l’uso, la vendita e l’accumulo di questo tipo di bombe e che è stata firmata da 108 Paesi. L'Italia, già produttrice di bombe a grappolo, ha aderito alla Convenzione e l'ha ratificata nel 2011. Purtroppo tra i Paesi che non l'hanno accettata ci sono quasi tutti quelli impegnati nello Yemen: Arabia Saudita, USA, Iran, Corea del Nord, Israele, Russia. Resta però il fatto che gli Houthi non hanno aviazione, quindi non sganciano cluster bomb. Le cluster bomb impiegate nello Yemen fanno parte di uno stock venduto dagli USA all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti.

E gli USA hanno comunque una legge che permette la vendita ed esportazione degli ordigni ma vieta ai compratori di cluster bomb non solo di usarle contro la popolazione civile ma anche nelle zone dov'è nota la presenza di civili. Ma poiché gli USA forniscono alla coalizione a guida saudita assistenza militare e intelligence, trovano un pò complesso ammettere che i loro assistiti facciano un pò di crimini di guerra. E che loro, i venditori americani di cluster bomb, stiano quindi violando le leggi del loro stesso Paese. Non ci aspettiamo, quindi, che gli USA seguano l'esempio della Svezia, che ha troncato la collaborazione militare con i sauditi. Men che meno che seguano l'esempio del Parlamento Europeo, che ha votato a larga maggioranza una risoluzione per chiedere a Federica Mogherini di “lanciare un’iniziativa volta a imporre un embargo sulle armi dell’UE contro l’Arabia Saudita”. È successo il 25 febbraio, e anche di questo si è parlato poco. Forse perché anche noi abbiamo i nostri lati oscuri. Come le sei spedizioni di bombe (o sistemi d'arma) prodotte da un'azienda tedesca con due stabilimenti in Italia e partiti dalla Sardegna verso l'Arabia Saudita. Forse, sfruttando qualche tecnicismo, quelle forniture non violano la lettera dell'articolo 1 della legge 185/90, che vieta l'esportazione di armamenti verso Paesi in stato di conflitto armato e che violano i diritti umani. Ma lo spirito lo violano eccome.

Fulvio Scaglione
07/03/2016
www.famigliacristiana.it/articolo/yemen-bombe-a-grappolo-sui-civi...
23/03/2016 17:00
 
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L'Esercito Yemenita uccide il comandante israeliano della compagnia di mercenari USA, la DynCorp

Le forze yemenite hanno effettuato ieri un attacco con razzi Katyusha in corrispondenza delle postazioni dei mercenari della DynCorp (http://www.dyn-intl.com/) nella regione di Al-Dhubab a Taiz, dove è stato ucciso il comandante israeliano della società, identificato come Avram Benyamin Hazel, ha riferito l'agenzia di stampa yemenita Khabaragency. Gli altri mercenari uccisi sono di nazionalità croata e del Sud Africa, ha aggiunto l'agenzia yemenita. Nell'ambito di un contratto di tre miliardi di dollari stipulato tra gli Emirati Arabi Uniti e DynCorp, i mercenari della società sono stati dispiegati in Yemen ed hanno sostituito quelli di Academi, una società militare degli Stati Uniti in precedenza nota come Blackwater. I mercenari della DynCorp hanno il compito di sostenere i soldati degli Emirati Arabi, uno dei principali alleati del regime saudita nella sua guerra contro lo Yemen, che combattono contro l'esercito yemenita e il movimento popolare Ansarullah. Academi ha deciso di ritirarsi dallo Yemen dopo aver subito pesanti perdite durante gli scontri con le forze yemenite.

21/03/2016
Fonte: www.hispantv.com/newsdetail/yemen/219383/ejercito-yemen-mercenarios-dync...

www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=8&pg=14873
10/07/2016 02:16
 
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Yemen: La coalizione saudita perde pezzi, si ritirano gli Emirati Arabi

Sono almeno dieci i morti in un duplice attacco autobomba avvenuto oggi, mercoledì 6 luglio, ad Aden, nel sud dello Yemen. L’attentato è avvenuto in una base militare situata nella zona di Khormaksar, nei pressi dell’aeroporto internazionale della città portuale, attuale sede del governo legittimo del Presidente Abdrabbuh Mansour Hadi. Una prima autobomba è stata fatta esplodere all’ingresso della base. Un secondo veicolo guidato da un altro attentatore kamikaze è stato lanciato all’interno della base per poi esplodere. Successivamente è entrato in azione un commando formato da circa 15 uomini armati che indossavano uniformi militari. L’offensiva, avvenuta nel giorno dell’Eid al Fitr, la giornata che celebra la fine del mese santo del digiuno del Ramadan, non è stata rivendicata. Ma le modalità in cui è stata compiuta lasciano credere che a compierla possano essere stati miliziani jihadisti legati ad AQAP (Al Qaeda nella Penisola Araba) o a ISIS. In questo scenario di guerra sempre più incerto e dimenticato dai media internazionali, riprenderanno il 15 luglio i colloqui per riavviare il processo di pace dopo circa due mesi di infruttuosi negoziati ospitati in Kuwait.

Nelle scorse settimane l’inviato ONU in Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, aveva delineato una roadmap che dovrebbe condurre alla formazione di un governo di unità nazionale e alla concomitante applicazione della Risoluzione 2216 che prevede il ritiro dei ribelli Houthi (appartenenti alla comunità zaidita di confessione sciita) dai territori conquistati dal colpo di stato del 2014 e il disarmo di tutte le milizie. Ma nonostante la risposta positiva alla proposta da parte delle delegazioni che partecipano alle trattative, permangono disaccordi sui tempi e le modalità della messa in atto del piano di pace. Il nodo principale riguarda la scelta di chi guiderà la transizione politica, dal momento che gli Houthi non intendono riconoscere il Presidente Hadi. A ciò si aggiungono gli incessanti combattimenti sul terreno, nonostante la formale proclamazione del cessate-il-fuoco dalla metà di aprile.

Gli sviluppi del conflitto

Tra il 28 e il 30 giugno si è registrata un’escalation di combattimenti e raid aerei della coalizione saudita in risposta a un attacco con cui pochi giorni prima i ribelli avevano tentato di conquistare la base aerea di Al-Anad, un punto strategico della provincia meridionale di Lahj, dopo essersi assicurati l’area di Qubaita – tra le province di Lahj e Taiz – grazie all’aiuto delle truppe fedeli all’ex Presidente Ali Abdullah Saleh. Nella regione di Taiz sono morte circa quaranta persone (di cui la metà civili) in una serie di raid condotti contro postazioni ribelli, mentre altri scontri si sono verificati a Nahm, a nord-est della capitale Sanaa, e a Marib. Negli stessi giorni, miliziani dell’ISIS hanno messo a segno una serie di attacchi kamikaze contro militari delle truppe filo-governative nella città meridionale di Al-Mukallah, capoluogo della provincia dell’Hadramawt, dove fino ad aprile scorso erano di base cellule di AQAP. Almeno cinque attentatori hanno colpito contemporaneamente diversi posti di blocco nel centro della città, provocando 38 vittime. Dopo il ritiro dei miliziani di AQAP dall’area, diverse località delle regioni meridionali (tra cui la stessa Al-Mukallah e Aden) sono state colpite da una serie di attacchi suicidi rivendicati dai miliziani dello Stato Islamico, con cui Al Qaeda è in competizione.

Il ritiro delle truppe degli Emirati
Nel primo trimestre del 2016 erano state in particolar modo le truppe fornite alla coalizione dagli Emirati Arabi Uniti a coadiuvare le attività anti-terrorismo americane per liberare le regioni meridionali dalla morsa di AQAP, permettendo al governo yemenita di riprendere il controllo della roccaforte jihadista di Al-Mukallah. Ma a distanza di pochi mesi, dopo aver perso circa ottanta soldati dall’inizio dell’offensiva, un caccia Mirage e due elicotteri, nelle scorse settimane il Ministro degli Esteri degli Emirati Arabi, Anwar Gargash, ha ufficializzato il ritiro delle truppe emiratine dalla coalizione araba capeggiata da Riad e impegnata in Yemen a sostegno del Presidente Hadi. A oltre quindici mesi dall’inizio dell’offensiva a guida saudita, la coalizione è riuscita a liberare le regioni del sud ricacciando i ribelli verso nord. Gran parte delle regioni lungo il Mar Rosso restano però ancora contese. A incidere sulla decisione che il principe ereditario e Ministro della Difesa degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed al-Nahyan ha preso – di concerto con i suoi consiglieri militari Hamad Mohammed Thani al-Rumaithi e Joumaa Ahmed al-Bawardi al-Falassi e con il responsabile della sicurezza nazionale Tahnoon bin Zayed al-Nahyan – non sono stati però solo gli scarsi risultati finora ottenuti, bensì le crescenti tensioni che da qualche mese vanno delineandosi con Riad.

Secondo accreditate fonti di Intelligence, infatti, gli Emirati avevano mal digerito, lo scorso aprile, le nomine – fortemente volute dall’Arabia Saudita – di Ahmed ben Dagher a Primo Ministro yemenita e di Ali Mohsen al-Ahmar a vice-Presidente. I due politici, in passato nell’entourage dell’ex Presidente Saleh, hanno sostituito Khaled Bahah, che invece godeva dell’aperto sostegno di Abu Dhabi. Inoltre, Al-Ahmar, in quanto membro del partito islamista Al-Islah (il ramo yemenita dei Fratelli Musulmani), è particolarmente inviso alla famiglia reale emiratina degli Al-Nahyan. Negli ultimi mesi la strategia militare saudita in Yemen nel 2016 ha mirato ad affiancare i movimenti islamisti yemeniti, in particolare attraverso un’alleanza con il partito Al-Islah, nella speranza di ottenere maggiori risultati sul terreno contro i ribelli Houthi. Ora però che i risultati faticano ad arrivare, gli Emirati Arabi hanno pensato di tirarsi indietro da un pantano militare estremamente costoso e che ha già causato decine di vittime tra i suoi militari. Mentre nel complesso il bilancio del conflitto yemenita è sempre più tragico: 6mila vittime e oltre 3 milioni di sfollati.

Marta Pranzetti
06 luglio 2016
www.lookoutnews.it/yemen-emirati-arabi-ritiro-coalizione-arabia-...
12/07/2016 02:07
 
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Yemen: le forze Houthi avanzano ancora

Le milizie Houthi, appoggiate dalla Guardia Repubblicana dello Yemen (fedele in blocco all’ex Presidente Saleh) continuano ad avanzare nel governatorato di Al-Jawf, spingendo verso il confine saudita le forze governative fedeli al Presidente Hadi e sostenute da Riad. Tutta l’area montagnosa intorno a Jabal Sabrayn sarebbe stata investita da un’offensiva massiccia che dà seguito alle gravissime difficoltà in cui versa ormai la coalizione a guida saudita nella guerra yemenita. Scontri durissimi con gravi perdite da parte dei lealisti sarebbero in corso in queste ore anche nel Governatorato di Hajja, strategico perché affacciato sul Mar Rosso. I muhafazat (governatorati) di Jawf, Hajja e Sa’da confinano con l’Arabia Saudita e in quanto roccaforte degli sciiti zayditi, base delle milizie Houthi, sono una spina nel fianco per gli arabi che sostengono il Presidente sunnita Hadi. La situazione appare così seria da aver obbligato le forze lealiste a richiedere un ulteriore incremento delle forze saudite già impegnate massicciamente nello Yemen.

Giampiero Venturi
11/07/16
www.difesaonline.it/geopolitica/brevi-estero/yemen-le-forze-houthi-avanzan...
22/07/2016 02:31
 
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Yemen, le forze Houthi entrano in Arabia Saudita

Forze ribelli Houthi appoggiate dalla Guardia Nazionale yemenita fedele all’ex Presidente Saleh hanno occupato lo stabilimento industriale di Jizan, utilizzato dalle truppe regolari di Riad e dalle forze della coalizione pro Hadi come postazione militare. La notizia si associa alla cattura avvenuta il 19 luglio della base militare di Sang in prossimità del confine con lo Yemen ma interna al regno saudita, nella provincia dello Jāzān. Gli scontri sarebbero particolarmente violenti e secondo quanto riportato da fonti locali (AMN) avvengono nella zona a ridosso del Mar Rosso, in questo momento dell’anno considerata uno delle più calde del mondo. Le forze ribelli Houthi dimostrerebbero grandissima abilità nel combattimento sul terreno, che fra montagna e deserto sembra essere a loro congeniale. Sempre maggiore imbarazzo invece per le forze dei Paesi arabi, che dal 26 marzo 2015 sostengono l’invasione saudita in appoggio ai sunniti del Presidente Hadi, arroccato ad Aden. Dopo l’annuncio a giugno del principe ereditario degli Emirati Arabi bin Zayed Al Nahyan di un ritiro unilaterale delle forze EAU dalla Coalizione, la situazione sul campo comincia ad essere critica (nel settembre 2015 ben 52 soldati degli Emirati erano morti in un solo attacco missilistico condotto dalle forze pro Saleh). Nonostante i ripetuti appelli internazionali, l’accanimento delle forze aeree saudite contro popolazione civile e infrastrutture appare inarrestabile. Già 10.000 civili sono considerati ufficialmente morti e altri 20.000 feriti. La denuncia dell’uso di bombe a grappolo in aree densamente abitate è caduta finora nel vuoto.

Giampiero Venturi
21/07/16
www.difesaonline.it/geopolitica/brevi-estero/yemen-le-forze-houthi-entrano-arabia...
06/09/2016 02:00
 
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Strike di missile SCUD yemenita (‘Borkan’) contro la base saudita di Ayn al-Thourin distrugge oltre cento veicoli

Cento tra carri armati, veicoli blindati, fuoristrada e altri mezzi ruotati e cingolati, venticinque lanciarazzi multipli, due elicotteri d'attacco americani "Apache" e un numero imprecisato di droni e altre apparecchiature di rilevazione e sorveglianza sono andati distrutti nella deflagrazione di un missile yemenita SCUD modificato alla versione "Borkan-1" contro l'installazione militare saudita di Ayn al-Thourin a Ovesti Rabouaa, nella Provincia di Asir. Questo nuovo attacco missilistico, portato a termine dalla Guardia Repubblicana yemenita, l'unico corpo in grado di utilizzare con precisione un sistema d'arma così raro e complesso come il missile a corto raggio derivato dal glorioso SCUD sovietico, dimostra come le forze del piccolo Paese arabo non hanno perso la capacità di infliggere danni devastanti al ricchissimo e corrotto vicino. Per quanto piccolo e relativamente povero, lo Yemen ha un efficiente programma balistico basato principalmente su disegni irakeni (l' ex Presidente Saleh era in ottimi termini con Saddam Hussein) che lo hanno reso in grado di produrre vettori balistici dai 'gusci' dei missili antiaerei S-75, di modificare gli SCUD aumentandone raggio e potenza ('Borkan-1') e di costruire propri razzi pesanti chiamati 'Zelzal', che non hanno origini comuni agli 'Zelzal' iraniani, diffusi anche in Siria e presso Hezbollah. Può darsi che attualmente consiglieri della Guardia Rivoluzionaria iraniana stiano ispezionando e valutando gli arsenali e i laboratori yemeniti, fornendo suggerimenti e consulenze su come migliorarne ulteriormente l'efficacia.

Suleiman Kahani
5 settembre 2016
palaestinafelix.blogspot.it/2016/09/strike-di-missile-scud-yemenita-bor...
14/09/2016 02:01
 
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Aggiornamento

L'11 settembre le forze yemenite catturavano 50 militari sauditi, tra cui 2 ufficiali dei servizi segreti, in un'operazione speciale nella provincia saudita del Najran, distruggendo tutte le postazioni saudite lungo il confine, e numerosi veicoli sauditi. Il 12 settembre, la base aerea saudita Qalid bin Abdalaziz nei pressi di Qamis Mushayt veniva colpita da un missile Qahir-I lanciato dallo Yemen, mentre le forze yemenite catturavano la base militare di al-Hanjar, nella provincia di Asir dell'Arabia Saudita, ed avanzavano verso Tal Shaybani. Inoltre, le forze yemenite occupavano anche la base militare al-Farida, nella regione del Jizan, sequestrando ai sauditi armi pesanti e carri armati.

13 settembre 2016
www.facebook.com/LaSiriaSiDifende/?hc_ref=NEWSFEED&fref=nf
03/10/2016 18:46
 
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Nave militare degli Emirati distrutta in Yemen

Un missile antinave di progettazione cinese, fornito ai ribelli Houthi dello Yemen probabilmente attraverso canali riconducibili agli alleati sciiti del Golfo Persico, ha distrutto la nave veloce HSV 2 in carico alla Marina degli Emirati Arabi, nave che svolgeva servizio di rifornimento per le truppe sunnite operanti in Yemen. Secondo la nostra analisi la nave non è affondata come annunciato dai ribelli ma è stata resa inservibile a causa di un incendio che ne ha devastato i locali e ha causato numerose vittime nell’equipaggio. Qui trovate il video relativo all’attacco dei ribelli:



2 ottobre 2016
www.geopoliticalcenter.com/breaking-news/nave-militare-degli-emirati-distrutta-in-yeme...
10/10/2016 20:06
 
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Strage funerale Yemen, TV britannica: missile era made in USA


Resti del presunto ordigno statunitense

Sarebbe stato di fabbricazione americana il missile sparato da un aereo, presumibilmente saudita, che sabato ha ucciso più di 140 persone a un funerale nella capitale yemenita San'a, controllata dai ribelli Houthi. A rivelarlo è l'emittente britannica ITV News, che pubblica sul suo sito WEB una foto che mostra il frammento di una bomba trovata sul luogo della strage. "ITV News è stata sulla scena della strage e ha potuto vedere i resti di una bomba: un funzionario militare yemenita ha sostenuto che si tratta di un Mark 82 di fabbricazione statunitense", ha affermato ITV sul suo account Twitter. Il giornalista di ITV Paul Tyson, che si trova nella capitale San'a, come afferma l'emittente britannica, ha riferito che un addetto dell'obitorio gli ha detto che "non c'è spazio per i corpi". La coalizione a guida saudita ha annunciato che indagherà sul raid. Anche Washington, alleato di Riad, ha detto di voler fare luce sulla strage e di voler riesaminare il sostegno all'alleanza araba.

Fonte: Askanews
10 ottobre 2016
it.notizie.yahoo.com/strage-funerale-yemen-tv-britannica-missile-era-made-091015...
[Modificato da wheaton80 10/10/2016 20:14]
22/10/2016 13:33
 
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Yemen. ONU:“Arabia Saudita ha violato il diritto internazionale”

Delle tante e continue violazioni compiute dalla coalizione sunnita a guida saudita in Yemen le Nazioni Unite hanno scelto l’ultima. Con ospedali e scuole bombardati, zone residenziali distrutte e un blocco aereo che impedisce l’arrivo di aiuti sufficienti a far sopravvivere la popolazione yemenita, è trascorso un anno di abusi nel silenzio internazionale. Le stesse Nazioni Unite erano tornate sui loro passi a giugno quando, dopo aver pubblicato un rapporto che accusava Riyad di abusi contro i bambini yemeniti, avevano affossato tutto ritirando i risultati del report. Ma l’attacco compiuto l’8 ottobre a Sana’a contro un palazzo che ospitava un funerale – a cui prendevano parte leader Houthi e del partito dell’ex Presidente Saleh, circostanza che nega di per sé l’errore millantato da Riyad – e la morte di 155 persone è sembrata troppo anche al Palazzo di Vetro: ieri di fronte al Consiglio di Sicurezza il team di monitoraggio e sanzioni dell’ONU ha accusato l’Arabia Saudita di violazione del diritto internazionale in quello che è stato definito un “doppio attacco”. Una pratica tanto comune quanto barbara: a pochi minuti dalle prime bombe ne seguono altre che uccidono soccorritori e sopravvissuti.


Immagine di archivio di un raid aereo saudita dello scorso gennaio

L’ambasciatore saudita all’ONU non commenta. A Riyad bastano i risultati della velocissima inchiesta imbastita che sabato ha giustificato l’attacco con “informazioni sbagliate”. E bastano le parole del Ministro degli Esteri Adel al-Jubeir, che lunedì ha promesso di punire i responsabili e risarcire le famiglie delle vittime. Ieri intanto è entrata in vigore la tregua di 72 ore negoziata dall’ONU, ma sono già numerose le violazioni: sarebbero due i civili morti in Arabia Saudita sotto i missili Houthi, risposta a tre vittime dei raid sauditi. I bombardamenti sono comunque molti di meno: Sana’a ha trascorso la prima notte dopo mesi senza il rumore agghiacciante delle bombe. Dagli Stati Uniti, attivi attori del conflitto direttamente e non, arrivano appelli al fronte Houthi: “Essenziale in questo momento che gli Houthi sostengano il cessate il fuoco – ha detto il Segretario di Stato USA Kerry – Ogni violazione mette a rischio la possibilità di tornare al negoziato”. Agli alleati sauditi nessuna raccomandazione, nonostante sia palese l’assenza di volontà negoziale di Riyad. Ad oggi ogni tentativo di dialogo è fallito per le precondizioni poste dalle parti, in primo luogo dalla coalizione a guida saudita, che teme che un coinvolgimento politico degli Houthi possa scardinare lo strapotere di cui gode in Yemen.

21/10/2016
nena-news.it/yemen-onu-arabia-saudita-ha-violato-il-diritto-interna...
06/01/2017 19:51
 
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Nigeria. L’esercito ha catturato l’ultima roccaforte di Boko Haram nella foresta di Sambisa

I miliziani di Boko Haram sono stati cacciati dall’ultimo accampamento nella foresta di Sambisa dall’Esercito Nigeriano. Si tratta di uno degli ultimi bastioni del gruppo islamista nel Nordest del Paese. L’annuncio è stato dato dal Presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari. Le forze nigeriane sono state impegnate nelle ultime settimane in un’offensiva su larga scala nella foresta di Sambisa, una grande ex riserva di caccia a nordest della Nigeria, dove si trova la base del gruppo Boko Haram. Nella foresta nello Stato nordorientale di Borno, numerosi combattenti del gruppo avevano trovato rifugio dopo diversi rovesci militari. “I terroristi sono in fuga e non hanno piu un posto dove andare”, ha commentato il Presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari. Nel corso dell’offensiva, l’Esercito Nigeriano ha liberato 1.880 civili che erano nelle mani dell’organizzazione terroristica e catturato oltre 500 combattenti. In sette anni le violenze del gruppo Boko Haram hanno fatto 20mila morti e 2,6 milioni di sfollati nel nord-Est della Nigeria.

24/12/2016
it.euronews.com/2016/12/24/nigeria-lesercito-ha-catturato-lultima-roccaforte-di-boko-haram-nella...
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